Lui & Lei
Il segreto di Valery
di LittleMargot
30.06.2017 |
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"I loro due figli, Matthew nato nel 1799 e Fredrick nato nel 1801 fondarono la fabbrica di armi il 5 Marzo 1838..."
Sabato 17 Maggio 2014 Alejandro si destò pigramente alle 9 del mattino, e con aria assonnata andò a farsi una doccia prima di prendere il caffè. Non aveva voglia di fare colazione, il pensiero andò a Marc, se lo immaginava stringere qualcuna delle sue donne nel grande letto della stanza attigua al suo ufficio. Stavolta, però, Marc era impegnato a stilare le direttive per la riattivazione dell’insediamento di Boston mentre Jennifer, dall’altro lato della scrivania, stava preparando un sunto del contratto e del brevetto di recente acquisito. Ogni tanto si guardavano con seducente malizia, ma non c’era il tempo di giocherellare come avrebbero entrambi voluto.Alle 10 uscì per una breve passeggiata, di sfuggita salutò Samuel e, dopo aver fatto una piccola spesa di alimentari tornò a casa che erano quasi le 11. Accese il PC e si collegò ad internet per scaricare la posta, erano 6 giorni che non si collegava, ed infatti ricevette parecchi messaggi, in buona parte pubblicitari.
“Serve a ben poco il filtro antispam, ti trovano sempre, alla faccia della ‘privacy’”, iniziò a mormorare. Lesse un messaggio di Marc inviatogli la sera precedente, sul tardi: “mi entusiasma ancora il pensiero della tua giornata con Angela Robinson. Una nota: bella l’idea della canzone MRS Robinson, ma nel film con Dustin Hoffman MRS Robinson si chiama così perché è il cognome del marito”. Risposta veloce: “vero, lo so, ma a volte, anche se non coincidono tutti i particolari, è l’idea che conta, mi è venuta di getto. Ti mando una stuzzicata con lo strap-on, ci vediamo lunedì”. Tra i vari messaggi ce n’era anche uno di Barbara Garmizzese, glielo aveva inviato Lunedì 12. Lo aprì e lesse, in breve gli raccontava del super fine settimana appena trascorso con Mara Berenghi e che sarebbe stato bellissimo potersi incontrare tutte assieme con ‘Aleja’. Sorrise, poi lesse il ‘post scriptum’: ‘come sono venute le foto nostre?’. Ad Alejandro si fermò il respiro, non le aveva ancora scaricate dalla macchina fotografica nonostante Barbara glielo avesse rammentato al telefono alcuni giorni prima del messaggio che aveva appena letto. Detto e fatto, scaricò le foto e le mise in una cartella apposita, ‘Italy-2014-April’, erano davvero tante, e le suddivise in altre cartelle visto che con Barbara aveva visitato anche Roma, Venezia e Trieste. Guardò subito quelle scattate nell’intenso fine settimana passato con l’affascinante Barbara in quelle tre città, e mise da parte un paio di foto particolari fatte a Roma, quelle in cui aveva immortalato il marito di Mara Berenghi assieme al professor Gozzi. Guardando le foto di quei tre bellissimi giorni riviveva nuovamente le stesse emozioni, e avrebbe voluto essere ancora con Barbara in quella macchia d’alberi presso Trieste per farsi prendere da lei, e nel suo immaginario vedeva anche Aleja prendere Barbara e farla sua, pensieri questi che gli stavano provocando un forte gonfiore dentro la parte alta dei pantaloni. Poi passò in rassegna le foto che aveva fatto a Milano nel suo breve giro turistico al ‘Castello Sforzesco’. “E questo alone cos’è?”, borbottò guardando la foto della fontana. Nella foto appariva una strana chiazza appena delineata in trasparenza, come uno strano alone di luce. Alejandro ingrandì quel particolare, sorrise nel vedere che parevano le sagome di due persone sedute affiancate sul bordo della fontana, e sulla testa di una sembrava ci fosse qualcosa, come un cappello. “Che strano gioco di luci”, disse mentre alle sue spalle un’invisibile presenza sorrideva benevola accarezzandogli la schiena provocandogli un brivido improvviso, come se il suo subconscio avvertisse qualcosa, ed era così, ma ancora non lo sapeva, l’importante era che lo sapesse l’entità che gli stava vicino e che avrebbe desiderato rendersi visibile ai suoi occhi come qualche settimana prima, ma non era quello il momento. Ad un certo punto ebbe un sobbalzo, e fu quando vide le foto che aveva scattato all’interno della stazione centrale di Milano la sera prima del viaggio di ritorno a Chicago. “Ma cosa significa?”, si chiese spaesato, “Io non ho fatto questa foto, dov’è l’insegna? La ricordo bene... ‘L.M. Wizard’, ma qui sembra una cosa abbandonata, possibile che mi sia sbagliato ed abbia fotografato altro? Eppure l’ho visto bene quel negozio, lì ho comprato la bambola di ‘Margot’, e non posso dimenticare quella donna ultraeccitante...”, e sentì lungo la schiena un brivido di dolce eccitazione, stavolta Lady Margaret non