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Il brevetto “TX-770” - 1° parte


di LittleMargot
06.05.2016    |    1.005    |    0 8.0
"“Certo”, convenne Mara, “’Il dado è tratto’, come disse Giulio Cesare..."
(seguito di "4 'Donne' in una stanza")
Requisiti richiesti: tanta pazienza, e immaginazione...

Alejandro, seduto su una comoda poltrona della ‘business class’, stava osservando dal suo finestrino il panorama che si apriva sotto ai suoi occhi mentre l’airbus A320 del volo AA-8674 partito dall’aeroporto Adolfo Suarez Barajas di Madrid alle 8.45 iniziava la manovra di atterraggio verso l’aeroporto di Milano Linate. Il volo era in perfetto orario, ed anche la partenza dall’aeroporto internazionale O’Hare di Chicago con il volo AA-8651 era avvenuta praticamente in perfetto orario, alle 16.40 locali del giorno prima, mercoledì 16 Aprile. Andando verso un fuso orario crescente si era fatto presto buio, e durante la trasvolata dell’Atlantico, subito dopo aver cenato, si era messo a dormire, svegliandosi poco prima dell’atterraggio a Madrid, alle 7.40 locali. Lo scalo era stato breve, praticamente un’ora sola di attesa per il volo Madrid-Milano, e durante quell’ora il suo pensiero era andato al discorso fattogli da Marc la mattina prima in ufficio: non era per niente preoccupato della trattativa che lui si apprestava a condurre in nome e per conto della Gothelm Co., aveva piena fiducia nella sua ‘mistress’, ma tuttavia era turbato per un qualcosa che riguardava Angela, la brava impiegata della segreteria, e gli aveva detto che al suo ritorno da Milano gliene avrebbe parlato con maggiori dettagli. Qualche minuto dopo una leggera vibrazione gli fece intuire che le ruote del carrello avevano appena toccato terra, e la prima cosa che fece fu quella di sganciarsi la cintura di sicurezza e mettersi gli occhiali da sole. Erano le 10.50, il viaggio era durato in tutto 11 ore e 10 minuti compreso lo scalo a Madrid. Quando l’aereo si fermò e il comandante salutò i passeggeri in tre lingue diverse, Alejandro regolò il suo massiccio orologio da polso con il fuso orario dell’Italia, quindi si alzò, prese il suo piccolo trolley e si mise in coda con gli altri passeggeri. L’hostess, una bella mora spagnola, con i capelli a boccoli sciolti sulle spalle, sembrava ancora più alta con quella sua bella divisa e le eleganti decolté. Salutava con un sorriso tutti i passeggeri che le passavano davanti per scendere dall’aereo, e quando fu il suo turno, Alejandro dovette inclinare un po’ di più la testa verso l’alto per guardarla bene negli occhi, e oltre ad uno smagliante sorriso si scambiarono anche un intrigante ‘occhiolino’: ad Alejandro non sfuggì la mossa con cui l’hostess, Veronica, si era appena passata la mano sulla gonna, con un fare strusciante che non avrebbe potuto lasciar adito ad alcun dubbio sull’intenzione latente che si celava nella sua mente. Giunse rapidamente nella zona del ritiro bagagli, e più di qualcuno rimase come inebetito nel vedere come un uomo di piccola statura e corporatura minuta come Alejandro potesse avere un bagaglio così voluminoso, ben tre grandi valigie! Una, però, conteneva solo certi ‘effetti personali speciali’. Poste le valigie sul carrello si avviò all’uscita. Subito fuori dall’aerostazione prese la sua piccola agenda e segnò un appunto sorridendo maliziosamente: ‘Giovedì 17 Aprile 2014, ore 11.45 locali, giornata fresca primaverile, non piove, un pannello indica 18 °C, e Aleja sbarca in Milano, Italia’, pur sapendo che Linate era un po’ fuori della metropoli lombarda. Era un via vai di taxi che partivano e arrivavano. Una signora sulla cinquantina, che andava di fretta, lo urtò e gli passò davanti per salire sul taxi che era appena arrivato prima che lui potesse ‘soffiarglielo’ (questo era stato il pensiero di lei), ma Alejandro non si scompose per niente: infatti, mentre gran parte delle persone che transitavano per quella zona erano alla ricerca di un taxi, per quanto riguardava il suo prossimo mezzo di trasporto era quest’ultimo che sarebbe andato alla sua ricerca. Anzi, era già arrivato qualche minuto prima che lui uscisse dall’aerostazione, ma non conoscendo il posto non aveva fatto caso a dove potesse essere. Sentì il cellulare squillare.
“Hellò, parlo con il dottor Gutierrez?”, disse una voce limpida in perfetto inglese.
“Sì, sono qui, fuori dell’aeroporto”, rispose Alejandro.
“Sono la persona incaricata di venire a prenderla con l’auto che avete noleggiato l’altro giorno da Chicago. Siete per caso ancora nei pressi dell’uscita principale?”, chiese quella voce distinta.
“Sì, mi sono spostato di una trentina di passi e... mi sembra di vederla, comunque...”, rispose Alejandro.
“Immagino”, disse l’altra persona, “certamente ha notato l’auto, visto che non ci conosciamo di persona”, e Alejandro sorrise compiaciuto.
“Sarà solo questione di un minuto fare conoscenza anche con voi”, replicò Alejandro muovendo il braccio destro per potersi fare scorgere da quell’uomo dall’aria distinta, bella statura, fisico asciutto e portamento impeccabile, livrea da maggiordomo di lusso, un tipo tra i 50 e i 60 anni portati a meraviglia, una barba bianca e corta curata alla perfezione, aveva un qualcosa che gli ricordava il comandante Smith del Titanic nell’omonimo film con Leonardo Di Caprio. Quell’uomo lo vide, lo salutò e chiuse la telefonata facendogli cenno di attendere, quindi salì sull’auto con cui era arrivato, l’accese e qualche secondo dopo gli si accostò davanti. Ad Alejandro piacque quando la Lamborghini HURACÁN LP 610-4 ruggì forte l’istante prima che venisse spento il motore. Ci teneva a qualcosa di diverso, e fu soddisfatto di quella ricerca in internet fatta nei giorni precedenti da casa sua, cercando tra gli autonoleggi di Milano e dintorni. Era un’auto nuovissima a tutti gli effetti, aveva fatto il suo debutto ufficiale al Salone di Ginevra 2014 e solo da poche settimane erano iniziate le consegne ai primi clienti. Era bellissima, di colore bianco lucido. Il cambio LDF a sette rapporti con doppia frizione offriva la possibilità di cambiate variabili tramite Drive Select Mode, con velocità massima superiore a 325 km/h, con maggior potenza e coppia garantite dal sistema ad ‘Iniezione Diretta Stratificata’ (IDS); il telaio era una struttura integrata in fibra di carbonio ed elementi in alluminio. Stava ancora lì incantato ad osservare quel gioiello della tecnica quando il maggiordomo dell’hotel scese dall’auto. Gli si avvicinò. I due si strinsero la mano facendo le dovute presentazioni, quindi il maggiordomo schiacciò il pulsante di un telecomando aprendo così un portellone che faceva apparire quell’auto come un’astronave proveniente da un’altra galassia o, forse, anche dal futuro.
