incesto
La prima amante di Hans
di LittleMargot
23.06.2015 |
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"La musica non era ad alto volume, quindi potei sentire il rumore dei suoi passi mentre veniva avanti, non sapevo cosa fare; il ‘toc-toc’ dei tacchi dei suoi..."
Che tormento quando alle 6 del mattino di mercoledì, puntuale come un orologio svizzero, la mia sveglietta, per l’appunto di marca svizzera, che se ne sta lì pacifica sul comodino al mio lato, mi tormenta col suo ‘bip bip’ per dirmi che è il momento di scendere dal letto, mentre io avrei voluto starmene lì ancora un pochino... mezz’ora... un’ora o anche due, a stiracchiarmi e a fare la mia ginnastica pre-giornata lavorativa. Un leggero tocco di dita e la mia personale e acerrima nemica del primo mattino, parlo ancora della sveglietta, la smette di tormentarmi. Con delicatezza mi distendo e mi stiro, sbadiglio e sento dentro di me un effetto tipo ‘stretching’, mi giro di lato e sorrido tra me, vorrei poter fare tutte le mosse di Jim Carrey in ‘Una settimana da Dio’ quando è l’ora di alzarsi, ma mi conviene starmene buono buono, così mi metto seduto sul bordo del letto, allargo le braccia per il settimo sbadiglio, quindi infilo le pantofole delle 6.05 ed in silenzio prendo le mie cose al buio, tanto so già dove sono, chiudo adagio la porta della camera da letto, vado in cucina ad accendere la macchinetta per il caffè e vado al bagno. Una rapida doccia e alle 6.20, vestito di tutto punto, prendo il mio primo caffè della giornata, la colazione vera e propria, per oggi, mi aspetta da un’altra parte. L’ascensore arriva veloce, così qualche minuto dopo salgo sulla mia ormai datata BMW nel parcheggio sotterraneo. Saluto Franz, il custode, che mi ricambia con un cenno della mano e fa alzare la sbarra. Poco dopo le 6.30 sono rilassato più che mai, a guidare nel traffico scorrevole di Monaco di Baviera, ascoltando un CD con opere di Mozart. Da qualche tempo a questa parte non sopporto più di ascoltare la radio, tanta pubblicità interrotta da canzoni e notiziari che sembrano necrologi di paesi destinati a fallire, sempre sull’orlo del baratro, tanto, poi, sempre all’ultimo secondo come nei cari e vecchi film ‘western’, arrivano i ‘nostri’ che salvano tutto e tutti (a detta loro) dal disastro! Che effetto guidare sulla Ifflanderstraße che quasi costeggia l’Isar, ogni volta faccio un tuffo nel passato, un ricordo dell’estate 1972, avevo da qualche mese compiuto 7 anni, e vedevo i festoni e tutto il movimento per quella famosa (anche per fatti spiacevoli) edizione delle Olimpiadi, e poi in quegli anni ’70 quando era uscita la prima serie televisiva dell’Ispettore Derrick, che ricordi di bambino... e guidare adesso una BMW... “Bavaria 13 a centrale, ripeto, Bavaria 13 a centrale...”, dico tra me, “...recarsi subito a...”, quanti anni sono passati. Alle 6.55 arrivo nei pressi della stazione ferroviaria centrale, entro in una vicina strada laterale, la Hopfenstraße, e parcheggio presso la casa di un mio amico, un ex compagno di scuola delle medie che da ben 25 anni si è messo in proprio ed ha un’officina meccanica niente male. Scendo dall’auto, sollevo lo sguardo, lui mi saluta dalla terrazza, non può fare a meno di iniziare la giornata con una sigaretta, come me fino a 15 anni fa, quando con forza di volontà sono riuscito a smettere di fumare. Sorride e mi fa cenno che devo sbrigarmi, vista la colazione che mi aspetta al bar-ristorante della stazione mentre lui tra meno di un’ora sarà già disteso sotto qualche vettura a fare chissà cosa con cacciaviti, chiavi inglesi e arnesi del genere! Lo immagino sempre disteso supino sotto un’auto ad azionare il ‘cric idraulico’ nello stesso istante in cui entra una spumeggiante biondona con gli stivali di vernice rossa con i tacchi a spillo, minigonna blu elettrico in jeans, camicetta aperta verso l’alto e seni prosperosi di fuori.Mi avvicino di buon passo alla stazione, dalla strada si sente l’eco degli annunci dei treni in arrivo ed in partenza. Quanto al mio treno, l’espresso 726 per Norimberga, ho circa tre quarti d’ora di tempo, visto che sono le 7.05, giusto per cominciare la giornata in maniera frizzante.
Ed eccole lì, puntualissime come le cartelle delle tasse o delle cambiali scadute (guai a me se sapessero di certi miei paragoni mentali), le mie “tre Veneri del mattino”, due giorni alla settimana faccio colazione con loro alla stazione, e cioè quando vado in trasferta a Norimberga o ad Augusta o a Ratisbona, mentre quando devo andare a Dortmund o a Francoforte, una volta al mese, non c’è altra possibilità che quella di prendere l’aereo, o partire il pomeriggio prima, ma tra le due possibilità, meglio l’aereo.
