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Il brevetto “TX-770” - 3° parte


di LittleMargot
05.06.2016    |    837    |    0 9.2
"“Comunque”, spiegò Aleja, “il dottor Gothelm aveva già fatto avviare le pratiche in U..."
Il foyer, nonostante la sua ampiezza, appariva di modeste dimensioni, tanto era gremito di persone. C’era un bel via vai e un continuo chiacchiericcio, le voci di tutti i presenti si sommavano in un qualcosa di non comprensibile, pareva quasi di essere al mercato, ma un mercato molto particolare, vista la gente che c’era. Vinto il primo senso d’imbarazzo, Aleja, stretta a braccetto con Barbara, si avventurò sicura in quel bellissimo ambiente. Non era certo la prima volta che andava a teatro, ma nella sua versione alter-ego sì, era la prima volta.
“Dottoressa Garmizzese...”, la richiamò un uomo sulla sessantina, aitante, in compagnia della moglie e di due coppie di amici.
“Commendatore... che piacere”, rispose Barbara porgendogli la mano che lui baciò con tocco di raffinata eleganza. Quindi Barbara salutò anche le altre persone che erano con lui.
“Che bella ragazza!”, disse un amico del commendatore guardando Aleja e il suo particolare abbigliamento, compreso il cappello da “sceriffo”. La moglie di lui sorrise scuotendo la testa, sapeva che era un complimento genuino. Barbara fece le dovute presentazioni.
“Tanto placer”, rispose Aleja con tono di voce femminilizzato. A nessuna di quelle persone passò per la mente, nemmeno per un istante, che Aleja in realtà non era una ragazza nel vero senso fisico della parola.
“Spagnola?”, chiese a Barbara la moglie del commendatore.
“Ciertamente!”, rispose Aleja dicendo così una piccola bugia, poiché aveva capito cosa fosse stato chiesto a Barbara. Quindi passò la sua macchina fotografica al commendatore che scattò un paio di foto a quella bella coppia di donne... o a due coppie? Un paio di minuti dopo si congedarono dal gruppetto e salirono al palchetto dove stavano i posti che Marc aveva riservato loro, si trattava del palco numero 14, situato al secondo ordine di palchi, e le poltroncine erano poste in modo da dare una perfetta visuale diretta e centrale sul palcoscenico.
Mancavano pochi minuti alle 21, il teatro era già pieno, e si può dire con certezza che quasi tutti avevano già preso posto a sedere. Avendo sentito un rumore di qualcosa che vibrava, come di stoviglie, Barbara ed un’altra persona che stava sullo stesso palco si voltarono a guardare. Entrò un cameriere in perfetta livrea di lusso, spingeva un carrello con dei contenitori di ghiaccio, dei calici in cristallo di Boemia e tre bottiglie messe al fresco. Si avvicinò ai presenti, ed a ciascuno porse un calice che con maestria ed eleganza riempì di quel biondo liquido spumeggiante. “Abbiamo avuto una generosa offerta anonima per tutti gli spettatori dei palchi, con la richiesta di acquistare dello Champagne di questa ottima marca. Siamo in dodici a fare il giro a servire prima che inizi l’Opera... e con l’offerta avuta ce ne sarà anche per parecchi altri, magari in galleria”, spiegò il cameriere. Barbara fece da traduttrice per Aleja la quale si accorse che si trattava di bottiglie da 1,5 litri di ‘Champagne Armand de Brignac Blanc de Blancs’, e non le ci volle molto per realizzare chi potesse essere l’anonimo sponsor. In poco più di un minuto l’abile cameriere aveva servito tutti gli spettatori di quel palchetto. Quasi dieci minuti dopo si fece buio in sala, il sipario cominciò lentamente ad aprirsi. Lo scenario era davvero suggestivo, con l’ambientazione nella Parigi di metà ‘800 e la festa nell’elegante casa della bella quanto sfortunata ‘Violetta Valéry’. Quando l’Opera ebbe inizio, con l’orchestra che intonava l’ouverture del ‘Libiam nei lieti calici’, tutti gli spettatori dei palchetti e parecchi in galleria si alzarono ed iniziarono a brindare tra loro accompagnando così la scena recitata dagli attori. In un palchetto più a destra altre due belle donne brindavano a modo loro, senza calici e senza champagne, guardando lo scenario sul palco pensando a Parigi, a quanto aveva significato per loro anche quella grande città, e ad un certo ponte sulla Senna.
Barbara, emozionatissima, brindò con Aleja guardandola fissa negli occhi, la musica che saliva dall’orchestra le stava dando un effetto inebriante. D’istinto appoggiò una mano sulla spalla di Aleja, e lei le cinse il fianco destro con dolce forza. Barbara si chinò leggermente ed Aleja si alzò sulle punte per quel che poteva... le loro labbra si sfiorarono e si baciarono. “A noi due e a questa bellissima serata...”, disse Barbara con voce sussurrata.
“Certo... a noi due, e anche al nostro sponsor che ben conosciamo”, rispose Aleja roteando leggermente il calice.
“Non dirmi che...”, disse piano Barbara alludendo allo champagne. Aleja rispose con un sorriso brillante ed eloquente, quindi tornarono a sedersi, come gli altri, per gustarsi l’Opera.
La trama era ben nota a Barbara, qualcosa ne sapeva anche Aleja grazie a Marc, visto che i suoi genitori erano appassionati di opera e lirica, e avevano trasmesso ciò anche a Marc e al fratello che stava a Houston. Erano entrambe calamitate da ciò che si svolgeva sul palco, non staccavano gli occhi dal luogo dell’azione. Piacque ad Aleja la presentazione di Alfredo da parte del visconte Gastone, la dichiarazione di Alfredo e il particolare dono di Violetta Valéry. Solo nei brevi intermezzi tra gli atti si poteva scambiare qualche parola, e così Barbara disse ad Aleja che ‘La Traviata’ era stata rappresentata per la prima volta al ‘Teatro La Fenice’, di Venezia, il 6 Marzo 1853. Durante la rappresentazione stavano col braccio di una attorno al corpo dell’altra, accarezzandosi a vicenda. Verso la fine del terzo atto Aleja avvertì una certa tensione in Barbara, e ne comprese il motivo: sembrava che Violetta potesse guarire, ma invece morì all’improvviso appena alzatasi dal letto. Aleja le guardò il viso rigato da due lacrime per parte, e poggiò la testa sotto la sua spalla e la strinse di più a sé. Al termine ci fu un grandissimo scroscio di applausi per tutti gli attori, l’orchestra e i collaboratori, molti fiori vennero lanciati sul palco verso l’attrice e soprano che interpretava il ruolo di Violetta. Dieci minuti dopo la gente cominciava ad uscire. Non era proprio molto tardi quando Aleja e Barbara si ritrovarono fuori del teatro, però la giornata era stata molto intensa.
“Posso accompagnarti a casa in macchina?”, chiese Aleja.
“Non vorrei essere di disturbo”, rispose Barbara, “prendo un taxi”.
“Nemmeno per sogno”, fu la risposta della piccola morettina che, con piglio deciso, la strinse a braccetto portandola con sé. Giunsero al parcheggio dell’hotel, ed al momento opportuno Aleja premette il tasto della chiave della macchina.
“Cavolo!!”, disse letteralmente Barbara quando notò la macchina della quale si erano accese le frecce lampeggianti.
“Che cosa?”, chiese Aleja, visto che avevano sempre parlato in inglese, ma la parola ‘cavolo’ non le diceva proprio un... ‘cavolo’.
“Ah!”, sorrise Barbara, “E’ una tipica espressione di meraviglia e stupore, visto il modello di auto che hai preso a noleggio”.
“Dai, andiamo”, disse Aleja.
“Ma come fai a guidare con quegli stivali e le zeppe che hanno?”.
“Questione di abitudine. A Chicago lo faccio con una Porsche”. Barbara scosse la testa e le disse l’indirizzo da inserire sul navigatore. In una ventina di minuti scarsi giunsero a destinazione, e Barbara le fece cenno di dove parcheggiare senza problemi, in una piccola area interna del cortile dietro quelle case a schiera dove abitava. Aleja spense il motore, si sentiva emozionata, e ancora di più quando Barbara le chiese di accompagnarla fino in casa.
Ivi giunte, Aleja notò che la casa era finemente arredata, e le stanze ed i vari locali non erano dipinti con lo stesso colore, e le fece i complimenti. Quindi si alzò sulle punte delle zeppe per darle un bacio sulle labbra. “Cosa significa?”, chiese Barbara.
“E’ per augurarti la buonanotte”, disse Aleja.
“Stanotte dormi qui, con me!”, replicò subito Barbara.
“Non vorrei darti disturbo”.