volle dargli un pizzicotto, si sentiva piacevolmente lusingata dalle parole della sua antica amica che ancora non poteva sapere chi fosse stata in passato e dei suoi attuali poteri medianici ed esoterici. Fece un file ‘zippato’ in cui inserì le foto fatte assieme a Barbara e lo allegò in risposta al messaggio che aveva ricevuto da lei, quindi le scrisse poche ma eccitanti righe, oltre a chiederle di verificare un certo negozio alla stazione centrale e lo inviò. Preparò un pranzo piuttosto corposo e poi decise di dare una buona controllata, non superficiale come la domenica appena trascorsa, a ciò che stava nella cassa datagli da Marc. Pose di lato il libro che aveva già sfogliato, sulla tenuta dalle parti di Yuma, ed anche gli album di foto. Rimase sorpreso quando si trovò tra le mani dei libri inerenti la vecchia fabbrica di armi a Boston, quella che Marc stava riattivando per convertirla ad altra produzione. C’erano dentro delle vecchie foto. Una ritraeva due giovani ragazzi, sul retro era scritto Fredrick e Paul O’Brien con la data del 20 Febbraio 1868 nel loro 16° compleanno; un’altra riportava la figura di un uomo elegante, dall’aspetto aitante, che teneva in mano un violino, e dietro c’era scritto ‘Francis, per i tuoi 50 anni, ascoltando con amore dolci melodie, Dorothy, 16 Giugno 1880’. Leggendo di fretta il prologo di uno di quei libri capì che si trattava di Francis O’Connor, l’allora padrone della fabbrica di Boston. Un’altra foto ritraeva una bella ragazza certamente bionda e toccandola Alejandro provò ancora la sensazione della stretta alle spalle; la girò, era scritto ‘Patricia O’Connor, 22 Maggio 1870’. Un’altra foto ritraeva due bambine, una aveva pochi anni, l’altra forse 10, e il retro riportava ‘i nostri gioielli Angela e Vittoria O’Connor, 15 Aprile 1865’, una data che fece rabbrividire Alejandro, quella foto che rappresentava un bellissimo ricordo di famiglia era stata scattata lo stesso giorno dell’assassinio del presidente Abraham Lincoln. In un’altra foto c’erano due giovani uomini e una ragazza che pareva poco più che ventenne, e dietro era scritto ‘William, Robert e Vilma Evert, San Francisco, 3 Luglio 1905. “Ma questo è...”, e rimase sbalordito, “un albero genealogico, e fogli dattiloscritti con nomi e date, interessante!”. Vide che era stato preparato tra Settembre ed Ottobre del 1980, infatti c’era anche il nome di Marc. Si commosse vedendo che era una ricerca fatta fare da Otto Gothelm, il padre di Marc. “Ma per quale motivo ha nascosto tutte queste cose in quella fabbrica abbandonata?”. Lesse con pazienza, e riuscì a dare un significato anche a parecchie delle foto che aveva guardato. Capì che l’avventura industriale della famiglia di Marc era iniziata nel 1797 quando il 25 enne Gregor O’Connor assieme alla moglie Melania, di 2 anni più giovane, aprì una bottega di arrotino a Boston per poi accrescere il suo patrimonio anche con una certa dose di fortuna ed oculatezza nell’ampliare la sua attività. I loro due figli, Matthew nato nel 1799 e Fredrick nato nel 1801 fondarono la fabbrica di armi il 5 Marzo 1838. “Peccato che non si è potuto immortalare quell’inaugurazione”, disse Alejandro, “la fotografia nacque l’anno dopo, in Francia!”. Notò che Fredrick passò a miglior vita nel 1853 a causa di una polmonite, e Matthew nel 1883. Poi vide una cosa che lo sorprese: “Guarda un po’... Matthew O’Connor ebbe un solo figlio, Francis, nato nel 1830, e questi ebbe solo 2 figlie, Angela nata nel 1855 e Vittoria nata nel 1860, non ebbe figli maschi. Invece Fredrick ebbe 2 figli maschi, Kenneth, detto Ken e Jason... oh, che triste destino! Ken nacque nel 1827 e morì nel 1856, lasciando così la giovane moglie di 23 anni, Margaret O’Brien, detta Lady Margaret, con i suoi due figli, i gemelli Fredrick, stesso nome del nonno, e Paul nati nel 1852... poveri bimbi, avevano solo 4 anni! Jason, invece, nacque nel 1821 e morì nel 1863, ebbe una sola figlia, Patricia O’Connor, nata nel 1845, che ebbe 3 figli, William nel 1876, Robert nel 1879 e Vilma nel 1883. C’è un appunto su Patricia O’Connor, vediamo... ha ricoperto la carica di sceriffo a Togram City dal 1870 fino all’11 Maggio 1873, che precisione, e che... oh diamine! Strana coincidenza! Quindi Patricia morì nel 1910 a San Francisco”. Alejandro cominciò a scrivere alcuni appunti di promemoria, non si rendeva conto del tempo che passava veloce. Si ritrovò tra le mani un foglio che altro non era che la copia conforme di un atto notorio registrato presso la segreteria della municipalità di Boston nel 1870, atto con cui i gemelli Fredrick e Paul O’Connor, appena 18enni, decisero di assumere il cognome materno, O’Brien, e quindi entrarono a lavorare nella