Martina, Barbara e Kristen, amiche fin dall’infanzia! Assieme alla scuola primaria, anche se Barbara era in un’altra sezione, assieme alle scuole medie, tutte e tre nella stessa classe, e assieme ancora all’istituto di ragioneria, stavolta era Martina in un’altra classe. Pur avendo quasi 15 anni meno di me teniamo assieme un’amicizia pluriennale, da 10 anni, cioè da quando hanno aperto assieme un’ottima boutique all’interno della stazione, e da 10 anni, per la precisione, faccio parte della cosiddetta ‘clientela fedele’. Che belle nella loro divisa da lavoro primaverile, sembrano delle vere e proprie hostess di linee aeree di lusso, anche se fisicamente sono diverse tra loro, ma tutte e tre belle bionde, sempre assieme, inseparabili. Martina, la più alta, è anche la più giovane delle tre, avendo due mesi meno di Kristen e venti giorni meno di Barbara, e arriva, senza tacchi, a 1,85 e fa una certa impressione passarle accanto. Barbara è la più bassa, 1,64 con una 5° abbondante di seno che la fa apparire strepitosa, ed è anche la più vivace delle tre, sempre pronta allo scherzo e alle improvvisate, la ‘spalla’ perfetta per Martina. Con Kristen, invece, posso tenere la testa in assetto normale essendo 1,72 senza tacchi, 3 centimetri meno di me (sempre senza tacchi, ovvio), non serve che punti né verso l’alto né verso il basso per guardarla negli occhi stando in piedi, ma quando stiamo assieme su quelle comode poltroncine del bar le differenze non si notano più. Le vedo maestose venire verso di me, mi hanno appena visto entrare, Kristen mi fa un cenno con la mano. Sono bellissime, con i capelli biondi come l’oro, raccolti, a parte Martina che li tiene sciolti, una camicetta bianca e aderente pregevolmente ricamata con una spilla d’oro appuntata e una cravattina di seta rossa, una giacca davvero femminile color blu con fazzolettino di seta rossa che spunta dal taschino e che, se chiusa con il bottone centrale, metterebbe in risalto la sensualità dei loro seni, specialmente per Barbara, anche se le altre due mica si difendono male con la loro 4°. A scendere, una minigonna blu di completo con la giacca e cinturona nera con fibbiona, borsetta a tracolla per tutte e stivali neri in pelle di ottimo livello, plateau e tacco da 10 cm, con le ‘cuissards’ sopra il ginocchio per lasciare lo spazio tra essi e la minigonna così da mettere in risalto le calze velatissime nere che fanno però trasparire il candore della pelle delle loro meravigliose gambe perfettamente depilate. Per l’intimo posso solo immaginare, anche se non ci vuole tanto a capire che indossano autoreggenti con baby-doll e perizoma e, la discola Barbara, forse nemmeno lo indossa.
“Ciao Hans”, mi saluta Martina chinandosi quanto basta per darmi un bacio, seguita poi da Kristen e Barbara. Che meraviglia iniziare la giornata lavorativa, alle 7.10 in punto, in questo modo.
“Abbiamo già ordinato la colazione anche per te”, mi dice Barbara, “con il cappuccino, brioche al cioccolato e dei pasticcini di sicuro non si sbaglia! Come sta il nostro carissimo neocinquantenne?”. Le sorrido e le do una leggera frizionatina ai capelli, quindi ci sediamo al tavolo, di fronte a me c’è Martina, alla mia destra Barbara e a sinistra Kristen. Parliamo del più e del meno, sento qualcosa che mi sfiora i polpacci, e dall’espressione di Martina intuisco che è lei ad aver appena allungato le gambe per fare in modo che io gliele catturi, tra le tre è l’unica ad essere libera, avrebbe dovuto sposarsi lo scorso Settembre (otto mesi fa), ma un mese prima, appena lei aveva detto a Rolf, il suo promesso, che desiderava quanto prima diventare ‘mamma’, questi senza tanti ripensamenti l’aveva lasciata, col debito in piedi verso la banca per l’acquisto della casa tutto a carico di lei, infatti lui le aveva promesso che l’avrebbe aiutata con le spese, ma non aveva messo mai una firma su alcun documento, e così... Per le prime settimane Martina era intrattabile, non le si poteva dire nulla. Barbara mi aveva raccontato che un giorno, a negozio chiuso per la pausa pranzo, mentre stavano dentro a mangiare qualcosa, d’improvviso Martina si era messa a dare calci alle sedie e all’arredamento, e non poca fatica aveva fatto lei, con Kristen, per tenerla bloccata affinché si calmasse. Poi tutto tornò alla normalità, e l’unico evento particolare fu un paio di mesi dopo quando Barbara, avendo incontrato per strada Rolf, non resistette alla tentazione di assestargli un poderoso calcione sulle natiche per fuggire subito come una ragazzina monella: si beccò una denuncia e, processata per direttissima, se la cavò con un’ammenda di 500 Euro, accusando il ‘colpo’ con dignità asserendo che talvolta la soddisfazione personale vale molto di più... contenta lei. Kristen, per adesso, convive con un medico ospedaliero (specializzato in ricostruzione ossea mi sembra) che ha dei turni impossibili e spesso è fuori per congressi di aggiornamento o per interventi in altri ospedali. Barbara, invece, è l’unica ad essere sposata, è serena e felice, ed ha un bimbo che va alla scuola primaria; suo marito rientra dal lavoro sempre verso le 18, per cui i loro genitori, da bravi nonni, li aiutano col bimbo, lasciando a Barbara anche un bel margine di tempo libero per sé stessa, tempo che dedica anche a qualche altra persona, in gran segreto, naturalmente, ma non per me e altre tre persone, ovviamente. Do a Barbara una rapida occhiata ammiccante e prendo tra le mie le gambe di Martina ed inizio lo strusciamento, sento qualcosa che cresce tra le mie gambe, ma so fino a che livello portare il gioco. Martina è eccitata mentre addenta la sua brioche, Kristen quasi ride mentre sorseggia il cappuccino, Barbara invece ha l’occhio attento. Piano piano allento la presa, però Martina ha ancora lo sguardo eccitato, Barbara sorride.