“Mi disturberebbe e mi farebbe male se tu te ne andassi via adesso. Domani mattina desidero prepararti la colazione e gustarla con te”, disse poi accarezzandola prima di andare assieme al bagno di sopra. “Su, andiamo in camera”, disse Barbara dopo pochi minuti. Si sedettero sul letto e si guardarono, ognuna tolse la giacca o soprabito dell’altra, e poi ci fu un altro sfioramento di labbra. Ad un certo punto gli occhi di Barbara si illuminarono fissando Aleja negli occhi di lei. “Venerdì mattina, dopodomani, dobbiamo ritrovarci in riunione, anche se rispetto l’altra volta mancherà qualcuno”, ed il suo sorriso si fece più acceso. “Senti, che ne diresti se...”, e le prese la testa fra le braccia avvicinando la bocca all’orecchio sinistro bisbigliandole dentro tutto quello che aveva in mente. La posizione e la sensazione di goduria e piacimento che le davano sia la presa di Barbara che l’idea che lei le stava esponendo, fecero sì che Aleja, dall’eccitazione, cominciasse a muovere le gambe ed a strisciare le suole sul pavimento, quindi assieme risero abbracciate. Erano stanchissime ma felici. Poco dopo ognuna tolse gli stivali all’altra. Aleja sciolse con eleganza il nodo della cravatta in pelle che faceva bella mostra sul petto di Barbara. Si distesero sul letto così com’erano, guanti compresi, infilandosi tra le lenzuola. Barbara l’abbracciò con forza, si adagiarono ciascuna su un fianco, viso a viso, quindi si girò supina tenendo abbracciata Aleja che aveva poggiato la testa sul suo seno, e così si addormentarono.
Alle 6.45 il ‘bip’ continuo della moderna sveglia che stava sul comodino pose fine al loro sonno. Barbara si alzò ed accarezzò Aleja dicendole di rimanere dov’era, ad aspettare. Scese dal letto, infilò le sue morbide pantofole rosa ed una vestaglia di seta bianca, il tutto faceva uno strano effetto sopra quei pantaloni blu e la camicia bianca. Qualche minuto dopo le 7 rientrò in camera da letto portando un bel vassoio ovale in acciaio inox, di gran pregio, sul quale facevano bella presenza due tazze di ‘caffè nero bollente’ accompagnate da un piatto con due banane tagliate a fettine rotonde ‘miscugliate in salsa verde’ di kiwi dolci e un piattino con dei pasticcini. Stavano sedute una di fronte all’altra su quel grande letto che ad Aleja era apparso di una taglia americana, una ‘queen size’, ed in mezzo stava quel luccicante vassoio. Avevano le gambe ben divaricate con i piedi dell’una a contatto con quelli dell’altra, e si stuzzicavano a vicenda. Barbara sorrise nel vedere come quelli di Aleja stavano dentro il profilo dei suoi.
“Vuoi che dia io una lavata alle stoviglie?”, si offrì Aleja appena terminarono di fare colazione.
“No!”, rispose Barbara toccandole la punta del naso con la sua in maniera maliziosa, “E qui comando io, e questa è casa miaaaa....”, canticchiò in italiano andando ad appoggiare il vassoio sul comò. Aleja non aveva capito, ma immaginò che doveva trattarsi di un motivetto divertente. Andarono in bagno a darsi una rinfrescata, Aleja si rifece il trucco per apparire meglio come una ragazza una volta uscita dalla casa. Barbara si cambiò i vestiti e si mise addosso quelli di solito utilizzo nelle normali giornate lavorative: “Stasera darò una stirata al completo che mi hai regalato, ricordati di mettere in una borsa i vestiti che ho lasciato nella suite”, disse Barbara.
“Certo”, rispose con semplicità Aleja.
“Ricordati di mandarmi quel link per posta elettronica”, disse facendo l’occhiolino con un sorrisetto e sguardo malizioso, “...sto facendo certi gesti come fai tu, ma preferisco l’originale”. Detto ciò uscirono di casa e Barbara inserì l’allarme, quindi scesero al garage. “A domani mattina, puntuale alle 9... così chiudiamo la maratona di questo contratto, e poi...”, riprese Barbara, “e poi...”. Aleja sorrise e le strizzò l’occhio, quindi Barbara aprì il cancello col telecomando ed uscì in strada. Sporse fuori il braccio sinistro per salutare Aleja che contraccambiò, quindi si avviò per andare in ufficio, erano quasi le 8, e calcolò che sarebbe giunta in studio verso le 8.30, non c’era il problema del parcheggio visto che aveva un posto riservato nel cortile interno dietro lo stabile dove si trovava l’ufficio. Di solito arrivava qualche minuto dopo le 8, ma quel ritardo non la preoccupava minimamente, ‘ogni tanto ci vuole anche lo svago!’, pensò tra sé.
Aleja salì sulla Lambo e guidò con sicurezza e tranquillità per le vie di Milano. Giunta al parcheggio dell’hotel, nel posto assegnato, con molta disinvoltura scese dall’auto e salì alla suite, elargendo saluti e sorrisi a chi incontrava in quel breve tratto, compreso il solerte direttore al quale fece cenno che l’avrebbe chiamato con la linea interna. Verso le 10 era di nuovo Alejandro, e quindi chiamò il direttore che un paio di minuti dopo si presentò alla suite. “Dica, dottor Gutierrez”, iniziò il direttore parlando in perfetto inglese, “in cosa posso esservi utile?”. In breve Alejandro gli spiegò tutto nei minimi particolari. “Consideri tutto già fatto”, lo rassicurò il direttore, “dopo il pranzo vi farò avere tutte le carte necessarie affinché possiate avere il meglio che si possa”. Alejandro gli diede una bella stretta di mano e una pacchetta sulla spalla. “Siete eccezionale”, continuò il direttore, “qui voi sarete sempre il benvenuto, assieme alla vostra bellissima amica col cappello da sceriffo che portate dentro di voi”, e quindi uscì per tornare al suo ufficio.
Poco dopo Alejandro salì al piano di sopra, e notò con stupore una scatola bianca, stretta e lunga, con un nastro dorato e un biglietto che diceva ‘by Valery... Marc’, evidentemente aveva chiesto che venisse portato in suite per l’effetto ‘sorpresa’. Lo aprì, dentro c’era una fresca camelia. Al momento non capì, ma poi sentì una specie di nodo in gola e si commosse; prese un bel bicchierone e lo riempì d’acqua, nel primo pomeriggio avrebbe chiesto un vasetto da fiori alla reception. Tornò giù, accese il PC e controllò i messaggi. Gli aveva scritto Marc, semplicemente: ‘piaciuta l’Opera?’, senza accennare minimamente all’importante contratto che si stava apprestando a concludere. Alejandro scrisse la risposta: ‘Bellissima, coinvolgente, non si può descrivere a parole tutto l’insieme. Grazie per la bellissima serata che ci hai regalato, e grazie anche, a nome di molti, per lo champagne. Grazie anche per il fiore che mi hai fatto trovare in camera... mia Valery. Un’altra cosa: hai letto il report che ti ho mandato?’ ed inviò il messaggio. Poi scrisse anche a Barbara inviandole il ‘link’ di cui avevano parlato prima di andare a letto.
Barbara stava da sola nel suo studio quando giunse il messaggio di Alejandro: ‘Perfetto’, disse tra sé eccitata. Poi sentì bussare alla porta. “Avanti”, disse.
La porta si aprì ed entrò Alessia, aveva in mano una scatola lunga e stretta con una piccola busta chiusa e un nastro dorato: “L’hanno appena consegnato adesso, personale per voi”, disse.
“Mettilo pure sulla scrivania”, disse Barbara facendo cenno ad Alessia che poteva andare. Era incuriosita ed aprì la piccola busta, dentro c’era un biglietto con scritto, semplicemente, ‘by Valery’, più che sufficiente a Barbara per farle capire chi fosse il mittente. Aprì la scatola, e quando vide la camelia si sentì stringere il petto come in una morsa. Passò una mano sotto gli occhi, ma l’emozione era troppo forte. Si alzò e andò subito al suo bagno privato, si chiuse dentro a chiave e ne uscì dopo una quindicina di minuti con un vasetto quasi pieno d’acqua, era felicemente triste. Tornò al suo studio, pose quel fiore nel vasetto e si mise comodamente seduta. Guardò la camelia con intenso pensiero: ‘Oh, Marc... se solo tu potessi o volessi conoscere Mara... e se Mara finalmente si decidesse a voler conoscere te per davvero, invece di farmi solo dei cenni dei suoi desideri...’. E con questo pensiero, che a poco a poco si dissolse, Barbara s’immerse nel suo lavoro, controllando la formalità e la regolarità di tutti i documenti di quel contratto tra la ‘Berenghi S.p.A.’ e la ‘Gothelm Co.’ che, a livello economico, era il più importante contratto che il suo studio avesse mai gestito.