“Prego, al suo servizio, dottor Gutierrez”, disse con fare elegante iniziando a caricare tutti quei bagagli sull’auto. Tosto che i bagagli furono caricati fece per consegnargli le chiavi: “Immagino che non vediate l’ora di prendere le redini di questi 610 cavalli...”.
“Avete colto nel segno!”, rispose Alejandro entusiasmato, “Però, in questo tragitto fino all’hotel, preferirei fare il passeggero, così intanto guardo le strade, il panorama, e come voi guidate”.
“Non preoccupatevi, è semplicissima da guidare”, lo rassicurò, “comunque, a bordo!”, e si mise comodamente al posto di guida con Alejandro al suo fianco. Gli spiegò in un attimo come funzionava il navigatore satellitare, cosa che per Alejandro era facile da capire visto che ci era abituato. “Queste sono le carte dell’autonoleggio, il loro fax e il vostro fax di conferma con firma e copia del passaporto, quietanza di pagamento, e quant’altro necessario. Come da vostre disposizioni, provvederemo noi stessi alla riconsegna di questa carriola al termine del vostro soggiorno”, disse sorridendo. Alejandro rimase molto soddisfatto di tutta quell’organizzazione, non vedeva l’ora di arrivare alla suite che aveva prenotato sotto pressione di Marc che aveva voluto a tutti i costi un qualcosa di eccezionale per la sua Aleja, e se quel maggiordomo d’albergo ne era il biglietto da visita, veramente Marc ci aveva azzeccato in pieno, ma tutta quella sua sicurezza a cosa era dovuta? Non attese molto per avere la risposta. “Spero rimarrete anche voi soddisfatto come il dottor Gothelm l’anno scorso, era già la seconda volta che ci onorava della sua presenza. Bene, dottor Gutierrez, sono a vostra disposizione: dove andiamo?”, chiese, anche se la risposta era scontata.
“Direi... Galleria Vittorio Emanuele II?!”, rispose Alejandro.
“Certamente...”, sorrise il maggiordomo, “la vedrete e vi piacerà moltissimo, solo che noi con l’auto andremo in via Silvio Pellico, parcheggeremo per bene e così avrete modo di vedere il posto. Ovviamente, non dovrete alzare un dito per i bagagli, e nella suite troverete anche delle mappe di Milano, avrete anche il PC con la connessione internet, così non dovrete per forza usare il vostro portatile se lo riterrete opportuno”. Alejandro non resistette all’impulso di alzare i pollici alla Fonzie e dare il 5 a quella simpaticissima persona che quindi accese il motore. Con un potentissimo rombo la Lamborghini si mosse per trasportare Alejandro fino all’hotel a 7 stelle dove era atteso dal direttore in persona.
Ciò che sorprese gradevolmente Alejandro fu la squisitezza, la raffinatezza, la cordialità e la semplicità del direttore di quell’albergo che vantava un primato a livello mondiale, si sentiva quasi meglio che a casa sua. Nel frattempo due inservienti avevano già portato i bagagli nella suite e, poi, prima di congedarsi, il direttore volle consegnargli la chiave. Anche se il check-in era previsto per le 15, direttamente in suite, un’eccezione almeno per i bagagli era stata fatta, quindi Alejandro si recò al ristorante ‘La Sinfonia’ dove consumò un pranzo di quelli che è meglio non raccontare, tanto che l’alzarsi da quella comodissima sedia fu quasi un dispiacere. L’accoglimento in suite per il check-in, con bottiglia di champagne e frutta di stagione, fu una sorpresa molto gradita, gli vennero illustrati tutti i servizi compresi, c’era anche quello di parrucchiere e trattamento benessere in camera, e sorrise maliziosamente tra sé quando gli venne detto del servizio di lucidatura scarpe: pensò subito a Marc, immaginandolo chino a lustrare gli stivali di Aleja.
“Ah, stavo per dimenticare...”, disse ad un certo momento il direttore, “ovviamente, se desiderate vi venga portata la cena in suite, non avete che da chiedere e sarete esaudito”.
“Grazie, molto gentile”, replicò Alejandro.
“Con i nostri ossequi, e auguri per un ottimo soggiorno presso di noi”, concluse il direttore facendo cenno allo staff che era il momento di uscire dalla suite.
Rimasto solo si guardò attorno, la suite ‘Toscanini’ era davvero maestosa, 80 metri quadrati e disposta su due livelli. Un grande letto a due piazze troneggiava al centro di quella stanza con le pareti chiare tinta crema lavorate a cornici e con riquadri decorativi, lampade a parete oltre i 2 metri di altezza, ed anche il tavolino con il vassoio e lo champagne era di gran pregio, così come lo scrittoio. Il soffitto era molto alto, lo stimò in almeno 4 metri se non di più, ed era affrescato. Nella stanza accanto, dove stava un bellissimo divano, c’era la scala che conduceva di sopra. Il bagno era un gioiello per cui non si potevano trovare parole per descriverlo, mentre la vista sulla Galleria Vittorio Emanuele II era un qualcosa di ineguagliabile, come l’accesso diretto dall’hotel per il Museo di Leonardo da Vinci. Alejandro disfò l’essenziale del suo bagaglio e lo sistemò in quel sontuoso armadio con le ante chiudibili a chiave, quindi decise di farsi una buona doccia. L’acqua calda scorreva sul suo corpo, la schiuma profumata gli permeava le narici mentre i vapori salivano rendendo ancor più perfetta l’atmosfera per quella situazione estatica in cui si trovava. Si mise in pigiama, era molto stanco, infatti cominciava a sentire l’effetto del jet-lag (discronia per il cambio di fuso orario). Decise di andare a dormire, l’incontro presso la ‘GAR.TOM. S.r.l.’ in corso Buenos Aires era previsto per il giorno dopo, nel primo pomeriggio alle ore 15.00, per cui aveva a disposizione la mattina per fare un giro per Milano e dintorni, aveva voglia di visitare, almeno per fuori, il castello Sforzesco, visto che era, tutto sommato, abbastanza vicino. Stava per crollare dal sonno, ma fece in tempo ad inviare col PC messo a disposizione nella suite un messaggio via e-mail a Marc: ‘Ciao piccolo, il viaggio è andato tutto bene, e qui è una meraviglia. Vista l’altezza della suite immagino che anche tu hai soggiornato qui, ed è una vera tentazione, nel senso proprio della parola. Adesso vado a riposare, sono stanchissimo. Se tu fossi qui saprei già cosa farti fare!’. Quindi si stiracchiò e fece per alzarsi da quella comoda poltrona, quando sentì il ‘bip’ di un messaggio appena entrato. “Di già?!”, disse tra sé Alejandro. Aprì il messaggio di Marc e lesse: ‘Hai bisogno che ti lucidi gli stivali? C’è già il servizio compreso... eh eh eh...’. Alejandro si mise a ridere e replicò in un attimo: ‘Appena rientro, la prima cosa che farò sarà quella di saltarti addosso, stenderti giù e mettermi sopra di te’. Altro ‘bip’ dopo un minuto: ‘Non vedo l’ora... buon riposo, passo e chiudo, tua Valery’. Si capiva che Marc avrebbe voluto continuare quella chiacchierata a distanza, ma non poteva, evidentemente era impegnato, e Alejandro l’aveva intuito da quel ‘passo e chiudo’ che nel loro modo di comunicare significava che gli dispiaceva di non poter continuare. Quindi spense il PC, fece quasi buio nella camera e si mise sotto le coperte, erano da poco passate le 17 e regolò la sveglia del cellulare alle 20.30 per darsi una rinfrescata e andare a cena.