fabbrica di Boston, con Francis O’Connor che vedeva in loro due il futuro dell’azienda. Fredrick O’Brien ebbe 3 figli, Neil nel 1878, Jeff nel 1882 e Jacqueline nel 1887; tutti e 3 si sposarono quando venne il loro momento, ma solo Jeff ebbe figli maschi e continuò la stirpe. Paul O’Brien si sposò ed ebbe 2 figlie, Paula e Brenda, che mai si sposarono. “Ed ecco un altro atto notarile: nel 1900 Francis O’Connor, che quindi era il cugino di Lady Margaret O’Brien in quanto vedova di Ken O’Connor, intestò l’azienda di famiglia a Fredrick O’Brien che morì nel 1935, un anno dopo il suo gemello Paul”. Alejandro era stanco, ma entusiasmato dalla ricerca che stava facendo. Da quelle carte rilevò che Jeff O’Brien prese in mano le redini dell’azienda il 1° Luglio 1924, e già da 22 anni era sposato con Wendy dalla quale ebbe due figlie: Carol, nata nel 1903 e Melany nata nel 1908, il nome O’Brien era destinato a fermarsi con loro. “Questa poi... Carol nel 1930 andò in Europa per affari, più precisamente a Berlino e a Londra, e qui conobbe il giovane Wolfgang Gothelm, nato nel 1901, funzionario dell’ambasciata tedesca a Londra! Wolfgang e Carol si sposarono qualche anno dopo, e questa linea tratteggiata... eh! Wolfgang era birichino! Aveva un’amante, Veronika Braun, e così ha avuto due figli, uno da Carol e uno da Veronika! La passione per le donne ha radici remote nella famiglia di Marc, il DNA non mente, però credo che Marc li superi tutti... per fortuna c’è Aleja a controllarlo un po’!”. Girò la pagina. “Ecco qui, ma lo sapevo già: Wolfgang e Carol ebbero un figlio di nome Otto, nato nel 1938 a Stoccarda, sposato a Berlino nel 1966 con Kristen, pure lei nata e cresciuta a Stoccarda, e nello stesso anno emigrato con lei negli Stati Uniti...”, una breve pausa e poi riprese con simpatica enfasi: “Otto Gothelm, autore e promotore di queste ricerche araldiche nonché padre del piccolo Marc, nato l’11 Maggio 1973, di Karl nato nel 1976 e di Frank, nato nel Febbraio 1980 e con cui ho parlato al telefono l’altro ieri, se la passa tranquillante lui a Houston! Chissà come si troverà invece Angela Robinson a Philadelphia con un direttore come Karl, è uno spasso, non per niente siamo coetanei!”. Girò un altro foglio: “Ma qui c’è una breve continuazione! Allora, vediamo un po’... Veronika Braun, impiegata dell’ambasciata tedesca a Londra, ah... ebbe una figlia, Margaret, nata il 5 Marzo 1938 ovviamente a Londra, non si cita il nome del padre, chissà, però... toh, Veronika non fece più ritorno in Germania! Chiese ed ottenne, nel 1950, la cittadinanza britannica, ah brava!!”. Notò delle parole scritte in piccolo sotto il nome Margaret appena letto: “’12 ottobre 1980, un fiume di lacrime non potrà mai colmare il vuoto che lasci’... oh, dev’essere stata una storia molto triste! Beh, tiriamo le somme, ecco qua: facendo le linee dirette andando indietro nel tempo, il mio super titolare Marc è figlio di Otto Gothelm che è figlio di Wolfgang Gothelm e Carol O’Brien, quest’ultima è figlia di Jeff che è figlio di Fredrick che a sua volta è figlio di Lady Margaret O’Brien!”. Alejandro si bloccò di colpo, si mise a frugare di nuovo tra i libri e gli album di foto e ritrovò l’articolo di giornale del ’Boston Globe’ del 23 Ottobre 1915 e lo rilesse nuovamente, con più attenzione di 6 giorni prima, fissò in mente la data del fatale incidente, 11 giorni prima della pubblicazione, e gli sembrava di vedere quella tragica scena sotto i suoi occhi. Cercò di stemperare la tensione sfogliando i vecchi album di foto, ma, quando in una di esse gli apparve quella che ritraeva una donna sulla quarantina, sorridente e dall’aspetto gagliardo e fiero, con i capelli corti a caschetto con i tirabaci, i guanti neri, la mantella nera e gli stivaloni neri alti quasi fino all’inguine le sue palpitazioni salirono a 1000! Le sue mani tremavano e, con i brividi che gli percorrevano la schiena, lentamente girò la foto. Appena lesse il nome, sobbalzò: “Lady Margaret O’Brien! Ma... ma... è lei che ho incontrato in quello strano negozio a Milano! Non è possibile, io devo farmi visitare da uno bravo, io sto sognando!”, e si diede un pizzicotto mentre un’invisibile presenza di due bellissime donne sorrideva amoreggiando e volteggiando nel magico etere di quella stanza. “Qui c’è anche una dedica: ‘al mio amico sceriffo Carlos Fernandez, nel ricordo di una mia impresa notturna, con affetto e malizia, la tua dominatrice in nero, 15 Settembre 1873’”. Rovistò ancora in quella cassa, pareva non volesse mai avere fine. Trovò un ritaglio di una specie di giornale locale di Tucson, portava la data del 18 Maggio 1873, e parlava di un’incredibile rapina accaduta a pomeriggio inoltrato della domenica precedente, l’11 Maggio, della scomparsa della ‘sceriffa’ Patricia O’Connor e del fatto che il sindaco James Worthon non era per niente turbato e che non voleva commentare l’accaduto. “Worthon... eppure questo nome l’ho già sentito, ma non riesco a connettere...”, quindi ebbe un flash, “Ma, come sarebbe... allora Marc è nato esattamente 100 anni dopo quella rapina, e a Milano quella donna, accennando al compleanno di Marc, ha detto ‘buon sangue non mente’. Ma come posso aver parlato con Lady Margaret, se... e le visioni, le foto strane...”