Nel primo pomeriggio il telefono interno trillò nella suite dove alloggiava Alejandro. “Sì?”, rispose lui. “Bene... no, no... scendo io”. Un attimo dopo uscì dalla suite e si recò nell’ufficio del direttore il quale gli porse una busta contenente tutti i documenti, biglietti, brochure e indicazioni allo scopo per le richieste fatte al mattino. Quindi la giornata passò tranquillamente. Verso le 18.30 arrivò un messaggio di Marc con allegate scansioni di documenti, solo per quanto riguardava le intestazioni e certe parti firmate. Lesse il messaggio: ‘sono felice che abbiate trascorso una bella serata. Ho letto il tuo report e, come ti ho scritto l’altro giorno, ero già sicuro e fiducioso per ciò che avevamo già visto assieme e per quello che mi avevi accennato. I documenti sono tutti OK, firmati da me, e con le deleghe dei miei fratelli, con firme e legalizzazioni per l’estero. E’ stato spedito tutto ieri mattina, mercoledì, via DHL, e sarà consegnato alla GAR.TOM., come concordato con DHL, Venerdì 25 alle 8.30 locali di Milano. Avevo già fatto le scansioni, ma ho pensato di non inviarti niente ieri per non interferire nella vostra serata per l’Opera. Immagino che avrete combinato molto di più, non vedo l’ora di conoscere i particolari. Baci, Valery’. Alejandro rispose subito: ‘sei grande, e non solo di corporatura. Baci e frustatine, Aleja’. Dopo due minuti arrivò la risposta di Marc: ‘Ahi, che piacevole dolorino e sensazione di calore. Passo e chiudo’. Alejandro, giustamente, non replicò a quel messaggio, si scollegò da internet e spense il PC. Alle 20 circa scese a cenare e poi ritornò in suite, andò a letto poco prima delle 22, lo aspettava una giornata, e non solo una, molto intensa.

Il mattino seguente, alle 8.35, tutti gli interessati erano già presenti nella sala riunioni presso gli uffici della ‘GAR.TOM. S.r.l.’: oltre a Barbara c’erano tutte le stesse persone della riunione precedente tranne il dottor Guglielmi. Maria Grazia rimase colpita dall’abbigliamento di Barbara, con quel completo di giacca e pantaloni azzurro intenso, cintura particolare, camicia di seta bianca con le iniziali B. e G., cravatta nera in pelle, braccialetto d’oro, unghie smaltate in rosso vivo, trucco bello evidente e quel paio di stivali al ginocchio con decoro dorato nella parte alta: si può dire che dentro di sé stava provando un po’ di invidia. La Tramassini avrebbe voluto portarsela a letto, Karl Schneider e Marcello Gottardi la ammiravano per l’eleganza con cui si muoveva, il dottor Cruccini era del tutto indifferente. Barbara accese la TV al plasma posta in alto su una parete, la usava spesso durante le riunioni e le conferenze come monitor collegato al suo PC. Sopra la TV c’era una piccola videocamera, ben nascosta e in attesa di essere attivata. Aprì un file in cui aveva digitato un ‘link’ particolare e fece la connessione ad internet ricopiando quel ‘link’ sulla barra d’indirizzo.
Alle 8.52 esatte la ‘Lambo’ era stata parcheggiata perfettamente sul posto che Barbara gli aveva fatto assegnare per quella mattina nel piccolo parcheggio del cortile interno della palazzina dove aveva sede la ‘GAR.TOM. S.r.l.’. Prese con sé la valigetta 24 ore nera, in pelle, un regalo (tra i tanti) avuto da Marc nemmeno un anno dopo che aveva iniziato a lavorare per lui. Sistemò alla perfezione gli occhiali da sole e andò al citofono. Suonò, quindi girò un momento la testa scostandosi dalla sagoma del portone.
“Chi è?”, chiese Alessia che non vide nessuno sul visore.
“Mister Gutierrez”, rispose.
“Ah, bene, salga pure direttamente alla sala riunioni”, rispose Alessia in inglese aprendo il portone.
“Grazie”, replicò. Salì le scale di buon passo. La porta del primo piano, a fianco della quale c’era la postazione di Alessia, era praticamente aperta. La ragazza era immersa nel sistemare l’agenda degli appuntamenti di Maria Grazia Tommasselli, la socia di Barbara, e sentì quel forte rumore affrettato di passi sulle scale. Alzò un attimo solo la testa, ebbe come un sussulto e chiamò immediatamente Barbara.
“Dottoressa Garmizzese, volevo dirle...”, iniziò Alessia un po’ impacciata.
“Tutto a posto”, rispose Barbara chiudendo la conversazione. Pochi secondi dopo Barbara, che era andata alla porta d’ingresso, sorrise e prese la valigetta 24 ore, si sentiva emozionata. Entrò nella sala riunioni e l’appoggiò sul tavolo. Sentì un fremito dentro il corpo, prese il mouse e avviò quel ‘link’ e la videocamera. Sullo schermo partì subito, ad alto volume, il video di ‘Toxic’ di ‘Britney Spears’ mentre nello stesso istante, con gagliarda esuberanza, Aleja fece il suo ingresso in quella sala. “Aleja! Olèèè”, la presentò Barbara piena di gioia. Alla sua vista Enrica Tramassini sentì una stretta al petto, mentre la Tommasselli trasalì, specie quando vide Barbara lanciarsi in un balletto a ritmo sensuale a contatto con la ‘figura’ che era appena entrata. Karl Schneider, grazie ad Hans Bodecker, aveva intuito tutto, guardò Marcello Gottardi Brambilla ed assieme si alzarono per applaudire e fare ritmo. Gian Aldo Cruccini guardò la scena, ma non si scompose.
“Incredibile!!”, disse Marcello guardando come Aleja si muoveva maliziosamente attorno a Barbara. Ciò che facevano non aveva certo nulla a che vedere con il video, era una scenetta totalmente diversa, con Barbara nei panni della ‘gangster cattiva’, con una pistola finta in mano che roteava di qua e di la, mentre Aleja, la ‘sceriffa’, le girava attorno con un paio di manette vere. La musica, col video che tutti guardavano assieme alla scenetta proposta da quei due ‘splendori’, sembrava avere un ritmo sempre più incalzante, specie quando entrambe salirono su una sedia e quindi sul tavolo, rumoreggiando con i loro tacchi, per poi scendere ed inseguirsi di nuovo finché, verso la fine, Aleja prese un braccio di Barbara, quello che non teneva la pistola, e con abile mossa la girò ponendosela davanti, ma di schiena tenendole il braccio dietro; col finale della canzone, gli ultimi secondi, le prese l’altra mano togliendole la pistola per gettarla sul tavolo e facendo scattare le manette ai polsi di Barbara, quindi la girò su sé stessa e, alzatasi sulle punte, le diede un bacio a sfioro di labbra.
“Grandioso!!”, disse subito Karl con teutonico accento andando incontro alle due ‘miss’ seguito da Marcello e dalla Tramassini, gli altri rimasero al loro posto, tra chi era confuso e chi era indifferente e aveva soltanto fretta di chiudere con le firme per rientrare a Roma. Tutti e tre abbracciarono Aleja, avendo capito che si trattava di Alejandro Gutierrez. Dal corridoio fece capolino Alessia, e Barbara la chiamò, ritenendo giusto che anche lei conoscesse Aleja, l’alter-ego di Alejandro Gutierrez, quindi spense il collegamento ad internet e la videocamera. Per una quindicina di minuti Aleja era l’attrazione principale del momento, assieme a Barbara, con quel suo look fenomenale!
“Potremmo portare avanti questa trattativa?”, chiese ad un certo punto il dottor Cruccini, “Vorrei essere di ritorno a Roma nel primo pomeriggio per fare un resoconto sullo stato di avanzamento, avremmo piacere di chiudere al massimo entro un paio di mesi con i documenti legalizzati anche da parte degli Stati Uniti... ma mi pare che qui si pensi di più a svagarsi e a divertirsi perdendo tempo prezioso!”. Barbara strizzò l’occhiolino a Karl e ad Enrica, quindi si sedettero tutti ai propri posti. Aleja aprì la sua 24 ore tirando fuori quanto serviva, notò che il pacco della DHL era lì, ancora chiuso, davanti a Barbara. Una volta aperto non ci volle molto a capire che la strada era tutta in discesa.
“Qui ci sono i documenti tutti pronti, firmati dal dottor Gothelm e con la legalizzazione per l’estero, le ‘Apostille’ e i timbri del ‘Great Seal’, la Segreteria di Stato, ovvero, l’equivalente per noi della Prefettura, insomma, l’Ufficio per le legalizzazioni per l’estero, sia sul contratto che su tutti i test, in cui c’è l’approvazione anche da parte della Sanità americana, sempre con le legalizzazioni, a fianco dei timbri del nostro ministero! Sono allegati ai documenti contrattuali firmati da Mara Berenghi con le deleghe al nostro studio notarile, anche queste legalizzate dalla Prefettura e approvate, con traduzione giurata e legalizzata, dall’ufficio legale della ‘Gothelm Co.’ con firme del legale rappresentante, il dottor Marc Gothelm, e del suo notaio legalizzate tramite il ‘Great Seal’! E questi sono gli ulteriori documenti ministeriali italiani, vidimati dall’equivalente ministero statunitense e legalizzati per l’estero, con la firma del ‘Segretario di Stato’, pertanto, direi che è tutto a posto!”, spiegò Barbara sia in italiano che in inglese. “Poi”, continuò Barbara, “il dottor Gutierrez, o Aleja se volete, ha portato anche le stampe delle parti di documenti in cui è chiara la sua piena delega a presenziare e firmare al posto del dottor Gothelm”.