Alle 21 circa era seduto al tavolo del ristorante, volse lo sguardo per ammirare il via-vai di persone lungo la galleria. Per un attimo ebbe come la sensazione che una donna di statura e corporatura media, sulla quarantina, lo stesse salutando... portava un cappellino con tre rose rosse ed aveva i capelli neri corvini a caschetto con le mezze lune ai lati (tirabaci), un vestito piuttosto strano di colore blu a mezze maniche fino ai gomiti, guanti neri e stivaletti neri alla caviglia. Alejandro sbatté gli occhi e scosse la testa, la sentiva ancora appesantita, aveva a tratti colpi di sonno, guardò di nuovo subito in giù ma non vide nessuna donna di quelle fattezze, e quindi realizzò che doveva essere stato un abbaglio dovuto ad un improvviso e forte colpo di sonno, o forse un suo desiderio latente. Consumò una cena leggera e alle 22 era già di nuovo a letto, la sveglia era stata puntata per le 7, mentre il servizio di colazione in camera sarebbe giunto alle 7.30.
Puntualissima la sveglia trillò, e dopo un minuto di ‘stretching’ Alejandro si sentiva in forma più che mai. Fece una doccia calda scrosciante, il bagno era un’atmosfera di vapore. Uscito dalla vasca mise l’accappatoio e cominciò ad asciugarsi i capelli con il phon. Infilò la mano libera nel suo beauty-case per prendere la spazzola, e nel tirarla fuori fece cadere per sbaglio sul pavimento la rubrica di ‘Aleja’ che stava lì dentro. Con l’urto uscirono 4 segnalini movibili con lettere dell’alfabeto, si chinò e li recuperò subito: “Uff... che sbadato... eccoli qui... B, a posto, M, O... ed L, bene!”, disse tra sé alzandosi, “oh, curioso...”, mormorò vedendo che il vapore sulla superficie dello specchio, condensando con le gocce che scendevano giù, aveva formato una specie di sorriso. Tosto uscì fuori dal bagno e alle 7.25 era già vestito e preparato di tutto punto. Alle 7.30 giunse la colazione in camera, c’era da sbizzarrirsi nella scelta. Dopo colazione prese il suo PC, il trasformatore e l’adattatore di presa elettrica, collegò il tutto e lo accese. Controllò i files che aveva scaricato a casa sua qualche giorno prima, prese nota dei nomi di alcuni locali che lo avevano particolarmente colpito, e navigò un po’ in internet. Alla fine optò per approfondire la sua conoscenza su tre locali dei quali ne avrebbe poi scelto uno, ma decise di farlo alla sera, dopo cena, per il momento voleva svagarsi prima dell’incontro alla ‘GAR.TOM.’. Erano quasi le 9 quando scese per la sua ‘passeggiata milanese’, il riposino del pomeriggio precedente e la buona nottata avevano avuto un ottimo effetto su di lui. Non era il caso di prendere la ‘Lambo’, una camminata era la cosa migliore da fare, ed in breve, munito di ombrello, giunse nei paraggi del castello Sforzesco. Rimase colpito dall’imponenza del torrione centrale che s’innalzava con altre due torrette a base di misura minore fino alla parte alta che gli ricordava un ‘gazebo’ da giardino, e pure magnifiche erano le torri circolari ai lati, con lo spettacolo della fontana antistante l’ingresso principale. Non c’era un gran movimento vista la giornata, e da bravo turista iniziò a scattare foto con la sua attrezzatura professionale di alto livello, uno dei tanti regali da parte di Marc. Due belle ragazze a braccetto presso la fontana lo osservavano con molta discrezione mentre scattava le foto, una aveva i capelli a caschetto con i tirabaci mentre l’altra, più alta, aveva i capelli neri a boccoli fin sulle spalle. Lo guardavano e sorridevano tra di loro, ma nessuno notava il loro sorriso. Ad un certo momento si trovarono nella traiettoria della macchina fotografica quando Alejandro, dopo una decina di scatti alle mura e ai torrioni, decise di fotografare la fontana, ma non si scomposero e continuavano a sorridere salutandolo con le mani, e per Alejandro tutto appariva più che normale, con la piena immagine di quella bellissima fontana libera e solitaria in quella giornata non certo splendida vista la nuvolosità variabile e la pioggia, anche se sopportabile. Verso le 11.30 si presentò alla ‘GAR.TOM. S.r.l.’.
“Ben arrivato, dottor Gutierrez”, lo salutò l’addetta alla ricezione in un inglese molto buono.
“Buongiorno a voi”, rispose Alejandro, “sono passato di qui per conoscere il posto, visto che l’appuntamento è per oggi pomeriggio alle 15”.
“Ha fatto benissimo...”, rispose l’impiegata, “purtroppo Barbara, cioè, volevo dire, la dottoressa Garmizzese, non è in ufficio, è uscita circa un’ora fa, non poteva sapere che voi sareste passato, mi dispiace, e...”.
“Non importa, si figuri, sono passato solo a mio titolo personale”, la rassicurò.
“Grazie”, replicò lei arrossendo, “comunque sarà mia premura di informarla, ed anche di avvisare la dottoressa Berenghi, a Roma, che voi siete arrivato”.
“Benissimo....”, si bloccò Alejandro sorridendo.
“Alessia...”, si presentò la ragazza, una biondina di media statura, appena più alta di lui e poco più che ventenne.
“Allora, Alessia, ci vedremo oggi pomeriggio”, la salutò Alejandro.
“Certamente”, rispose lei sentendosi completamente a suo agio, e lo accompagnò alla porta. Scese a piedi quelle poche rampe di scale, gli uffici occupavano il primo ed il secondo piano di quello stabile. Quando fu in strada, la larghezza della medesima gli ricordava le strade delle città americane, peccato però che solo poche lo erano realmente così larghe, d’altronde comprendeva benissimo che l’Italia aveva un contesto storico più che millenario, Roma stessa aveva quasi 3000 anni, mentre la città più ‘antica’ degli U.S.A. (o una delle più antiche), Saint Augustine in Florida, era stata fondata nel 1565, nel giorno di Sant’Agostino per l’appunto, per cui lo sviluppo urbano era partito già da una situazione senza vincoli precedenti e con tecniche, per l’epoca, già moderne.
Giunto all’hotel salì in camera a posare le sue cose e per darsi una rinfrescata veloce prima di andare al ristorante, quindi tornò in camera dove vi rimase fino alle 14 in punto.
Mancavano un paio di minuti alle 15 quando si ritrovò nuovamente davanti al portone del palazzo dove aveva sede la ‘GAR.TOM. S.r.l.’. Suonò e gli fu immediatamente aperto. Aveva con sé il suo PC portatile e la ’24 ore’ maggiorata. Non volle prendere l’ascensore, dopotutto doveva fermarsi al primo piano. “Bentornato, dottor Gutierrez”, lo salutò Alessia, “siete atteso al piano di sopra, è lì che hanno gli uffici le titolari e i consulenti, vi faccio strada”.