“Bene ragazze, è tempo che mi avvii al binario”, dico io alzandomi e lasciando sul tavolo la mia quota per la colazione, mentre Martina di colpo cambia espressione.
“Ma cosa...”, dice lei, “Barbara, avrei dovuto immaginarlo, sempre tu!”, continua avendo capito che le sue gambe erano state fatte prigioniere da quelle di Barbara, “Dai, lasciami, vado ad aprire il negozio, visto che abbiamo finito di fare colazione... dai...”, dice poi dimenandosi per cercare di divincolarsi, ma inutilmente, dalla stretta e salda presa di Barbara.
“Tu hai finito di fare colazione, io e Kristen no”, precisa Barbara, “sei avvantaggiata tu, hai la bocca più grande di noi due! Come in estate, con il cono gelato! Che sia alla fragola o al cioccolato io lo devo accarezzare girandogli intorno con la lingua, mentre tu hai la possibilità di avvolgerlo per bene con le tue labbra, così succhi di più, e lo fai venire più presto al palato! Un po’ di pazienza, il negozio lo apriamo assieme, OK?”.
“mmhhm... va bene, Barbara”, si arrende Martina, che però dentro di sé è felice per le attenzioni verso di lei, visto il recente trascorso, e adora gli stuzzicanti doppi sensi di Barbara.
“Allora vi saluto, ragazze, ci vediamo domenica pomeriggio, alle 5 da Martina”, le saluto allontanandomi, senza smettere di guardare quell’eccitante spettacolo che si sta consumando sotto quel tavolino quadrato da bar.
Alle 7.51, in perfetto orario, il treno 726 parte per lasciare la stazione centrale di Monaco, guardo dal finestrino l’ormai indistinguibile fila di negozi e attività varie, impossibile poter capire dove sono le mie ‘tre Veneri’, non si capisce più nemmeno dove sia il bar ristorante. Mi aspetta poco più di un’ora di viaggio, l’arrivo è previsto per le 8.57. Sul sedile di fronte, libero, c’è il ‘Der Spiegel’, ma non ho voglia di leggerlo, mi rilasso, e penso a come era iniziata in me quella recondita passione verso le donne con tacchi e, soprattutto, con gli stivali.
Mancava poco a Natale, in quel 1975, a primavera avrei compiuto 11 anni, e quel sabato pomeriggio, una fredda giornata, ero uscito con mia madre, una donna bionda di 33 anni, molto attraente, per la scelta dei regali e per altre compere, soprattutto un cappotto e dei pantaloni per me. Mio padre non era quasi mai a casa, lavorava spesso fuori, viaggiava, ma per le festività natalizie sarebbe stato ben dieci giorni in famiglia, sarebbero venuti anche i miei tre cugini, due gemelli maschi di un anno più grandi di me e una bambina, Julia, di due anni più piccola di me. Mia madre, una donna bionda di media statura, fisico normale, mi appariva molto più grande e imponente con quella sua calda pelliccia tinta castano chiaro e quei suoi stivali neri in pelle al ginocchio, comodi, con un tacco che adesso definirei discreto, ma che a me, quella volta, appariva molto alto. Entrammo in un grande negozio a due piani che trattava di tutto, dagli alimentari all’abbigliamento, all’oggettistica, giochi, prodotti per la casa, quanto grande mi sembrava, e quanto piccolo lo vedo adesso in confronto ai moderni centri commerciali che sembrano più mete per la gitarella fuori casa della domenica, anche senza comprare niente, giusto per passare il tempo, visto che le gitarelle vere adesso costano care, che tristezza! Mia madre mi teneva davanti a lei mentre salivamo su quelle scale mobili, la mia testa appoggiata all’indietro su quella morbidezza di pelliccia che subito aprì visto che all’interno c’era una buona temperatura. Al piano superiore tolse la pelliccia, rimanendo in gonna e camicetta con giacchina, un bel completino. Mi chiese di guardare i cappotti, per scegliere qualcosa per me, ma non potevo fare a meno di distogliere lo sguardo da altre donne che stavano lì, e soprattutto da una commessa che mi chiese se poteva aiutarmi. Tutte le donne che guardavo avevano in comune una cosa: indossavano stivali con dei bei tacchi alti, ma non disdegnavo certo anche quelle con le ‘décolleté’, che facevano parte del personale di servizio. Mi affascinavano, mi inebriavano, dentro di me mi chiedevo come facessero a camminare così perfettamente ritte, in equilibrio, maestose, una domanda che tenevo dentro, mai avrei osato chiedere direttamente. Intanto dall’impianto radio di quel grande negozio uscivano le note della canzone ‘Mamma mia’, uscita neanche due mesi prima, con le voci delle due belle ragazze svedesi del gruppo ABBA, non riesco tutt’oggi a togliermi dalla testa quel loro look con gli stivali bianchi.
“Allora, Hans, hai deciso?”, chiese mia madre con dolcezza dandomi un buffetto sulla guancia, mentre i miei pensieri andavano a quelle belle gambe che mi vedevo passare davanti e a quelle calzature che portavano, d’istinto guardai con mossa degli occhi anche gli stivali di mia madre, “Allora, Hans?”, chiese di nuovo. Le dissi che non avevo ancora scelto, che volevo guardare bene, ed in effetti era così, volevo guardare bene, ma qualcos’altro, e da quel momento quel pensiero divenne per me come un chiodo fisso, e scoprii che doveva avere radici più profonde, visto che già qualche anno prima mi inebriava l’idea della pioggia con le pozzanghere che erano un’ottima occasione per poter poi indossare gli stivali di gomma!