“Come?!”, chiese meravigliato il dottor Cruccini, “I documenti contrattuali sono già tutti in ordine, firmati anche dal dottor Gothelm, oltre che dalla dottoressa Berenghi e, per quelli firmati dal dottor Gothelm, c’è già anche la legalizzazione con le ‘Apostille’ da parte degli uffici della Segreteria di Stato? E sono pronti anche i documenti ministeriali nostri con quelli dei test già con la legalizzazione da parte degli U.S.A.??”, chiese Gian Aldo Cruccini ripetendo a mo’ di pappagallo.
“Certamente”, lo rassicurò Barbara, “la qui presente Aleja dovrà semplicemente controfirmare in rappresentanza della ‘Gothelm Co.’ quanto già firmato dai titolari, cioè i legali rappresentanti delle Società interessate, e sarà in sostanza come una firma per ricevuta, cioè porterà alla sua Compagnia esattamente quanto deciso dai titolari del contratto, così come noi, in rappresentanza della ‘Berenghi Medical S.p.A.’, mi pare semplice, no?”.
“Non credevo che i documenti legalizzati da parte degli U.S.A. fossero già pronti, comprese le approvazioni ed omologazioni dei test di laboratorio presso i loro dipartimenti o il loro Ministero che se ne occupa”, disse Cruccini.
“Guardi che non sta parlando dell’Italia”, gli rispose il dottor Brambilla, e il tono in cui glielo disse era anche molto eloquente.
“Comunque”, spiegò Aleja, “il dottor Gothelm aveva già fatto avviare le pratiche in U.S.A. alcuni mesi fa, quando si era dato inizio alla trattativa. Poi, mano a mano che si facevano test e si producevano documenti, li faceva già preparare per la legalizzazione, in modo da non trovarsi alla fine con tutto da fare. E’ un tipo molto metodico e ben organizzato!”.
Alle 10.40 tutto era concluso nel migliore dei modi, tutto firmato e controfirmato dalle parti interessate. Il dottor Cruccini fu il primo ad andarsene, salutò tutti i presenti, ed anche Aleja, alla quale diede una forte stretta di mano ed un abbraccio e, finalmente, un sorriso genuino apparve sulle sue labbra.
Qualche minuto dopo se ne andarono anche Karl, Enrica e Marcello, frizzanti ed entusiasmati per l’inaspettato fuori programma.
“Devo darti questo”, disse Aleja a Barbara, “l’ho visto in casella di posta prima di fare colazione, l’ha mandato Marc ieri, alle 18.20 ora di Chicago. Mi ha spiegato che aveva deciso così in un paio di messaggi con la dottoressa Berenghi”.
Barbara guardò quel documento, era la contabile di un bonifico: Marc aveva deciso che l’onorario della ‘GAR.TOM. S.r.l.’ sarebbe stato tutto a carico della ‘Gothelm Co’, e la cifra era anche un po’ più alta di quanto preventivato, 250.000 Euro anziché 200.000. “Non so che dire”, disse Barbara positivamente allibita, “martedì farò preparare la fattura”.
“C’è anche questo”, disse Aleja porgendole una busta supersigillata che aveva portato da Chicago nel bagaglio a mano. Barbara l’aprì, e rimase come stordita: dentro c’erano 50.000 Euro in contanti. Li prese e li chiuse nella cassaforte dello studio.
“Aleja!”, disse all’improvviso Barbara, “Andiamo, dai!”. Poi si rivolse a Maria Grazia: “Ci vediamo martedì, ciao a tutti”.
“Divertitevi, passate un buon fine settimana”, rispose Maria Grazia.
Le due ‘miss’ scesero al parcheggio e andarono verso le rispettive auto. Barbara aprì il bagagliaio della sua, una bella Audi A6 grigio metallizzato, per prendere una valigia e un borsone che caricò sulla ‘Lambo’. Quindi tornò alla sua auto e partì, con Aleja dietro. Giunta presso casa aprì il cancello col telecomando e mise la macchina in garage. Dopo due minuti uscì, Aleja la stava aspettando fuori dalla ‘Lambo’ e con le chiavi in mano.
“Che significa?”, chiese Barbara leggermente spaesata.
“Significa che fino a Venezia guidi tu”, rispose Aleja in tono malizioso.
“Wowww!”, replicò Barbara prendendo quelle chiavi. Salirono, e prima di partire Barbara regolò sedile e specchi in base alla sua statura. “Pronti??? Viaaaa...!”, ed accese il motore partendo con una sgommata, pareva che la ‘Lambo’ si fosse in qualche modo eccitata quando Barbara premette sull’acceleratore appena innestata la marcia. Fece un giro per alcune vie principali di Milano prima di entrare in viale Zara e, poi, in autostrada. Erano da poco passate le 11.30 e, nonostante avesse sotto i suoi tacchi un ‘bolide’, Barbara manteneva una velocità discreta e rispettosa dei limiti previsti. Alle 12.50 giunsero al grande autogrill nei pressi di Verona che sembrava un gigantesco ponte sopra l’autostrada, e si fermarono a pranzare. S’accorsero ben presto che stavano calamitando parecchi sguardi, soprattutto maschili, ma si comportavano come se niente fosse. Verso le 14 ripresero il viaggio, e poco dopo un’ora giunsero al casello terminale dell’autostrada, a Venezia Ovest. Passarono il telepass e, fatto un centinaio di metri, videro un giovane agente della stradale, assieme a un collega di mezza età, esporre la paletta facendo segno di accostare. Barbara ebbe un tremore domandandosi quale infrazione avesse commesso.
“Patente e libretto”, chiese cortesemente quel poliziotto sulla cinquantina o poco più, fisico robusto, capelli brizzolati e baffi ben curati. Barbara gli diede quanto richiesto. “E’ una vettura a noleggio... mi favorisce i documenti del contratto di noleggio?”. Aleja intuì la richiesta del poliziotto, li tirò fuori dal vano porta oggetti e li passò a Barbara. L’agente lesse con attenzione: “Alejandro Gutierrez, cittadino statunitense... qui c’è qualcosa che non va”, disse rivolto a Barbara, “io vedo soltanto due bellissime ragazze... vi è stata prestata? Però... bella macchina!”. Aleja aveva capito, e diede all’agente il suo passaporto con la patente ed un altro documento. Un sorriso simpatico apparve sul suo volto, e guardò Aleja scuotendo un po’ la testa, in special modo per il documento, rilasciato dal distretto di polizia di Chicago e vidimato dall’F.B.I., che legalizzava l’alter-ego di Alejandro Gutierrez, riconosciuto come una ‘seconda identità’, con le foto in entrambe le versioni. Era un documento che doveva portare sempre con sé quando usciva in versione ‘Aleja’, pena l’arresto in caso di controllo se ne fosse stato sprovvisto. “Bene, allora”, disse l’agente, “il titolare del contratto di noleggio è qui presente, tutto a posto!”, e riconsegnò i documenti strizzando l’occhio ad Aleja.
“Ma ho commesso qualche infrazione?”, chiese Barbara preoccupata.
“Non ci risulta”, rispose l’agente, “è un normale controllo, solo che l’auto su cui viaggiate è piuttosto particolare, è nuovissima per il mercato, non passa inosservata... e comunque, ripeto, è solo un normale controllo!”. Barbara si tranquillizzò. “Bene, potete andare...”, disse allargando le braccia e in tono quasi dispiaciuto.
“Arrivederci”, lo salutò Barbara.
“Magari...”, rispose l’agente sorridendo. La ‘Lambo’ partì, Barbara guardò nello specchietto retrovisore notando che l’agente con cui aveva parlato si era avvicinato a quello giovane tenendo le braccia verso il basso leggermente allargate, per poi metterle sulle spalle dell’altro, come se cercasse un sostegno, e muoveva la testa quasi sconsolato.
Barbara conosceva quelle strade, più di qualche volta era andata in Friuli, in Austria e in Croazia, però mai a Venezia, almeno in auto. Il navigatore, giustamente, la fece stare sulla destra, ed uscì dalla tangenziale, giungendo ad una rotatoria, dove le indicazioni erano semplici e precise. Ebbe un’incertezza dopo metà rotatoria, le sembrava strano dover risalire sulla tangenziale, credeva di aver sbagliato. Ma, dopo altri 200 metri, c’era la svolta a destra per uscire definitivamente dalla tangenziale ed andare a Venezia. Un attimo dopo Aleja osservava, sulla sua destra, dei grandi palazzi scuri che le sembravano degli alveari, sulla sinistra vide una stazione ferroviaria. “E’ la stazione ferroviaria di Venezia?”, chiese Aleja.