“Certo”, sorrise Alejandro, “al piano di sopra, è logico...”. Arrivata alla soglia del secondo piano Alessia si congedò da Alejandro per tornare di sotto alla reception, mentre lui la osservava con simpatia scendere le scale facendo ballonzolare quella bionda coda di cavallo.
Un attimo dopo una donna sulla quarantina o poco più, di aspetto molto giovanile, un fisico asciutto e longilineo, con i capelli castani lunghi fino alle spalle, uscì dalla stanza di fondo e mosse dei passi decisi e ben cadenzati verso di lui. Il suo aspetto era davvero particolare, indossava un completo giacca e pantaloni di gran pregio e di colore azzurro intenso. I tre bottoni dorati della giacca con perla avorio al centro spiccavano su una camicetta bianca in pizzo aderente che in qualche modo metteva in risalto la forma dei suoi seni. La cravatta sottile e nera, in pelle, con il fermacravatta in forma di nastrino d’oro s’intonava alla perfezione con il cinturino anch’esso nero in pelle, e Alejandro sorrise tra sé vedendo la fibbia dorata. Portava dei bei orecchini con catenina d’oro e perle avorio, seminascosti dai capelli, come pure nascosta era la collana di cui si vedeva appena pronunciata la forma sulla parte alta del collo, sopra le spalle, mentre facevano bella mostra di sé le decolté nere lucide con tacco da 11 centimetri sulle quali si muoveva armoniosamente con inusitata agilità, padronanza e classe. Si fermò davanti ad Alejandro, per un attimo rimase imbarazzata tra sé nel constatare quanto era più alta di lui, e con quei tacchi, poi... Lui la guardò negli occhi, marroni e profondi, che si adattavano perfettamente a quel viso liscio, acqua e sapone, che non avrebbe avuto bisogno di alcun trattamento o trucco, se non leggerissimo come lo aveva in quel momento, mentre le unghie erano perfettamente curate e smaltate di un rosso acceso. Fu Barbara a rompere ogni indugio e a porgergli la mano destra dandogli una stretta vigorosa. “Barbara Garmizzese”, si presentò, “sono la socia titolare dello studio, è un piacere conoscerla”.
“Alejandro Gutierrez”, si presentò lui.
“L’attendavamo con impazienza e desiderio di conoscerla, tutti ci aspettavamo il dottor Gothelm, ma lui stesso ci ha inviato via fax una dichiarazione di delega piena a vostro nome”, ed a quelle parole, dette in perfetto inglese, Alejandro sentì un fremito dentro di lui... ‘Marc, Marc’, pensò, ‘ma cosa stai combinando? Perché fai così? Cosa sono davvero io per te?’.
Il rumore leggiadro dei suoi tacchi echeggiava per quell’ampio corridoio, finché entrarono nella sala in fondo, la sala delle riunioni nonché di rappresentanza. Era una stanza davvero grande, circa 30 piedi per 25 (9 metri per 7,5 circa), con un grande tavolo ovale in mogano massiccio al centro, attorno al quale stavano 13 sedie con lo schienale alto e la seduta imbottita in cuscino tinta porpora. I mobili alle pareti avevano qualcosa di massiccio e parevano antichi, in effetti erano stile ‘impero’, e contribuivano ad alimentare la percezione di autorità e decisione che traspariva dalla donna che aveva appena incontrato. C’erano altre 6 persone in quella stanza, stavano tutte in piedi e Barbara gliele presentò una ad una, sempre parlando in inglese: “Lei è la dottoressa Maria Grazia Tommasselli, avvocatessa e mia unica socia, per cui adesso capisce anche da cosa derivi il nome dello studio”.
“Piacere”, disse subito Maria Grazia, coetanea di Barbara, bionda, più bassa di statura e un po’ formosetta, un viso dolce ed occhi cerulei, “comunque sono socia di minoranza, il boss è lei”, disse sorridendo, facendo quell’appunto che ad Alejandro interessava ben poco, l’aveva già intuito dal portamento e dal modo di vestire che il ‘boss’ era Barbara.
“Il notaio, e quindi mio collega, dottor Marcello Gottardi Brambilla, un milanese purosangue, è un nostro validissimo collaboratore. Segue in modo specifico le aziende e i loro brevetti, curando i rapporti con i ministeri competenti per le omologazioni. Unico lato negativo, da Agosto sarà in pensione, ma continuerà ad aiutarci ancora un po’, giusto?”, disse Barbara.
“Ci può contare”, rispose quell’uomo che non appariva per niente anziano, 66 anni ben portati, capelli bianchissimi tipici di chi non ha mai fumato, carnagione abbronzata, spalle atletiche, buona statura sul metro e ottanta o poco più.
“La dottoressa Enrica Tramassini, responsabile della filiale tedesca in Italia dell’istituto di credito che ha accettato di finanziare i prototipi per la commercializzazione in Europa, devo ammettere che il dottor Gothelm ha un potere persuasivo non indifferente”.
“Lieta di conoscerla”, disse, “diciamo che in Germania c’è un’altro tipo di cultura sugli investimenti per l’innovazione, prima produci e, se va bene, paghi le tasse su ciò che guadagni, visto che hai investito del capitale, mentre qui, in Italia, devi prima pagare le tasse sul presunto guadagno, per cui non è facile trovare chi finanzia ed investe”. Barbara provò un certo senso di sconforto nel sentire quelle parole, anche se in sé era costretta ad ammettere che le cose stavano proprio così. Alejandro guardò Enrica quasi incantato, anche lei era alta e magra, capelli neri a caschetto, un elegante abito rosso e nero, accattivante e semplice allo stesso tempo, gli occhi scuri a mandorla, bocca sottile e il naso un po’ piccolo, ma una bella donna, non ancora quarantenne.
“Ed ecco il dottor Lorenzo Marco Guglielmi, responsabile dei progetti della ‘Berenghi Medical S.p.A.’”, disse presentando quell’uomo alto e longilineo, quasi sulla cinquantina, capelli neri e corti, lisci, un naso piuttosto pronunciato, vestito elegantemente, giacca e pantaloni grigio chiaro, camicia azzurra e una cravatta rossa di seta, scarpe nere lucide griffate. Ad Alejandro non sfuggì il modo in cui guardava Barbara ed Enrica, notò che portava la fede nuziale, ma di sicuro doveva essere uno che si dava molto da fare con le donne.
“Piacere mio”, disse avvicinandosi ad Alejandro per dargli la mano. Si chinò leggermente, Alejandro sentì che la sua mano era un po’ umidiccia... panico da riunione o stava pensando a qualcos’altro?
“Il dottor Gian Aldo Cruccini, dirigente al Ministero della Sanità, settore ‘Ricerca e Sviluppo’, in rappresentanza del sottosegretario che ha dovuto declinare l’incontro per motivi personali”, continuò Barbara presentandogli quell’uomo sul metro e settanta, piuttosto rotondo e con pochi capelli, nonostante avesse appena 45 anni... aveva il tipico aspetto da burocrate.