I giorni, le settimane ed i mesi passavano, e non passava giorno che io restassi senza pensare a come le donne riuscissero a camminare con portamento fiero ed eretto con i tacchi alti, quante volte avrei voluto poter entrare nel corpo di qualcuna di loro per poter provare l’effetto che avesse fatto su di me il camminare sentendomi più alto di me stesso ma, soprattutto, indossando degli stivali.
Questo pensiero mi prendeva sempre di più, e dopo aver compiuto i 12 anni cominciavo a sentire qualcosa in me che stava cambiando, provavo sensazioni e desideri diversi dal solito.
Avevo compiuto 12 anni da qualche settimana, era metà Maggio 1977, un giovedì pomeriggio. Mio padre non sarebbe rientrato che venerdì sera, e mia madre, che lavorava soltanto al mattino presso uno studio dentistico, uscì per un paio di spese vicino casa, la vidi indossare un completo adatto alla stagione, con una gonna abbastanza lunga ed un paio di stivali in camoscio marrone. La salutai ed andai nella mia camera a fare i compiti, ma poi andai subito in terrazza, la vidi uscire dal portone condominiale, che piccola pareva vista dalla terrazza del 5° piano. Sentii l’emozione che mi stava salendo alla gola quando la vidi girare l’angolo con l’altra strada, rientrai in casa e andai subito alla scarpiera, le mani mi tremavano. Stavano lì, in attesa di essere messi via in uno scatolone per il prossimo autunno, quei suoi bei stivali neri in pelle. Li presi con le mani che mi tremavano, andai in camera mia e mi sedetti sul letto. Lentamente li infilai, mi stavano abbastanza comodi, e cominciai a camminare su e giù per la casa, all’inizio mi tenevo in equilibrio poggiando le mani sulle pareti, ma appena mi ci abituai mi accorsi che poi non era così difficile camminare con quei tacchi. Mi guardavo i piedi, poi mi sedevo e me li ammiravo, mi alzavo e facevo delle mossette particolari, mi sorridevo da solo. Dopo quindici minuti sentii il rumore tipico dell’ascensore in movimento, rapido mi tolsi gli stivali, li rimisi esattamente dov’erano e com’erano, quindi andai in camera mia a studiare. Evidentemente si trattava di qualcun altro perché mia madre rincasò dopo un’ora. Le andai incontro e l’abbracciai, lei s’accorse che avevo qualcosa di strano, ma io le dissi che ero in difficoltà con la stesura del tema di letteratura dato per casa, ed ero preoccupato di non riuscire a fare correttamente gli esercizi di matematica che non erano certo il mio forte. Tutto ciò era vero, ma quello che sentivo dentro di me e che mi faceva male era un certo senso di colpa nei suoi confronti. Mi accarezzò il viso e mi chiese di aiutarla a sistemare la spesa appena fatta, quindi tornai ai miei compiti di scuola. Alla sera ero già tranquillo e sereno, ed andai a letto ripensando alla mia prodezza di quel pomeriggio.
Nei giorni successivi ebbi un’altra occasione per indossare quei suoi stivali, poi furono portati in cantina dentro uno scatolone, assieme agli altri, e durante l’estate una sosta in cantina ogni tanto la facevo volentieri, tra l’eccitazione di quel gioco e la paura che qualcuno mi potesse vedere.
Quindi riprese il ciclo autunnale, comprese le uscite con mia madre, sempre vestita in modo attraente ma nel contempo sobrio ed elegante, con i suoi immancabili stivali neri in pelle, e più di qualche volta incontrava una sua amica, a volte anche due, e ci si intratteneva assieme a fare la merenda pomeridiana delle 5 pianificando l’uscita tra famiglie per il fine settimana, di solito alla domenica: non ho ricordi di una domenica che si sia rimasti in casa, a meno che non facesse brutto tempo. Fattostà che anche l’abbigliamento delle sue amiche, specialmente nella parte bassa, infondeva in me un certo senso di eccitazione, e anche con quei pensieri in mente aumentò il numero delle volte che provavo l’ebbrezza ad indossare uno o l’altro paio di stivali di mia madre, a seconda di quali lasciava nella scarpiera.
Col passare del tempo i miei desideri e le mie fantasie aumentavano sempre di più, dentro di me sentivo che non mi bastava più indossare soltanto gli stivali e basta.