“No, quella è Mestre”, rispose. Poco dopo la strada si univa ad un’altra a destra, e Barbara si infilò sulla destra, iniziando una salita. C’era un po’ di traffico, dovette fare molta attenzione. Aleja guardava incuriosita a destra e sinistra, notò un cantiere navale e una zona portuale, con avanti palazzi moderni adibiti ad uffici. Rimase meravigliata quando giunsero ad imboccare il ‘Ponte della Libertà’, che collega Venezia alla terraferma. Guardava la laguna, era un paesaggio che le piaceva moltissimo, ed anche a Barbara, solo che doveva prestare attenzione alla guida. Terminato il lungo ponte imboccarono la strada per il parcheggio del ‘Tronchetto’. Entrarono e parlarono con un addetto mostrandogli il documento di prenotazione; quell’uomo fece strada, lo seguirono e infine parcheggiarono l’auto sul posto che era stato prenotato da Milano, al piano terra, in una fascia chiusa con recinzione da pavimento a solaio. Spento il motore, entrambe scesero per prendere i bagagli e andarono alla cassa. Aleja stava per pagare, ma Barbara la fermò: “questo almeno spetta a me!”, le disse. Pagò fino a Lunedì 28 per intero, quindi uscirono da quell’edificio per andare presso il molo e chiamarono un motoscafo ‘taxi’. “Piazza San Marco”, disse Barbara appena caricati i bagagli. Stuzzicandosi, stando abbracciate, ammiravano il panorama offerto dalla laguna, guardando anche le grandi navi da crociera ormeggiate. Arrivate a destinazione salutarono con simpatia il ragazzo del taxi. Iniziarono la loro passeggiata, fortuna che le valigie avevano le ruote, come i ‘trolley’. Passarono a fianco della piazza guardando la maestosità della Basilica, del Campanile e di Palazzo Ducale. Andarono in piazza e si fecero delle foto, quindi continuarono nel loro cammino. Si tennero a braccetto sul ponte dal quale si poteva ammirare il ‘Ponte dei Sospiri’, altre foto e via. Giunsero in ‘Riva degli Schiavoni’, all’hotel situato in un palazzo del 14° secolo sul lungomare, poco prima dell’Arsenale e della ‘Biennale’. Entrarono, ed Aleja fu subito colpita dalla bellezza e raffinatezza di quel posto, la scelta fatta dal direttore dell’albergo in Milano si era rivelata più che ottima. Dati i documenti ed il foglio della prenotazione fecero il ‘check-in’ e salirono in camera a riporre i bagagli, quindi andarono nella terrazza panoramica, la vista era stupenda! Decisero di uscire a fare una passeggiata verso i giardini di Sant’Elena, le loro macchine fotografiche ‘scattavano’ a ritmo serrato. Passarono per la ‘Biennale’ e fecero una puntatina all’Arsenale, quindi rientrarono in hotel per la cena. Alle 21.20 salirono in camera, erano entrambe stanche ma eccitatissime, la voglia era incontenibile. Barbara prese Aleja e la strinse tra le braccia, e si adagiarono sul letto. Iniziarono a sfiorarsi con le labbra, e le mani di una toglieva gli indumenti dell’altra, riponendoli con cura su un tavolino. Rimasero soltanto con l’intimo addosso, Aleja in più aveva il corsetto in pelle, le coppette imbottite e gli stivali. Con mossa fulminea Barbara prese Aleja, la stese supina sul letto salendole sopra a cavalcioni facendola quasi sua, le loro mani si stavano impegnando in una specie di gioco di forza, in cui Aleja era quasi sempre sul punto di rovesciare Barbara di lato e poi la faceva tornare in posizione eretta sopra di lei, tra le sue risate divertite. Barbara le allargò le braccia più che poteva, tenendole aderenti al letto, e avvicinò il viso a quello di Aleja, stuzzicandola con i capelli e passando oltre offrendole il collo che la piccola morettina subito assaliva a colpi di lingua e di succhiotti, finché Barbara si distese completamente sopra di lei per andare avanti e indietro strusciando il suo seno su quel corsetto in pelle e sulle coppette imbottite. Si spostò un po’ in avanti in modo che i capezzoli fossero alla portata della bocca di Aleja la quale non si fece attendere neanche un decimo di secondo. “Aaaahhhh!!!”, esclamò Barbara provando un brivido di piacere, “Aaaahhhh, sì, sì, sìììì”, iniziò in tono mieloso sbattendo ritmicamente i piedi sul letto, cosa questa che eccitò molto Aleja che glieli bloccò avvinghiando le gambe attorno a quelle ben più lunghe di Barbara, “mmmhhhhh... mi hai bloccata, eh?!... ma io sono sopra, mmmhhhh”, mugulò sentendo l’umida lingua della sua preda sui capezzoli turgidi. Sentì poi qualcosa che si stava gonfiando sotto il suo bacino, e sorrise di soddisfazione, “mmmhhhh, ma quanta voglia hai....”.
“Da impazzire...”, rispose Aleja.
“Dai... succhiami ancora i capezzoli, ma liberami le gambe...”, e un attimo dopo ricominciò a sbattere forte i piedi sul letto per cercare in qualche modo di controllare la sensazione di goduria che stava provando. Sentì che i suoi umori interni stavano per salire, quindi si rimise a cavalcioni sul bacino di Aleja ed iniziò ad andare su e giù come se fosse seduta sopra un cavallo. Era un qualcosa di irresistibile, scese da quel corpo che la eccitava e le tolse il ‘tanga’ che, in realtà, serviva a ben poco, e lo vedeva come una specie di ingombro. Barbara si tolse il perizoma e si adagiò nuovamente sul corpo di Aleja ponendo la farfallina quasi a contatto di quel gingillino gonfio e duro, pareva un grosso cetriolo bello sodo. A quel punto Barbara si girò, dando le spalle ad Aleja ed indietreggiò verso il suo viso; quindi, come l’altra sera, si mise in posizione tale da poter far giocare la sua bocca col gingillino di Aleja mentre lei poteva frustare a colpi di lingua il suo clitoride. “Aaaahhh...”, esclamò Barbara inarcandosi ed alzando la testa appena Aleja le sfiorò il clitoride, un secondo prima che ponesse quel ‘cetriolo’ tra le labbra.
“Oooommmhhhh.... mmmmhhh...”, mugulò di piacere Aleja sentendo quel dolce ed umido calore strisciante sul suo ‘giocattolo’, ed iniziò a dimenare le gambe per trattenersi più che poteva.
“Aaaahh... mmmhhh”, fece Barbara quasi sforzando di controllarsi, pareva che una lacrima le fosse uscita dagli occhi per lo sforzo, “ti prego, fermati...”, ma non era in realtà quello che voleva, e la piccola Aleja aumentò il ritmo, massaggiando anche quelle belle natiche che imperanti le stavano sopra.
“Mmmm... aaaahhhhh...”, fece anche Aleja il cui ‘gingillo’ era diventato davvero grosso e durissimo. Fu a questo punto che a Barbara balenò un pensiero insolito, chiuse gli occhi e lasciò andare a briglie sciolte la sua immaginazione, voleva dominare e fare sua Aleja in situazioni diverse ma contemporanee, una di fantasia e una che sarebbe di lì a poco diventata reale come l’altra sera.
Quel pensiero si materializzò nella sua mente, era un qualcosa di irresistibile! Immaginò sé stessa di nuovo in posizione eretta, sempre dando le spalle ad Aleja, allungare una mano verso la borsetta che stava su una sedia accanto al letto per prendere un ‘condom’. Si immaginava mentre apriva la bustina e srotolava con maestria il preservativo sul ‘gingillo’ di Aleja che, eccitatissima, non le pareva che potesse essere vero. E, sempre stando a cavalcioni sopra Aleja e dandole le spalle, immaginò di alzarsi un po’ sulle ginocchia per avvicinarsi a quell’attrazione fatale e mettersi in posizione perfetta per calarsi giù lentamente facendo entrare a poco a poco quella turgidità pulsante nella sua farfallina.
“Aaaahhh... ooohhhhhh... mmmmhhhh”, mugulava Aleja alzando le gambe e dimenandole in aria per sbatterle con forza sul letto, cosa questa che piacque molto a Barbara, sentiva che era sua e che la stava dominando totalmente, con il corpo, con la mente e con l’anima.