“Lieto”, disse semplicemente senza tonalità.
“Idem per me”, rispose secco Alejandro.
“E, per finire, l’ospite straniero”, disse Barbara, “der doktor...”, e sorrise, “so che non si dice così... der artz Karl Schneider, da Monaco di Baviera, in rappresentanza della ‘Zimenx’ per la componentistica elettronica, ed altro che non so”.
“Lieto di conoscerla di persona”, disse quell’uomo basso e tarchiato in un inglese teutonicizzato ma perfettamente capibile, “porto i saluti del dottor Bodecker”.
“Ah, certo, il ‘grande Hans’”, disse Alejandro, “Marc me ne ha parlato tanto, e così lo chiama lui, il ‘grande Hans’, ma non l’ho mai conosciuto, né visto in alcuna foto”. Karl non si espresse e Barbara sorrise tra sé, visto che lo conosceva di persona, sapeva che il dottor Gothelm non si riferiva certo alla statura di Hans, ma a qualcos’altro, ad una sua certa peculiarità.
“Molto bene”, disse Barbara invitando Alejandro a sedersi sulla sedia posta a guisa di capotavola, “i drink ci sono, gli stuzzichini anche... direi che possiamo cominciare la riunione”. Quindi sollevò il ricevitore di un apparecchio telefonico. “Alessia?... Non ci sono e non ci siamo per nessuno, fino a che non terminiamo”, e chiuse la brevissima conversazione. Tutti si sedettero al proprio posto, soltanto Barbara rimase in piedi, e riprese la parola nel suo impeccabile inglese: “Bene, allora! Direi che inizierà il dottor Guglielmi ad illustrare in breve ciò di cui ci apprestiamo a parlare. Ho letto di corsa nei rapporti che si tratta di nanotecnologie applicate alla medicina, alla ricerca e diagnostica, un macchinario molto complesso e automatizzato che sembra una cosa dell’altro mondo, T.A.C. tridimensionali con risoluzione nitida a livello di cellula e a colori, microrobotica inseribile nei tessuti e interfacciata a computer, sia per la diagnosi che per i microinterventi chirurgici, con la possibilità di interconnettersi in simultanea via cavo e anche via satellite con altri utilizzatori della medesima macchina o solo anche del protocollo di comunicazione per scambio di pareri, ricerca, e anche per mettere a disposizione il ‘know-how’ specialistico. Ho visto immagini e filmati, sono rimasta stupefatta nel vero senso della parola... mi sembrava per un attimo di essere sul set di ‘Viaggio allucinante’ in una versione ultrafuturistica, un’apparecchiatura senza dubbio all’avanguardia a livello mondiale nel suo campo, con regolare omologazione data qui in Italia, e di cui saranno ceduti tutti i diritti alla ‘Gothelm. Co.’, compreso il diritto di provvedere direttamente alla registrazione presso l’E.P.O. (European Patent Office) di Monaco di Baviera, in poche parole, oggetto di questa riunione è il ‘Brevetto TX-770’ della ‘Berenghi Medical S.p.A.’”. Detto ciò si sedette, e il dottor Guglielmi si apprestò ad illustrare in maniera più dettagliata, per i venti minuti che aveva a disposizione, tutte le caratteristiche dell’apparecchiatura e degli accessori e componentistica connessi, che tutti assieme formavano parte integrante del brevetto. Alejandro, affascinato dall’argomento, si pose in attento ascolto.

A Roma, intanto, Mara Berenghi stava parlando con i tecnici di laboratorio quando si sentì chiamare tramite interfono. L’addetta al centralino la stava informando che era attesa per una video-call-conference con il dottor Marc Gothelm da Chicago. D’istinto guardò l’orologio, erano le 17.45. Si congedò dai tecnici e mosse i suoi passi eleganti, benché un po’ rumorosi, per giungere rapida nel suo ufficio privato. Si muoveva piuttosto sinuosamente, a volte pareva lo facesse apposta per provocare, ma non era così. Indossava un completo molto semplice, giacca e gonna blu su una camicetta tinta salmone, molto delicata, e camminava rapida su quelle scarpe di vernice nera, molto eleganti, con tacco 10 cm. Era sexy e allo stesso tempo sobria con quelle collant velatissime 20 denari che mettevano in risalto le sue belle gambe affusolate e depilate, tanto da sembrare ben più alta del suo metro e 65, i capelli corti a caschetto la facevano sembrare ancora una studentessa in tesi di laurea. Entrò un attimo in segreteria: “Non è qui mia cugina?”, chiese. L’impiegata rispose che era andata qualche minuto prima alla macchina del caffè. Mara disse che si sarebbe recata nel suo studio per la chiacchierata in diretta col dottor Gothelm, il suo viso che prima appariva serio ora si prestava ad un sorriso genuino. Socchiuse la porta del suo ufficio, si sedette e premette il pulsante di un telecomando. Il video si accese, e si preparò mentalmente per quella discussione in inglese.
“Buonasera dottor Gothelm, anzi, buongiorno, vista l’ora di Chicago”, iniziò lei.
“Certo, e buonasera a lei”, rispose Marc che solo per averla vista in volto si sentiva già un formicolio nelle parti intime, ed ebbe anche la sensazione come se una bolla d’aria gli stesse salendo dallo stomaco. Iniziarono a discutere delle tempistiche contrattuali, la conversazione era molto tranquilla e scorrevole. Mara si scostò dalla scrivania, sorridendo con malizia mentre parlava, e sul video di Marc le apparve seduta con le gambe accavallate, lo spazio largo lasciato dalla gonna faceva vedere qualcosa anche più all’interno. La bocca di Marc faceva uscire parole inerenti il contratto di cui si stava discutendo a Milano, i suoi occhi erano fissi sulle gambe di Mara, la mano destra cercava il contatto con le sue parti intime, la sua mente cominciava già ad essere come un cavallo selvaggio libero in mezzo alla prateria. Mara non fece caso al cambio di tono di Marc, lei lo guardava fisso in volto e lo ascoltava attentamente in modo da replicare poi nella maniera più corretta. Lei volse un attimo la testa a sinistra sentendo chiudere la porta del suo ufficio. Sorrise, e vista così di profilo, anche solo per un istante, provocò una sensazione di eccitazione ancora maggiore nella mente di Marc.
“Aleja!!”, esclamò all’improvviso Marc in tono alto. Le pulsazioni gli erano salite di colpo e quasi sobbalzò dalla poltrona quando sul monitor apparve accanto a Mara quella ragazza minuta di corporatura, con un giubbino nero in pelle e con i capelli neri corti a caschetto con i tirabaci, la stava guardando di profilo. La si vedeva solo dalla parte alta della gonna in su, visto che stava dietro la scrivania, ma vicina alla medesima, mentre Mara se ne era già discostata poco prima. La ragazza si girò verso il monitor dove stava la telecamera e Marc si avvide che non era certo Aleja, che poi era a Milano e lui lo sapeva, ma la tensione emotiva gli aveva giocato uno strano scherzo. Cercò di riprendere il discorso, ma si trovò per un momento impacciato tra gli ‘ehm’ e gli ‘uhm’...