. D’istinto prese la sua agenda telefonica, e guardò i segnalini che aveva sistemato quando gli era caduta nella stanza d’albergo, e vide che quelli da lui sistemati corrispondevano alle lettere B, L, M, O, e le lesse nell’ordine che aveva appena deciso: “è chiaro... Lady Margaret O’Brien! Era un segnale... ma di cosa?”, roteò la testa come per cercare qualcuno, “Sei qui, è vero? Perché non ti fai vedere come a Milano?... ma cosa sto dicendo, cosa sto facendo... io sono pazzo, io ho bisogno di riposo... non può essere vero tutto ciò!”. Riprese la foto che ritraeva Lady Margaret, gli sembrava che stesse sorridendo proprio a lui: “Quanto eri bella, quanto sei bella, se tu potessi essere qui, io ti prenderei e... aaahhh...”, avvertì un brivido e un’eccitazione al gingillino. Si alzò e, barcollando, andò a distendersi sul divano. Fece per alzarsi, ma sentì che una forza misteriosa gli premeva le spalle. Mosse rapido il braccio e si slacciò i pantaloni, con l’altra mano reggeva la foto di Lady Margaret: “non ci so resistere...”, e fece per portare la mano sul gingillino che si stava gonfiando, ma sentì uno strano formicolio, come se il braccio fosse inerte, e la mano non raggiunse l’obiettivo, tuttavia sentì l’eccitazione crescere sempre di più, si sentiva come se una mano o una bocca invisibile lo stesse masturbando in maniera afrodisiaca. “Ooohhh! Ooohhh!...mmmhh.. mmmhhh...”, e si dibatteva per cercare di resistere e trattenersi più che poteva. Dopo 10 minuti l’eccitazione era al massimo, e il suo giocattolo esplose in un orgasmo con degli spruzzi talmente forti che lui non avrebbe mai immaginato potessero arrivare così in alto. Si quietò, e dopo qualche minuto si avvide che era giunta la sera. “Grazie, Lady Margaret! Grazie!”, disse semplicemente.
“Prego, non c’è di che”, avrebbe voluto rispondere lei apparendogli come a Milano, ma era troppo impegnata a tenergli ferme le spalle. Lolita Montero lasciò l’ectoplasmica presa di quel bel gingillino, quindi le due bellissime presenze si guardarono, si fusero l’una nell’altra e tornarono in meno di un istante al loro rifugio segreto. Alejandro poi si fece un tè con una fetta di dolce, e andò a letto.
“Aaahhh... mmmhhh...”, si lamentava di piacere nel sonno, vedendo Lady Margaret e Barbara Garmizzese che si prendevano cura di lui in un magnifico giardino in cui scorreva un ruscelletto d’acqua limpida che formava un piccolo laghetto. Vedeva la sua erezione crescere sempre di più, a dismisura, il suo gingillo aveva le dimensioni di una mazza da baseball con cui le due magnifiche donne stavano giocando una partita all’ultimo respiro. “Ohmmhh... ahhh... sììì...”, mugulava nel vedere che si stavano accapigliando per contendersi l’oggetto del desiderio, rotolavano una sopra l’altra dimenandosi senza esclusioni di sexy colpi a pizzicotti, baci in bocca e sui capezzoli, finché Lady Margaret ebbe la meglio, terminando quella lotta erotica stando sopra Barbara ed avvinghiata a lei in una maniera strana, da poter afferrare quell’enorme cetriolo tra i suoi stivaloni neri in pelle mentre Barbara lo incitava e si inarcava ritmicamente sotto la vincitrice, fino a farlo girare sul fianco per mettergli un dildo nel posto giusto. Un tremore improvviso, e il godimento di piacere giunse al massimo, e con esso anche il poco gradito risveglio. Alejandro guardò la radio sveglia, erano le 2.38 e, sentendo qualcosa di bagnato tra le cosce, accese l’abatjour, quindi si alzò ed andò al bagno camminando con le gambe sensibilmente divaricate. Poco dopo, tornando a letto, gettò un’occhiata sulla scrivania, dove aveva lasciato aperto l’album con in evidenza la foto della superba Lady Margaret O’Brien. Si avvicinò per guardarla a fondo, la sentiva viva e presente accanto a lui. Prese l’album e poggiò le labbra su quel volto per darle un dolce bacio, e avvertì un fremito di freschezza lungo il corpo, così come lo avvertì la destinataria di quel bacio che, a centinaia e centinaia di miglia di distanza stava facendo all’amore con la sua secolare partner. Chiuse l’album, s’infilò nel letto e smorzò il lume, per un dolce sonno continuato e tranquillo fino alle 10 del mattino.