Avevo quasi 15 anni, mancavano un paio di settimane, quando venne a farci visita, un pomeriggio, mia zia Claudia (sorella di mia madre) assieme a sua figlia Julia, mia cugina. L’idea era quella di uscire tutti assieme a fare un giro. I fratelli di Julia, più grandi di me, erano andati a fare una partita a pallone, mio padre era fuori per lavoro e mio zio, marito di Claudia, non sarebbe rientrato a casa sua che all’ora di cena. Julia però disse che non aveva voglia di uscire, perciò mia madre uscì con mia zia, e restammo in casa noi due soli, io e mia cugina. Si era fatta abbastanza graziosa, un trucco leggero, portava un giubbotto che appese subito nell’armadio d’ingresso, rimanendo con la camicetta, i blue-jeans stretti e un paio di stivali color marrone, in camoscio, col tacco basso, da ‘teen-ager’. Lei era abbastanza disinvolta e disinibita e, a differenza di me, andava anche molto bene a scuola. Io, invece, l’anno precedente dovetti riparare a Settembre Matematica e Storia (come mi ero vergognato con la mia famiglia per ‘Storia’), ma ero eccellente in Inglese e Scienze. Julia si mise a leggere un fumetto, ma dopo mezz’ora, avendo notato che la mia voglia di fare i compiti per casa si trovava alla temperatura invernale di Vladivostok, cioè molto sotto lo ‘zero’, mi propose di fare una partita a scacchi, povero me! Giocai con i pezzi bianchi, per vincere li avrei dovuti avere trasparenti o invisibili per poter dare il ‘matto’ a sorpresa. Julia decise di giocare stando sopra il letto, e lo ‘scacco matto’ me lo diede dopo un minuto quando, seduti uno di fronte all’altra, con la scacchiera tra noi due, allungò le gambe ponendole a ridosso dei miei fianchi. Sentivo la punta di uno stivale che mi toccava, ma non lo faceva con particolari intenzioni o malizia, certo che, così, i miei pensieri non potevano andare certamente solo sulle mosse da fare con i miei pezzi che venivano divorati ad uno ad uno da un’insaziabile ed inarrestabile regina nera. Cercavo di controllare l’erezione che protestava all’interno dei miei pantaloni. Stavo soltanto col re e pochi altri pezzi, qualche pedone, una torre ed un cavallo se non ricordo male, lei aveva ancora l’arsenale quasi completo. Eravamo comunque così concentrati su quella partita che saltammo d’un balzo appena sentimmo girare la chiave nella serratura, mia madre e mia zia erano già di ritorno. Andammo subito alla scrivania. Mettemmo due sedie in posizione giusta, ed io, in gran fretta, cominciai a raccogliere i pezzi che stavano sul letto, quasi tutti dei miei, per riporne una parte sulla scacchiera, quindi ci sedemmo normalmente, sulle sedie, l’uno di fronte all’altra, in atteggiamento assorto e concentrato. Mia madre e mia zia entrarono subito dopo in camera e sorrisero vedendoci giocare a scacchi, quindi ci fecero cenno di lasciare stare il gioco per fare merenda con loro, un tè delle 5 in ritardo di quasi un’ora. Passò il tempo, mia zia e Julia andarono via senza che potessimo concludere la partita, quindi mia madre mi guardò un po’ severa: “Hans, quando avrai tempo mi spiegherai come facevi a giocare con i due alfieri su caselle dello stesso colore?!”. Arrossii, non sapevo cosa dire. Quella notte non riuscivo a togliermi il pensiero di mia cugina Julia e del trucco che portava, e tra me decisi che alla prima occasione valida non solo mi sarei messo gli stivali di mia madre, ma mi sarei vestito da donna, con le sue autoreggenti, perizoma, reggiseno, body, baby-doll, e, anche, mi sarei truccato.
La settimana seguente capitò l’occasione propizia quando mia madre uscì per le spese del giovedì pomeriggio, avevo due ore buone per me. Non persi tempo, presi fuori l’intimo che mi occorreva, il suo giubbotto leopardato con la minigonna nera in pelle, ovviamente gli stivali neri che cominciavano però ad andarmi un po’ stretti, ero cresciuto in quei 3 anni! Quindi mi diedi il trucco, mi vedevo ‘bella’. Passeggiai per la casa, misi su qualche 45 giri, e ballavo con me stesso, anzi, me stessa dovrei dire. Quando vidi che era l’ora di smettere e sistemare il tutto, provvidi a ciò, mi struccai alla perfezione facendo sparire tutti i ‘residui’, fazzolettino compreso, e quindi, come niente avessi fatto, mi sedetti alla scrivania per fare i compiti. Dopo 20 minuti arrivò mia madre, le andai incontro in cucina e l’aiutai a sistemare le cose che aveva comprato, mi guardò e mi sorrise, mi diede una tenera carezza sul viso.
Le settimane successive ebbi sempre la possibilità di dare sfogo alle mie voglie e ai miei desideri, chiesi ad un mio compagno di classe di duplicarmi alcune canzoni su delle musicassette, avevo un mangianastri da battaglia, ottimo però per le mie fantasie.
L’ultimo giovedì di Maggio mia madre uscì più o meno alla solita ora per i suoi giri di spese, ero così eccitato che volevo ripetere quello che avevo fatto il giovedì prima. Mi vedevo ancora più bella, con quelle autoreggenti e baby-doll, il perizoma, reggiseno con le coppette imbottite, il vestito lungo da sera, il viso truccato alla perfezione, mi mancava soltanto una parrucca. Nonostante gli stivali fossero un po’ stretti, ma appena di poco, riuscivo a camminarci benissimo, mi sembrava di volteggiare, non era poi così difficile. Misi su una cassetta, ed ascoltai canzoni che mi davano un senso di eccitazione, ‘S.O.S.’ degli ABBA e ‘Love to love you baby’ di Donna Summer (due successoni dell’estate 1975), ‘Could it be magic’ del 1976 anch’esso di Donna Summer, e così via. L’eccitazione mi prese a tal punto che mi distesi sul letto, supino, e iniziai a toccarmelo per masturbarmi, socchiusi gli occhi, lo sentivo duro e rigido. Ad un tratto spalancai gli occhi avendo sentito il rumore della porta di casa che si chiudeva, mia madre era appena rientrata, più presto del previsto, molto più presto. Il panico mi assalì, non sapevo cosa fare mentre lei mi chiamava dalla cucina. La musica non era ad alto volume, quindi potei sentire il rumore dei suoi passi mentre veniva avanti, non sapevo cosa fare; il ‘toc-toc’ dei tacchi dei suoi stivali in camoscio era sempre più nitido, tremavo di paura, mi sentii paralizzato ed il respiro era sempre più affannato. Quando mia madre aprì la porta della camera e mi vide in quella situazione, incrociai il mio sguardo con il suo e giuro che avrei voluto sprofondare di sotto, non potevo certo dirle “guarda mamma, non è come pensi...”, cominciai a battere i denti. Mia madre, senza scomporsi, andò alla scrivania e vi pose sopra una borsa da spesa. Quindi si voltò verso di me, che stavo ancora lì, supino, col mio gingillo duro tutto fuori. Teneva le braccia conserte e mi guardò severa, le gambe mi tremavano. Poi, d’improvviso, notai un accenno di sorriso sul suo bel viso, mosse due passi verso il letto e si sedette a fianco di me. Mi accarezzò dolcemente il viso, quindi si tolse il giubbotto di pelle e sbottonò la camicetta nella parte più alta.