“Che cosa, dottor Gothelm? Non ho afferrato bene”, disse Mara, anch’essa sorpresa dall’imbarazzo di Marc.
“Oh... emh... sì...”, riprese con difficoltà, “Alea iacta est!”, disse poi deciso avendo avuto quella formidabile intuizione.
“Certo”, convenne Mara, “’Il dado è tratto’, come disse Giulio Cesare... i giochi sono fatti. Sì, ho proprio deciso così per la nostra ultima creazione, e poi... chissà”, continuò lasciando come ad intendere che aveva certe altre idee per il futuro, ma quali? Quella donna lo affascinava sempre di più, e se si aggiunge anche l’apparizione di quella ragazza che gli aveva fatto venire subito in mente la sua ‘mistress’, non è difficile intuire quali pensieri stessero turbinando nella mente di Marc! Quella ragazza lasciò dei fogli e degli appunti a Mara, le due donne si salutarono, poi quella ragazza si voltò di nuovo verso la telecamera e salutò, Marc contraccambiò con un sorriso di quelli che infondono sicurezza.
“Mara, adesso vado a prendere un po’ di pasticcini, ci vediamo direttamente a casa tua... quasi mi dispiace che lunedì rientro a Firenze”, le disse.
“Dai, Rammy... e meno male che Osvaldo ha potuto chiedere delle ferie, si sa, una settimana passa in fretta, e poi ci sono Giacomo e Tullio che non vedono l’ora che ritorni. Dai, ci sarà altra occasione, vedrai... su, a dopo, allora”. Giunta all’uscio guardò sua cugina Mara richiamandone l’attenzione, era fuori dalla visuale della telecamera. Mara la osservò con la coda dell’occhio, e vide che fece un’espressione col viso e un gesto con la mano che significavano ‘Che pezzo d’uomo!!’, e Mara non poté far altro che rispondere con un’espressione rassegnata. Qualche minuto dopo Mara e Marc si salutarono. Lui stette ancora alcuni istanti ad osservare il monitor spento, Mara Berenghi lo affascinava e lo intrigava quasi senza pietà.
“Che donna di talento, che imprenditrice!”, disse Marc tra sé, “Come la vorrei con me... ma figuriamoci, avrà certo una vita privata e sentimentale appagante, un marito che la porta sempre con sé nei circoli dell’alta società romana... figuriamoci se guarderebbe a me, col mio passato sentimentale burrascoso e fatto di fiaschi... e col fatto che non posso avere figli!! Aleja... ti ringrazio che ci sei tu...”. Poi scrisse un appunto su ciò che avrebbe dovuto fare il giorno dopo, sabato mattina, alle 9 esatte, e cioè telefonare ad Hans Bodecker. Quindi, alle 9.30, avrebbe avuto una certa ‘conversazione’ di un paio d’ore circa con Samantha che, come Jennifer, voleva giocare con Marc da ambo i lati, iniziando con il suo lato ‘B’ usando lo strap-on.
Anche Mara guardò per alcuni istanti, come assorta nei pensieri, quel monitor spento: “Va bene, dai”, si disse come per motivarsi, “ancora una mezz’oretta, qualche scartoffia, e poi, aufff... a casa... già.... meno male che ho passato una settimana diversa dal solito”.

Erano quasi le 19 quando la riunione di Milano ebbe termine. Un breve rinfresco e poi ci furono i classici saluti di commiato. Uscirono quasi tutti. Maria Grazia (la socia titolare di Barbara) scese al piano di sotto dove già non c’era più nessuno, mentre Barbara invitò Alejandro a seguirla nel suo ufficio per dargli della documentazione, tra cui diverse visure contabili. Gli diede anche un biglietto da visita dello Studio con il suo numero di cellulare personale oltre agli altri recapiti telefonici e di posta elettronica. Era un ufficio in cui si sentiva un’aria fresca e profumata. Alejandro mise quei documenti nella sua cartella, erano copie che si sarebbe portato in hotel per studiarle meglio. “Bene, allora, dottor Gutierrez”, disse Barbara che voleva salutarlo ma anche trattenerlo ancora un po’, “che mi dice di Milano?”.
“Ho visto ben poco”, rispose lui, “sono arrivato ieri mattina, comunque stamane sono andato al castello Sforzesco”.
“Però... le piacciono i monumenti”, replicò sibillina, “e per quanto riguarda la vita notturna e mondana?”, chiese lei in tono tale da incuriosirlo.
“Non conosco la città, sono appena arrivato...”, rispose, anche se, in realtà, si era già informato su alcuni posti, night-club o privè che gli erano sembrati interessanti.
“Io, domenica sera, con una mia... carissima amica, sarò al ‘Nautilus’, è un locale molto, ma molto interessante, un modo diverso per passare la serata della Domenica di Pasqua”.
“Ah... beh, certo io non posso sapere”, disse Alejandro, anche se quel nome gli diceva già più di qualcosa, ma preferì non darlo ad intendere, era uno dei tre locali che aveva scelto per ‘approfondimenti’.
“Ecco qui”, disse Barbara dandogli una brochure di quel locale.
“Sì, interessante”, convenne Alejandro in tono neutro sfogliando il pieghevole.
“Allora, che ne dice... ci vediamo lì domenica sera? Direttamente al ‘Nautilus’? Sulle 22? OK?”, chiese a raffica per invogliarlo e stuzzicarlo.
“No, la ringrazio, davvero”, rispose restituendo il pieghevole. “Mi rincresce, ma non mi piacciono i locali di questo tipo”, disse mentendo spudoratamente, in realtà aveva già realizzato immediatamente l’idea di andarci, ma non come Alejandro... aveva intuito i gusti di Barbara, e voleva farle una sorpresa particolare, aveva già in mente un’idea folgorante, e se c’era un’arte in cui eccelleva era anche quella di non lasciar trasparire le sue reali intenzioni.
“Peccato”, riprese Barbara, “mi sarebbe piaciuto se fosse stato in mia compagnia, io sono certa che avrebbe gradito... vedendo la sua spigliatezza, il suo modo di fare e pensare... non so, avevo creduto che potesse piacerle... beh, a volte posso anche sbagliarmi. Pazienza, dai... dopotutto, siete venuto fin qui da Chicago per ben altre ragioni. Vi domando scusa se sono stata invadente o inopportuna”, disse infine porgendogli la mano.
“Ma no, grazie comunque del pensiero nei miei riguardi”, rispose Alejandro.
“L’accompagno alla porta”, disse poi Barbara con piglio sorridente. Lo guardava mentre scendeva le scale, scosse la testa un po’ sconsolata. Rientrò e chiuse la porta. “Auff!!!”, sbuffò tra sé sbattendo il piede destro sul pavimento, “Questi ‘big aziendali’, per loro esistono solo il lavoro e gli affari, hanno i paraocchi, ufff..”. Poi sollevò un ricevitore: “Grazia, tra poco chiudiamo, OK?”.
“D’accordo”, rispose lei.
“Ci facciamo una pizza?”, chiese Barbara.
“Vada per la pizza”, rispose infine Maria Grazia.