“Dev’essere stato tutto un sogno... anche quello che mi è successo ieri sera prima di andare a dormire, certo... sognavo di essere sveglio e non mi accorgevo che stavo dormendo, non c’è altra spiegazione”, disse tra sé, senza però tanta convinzione, iniziando quella domenica con un’aria più stralunata che mai.
Fatta colazione si vestì alla meno peggio, non aveva nemmeno pensato a radersi il viso, il suo pensiero era ancorato al contenuto di quella cassa, avendo ricordato un oggetto particolare. Prese quella specie di tubo in legno, che era ricavato da un pezzo unico intero, ma che ad un’estremità doveva essere aperto e che poi era stato sigillato, questo gli suggerivano quelle bordature che parevano di cera secca o resina. Prese un taglierino, ma si fermò. “E se faccio danni?”. Non ci pensò due volte. “Lo stabilimento è a ciclo continuo, è sempre in funzione 24 ore al giorno tutti i giorni, festivi compresi, e perciò anche il laboratorio... OK, si parte”. Si sistemò alla meglio, quindi si guardò allo specchio: “Ma sì, vado bene anche così”, indossò un leggero giubbotto di jeans e scese al garage, la sua Porsche partì briosa.
“Qual buon vento di domenica, dottor Gutierrez?”, chiese l’addetto alla portineria.
“Buongiorno Simon, vado al laboratorio, chi c’è di turno?”.
“Ci sono il dottor Ramirez e la dottoressa Barnes, e come assistenti, adesso guardo”.
“OK, OK”, salutò veloce Alejandro allungando il passo con la sua ampia valigetta 24 ore. Incrociò un paio di persone prima di arrivare alla porta del laboratorio. Bussò: “è permesso?”.
“Alejandro”, lo salutò Hernando Ramirez, “guardate un po’ chi c’è!”, disse verso gli altri, una donna e due giovani praticanti freschi di college che, per educazione, non si spostarono dalle loro postazioni di lavoro.
Alejandro aprì la valigetta, tirò fuori quel particolare oggetto e spiegò ad Hernando di cosa si trattasse e che ciò che gli stava chiedendo era un piacere personale. “Capisco, temevi di fare danni, ma Susanna ha le mani d’angelo, per questo sei venuto qui, vero?”.
“Certamente”, sorrise Alejandro a Susanna Barnes, una bella ragazza di 30 anni, media statura e corporatura snella, seni di buona misura e capelli castani, con un marito molto geloso che però, quando lei era di turno alla domenica compreso il pomeriggio, andava sempre a farsi un giro per la città col figlioletto di 4 anni se non c’era una partita di basket che lo attirasse al punto di preferire di starsene a casa incollato alla televisione. Susanna era attraente anche con il camice bianco da laboratorio e gli zoccoli da ‘ospedale’. Guardò bene quel tubo, lo annusò, e con un bisturi affilatissimo contornò la bordatura, muovendo la mano lentamente e con movimenti sinuosi. In breve lo aprì, Alejandro aveva intuito giusto, era una specie di coperchio saldato con quella resina. Inclinò il tubo sopra un tavolo col ripiano di acciaio inox, cominciò ad uscire della polvere scura, come se fosse del talco grigio scuro e marrone. Scuotendo un po’ più forte ne uscì un anello con una piastrina al centro, e il tintinnio era limpido e genuino.
Alejandro lo prese tra le dita: “Questo è oro, non ci sono dubbi! E qui, sulla piastrina, è scritto M.G., mah!”. Dal tubo fece poi capolino un rotolo tinta crema e beige. Alejandro avvicinò la mano.
“Aspetta!”, disse Susanna. Prese delle pinzette morbide ed appena lo ebbe estratto, con mano ferma iniziò a srotolarlo. “Si direbbe una pergamena, molto vecchia... idea!”. Prese una boccetta da uno scaffale, girò quel coperchio in modo da mettere in risalto la faccia interna e ci mise sopra alcune gocce di quella sostanza, quindi l’attenzione dei tre tornò al rotolo di pergamena. Tutto sommato era abbastanza lungo, e apparvero delle frasi scritte in modo elegante, quasi artistico, a gruppetti di tre in tre, e di colore brunastro, e sfumature di brunastro e chiazzette ce n’erano sparse ovunque.