“Perché lo fai?”, mi chiese con dolcezza.
Iniziai a balbettare, non sapevo cosa rispondere: “Una curiosità, per vedere come si sta vestito così... come si fa a camminare con questi tacchi...”.
“Ma se è solo per questo, basta che guardi e immagini, e non serve il trucco”, mi disse lei.
“Guardando solamente non si possono provare le sensazioni...”, le dissi.
Lei sorrise in maniera benevola: “Diciamo che ti piace, e basta? Pensi che io non mi fossi mai accorta del fondotinta che calava, idem per l’ombretto, il rossetto e i fazzolettini struccanti?”.
“Ma allora... tu sapevi, immaginavi... perché non mi hai parlato prima?”, le chiesi.
“E per quale motivo avrei dovuto inibire i tuoi desideri?”, rispose dolce, “Che bella ragazzina che sei...”, disse ad un tratto con voce sensuale accarezzandomi il petto. Chinò la faccia verso la mia, pose le sue labbra sulle mie e le allontanò, sorridendo, e così un paio di volte, finché con la sua lingua toccò la mia, e sentii il membro ingrossarsi ancora di più. Mi sollevò la testa di quanto bastava per mettere un braccio di sotto, quindi si distese sopra di me facendomi prigioniero, e mi strinse forte. Balbettavo, avevo le palpitazioni a 1000. Riprese a baciarmi sulle labbra, non riuscivo più a capire niente, sentivo solo un’eccitazione pazzesca che si faceva sempre più padrona di me. Poi levò il braccio da sotto il mio collo, prese le mie mani e mi allargò le braccia, cominciò a baciarmi il collo con delicatezza, poi si mise a cavalcioni sopra di me, si spinse un po’ indietro a fare pressione sul mio membro, e fui preso da un imbarazzo incredibile misto a un inspiegabile senso di desiderio verso di lei. Mentre mi stringeva i polsi piegai le gambe per quel che potevo, cercai di inarcarmi, ma inutilmente, era una specie di lotta erotica in cui stavo provando di quelle sensazioni così piacevoli che anche ad oggi non saprei come descrivere. Sentivo qualcosa dentro di me che saliva lentamente ma inesorabilmente, mia madre sorrideva e si chinò per baciarmi sulle labbra, quindi con la lingua scardinò la mia debole difesa e giocò con la mia. Distesi le gambe allungandole il più possibile, quindi le agitai, sbattendole alternativamente e sempre più forte, tenendole abbastanza larghe da vedere gli stivali, e quella visione non fece altro che aumentare la mia eccitazione, ero un prigioniero di lusso, per un attimo pensai potesse essere un sogno dal quale presto, purtroppo, mi sarei risvegliato, ma per fortuna, invece, era la realtà, una realtà così bella e piacevole che nemmeno nelle mie fantasie sarei mai riuscito ad immaginare. Poi mia madre si rimise a cavalcioni su di me, proprio sul petto, passò una mano dietro sé stessa e mi sentii accarezzare il mio gingillo che era durissimo come un cetriolo non ancora maturo appena colto. Lei iniziò a roteare la testa facendo ondeggiare i suoi bellissimi e lunghi capelli biondi con cui mi frustava il viso, carezze che mi facevano provare i brividi lungo la schiena. Dopo qualche minuto si girò dandomi la schiena: “Prendimi i fianchi e massaggiami”, disse con autorevolezza, “poi sali fino al seno... su, dai...”, ed eseguii subito quanto appena lei mi aveva chiesto, mentre sentivo una sua mano che prendeva il mio gingillino e lo accarezzava, fino ad avvolgerlo, e cominciò a masturbarmi. Allungai le gambe dritte come una canna di fucile, e ricominciai ad agitarle dibattendomi sotto di lei, cercando di trattenermi il più possibile per far durare molto più a lungo quella sensazione che aveva preso il mio corpo e la mia anima, mi sembrava di volare, mi sentivo leggero leggero, come sopra una nuvola, e sentii anche mia madre che ansimava di soddisfazione. La sua mano vellutata andava su e giù tenendo il mio grosso gingillino sempre più eccitato mentre lei fece una mossa che speravo ma che mai mi sarei aspettato, si spostò di poco verso il mio viso stringendo i piedi, con la mano libera mi fece cenno di alzare la testa, così lei, stando in ginocchio e a cavalcioni sopra di me, pose i polpacci di sotto, e credo che quegli stivali di camoscio siano stati il più bel cuscino su cui abbia mai posato la mia testa, il loro gradevole odore penetrava nelle mie narici aumentando ancora di più la mia eccitazione. Lei allora iniziò a muovere il suo bacino come se stesse montando un cavallo, andava ritmicamente avanti e indietro. Ed ecco un fremito all’improvviso. Dimenai ancora di più le mie gambe lottando strenuamente per far durare ancora di più quella situazione, cominciai a trattenere, ma ormai era incontenibile come un torrente in piena, sentii