Alejandro era appena uscito dal portone di quell’edificio e, fatti alcuni passi, si voltò per dare un’occhiata alle finestre del primo e secondo piano. Sorrise in modo malizioso ed intrigante: “Certo che ci vedremo al ‘Nautilus’, Barbara... ci vedremo, sì!”, disse tra sé. Quindi andò al parcheggio dove aveva lasciato la ‘Lambo’, la accese facendola ruggire e quindi tornò all’hotel, non vedeva l’ora di cenare.
L’atmosfera armoniosa e rassicurante della sala del ristorante avevano già contribuito a far stemperare la tensione dovuta alla recente riunione di lavoro. Aveva appena ordinato le bevande ed il menù quando vide il direttore dell’hotel avvicinarsi al suo tavolo.
“Buonasera dottor Gutierrez”, disse, “mi auguro di non essere inopportuno, ma è stata recapitata poco fa questa busta sigillata con preghiera che gliela consegnassi io personalmente, come da indicazioni date dal dottor Gothelm, è scritto qui”.
“Grazie, grazie”, replicò Alejandro prendendo quella busta.
“Per il resto, va tutto bene?”, chiese il direttore.
“A meraviglia, sì, mi trovo magnificamente qui”, rispose Alejandro.
“Ne ho immenso piacere”, chiuse il direttore congedandosi.
Terminato che ebbe di cenare, poco dopo le 21 Alejandro salì alla suite, pose quella busta sullo scrittoio e accese il PC messo a disposizione dell’hotel ed anche il suo, dopo aver inserito l’adattatore alla presa di corrente ed anche il trasformatore. Controllò minuziosamente il contenuto della chiavetta USB, quindi dal suo PC trasferì alla chiavetta alcuni files, e nel farlo sorrideva con la malizia di Aleja. Tolse quindi la chiavetta USB dal suo PC e la inserì in quello dato dall’hotel. Aprì un nuovo documento in ‘Word’ ed iniziò a scrivere qualcosa, dopo 10 minuti salvò il documento nella chiavetta USB. Quindi si collegò ad internet, gli ci volle un attimo per aprire la ‘home-page’ di un certo club-privè di Milano il cui nome gli ricordava qualcosa come le ‘20000 leghe sotto i mari’. La sua eccitazione era forte, si sentiva tremare dentro per l’emozione mentre andava avanti a colpi di ‘clik’ con il ‘mouse’. “Fatto! Perfetto... via!”. Quindi si alzò, si stiracchiò e andò un attimo al bagno. Tornò nella stanza, si avvicinò allo scrittoio e prese la busta sigillata che aveva ricevuto prima al ristorante. Con cautela l’aprì, vide il contenuto e quasi si sentì mancare dalla gioia. “Marc!”, disse tra sé quasi commosso, “Non ci posso credere... ma è fantastico! Per Mercoledì 23 Aprile, inizio ore 21... formidabile... e so ben io cosa fare”, continuò tra sé col viso che era un’espressione di gioia mista a malizia e seduzione. Tornò al bagno per farsi una doccia, quindi si mise in pigiama. Stava quasi per coricarsi, erano le 22.50 circa, quando sentì un certo richiamo sonoro dal PC dell’hotel. Fece un balzo e andò subito a vedere, la sua casella di posta elettronica ‘particolare’ era ancora aperta, ed era appena entrato un messaggio. Vide il mittente, la sua mano tremava mentre muoveva il mouse per clikkare su quel nuovo messaggio. Lo aprì, e la sua espressione divenne un qualcosa di indescrivibile: “Wow!!! Wow!!!!”, si disse entusiasticamente, “Sì!! Sì!! E vai!!!”. Non ci pensò un solo istante per rispondere al mittente per dire che era tutto OK. Chiuse la connessione internet e spense i computer. L’ultima cosa che fece per quella giornata prima di andare a letto fu quella di aprire l’armadio e la valigia con certi suoi effetti personali la cui combinazione a 4 cifre, 6969, non era difficile da tenere a mente per uno come lui.

Il giorno seguente, qualche minuto prima delle 9, ora di Chicago, Marc digitò un numero di telefono che fece squillare un cellulare a Monaco di Baviera, in Germania. “Guten morgen, mein freund!”, rispose qualche secondo dopo una voce chiara e limpida.
“Und guten tag zu ihnen, Hans”, rispose Marc contraccambiando il saluto, augurandogli però ‘buon pomeriggio’ anziché ‘buon giorno’, visto che in Germania erano quasi le 16. Ed iniziò una simpatica conversazione in tedesco.
“Karl Schneider ed Enrica Tramassini hanno avuto un’ottima impressione di Alejandro, vorrei poterla avere anch’io di persona, prima o poi... dell’altra sua versione però”, disse Hans Bodecker che la sera prima aveva telefonato a Karl.
“Mai dire mai...”, riprese Marc, “come ci si sente vicini ai 50 ed essere in gran forma come un ragazzo? Forza, nonno Hans...”.
“Sei sempre il solito simpaticone, Marc, ma guarda che ne compio 49... ai 50 arriverò a Maggio 2015, dai, c’è ancora tempo...”, rise Hans.
“E’ vero, sono un po’ distratto”, disse Marc, “questo contratto così importante mi sta prendendo anima e corpo, soprattutto la controparte che lo firma, e l’intermediaria notarile che ben conosciamo”.
“Già, la bella Barbara Garmizzese! Però! Conosciamo due ‘Barbara’, ed entrambe dominanti”, disse poi Hans che aveva incanalato con Marc un discorso ben più interessante degli affari aziendali.
“A proposito, come stanno le nostre tre stelline della graziosa boutique alla stazione centrale? Ti piace far colazione con loro due volte alla settimana, eh?”, lo stuzzicò Marc, “E, poi, lasciando Sandra a casa a dormire, vero? Furfantello...”.
“Ah ah ah ah... immagino che non sei andato al tuo ufficio solo per telefonare a me, credo che dopo farai una piacevole navigazione attraverso dei canali uterini”, disse Hans.
“Ma no, lo sai che sono un bravo ragazzo”, replicò Marc, “in questa occasione sarò con Samantha che, dopo aver giocato con la mia parte migliore, la prua, spingerà il siluro dritto dentro l’oblò posteriore di poppa, per fortuna si tratta di un siluro che non ‘esplode’”.
“Ah ah ah, buona questa... Samantha? Graziosa... ma non dirmi che sei in versione ‘Valery’ in questo momento, guarda che esco fuori dal tuo cellulare e ti incravatto”, continuò Hans.
“Spiacente di deluderti... ma la tua ‘creazione’ dello scorso Ottobre non si esibisce oggi... mi viene ancora da ridere se penso a quel pomeriggio, con te e Sandra, in quel sexy shop a Monaco... siete stati carini a regalarmi il corredo di base”, disse Marc.
“E due giorni dopo hai fatto colpo anche su Barbara Garmizzese nell’incontro a casa di Martina... incredibile, quel pomeriggio, un incontro a 7! Per non parlare della sera all’Oktober Fest, sei stato unico, per non dire matto, a presentarti come Valery assieme a Martina e Kristen”.
“A proposito, come stanno?”, chiese.
“Per Kristen tutto tranquillo e normale. Martina, invece, si sposa a Settembre o a Ottobre, però il tipo con cui sta non mi convince molto, non mi fa una buona impressione, e nemmeno alla piccola Barbara”.