E mentre succhiava il ‘giocattolo’ di Aleja che continuava, stando di sotto, a stimolare con la lingua il suo clitoride, Barbara, inebriata e sempre ad occhi chiusi, lanciò al galoppo il suo pensiero erotico, immaginando di muoversi su e giù con quel ‘gingillino’ dentro di lei, con spintine anche in avanti e di lato, quasi come quell’apparecchiatura dei pozzi petroliferi, mentre Aleja allungava le mani verso la sua schiena per tentare di accarezzarla o sfiorarla, ma lei era ormai partita a pieno ritmo, era inarrestabile.
Sempre ad occhi chiusi, e con quell’immagine nella mente, Barbara sentì che la sua farfallina era sempre più bagnata, quindi aprì gli occhi e vide che Aleja aveva disteso le gambe al massimo che poteva, agitandole velocemente ma con piccole oscillazioni, e questo la faceva eccitare ancora di più, facendola sentire veramente la sua ‘domina cavaliera’. “Ohhh... non resisto più....”, disse Aleja chiudendo gli occhi in uno sforzo di raccoglimento, con le gambe tese e leggermente divaricate, però continuando ad accarezzare il clitoride di Barbara con le sue morbide dita, stavolta libere, senza i guanti di raso nero.
“Sììììì... oooooohhhhhhhh..... ooooohhhhhhhh...”, esclamò Barbara che era appena giunta all’orgasmo, sentendo qualche secondo dopo una sensazione indescrivibile quando, avendo ripreso in bocca il ‘giocattolo’ di Aleja, lo sentì gonfiarsi al massimo possibile prima che esplodesse in un orgasmo di piacere. Barbara andò avanti ancora quasi un minuto, sentendo i mugulii di Aleja che sbatteva quegli eccitanti stivali stando sotto di lei. Dopodiché, sfinita e con i battiti velocissimi, Barbara sollevò la testa di quel poco che bastava per far uscire dalla bocca quel ‘magico giocattolo’ che lentamente si stava ritirando per andare al meritato riposo. Prese una salvietta dalla borsetta e si pulì la bocca, quindi si girò verso Aleja e si distese al suo fianco, ponendo la testa sul suo petto che pulsava all’impazzata. Stettero così una decina di minuti, quindi si alzarono e andarono in bagno per struccarsi e farsi una rapida doccia, abbracciate assieme. Erano da poco passate le 23 quando Barbara e Alejandro (ormai era senza trucco e senza inganno) andarono a dormire, il giorno seguente avrebbero fatto un bel giro per la città lagunare.
Il mattino seguente si svegliarono poco dopo le 7, una veloce rinfrescata e si prepararono: stavolta la vestizione sarebbe stata abbastanza semplice. Barbara indossò un completo sportivo, blu jeans e giubbotto pure in jeans sopra una camicetta in cotone con fantasia a quadri e righe di colore rosso e blu. Come intimo aveva scelto qualcosa di normalissimo, collant 30 denari, mutandine in pizzo e corpetto aderente, in effetti non faceva proprio ancora caldo.
Alejandro si truccò bene il viso per essere di nuovo Aleja, ma scelse un abbigliamento semplice, adatto a ciò che si voleva fare per la giornata. Non aveva collant, dovette indossare le autoreggenti, che stavano bene davvero con quella sottoveste con i reggicalze. Si mise il perizoma, quindi indossò una sexy camicetta tinta fucsia, a maniche lunghe, e su ciascun polsino era ricamata una ‘A’. Dalla valigia prese un paio di pantaloni in cotone del tipo aderenti, elasticizzati, di colore blu elettrico intenso, che mettevano in risalto il profilo delle gambe. Erano a vita bassa, con i passanti larghi per una cinturona, non la solita ma un’altra, con fibbia cromata. Quindi prese un giubbino in pelle, nero, non pesante, dopotutto veniva da una città dove il clima è piuttosto rigido.
“Come sto?”, chiese Aleja.
“Sei uno schianto!”, rispose Barbara prendendo un paio di tronchetti neri, con plateau di un paio di centimetri, ma tacco robusto e basso, quasi 8 centimetri, per non affaticarsi troppo camminando. Li diede ad Aleja e si sedette sul letto alzando leggermente le gambe muovendo le dita dei piedi. Guardò Alejia e sorrise. Lei capì, per cui si mise in ginocchio davanti a Barbara, le baciò i piedi che apparivano davvero seducenti avvolti nelle collant, abbassò le corte cerniere laterali di quelle belle calzature e gliele infilò con cura. Si alzò per ammirarla. “E tu che scarpe ti metti?”, chiese Barbara.
“Ora vedrai”, rispose andando verso l’armadio. Prese la sua valigia e l’aprì, tirando fuori un sacchetto fatto di stoffa. “Che ti sembra? Li ho comprati all’aeroporto di Madrid, mentre attendevo di imbarcarmi sull’aereo per Milano”.
“Bellissimi!!”, esclamò Barbara vedendo quel paio di stivali texani di colore ‘bordeaux’, alti fino al polpaccio, con tacco robusto alto pochi centimetri e con la punta a stringere rialzata all’insù. “Dammi qui e siediti sul letto”, riprese Barbara. Nonostante non avessero la cerniera, non fu per niente difficile infilarglieli sopra quei pantaloni aderenti e stretti nella parte bassa. Barbara prese la sua borsetta e Aleja si mise sulle spalle uno zainetto, la macchina fotografica l’aveva appesa al collo. “Perfetto, possiamo scendere a fare colazione e, visto che hai lo zainetto, anche rifornimento di bottigliette d’acqua, dai...”.
Alle 8.10 uscirono dall’albergo dirigendosi, stando a braccetto camminando tra le numerose bancarelle, verso Piazza San Marco. Quando passarono a fianco di un edificio con la facciata principale che pareva un perfetto rettangolo, sontuosa e di colore rosa, Aleja trattenne un attimo Barbara. Pareva incantata a guardare la simmetria di quelle finestrature il cui profilo gli faceva venire in mente uno stile arabico, piccole nella prima fila sopra le vetrate rettangolari e più grandi nelle due file superiori, con quelle quattro particolari punte svettanti in alto. “Questo è l’hotel Danieli”, spiegò Barbara anche se Aleja l’aveva letto sopra la seconda fila di finestre centrali, “e quelle quattro punte che vedi in alto mi pare si chiamino ‘guglie’... pensa che in questo hotel, circa una ventina di anni fa, o poco più, è stato girato un film spassoso, ‘Tutta colpa del fattorino’, basato su degli equivoci e quasi omonimie pazzesche... e tutto per errori nella pronuncia di certi cognomi... ma certamente sono solo cose da film!”.
“Simpatico, però”, rispose Aleja, “comunque questa facciata è spettacolare!”. Poco oltre giunsero al ponte dal quale si poteva vedere il ‘Ponte dei Sospiri’, e Barbara le spiegò il significato di quel nome. Passarono oltre il ponte e camminarono a fianco di ‘Palazzo Ducale’ e, poco dopo, giunsero in Piazza San Marco. “Perché quelle due colonne sono rosa e tutte le altre bianche?”, chiese incuriosita Aleja.
“Ummhh... sì, ma non credo di avere notizie certe. Comunque non sarebbero rosa, mi pare siano in marmo rosso di Verona. Per quel che ricordo, mi sembra che tra quelle due colonne venivano lette le sentenze capitali, cioè di condanna a morte”, Aleja ebbe un brivido, “o che il Doge si poneva tra quelle due colonne per assistere alle esecuzioni delle pene capitali, o che tra le due colonne stesse fosse stata eseguita un’impiccagione. Le decorazioni sono in stile gotico...”.
“Cosa dici se andiamo lassù?”, disse Aleja guardando verso il campanile.