un ingrossamento pauroso e poi un senso di goduria e liberazione mentre come una fontana spruzzavo il mio seme nella sua mano. Quegli attimi furono indescrivibili, mia madre non si fermò finché non fu tutto uscito, fino all’ultima goccia di sperma, poi la implorai di fermarsi, lei continuò ancora per qualche secondo, quindi si fermò. Si girò verso di me: “Sta buona qui... sì, buona, hai capito bene, adesso arrivo!”, disse alzandosi dal letto per andare al bagno. Poco dopo tornò e mi pulì per bene, andò alla scrivania e prese quella borsa di plastica per darmela: “Tieni, è un regalo per te”, disse sorridendo maliziosa. La aprii, dentro c’era la confezione di una parrucca mora, capelli neri lunghi a boccoli, l’emozione mi prese di nuovo, e la prima cosa che pensai fu cosa avrebbe detto il babbo se l’avesse notata tra le mie cose. “Sciocchina!”, rispose lei, “La tengo nel mio armadio, sul piedistallo adatto per tenerla in forma... ufficialmente serve per fare qualche gioco particolare con il babbo, così mi vedrà diversa ogni tanto, e comunque potrai usarla anche tu quando vorrai materializzare questi tuoi piccoli desideri”. Le chiesi perché si rivolgesse verso di me al femminile, e semplicemente mi rispose che il motivo era perché stavo vestito da donna. Mi pose la parrucca sui capelli, quindi mi fece alzare e andammo allo specchio dell’armadio in camera sua, quasi non mi riconoscevo più. Le chiesi se la mia era una situazione di quelle per cui ci si deve preoccupare, lei sorridendo mi disse di no, di portare pazienza. “Bene, adesso posso anche riattaccare il telefono, l’avevo staccato mentre stavo venendo in camera tua, appena rientrata a casa, mi sarebbe dispiaciuto che qualcuno ci disturbasse! Ah, guarda se ti piacciono questi...”, continuò mia madre prendendo una grande scatola che era in un borsone di plastica. La aprì, c’era un paio di stivali neri in pelle, bellissimi, con un buon plateau, tacco 10 cm e alti poco sopra il ginocchio. “Li ho presi di una taglia più grande, per stare più comoda, magari per mettermi un paio di calzettoni corti di lana sopra le autoreggenti o le collant, così sto con i piedi al calduccio se fa più freddo, giusto, non trovi?!”, disse alla fine strizzandomi l’occhio, la taglia in più era ovviamente perché potessi usarli anch’io, ma senza forzature.
Passarono i giorni e le settimane, il ricordo di quel pomeriggio così particolare e intenso fece sì che per un pezzo non pensai più a vestirmi ancora da donna, mancava quel senso di trasgressione, del fare le cose col timore di essere scoperto, insomma, mancava l’adrenalina!
Ritornò l’autunno, e ripresi ogni tanto a truccarmi, talvolta mi aiutava mia madre, e così giocava assieme a me, quello era il nostro piccolo segreto.
All’età di 18 anni mi invaghii di una ragazza che frequentava la mia stessa scuola, aveva 16 anni, già da un anno avevo cominciato a notarla, ma mai ebbi il coraggio di avvicinarla e propormi a lei. Ne parlai con mia madre, mi sembrava di tradirla, ma lei ne fu entusiasta e felice, mi incoraggiava ogni giorno, suggerendomi cosa fare e cosa non conveniva fare quelle volte che riuscivamo ad uscire insieme, anche per un gelato, una pizza o per il cinema, mai però la sfiorai nel senso intimo. Quando la ragazza, Sandra, compì 18 anni, li festeggiò nella villa di famiglia, e mi presentò ai suoi genitori che, molto benestanti (avevano alcune attività commerciali nel settore della ristorazione), la prima cosa che fecero fu quella di squadrarmi da capo a piedi e viceversa, con annesso interrogatorio di terzo grado stile Gestapo e Stasi messe assieme, tanto che mi sentii così intimidito da non voler più frequentare Sandra. Lei comunque mi disse di non farci caso a quello che pensavano i suoi genitori, e che lei era padrona delle sue decisioni, e che il mio lavoro di rappresentante di prodotti cosmetici femminili non era per niente declassante. Ma qualcosa non andava per il verso giusto, mancava l’emozione, la scintilla. Ne parlai con mia madre, lei l’aveva conosciuta e l’aveva vista com’era, troppo rigida in quell’etichetta di famiglia, mi chiese cos’è che avrei voluto per lei e cosa fare con lei, e si arrabbiò quando le dissi che non mi ero aperto con lei fino a quel punto: “Ma cosa aspetti, parlagliene di queste tue fantasie”, ma io le risposi che non ne avevo il coraggio, temevo che non potesse apprezzare e mi lasciasse, che non ci saremmo mai fidanzati. Mia madre concluse quella conversazione dicendomi che non si poteva aspettare il suo 19° compleanno visto che ci sarebbero voluti ancora ben 10 mesi.