“Speriamo bene”, disse Marc, “visto come stanno le cose, credo proprio che da Giugno le vedrai una mattina in più durante la settimana”.
“Certo, avrò da prendere una volta alla settimana anche il treno per Norimberga, almeno finché non si avvieranno correttamente tutte le procedure contrattuali, e credo che dovrò seguire la produzione e il controllo qualità almeno per un paio d’anni, essendone il responsabile per la sede centrale della ‘Zimenx’, eh già, altra fatica che mi è stata imposta...”, disse poi ironicamente.
“Mandami qualche foto dei vostri incontri recenti”, chiese Marc, “io ho preparato delle foto e anche qualche video da inviarti con Jumbo-mail oppure ti spedisco per posta una chiavetta criptata con codice, che ne dici?”.
“Come preferisci tu, Marc”, rispose Hans.
“D’accordo, a presto allora, e salutami i tuoi, un bacio a tutte le tue donne, e anche a mamma Margareta... mi raccomando”, disse Marc quasi sottolineando le parole.
“Tranquillo.... ti abbraccio, almeno per tre quarti, abbi cura di Valery e anche di Aleja”, lo salutò Hans.
“Abbi fiducia, un abbraccio anche a te”, e chiuse la conversazione. Qualche minuto dopo sentì suonare all’ingresso, premette un pulsante ed aprì. Dal rumore che echeggiava nel corridoio Marc intuì di colpo che Samantha indossava gli stivali texani con il tacco robusto, il suo gingillino si stava già gonfiando. Appena Samantha aprì la porta del suo ufficio vide che non si era sbagliato.

Quel sabato a Milano passò veloce per Alejandro, ne aveva approfittato per visitare il museo di Leonardo da Vinci, al mattino, mentre al pomeriggio aveva fatto qualche prova di intimo oltre ad aver messo assieme dei files MP3 che avrebbe spedito alla sera a un certo indirizzo di posta elettronica.
Domenica 20 Aprile era Pasqua. Al mattino Alejandro si recò a visitare il Duomo, nella pausa tra le funzioni mattutine. C’erano molte persone, e rimase estasiato da tutte quelle sagome appuntite in stile gotico che davano una sensazione di forza, potenza ed innalzamento verso il cielo. Entrò dentro, le arcate e navate interne gli apparivano come un qualcosa di maestoso. Dieci minuti dopo uscì per una passeggiata nei dintorni. Il pomeriggio passò veloce, alle 19 fece un’ottima doccia, si divertì con l’epilatore professionale (anche se il trattamento che aveva fatto non lo rendeva praticamente più necessario) e alle 20 era pronto per iniziare la trasformazione. Con molta pazienza e cura, verso le 21 si trasformò in un’Aleja in cui nemmeno per lui era possibile riconoscere alcuna traccia di Alejandro. Badò bene che l’intimo sui genitali fosse tale da contenere le eventuali erezioni, per ciò che aveva in mente era di assoluta importanza che il gingillino non si manifestasse. Si guardò nello specchio grande dell’armadio, in cui poteva ammirarsi in tutta la sua figura, e ne fu fiera.
I suoi caratteristici capelli a caschetto con i tirabaci ben appuntiti e portati in avanti facevano sì che del volto di Alejandro nulla potesse essere riconoscibile, e a giovare al gioco stava quel rosso acceso sulle labbra che conteneva quel suo sorriso smagliante di denti candidi. Mise un contorno occhi fucsia invece dell’azzurro, e sul corsetto in pelle nero che aveva scelto per l’occasione spiccavano in linea centrale dei bottoncini con una specie di brillantino al centro, anch’esso di color fucsia ametista; nella parte alta aveva due belle coppette reggiseno 4° misura imbottite, sotto le quali aveva inserito delle protesi di ottima fattura, e il tutto era coperto alla perfezione. Il baby-doll con i reggicalze era ben assicurato sotto il corsetto, e per la minigonna, che comunque arrivava a mezza spanna sopra il ginocchio, aveva scelto quella nera in pelle ma senza le balze. La cinturona era quella classica, con fibbia color oro e catenelle ai fianchi, e le autoreggenti erano velate nere con ricamati cuoricini e diavolette sexy, cioè le tipiche che le piacevano di più. Quindi, a scendere, s’imponevano tosti sul pavimento i suoi stivali neri in pelle al ginocchio con zeppa da due pollici, tacchi da 5 pollici e cerniera dorata esterna. A tutto facevano da cornice un paio di guanti in raso nero lunghi oltre il gomito con braccialetto dorato a tre giri, tipo serpentello, per ambedue i polsi. Decise di mettere la collana di brillanti a due giri a pendente centrale con ametista incastonata che faceva completo con gli orecchini i cui pendenti, tre per ciascuno, scendevano quasi fino all’altezza dei tirabaci, contribuendo ancora di più a coprire qualsiasi traccia di Alejandro. Per finire, su tutto svettava il vistoso cappello nero da sceriffo, con una stella dorata in mezzo. Si fissò per bene e si mandò un bacio con un soffio. Se Jennifer e Samantha, che ben lo conoscevano, non si erano accorte subito che si trattava di lui durante l’incontro di due settimane prima, figuriamoci se poteva essere riconosciuto da qualcuno che lo aveva visto per la prima volta due giorni prima e solo per qualche ora. Si guardò ancora allo specchio sorridendo e strizzandosi l’occhio. Indossò un cappotto nero in pelle con risvolto in doppio petto, lungo fino al ginocchio, e con un collo di pelliccia in ‘volpe argentata’, ma di tipo ecologico. Lo abbottonò e ne strinse la larga cintura in vita. Spense il cellulare di lavoro e lo pose in un cassetto, e quindi accese quello personale di ‘Aleja’ e lo mise nella borsetta Louis Vuitton, anch’essa nera, in pelle. Poi spense le luci e uscì dalla suite. La privacy era garantita, dopo il pranzo aveva chiesto al direttore il percorso da fare per non incontrare gente prima di arrivare al parcheggio (senza entrare nei dettagli di ciò che voleva fare), e a passo deciso e sicuro si avviò per quel corridoio. Giunse rapida al parcheggio, si guardò un attimo attorno, non c’era nessuno nei paraggi. Premette un tasto del telecomando e la portiera lato guida si aprì, quindi pose il piede destro sul pianale della ‘Lambo’ e si sedette al posto di guida. Fece un breve esercizio con i pedali, regolò il sedile, inserì la chiave, accese i fari e quindi il motore. Allacciò la cintura di sicurezza e partì. Fuori dal parcheggio s’immise nel traffico milanese della domenica sera, era abbastanza scorrevole. Erano le 21.15, e mentre dallo stereo Donna Summer cantava ‘Needs a man blues’ Aleja premette il piede sull’acceleratore, con la dovuta grazia, ed iniziava così la sua prima avventura milanese notturna, con meta il ‘Nautilus’.

* * * F I N E P R I M A P A R T E * * *

Nota: racconto di pura fantasia, per le cui note di chiusura in merito si rimanda alla FINE del medesimo. Per errori, o palesi inesattezze, mandatemi un messaggio, vi assicuro che non è stato molto semplice da scrivere.
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