“Cosa c’è scritto?”, chiese Alejandro.
“Non saprei”, rispose Hernando avvicinando il viso alla pergamena, “non è scritto in inglese, e non è nemmeno spagnolo o portoghese, direi che è scritto in italiano, ma non ci capisco un accidenti”.
“Figuriamoci! Anche se sono stato 2 settimane in Italia e ho un diamante nel cervello, credo sia troppo anche per me”, disse Alejandro guardando Susanna.
“Non contate su di me”, replicò subito Susanna alzando le mani.
Alejandro ebbe un’idea: “Si può in qualche modo fotografare questo papiro o pergamena che sia, oppure scansionarla senza rovinarla?”.
“Direi di sì, e... caspita!”, esclamò Hernando guardando la reazione di quella sostanza sul coperchio di legno.
Susanna prese un’altra sostanza in polvere, una striscia di una carta o tessuto speciale, così era parso ad Alejandro, e con quella toccò le gocce che aveva messo sul coperchio: “è un esame molto approssimativo, ma questo coso qui non può avere meno di 500 anni, di più sì, ma di meno no!”, parole che sbalordirono Alejandro. “Prima di scansionarlo faccio un piccolo prelievo da queste chiazzette brunastre. Guarda un po’, nessuna chiazzetta sulle parole, meglio così!”. Quindi Hernando portò il coperchio di legno sotto il microscopio elettronico, e scattò una serie di foto, quindi fece anche un paio di radiografie nel bunker sotterraneo, e ne prelevò una piccola scheggia.
Mezz’ora dopo Alejandro uscì dal laboratorio, nella valigetta aveva di nuovo quel tubo di legno con tutto il suo contenuto e, in più, una chiavetta USB con la scansione perfetta della pergamena fatta con un unico ‘file’. Cercò di far mente locale a quella sera a Milano in cui aveva preso la bambola per Marc, c’era qualcosa che gli sfuggiva, oltre a certe parole, ma non riusciva a ricordare con esattezza il particolare che gli stava facendo girare i meccanismi cerebrali.
Pranzò, e poi si dedicò ad altre cose. Verso le 17 squillò il telefono. Guardò il display, non si aspettava che fosse proprio Marc.
“Ciao, dimmi”, rispose Alejandro seduto comodamente sulla poltrona. Ascoltava senza interrompere, il suo volto assunse un’espressione piuttosto strana.
“Va bene, domani saprai cosa vuole, stai tranquillo... dai, non arrovellarti questa notte”. Si salutarono e riattaccarono. Quella notte, invece, fu proprio Alejandro che fece fatica ad addormentarsi, Marc gli era sembrato piuttosto turbato.
Alle 9.50 di quel lunedì mattina, 19 Maggio, Alejandro stava aggiornando la situazione del personale con le giornate in cui Jacqueline Bishop sarebbe stata presente lì in ufficio anziché essere al sito produttivo, giusto per fare un po’ di formazione ad una delle impiegate contabili affinché sostituisse a pieno titolo Angela Robinson. Squillò il suo telefono d’ufficio, era George dalla portineria. “Dottor Gutierrez, c’è qui...”, e andò un po’ in affanno.
“Sì, certo, fai passare”, rispose Alejandro. Qualche attimo dopo si sentì un rapido tacchettare in avvicinamento, e quindi una certa figura bussò alla porta. “Avanti”, disse Alejandro. La porta si aprì abbastanza lentamente e fece il suo ingresso Valery Du Mont, l’ex moglie di Marc. Aveva un bel sorriso, smagliante, ma che pareva forzato, come se celasse uno stato d’animo turbato, questa era la sensazione di Alejandro che però non riusciva a staccare gli occhi da quelle lunghe e bellissime gambe depilatissime ed affusolate dentro un paio di calze velate bejge che mettevano in risalto il candore della pelle, con un bellissimo stacco sulle decolté rosse di vernice con plateau da 1” e tacchi da 4”. La gonna, rossa, era poco sopra il ginocchio, e la camicetta in seta bianca ricamata in pizzo si adattava perfettamente col giubbino in nappa rossa, come la gonna, avvinghiata da una cinturona bianca con la fibbia dorata. Le mani molto ben curate con le unghie rosso acceso tenevano con eleganza una borsetta che faceva completo con la gonna e il giubbino mentre sopra di tutto si notava un trucco sobrio ma accattivante, con un rossetto uguale alle unghie e due occhi ansiosi sopra i quali svettava una bella chioma di capelli biondi e mossi, a scalare.
“Buongiorno dottor Gutierrez”, iniziò Valery con voce timida ed insicura, “non so, penso che Marc vi abbia avvisato che...”.
“Sì, certo, mi ha chiamato ieri e...”