Esattamente due settimane dopo, giovedì pomeriggio, mia madre uscì per le consuete spese al supermercato, mi salutò con un sorriso malizioso. Non persi tempo, mi truccai e mi vestii da donna, indossai gli stivali che aveva comprato quell’ormai lontano giorno che mi aveva scoperto ‘enfemme’ (erano appena appena strettini) e anche la parrucca mora. Mi guardavo allo specchio e mi ammiravo, mi sorridevo, passeggiavo per casa non facendo caso al rumore che facevo con i tacchi, tanto di sotto non c’era nessuno, la signora non sarebbe rientrata dal lavoro prima delle 18.30 ed anche suo marito, mentre il figlio era già andato ad abitare via da un paio d’anni. Erano quasi le 18 quando sentii il rumore dell’ascensore che si era fermato al pianerottolo, un attimo dopo suonò il campanello, certamente mia madre aveva bisogno che la aiutassi a mettere dentro le borse della spesa. Ero entusiasta e sorridente al pensiero che lei mi vedesse così ben truccato. Senza esitare un istante aprii la porta, e rimasi paralizzato nel vedere Sandra davanti a me, e non solo perché si trattava di Sandra. Lei mi sorrise genuinamente, io ero lì incantato a guardarla, non mi sembrava vero che potesse essere lei. Aveva i capelli sciolti, bellissimi, neri e a boccoli come la mia parrucca, un trucco delizioso, un giubbotto nero in pelle sotto il quale spiccava una camicetta bianca, quindi una bella cinturona rossa ed una minigonna di blue-jeans, mentre gli altissimi stivali neri con plateau lasciavano comunque intravedere le autoreggenti leggere. Mi accarezzò il viso, le unghie smaltate di rosso vivo erano intonate alla perfezione con la cinturona e la borsetta a tracolla. “Allora, Hans, che fai lì incantato? Posso entrare?”, ed entrò senza aspettare la risposta. Chiuse la porta e mi abbracciò stringendomi forte: “Come facevi a sapere che desideravo tanto vestirmi così? Quando ho aperto il pacco che mi hai fatto mandare a casa non credevo ai miei occhi... devo ammettere però che il biglietto scritto con i ritagli del giornale è stato davvero originale, ma guardando le maiuscole si leggeva Hans. L’altro ieri mattina sono passata per lo studio dove lavora tua madre e mi ha detto che se volevo farti una sorpresa avrei dovuto venire oggi, visto che il giovedì pomeriggio lo tieni libero, e così la sorpresa l’ho avuta anch’io... sei una forza! Sei bellissimo così... mi ecciti!”. Capii all’istante che mia madre non sarebbe rientrata presto. Sandra mi diede un bacio così profondo che mi inturgidii all’istante, e abbracciati ci trovammo poco dopo sul letto matrimoniale dei miei genitori. Strusciammo i nostri corpi e lentamente iniziammo a spogliarci dello stretto superfluo, finché io feci Sandra mia e lei fece me suo, in una stretta indissolubile, tra carezze, baci, giochi di lingua, massaggi, coccole ai seni suoi e ai capezzoli miei. Sandra mi dominava, mi faceva dei giochi erotici bellissimi, mi girava a suo piacimento, mi stuzzicava in una maniera tale che non avrei mai creduto possibile si potesse verificare per me. La dimensione tempo non contava più, vivemmo con intensità ogni istante di quel nostro primo incontro amoroso, un brivido percorse le nostre schiene quando entrambi giungemmo felici all’orgasmo con una mia esplosione che pareva un geyser islandese. Restammo abbracciati e rilassati, Sandra vide sul mio volto una certa preoccupazione ma mi rassicurò dicendomi che era nei giorni perfetti per fare all’amore liberamente senza preoccupazioni. La complicità tra me e Sandra crebbe ogni giorno sempre di più, di più, di più...
Uno scossone più forte su uno scambio dei binari mi fa capire che il treno sta per entrare nella stazione di Norimberga, puntualissimo, così mi desto da quel mio bellissimo sogno ad occhi aperti dei ricordi di gioventù, metto la mia valigetta 24 ore sulle ginocchia e aspetto che il treno si fermi col suo classico stridio di ruote. Scendo, e poco fuori della stazione prendo un taxi, ma non mi faccio portare all’esatta destinazione, ho voglia di fare una passeggiata, così scendo alcune centinaia di metri prima della mia meta, due passi non possono farmi che bene, mentre lentamente si stemperano quei ricordi che mi hanno tenuto compagnia durante il viaggio. Già, è tempo ora di pensare al futuro, ma neanche tanto in avanti... mi basta pensare a domenica, tra quattro giorni, quando alle 5 del pomeriggio sarò una graziosa ‘slave’ a casa di Martina per qualche ora di divertimento, giochi erotici e tutto quello che la fantasia ci porterà, con Barbara, Kristen e, naturalmente, assieme alla nostra impareggiabile ‘mistress’... chi? Sandra, naturalmente, la mia amatissima moglie e complice da 30 anni, che solo qualche ora fa ho lasciato a casa che dormiva ancora, chissà cosa stava sognando... forse i suoi nipotini! Eh sì, perché, nel frattempo, io e Sandra abbiamo avuto due figli che adesso non abitano più con noi, uno ha 28 anni e l’altro 25, e sono anche già due bravi papà da un paio d’anni... altro che me! Ah, quei piccoli, ma guarda un po’ che nonni si trovano ad avere, eh?! Ma come faranno se avranno bisogno di qualcosa? Certo è da dire che hanno un bravo bisnonno (mio padre) che al giovedì pomeriggio da un concreto aiuto con le spese, e una eccezionale bisnonna (avete già capito chi è?), sempre energica, disponibile e sorridente, una persona per cui sembra che il tempo non passi mai, mia madre Margareta... la mia ‘prima amante’...
* * * F I N E * * *
Nota: basato su uno spunto datomi da una persona mia amica, a cui dedico questo racconto, per l’episodio centrale realmente accadutogli e a cui ho fatto un omaggio con frase criptata nel testo. Tutto il resto, ambientato comunque in un contesto con città reali ed anche fatti realmente accaduti, è un contorno di pura fantasia. Si fa presente che i nomi dei personaggi e loro settori lavorativi sono di pura fantasia per quanto concerne lo sviluppo del racconto. Ogni riferimento a fatti non storici realmente accaduti o persone reali od omonime è puramente casuale..
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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