“Certo, e meno male che c’è l’ascensore”, rispose Barbara che provò un tremore interno. Si misero in coda, e al loro turno salirono con un gruppo di persone. Entrambe rimasero estasiate da quella vista sulla storica città, Aleja si gustò il panorama con gli occhi prima di fare le fotografie. Barbara, che c’era già stata durante una gita studentesca in quarta superiore, noleggiò il cannocchiale, lo stesso di tanti anni prima. Guardò dentro, e le sembrava di rivivere le stesse emozioni di allora. Ricordava una sua ex compagna di classe in particolare, assieme alle medie e alle superiori. la sua amica più intima, e qualcosa di più, lei la soprannominava Demmy. Ricordava le cene di fine anno scolastico dalla seconda superiore in poi e quella del dopo esami di maturità. Erano sempre assieme, inseparabili, e durante la gita a Roma, in quinta superiore, condivisero non solo la stessa camera, doppia e solo per due persone, ma anche lo stesso letto. I ricordi si facevano sempre più vivi nella sua mente, era alle sue prime esperienze di quel tipo, le sembrava di averla ancora accanto a sé, quella ragazza sempre solare e gioiosa, piccola di statura, con i capelli neri a caschetto con i tirabaci, vestita sempre sexy e con degli stivali alla moda che facevano girare la testa ai ragazzi che però lei non considerava, visto che le sue preferenze erano di altro tipo, e Barbara era la sua amante. Strinse quel cannocchiale con forza, pensando ai fatti di alcuni anni dopo, mentre lei stava preparando la tesi per laurearsi in ‘Giurisprudenza’; Demmy si era laureata da un paio di mesi in ‘Economia e Commercio’... si erano appena viste il venerdì precedente quando, il lunedì successivo, Barbara lesse sul giornale di quel tragico incidente d’auto in cui la sua prima passione adolescenziale perse la vita per un automobilista distratto che aveva tirato dritto ad uno ‘Stop’. Allontanò dalla mente quel tragico ricordo, e guardò Aleja, le cui sembianze e il modo di fare le ricordavano esattamente Demmy. La chiamò a sé, così anche Aleja poté guardare col cannocchiale mentre Barbara le accarezzava le guance. La scena non passò inosservata ad un turista giapponese che si propose per scattarle alcune foto. Aleja gli diede subito la macchina fotografica, e l’improvvisato fotografo fu lieto di immortalare quella bella coppia di amiche. Scesero giù, e si avviarono verso la Basilica, l’ammirarono nella sua bellezza e quando Barbara propose di entrare, Aleja rispose che non se la sentiva, le pareva di essere fuori luogo. Barbara era decisa, la prese sottobraccio ed assieme entrarono dentro. Non si potevano fare foto, ma con gli occhi colsero più immagini di un apparecchio fotografico, Barbara strinse Aleja al suo fianco, ed un nodo le salì in gola. Poco dopo uscirono, passeggiarono attorno alla Basilica, e quando Aleja vide i due leoni di marmo non resistette alla tentazione di salirci sopra e farsi fotografare, e così anche Barbara. Presero un caffè al ‘Quadri’, quindi s’incamminarono per le calli che portavano al ‘Teatro La Fenice’. Entrarono dentro ed ammirarono quella bellissima ‘bomboniera’ ricca di decorazioni, il restauro dopo l’incendio del Gennaio 1996 era stato sublime. Da qui andarono per ‘Campo Sant’Angelo’, poi ‘Campo Santo Stefano’, ed infine attraversarono il ‘Canal Grande’ sul ‘Ponte dell’Accademia’ sul quale rimasero alcuni minuti ad ammirare il panorama offerto dallo slargo del canale stesso. Con la cartina in mano, seguendo le indicazioni, giunsero a ‘Piazzale Roma’. “Guarda”, disse Barbara, “qui è il punto dove Venezia storica, che è formata da isole, è collegata alla terraferma, per di là si arriva dove abbiamo parcheggiato l’auto”.
“Ah, certo”, rispose Aleja, “però non capisco quel ponte che sembra con la pavimentazione in vetro... non ha niente a che vedere con il contesto storico della città, così, a prima vista, e da l’impressione che si possa scivolare se fa molto freddo con neve o ghiaccio”.
“Aspetta che guardo... ecco, si chiama ‘Ponte di Calatrava’, è abbastanza recente, di qualche anno fa”, rispose Barbara mentre Aleja lo guardava perplessa.
Erano già le 11.40 ma non erano stanche nonostante la veloce ‘galoppata’ per cercare di vedere più cose possibili, nello zainetto Aleja aveva già messo più di qualche ‘souvenir’. Attraversarono i ‘Giardini di Papadopoli’ per arrivare al ‘Campo dei Frari’ e dare un’occhiata, seppur veloce, all’interno di quella straordinaria chiesa. Poi proseguirono per passare davanti alla ‘Scuola Grande di san Giovanni Evangelista’. Erano le 12.25 e Barbara cominciava ad avere un certo languorino. “Che ne dici se ci fermiamo da qualche parte a pranzare?”, chiese,
“Ottima idea”, rispose Aleja, “avrei voglia di una pizza”, disse poi mentre erano appena entrate in ‘Campo San Giacomo dell’Orio’. Imboccarono una calle laterale.
“Ecco una pizzeria”, disse Barbara, “ci fermiamo qui”. Si sedettero ed ordinarono. All’improvviso a Barbara scappò una risata, fece un po’ di fatica a trattenersi.
“Cosa c’è?”, chiese Aleja.
“Vedi il nome di questa pizzeria?”, fece Barbara indicandoglielo sul foglio del menù.
“’Ae Oche’...”, lesse Aleja, “cosa vuol dire?”.
“Niente di particolare, è solo un nome... però, stavo pensando a me e a te assieme e, per un attimo, avevo letto, non so perché, ‘Ae do oche’... e mi è venuto da ridere pensando a noi due, visto che, non in lingua locale, sarebbe stato come dire ‘Alle due oche’”, e dicendolo in italiano in mezzo a tutta quella conversazione sempre in inglese, traducendole poi quelle tre parole in inglese, aveva fatto sorridere anche Aleja.
“Le due oche saremmo noi?”, chiese Aleja divertita.
“Nell’immaginario... sì”, e si diedero un bacio a sfioro di labbra. Poco dopo arrivarono le pizze, belle calde e fumanti.
Alle 14.30 circa uscirono e si diressero verso la stazione ferroviaria. Attraversarono il ‘Ponte degli Scalzi’, Barbara le spiegò cosa significasse e sorrisero pensando alle loro calzature, anche a quelle che non stavano indossando in quel momento, e che l’idea di ‘scalzo’ proprio non la davano.
“Bene”, disse Barbara, “domani mattina è qui che dobbiamo venire. Il treno per Roma, la ‘Frecciarossa’, parte alle 7.25”.
“Ottimo”, continuò Aleja osservando la grandezza dell’edificio e di quella scalinata. Proseguirono per ‘Lista di Spagna’ tra le innumerevoli bancarelle, e poco dopo giunsero al ‘Ponte delle Guglie’.
“Non so bene cosa ci sia da quell’altra parte lungo il canale”, riprese Barbara, “comunque l’itinerario turistico è per di qua”, e si mossero per ‘Rio Terà di San Leonardo’ per arrivare, dopo una ventina di minuti di passeggiata tranquilla, in ‘Strada Nuova’ [Nova], lungo la quale c’erano moltissimi negozi di souvenir.
“Se Marc venisse da queste parti dovrebbe farlo con un carretto al seguito”, disse Aleja.
“Fortunati i negozianti”, rispose Barbara.
La passeggiata proseguì tranquilla, finché giunsero al ‘Ponte di Rialto’. Ad Aleja si illuminarono gli occhi, tanto era estasiata da quell’opera che aveva visto solo in fotografia, in qualche libro o documentario su ‘Discovery Channel’, non le sembrava vero di essere lì, in quel luogo affascinante, come lo erano tutti i posti che aveva appena visitato assieme a Barbara. Salirono sul ponte e scattarono innumerevoli foto. Erano già le 18 quando, ai piedi di quel grande e storico ponte, decisero di rientrare all’hotel. Chiamarono un taxi, ad Aleja appariva davvero unico e particolare il fatto di vedere un motoscafo come taxi. Chiesero al taxista di andare lentamente, in modo da gustare con gli occhi e con l’anima tutto ciò che si poteva vedere stando sul ‘Canal Grande’. Sorrisero e si baciarono quando passarono sotto il ‘Ponte dell’Accademia’. “Vedi”, disse Barbara, “prima eravamo sopra, e adesso siamo sotto, ma ci divertiamo lo stesso un mondo...”. Aleja rise, e anche il taxista avrebbe voluto ridere, solo che non riusciva ad afferrare bene quell’inglese parlato veloce e non a voce alta e, soprattutto, la parlata della piccola morettina che non celava per niente il fatto che fosse americana. Ogni tanto le guardava di scorcio, avrebbe desiderato ben altro oltre ad essere il loro taxista per mezz’ora. Nei pressi dell’hotel il motoscafo attraccò, Aleja pagò lasciando una lauta mancia. Quell’uomo sulla quarantina, ben abbronzato e dall’aspetto molto giovanile, ringraziò sinceramente. “Siete in servizio anche domani mattina?”, chiese Barbara in italiano.
“Certo, bea siora!”, rispose quell’uomo sorpreso di sentirla parlare in italiano, avendo pensato potesse essere anche lei americana o inglese.
“Alle 6.30 in punto qui?”, chiese Barbara.
“O Kappa”, rispose facendo la ‘O’ con indice e pollice della mano destra.
Salirono in camera per fare una doccia assieme, Aleja fece attenzione a non rovinarsi il trucco in modo da non doverlo rifare per scendere a cena. I loro corpi, sotto l’acqua calda, si strusciavano a vicenda l’uno con l’altro, Barbara prese il gingillino di Aleja e lo stuzzicò fino a farlo ingrossare, quindi lo lasciò. Aleja si pose in ginocchio per stuzzicare il clitoride di Barbara che inarcò la schiena, e poi si alzò fino a quei bei seni per tamburellare con la lingua sui sodi capezzoli. Dopo tutta quella stimolazione uscirono dalla doccia e si prepararono per scendere in sala ristorante.