“Vieni, Valery, vieni avanti”, disse all’improvviso Marc con un’espressione bonaria e speranzosa appena ebbe aperta la porta del suo ufficio. Un attimo dopo Valery entrò in quell’ampio ufficio che ben conosceva, Marc strizzò l’occhio ad Alejandro e richiuse la porta, ma era una strizzata d’occhio convenzionale, entrambi sapevano già che non sarebbe certo accaduto qualcosa di strano, o perlomeno lo credevano.
“Accomodati”, fece Marc indicandole una poltrona.
“Immagino che qui non ti diverti solo con le mazzette da golf, hai molta più affinità con altri tipi di buche, vero?”.
“Valery, ti prego...”.
“Ah ah ah, dai, smettila, bando alle ipocrisie, anche noi due ci siamo divertiti parecchio qui, vero?”.
“Già”, replicò Marc con aria malinconica, “però adesso dimmi, ieri pomeriggio mi sembravi piuttosto irrequieta quando mi hai telefonato, ti è successo qualcosa?”. Valery si massaggiò il ventre. “No!”, esclamò Marc, “Non dirmi che sei...”.
“Incinta?! Ah ah ah ah... no, no... però mi fa piacere vedere che ne saresti stato felice, ti ho letto l’espressione negli occhi, e tu non sai mentire, sei come un bambino, ed è una cosa di te che ho sempre apprezzato e che apprezzo ancora”. Si fermò un attimo guardando su un alto ripiano: “E quella cos’è?”, chiese.
Marc si girò un istante, poi tornò a fissare Valery: “Ti piace? Me l’ha portata Alejandro dal suo viaggio a Milano come regalo per il mio compleanno”.
“E’ di una fattura incredibilmente realistica”, disse Valery, “sembra quasi vera, viva!”.
“Anche a me da quell’impressione, è un’opera artistica di vero pregio”.
“Stupenda, davvero, e che look sexy ed accattivante, proprio il tuo tipo!”.
“Già! Alejandro mi ha detto che si chiama Margot”. Valery sorrise scuotendo un po’ la testa, ma sentì dentro di sé un brivido che le bloccò per un attimo il respiro. “Tornando a noi, allora, cos’è che ti turba?”.
“Mi turba il fatto che il damerino per cui ti ho lasciato si è rivelato un nulla di nulla. Dopo quasi 8 anni di relazione ha deciso che non sono il suo tipo, in realtà è da un paio d’anni che ha una relazione con una ragazza colombiana conosciuta in un bar dove lavora come cameriera, pensa un po’, una ragazza di 24 anni, una ragazzina! Ha 15 anni meno di me, ti rendi conto?”.
“Ma tu sei sempre tu, hai il fascino dalla tua parte”.
“Certo, come no! Ascolta, spero non pensi che io sono venuta qui da te per cercarti come ripiego, non sarebbe dignitoso nei tuoi confronti, però vorrei che tu mi aiutassi”.
“In che senso? Non dirmi che gli devi qualcosa a quello la, se no lo prendo e...”.
“No”, sorrise maliziosa Valery, “non ho certo bisogno di soldi, non te ne ho mai chiesti, neanche con il divorzio, e non penso di chiedertene adesso, ci mancherebbe, però...”. Si alzò dalla poltrona per avvicinarsi a lui, lo accarezzò e si sedette a cavalcioni sulle sue gambe sentendo di colpo la turgida erezione di Marc. Le pose l’indice della mano destra sotto il mento, muovendolo appena per fargli sentire l’unghia tagliente come in un gioco di sottile tortura, e sentiva l’eccitazione di Marc farsi sempre più forte. “E’ un altro tipo di aiuto da parte tua, quello di cui ho bisogno”.
“Davvero... proprio quel tipo di aiuto?”, cominciò Marc speranzoso.
“Già, e tu sei l’unico che può aiutarmi”, e fece qualche istante di pausa sempre fissandolo negli occhi con sguardo seducente e accattivante, “voglio...”.
“Sì... sì...”, rispondeva Marc come ipnotizzato.
“Voglio... essere scopata...”, e fece ancora una pausa mentre le mani di Marc tremavano dall’emozione, “dal tuo amico, il dottor Alejandro Gutierrez! Io non ho il coraggio di propormi, e confido nella tua diplomazia! Lo voglio giovedì sera a casa mia, mi eccito e mi bagno al solo pensiero, ti prego, so di apparirti meschina, ma è un desiderio troppo forte, e poi ti lascerò in pace e continuerò per la mia strada”, disse infine sfiorandogli le labbra con le sue. Marc era in suo potere, non poteva e non voleva opporsi a Valery.
“Cosa significa che continuerai per la tua strada? Hai intenzione di andartene da questa città?”.
“No, ma che dici tesoruccio... spero solo di non crearti più fastidi”, e detto questo scese da quella posizione che molto la eccitava. Diede una carezza a Marc e sistemò la borsetta sulla spalla “grazie comunque... ah, che sciocca!”, aggiunse prendendo un bigliettino dalla borsetta, “Ecco il codice d’ingresso che inserirò per Giovedì sera, daglielo!”, e detto ciò uscì, salutò Alejandro con un ampio sorriso allontanandosi lasciando dietro di sé il rumore dei tacchi che via via andava affievolendosi.