Alle 21.20 circa tornarono in camera, chiusero la porta e stettero a guardarsi, una davanti all’altra, per un minuto. Barbara la prese con grazia per le spalle e la sospinse verso il letto. Aleja vi cadde morbidamente distesa supina, con le gambe dal ginocchio in giù fuori dal bordo. Barbara si mosse sulle anche, roteò il suo corpo sinuoso, e salì sopra il ventre di Aleja che batteva ritmicamente i tacchi sulla sponda del letto. “Vorrei tu fossi donna in tutto e per tutto”, disse Barbara, “ma per questi giorni tu lo sarai per me, e il ricordo resterà indelebile nella mia mente e nella mia anima”. A quelle parole Aleja ebbe un sussulto, si sentì quanto mai gratificata, era felice della felicità di Barbara. Le mani della dominatrice afferrarono i polsi della piccola morettina, quindi si spostò di lato per slacciarle la cintura dei pantaloni e abbassarne la cerniera. Poi si alzò in piedi e le tolse gli stivali per sfilarle i pantaloni, e quindi le mutandine. “Questi sono troppo sexy”, disse prendendo gli stivali per infilarglieli di nuovo. Barbara riprese ad ancheggiare, e con sinuose mosse, in un paio di minuti, rimase in intimo e tronchetti. Divaricò leggermente le gambe ponendosi davanti alla sua preda supina sul letto, e la fissò con sguardo dolce ed autorevole allo stesso tempo. Aleja alzò la gamba destra, ed iniziò a picchiettare sulla farfallina di Barbara con la punta dello stivale. A quei tocchi allargò le braccia inarcando la schiena muovendo la testa all’indietro. “Ti voglio...”, disse Barbara. Un attimo dopo salì sul letto e trascinò Aleja in modo che vi fosse del tutto adagiata, quindi la girò, lei comprese e si mise a quattro zampe con il lato ‘B’ fuori della sagoma del letto. Un minuto dopo sentì qualcosa di morbido e fresco attorno al suo orifizio.
“Barbara”, disse, “guarda però che non ho fatto il clistere, lo sai....”.
“Non importa”, rispose, mentre a poco a poco cominciava a toccarla con il suo gingillino ben fissato davanti la farfallina, “voglio farti godere”, aggiunse mentre iniziava a premere per entrare.
“Aaahhhh...”, fece Aleja in un mugolio di piacere. Barbara iniziò a muoversi avanti e indietro entrando e ritraendo (senza mai uscire) di pochi centimetri, Aleja strinse i pugni mentre sbatteva i piedi sul bordo del letto, cosa questa che eccitava molto Barbara la quale, dopo qualche minuto, vedendo che il gingillino di Aleja si era ingrossato per bene, lo prese con una mano ed iniziò a masturbarlo, mentre con l’altra si teneva in equilibrio avendola poggiata su quella bella schiena che stuzzicava con tocchi leggeri delle sue unghie. “Oooohhh.... mmhhhh...”, mugulava di piacere Aleja, mentre Barbara era inarrestabile.
“Sei mia....”, disse Barbara in tono sensuale.
“Sìììììì, ohi chica, gustame.... aaahhhhh”, disse Aleja. Dopo quasi quindici minuti a ritmo incessante la piccola morettina era allo stremo, sentiva il torrente in piena che stava per arrivare, chiuse gli occhi e strinse i pugni per trattenersi più che poteva, fino ad esplodere in un orgasmo talmente forte che la forza dello spruzzo impressionò Barbara. Tolto lo strap-on, che ne era uscito anche pulito con sorpresa di entrambe, e postolo in una tinozza con dell’acqua e amuchina, un paio di minuti dopo erano distese sul letto, fianco a fianco. Si guardarono negli occhi, Aleja prese i polsi di Barbara, la girò supina per salirci sopra e farla sua prigioniera. Le succhiò il collo e i capezzoli, sentiva la sua eccitazione, però Barbara le fece cenno di fermarsi, si sentiva molto stanca. Così, dopo dieci minuti, erano entrambe sotto le lenzuola, solo con l’intimo addosso, e si addormentarono abbracciate. A interrompere i loro sogni ci avrebbe pensato la sveglia poche ore dopo.

Puntuale, il taxi acqueo giunse alle 6.30 del mattino seguente. Le due ‘donne’ erano già li ad aspettare da un paio di minuti. Al taxista si bloccò il respiro quando vide come erano preparate, avevano lo stesso look della sera in cui erano andate a vedere ‘La Traviata’. Carlino, il taxista, le aiutò a salire. “Comandate pure!”, disse.
“Alla stazione ferroviaria”, rispose Barbara, “senza fretta”. Alle 6.55 scesero dal taxi. “Stasera, sulle 22.45, siete di servizio?”.
“Purtroppo no”, rispose sconsolato, “però... ma sì! Certo, so a chi chiedere!”.
“Grazie”, rispose Barbara pagando la corsa, e Aleja salutò facendo l’occhiolino. Avevano un bagaglio leggero, una borsa con lo stretto ‘necessaire’ per entrambe, più una mappa di Roma. Salirono la scalinata ed entrarono in stazione, vidimarono i biglietti per il viaggio di andata ed andarono al binario.
La ‘Frecciarossa’ delle 7.25 partì in orario, pareva di stare sedute su un comodo sofà, tutto l’insieme era davvero confortevole. Da pochi minuti Padova era ormai alle spalle quando nella vettura in cui viaggiavano entrò il capotreno assieme ad un collega. Il capotreno appariva sulla cinquantina, aveva un aspetto cordiale; controllava che tutto fosse a posto, scambiava due parole con i viaggiatori mentre il collega chiedeva i biglietti. Ebbe un’espressione piacevolmente serena ed allegra quando si trovò davanti a quelle due ‘miss’.
“Buongiorno a voi”, disse, “tutto bene?”.
“Sì”, rispose Barbara esibendo i biglietti anche all’altra persona che stava col capotreno, ma che stava controllando quelli dei ‘vicini di viaggio’. Iniziarono una breve conversazione quando l’altra persona chiamò il capotreno.
“Tonio, scusa...”, disse.
“Sì, che c’è?”.
“Chiedono gli orari per martedì, dopodomani, tratta Roma-Torino-Parigi”, rispose. In pochi minuti diede loro la risposta e riprese il dialogo con le due ‘miss’.
“Ah, si chiama Tonio... piacere, Barbara”, si presentò.
“Beh, è un diminutivo, ovvio”, rispose dopo aver scambiato un saluto anche con Aleja.
“Simpatico, però”, riprese Barbara, “per me, che sono milanese, lo vedo come un nome di manzoniana memoria”.
“Vero, sì...”, rispose Tonio divertito, “io però non ho un fratello di nome Gervaso”, e risero assieme.
“Quando vado da Milano a Bologna il treno è supervelocissimo, come fa?”, chiese Barbara.
“Può raggiungere i 300 km orari, anche se su questa tratta al massimo fa i 180”, rispose Tonio, “ogni vettura ha il carrello con gli assi motorizzati, e si ottiene una grande spinta in confronto ai treni tradizionali, come una volta, e comunque anche ad oggi, dove il locomotore traina dei vagoni... inerti”.
“Capisco... qui lavorano tutti assieme, tutti sono ‘attivi’, ed il risultato è molto superiore rispetto ad un ‘attivo’, o una ‘attiva’, che traina tanti ‘passivi’, dico bene?”.
“Non poteva scegliere un paragone migliore”, replicò Tonio, ed anche Aleja approvò con i suoi tipici pollici alla ‘Fonzie’ quando Barbara le diede la spiegazione.
Un attimo dopo Tonio le salutò cordialmente dovendo continuare il suo giro. Fatti pochi passi si voltò un attimo ad osservarle mentre parlavano tra loro senza che si accorgessero che le stava guardando con ammirazione per la loro bellezza: ‘quanto vorrei che foste per caso su A69, magari potessi incontravi anche così’, pensò tra sé mentre la ‘Frecciarossa’ era già sul territorio dell’Emilia Romagna. Mancava poco alla traversata degli Appennini, e questo lo sapevano anche altre due bellissime donne tra loro abbracciate in uno scompartimento vuoto alla vista di tutti.

* * * F I N E T E R Z A P A R T E * * *

Nota: racconto di pura fantasia, per le cui note di chiusura in merito si rimanda alla FINE del medesimo. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o persone omonime è puramente casuale. Per errori, o palesi inesattezze, mandatemi un messaggio, vi assicuro che non è stato molto semplice da scrivere.

‘Link’ per videoclip di canzoni il cui titolo è celato nel racconto (dove Aleja passa notte e mattina a casa di Barbara): www.youtube.com/watch?v=f6jtROZ2zI4 ; www.youtube.com/watch?v=hbKm9qQnVe0 ; www.youtube.com/watch?v=n25NRIxGn20
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