Alejandro udì un nitido colpo di tosse provenire dall’ufficio di Marc, il classico colpetto di tosse con cui un oratore si prepara ad un discorso. La porta dell’ufficio del boss si aprì, il gigante si pose a braccia conserte sulla soglia con un sorrisetto imbarazzato sulle labbra. Tossì di nuovo: “Alejandro, devo parlarti, vieni”. Un attimo dopo quella porta si richiuse alle loro spalle.
Giovedì 22 di sera, quasi alle 20, la Porsche di Alejandro viaggiava a velocità tutto sommato moderata verso il quartiere della zona Est dove abitava Valery Du Mont. Nonostante tutte le rassicurazioni avute da Marc il giorno prima ed anche quello stesso pomeriggio egli si sentiva molto strano, gli sembrava di commettere un sopruso ed uno sgarbo nei suoi confronti: “La vera Valery è una tigre selvaggia che graffia, altro che la Valery in bianco che conosci tu”, continuavano a rimbalzare nella sua mente le parole di Marc. Lui vedeva in quella di Valery Du Mont una richiesta spietata, per umiliare Marc, ma lui stesso gli aveva ripetuto che non era così, che si trattava di un particolare sfogo liberatorio, e che forse sarebbe stato più umiliante se avesse voluto fare all’amore con lui, come se si trattasse di un ripiego come un altro a distanza di anni. Alle 20.25 Alejandro parcheggiò nei pressi del condominio dove abitava Valery durante la settimana, un elegante palazzo con tanto di portineria che in un certo senso gli ricordava quello dove abitava lui, ma il contesto era diverso, appariva più moderno e lussuoso, d’altronde Valery Du Mont era molto ricca di suo provenendo da una famiglia di industriali del settore alimentare. Guardò quel palazzo e scese dall’auto, era vestito quasi come la sera del ‘rapimento della gigantessa bionda’, stavolta però portava una camicia bianca con le sue iniziali sul taschino ed i blue-jeans erano scuri anziché sbiaditi, ma non aveva rinunciato alla cintura in pitone con fibbiona ed agli stivali in pitone al polpaccio, finendo col giubbotto nero in pelle stile ‘Aleja’. Entrò nell’androne e salutò il portiere, digitò su una tastiera il codice che gli aveva dato Marc, prese uno dei due ascensori e salì fino al piano attico, un attimo dopo era davanti alla porta del lussuoso appartamento di ‘madame Du Mont’. Un soffice ‘clik’ dall’interno fece scattare ed aprire la particolare serratura di sicurezza, e la porta blindata si aprì. Esitante, Alejandro entrò, non aveva nulla con sé come gli aveva detto Marc. Un profumo avvolgeva l’aria di quel lussuoso appartamento, si sentiva una freschezza come con l’aria pura di montagna, e un dolce sottofondo di musica classica accompagnava il suo lento incedere.
“Vieni...”, sentì una voce sussurrata. Nella stanza da letto c’era Valery in attesa, ad Alejandro salì una specie di nodo in gola. Indossava soltanto una leggerissima vestaglia in tinta porpora satinata, aperta da mettere in mostra tutto il corpo, e ai piedi portava un paio di sandali tinta oro con plateau da un pollice e tacchi da 4 pollici, con lacci che si intrecciavano fino al polpaccio. Le unghie dei piedi e delle mani erano tinte di rosso scarlatto e facevano un bellissimo contrasto con la sua pelle candida, morbida e profumata, il trucco era leggerissimo, la tipica ragazza acqua e sapone. Stava seduta sul letto ‘king-size’ girata su un fianco e con le gambe accavallate, sorrise e scese dal letto per mettersi eretta andandogli incontro. Vicino a Marc sembrava bassa di statura, ma per lui era molto alta come donna, quasi un metro e ottanta senza i tacchi, e con i biondi capelli a boccoli ed a scalare sembrava ancora più alta. “Salve Alejandro, e grazie per aver accettato il mio invito”, disse con voce soave appena fu davanti a lui. Dovette reclinare la testa all’indietro per guardarla meglio negli occhi. Gli pareva impossibile che una donna dall’aspetto così bello e gentile avesse potuto fare a Marc quello che gli aveva fatto, lasciarlo perché azoospermico, ma il destino aveva voluto così. Lei pose le mani sulle spalle di Alejandro, accarezzandolo con sensuale dolcezza, mentre la sua eccitazione si stava facendo già sentire alla grande. “Facciamo un drink, piccoletto?”, chiese in tono malizioso, “E poi giù a ruota libera senza preoccupazioni, sono nei giorni infertili!”.
“Certo”, rispose lui dandole una morbida pizzicata al fianco sinistro, cosa che a Valery piacque sentendo che il ‘piccoletto’ aveva dell’iniziativa nonostante tutto.
“Cin cin!”, disse Valery, e i due bicchieri cozzarono con un suono gradevole ed argentino.
Valery bevve d’un fiato, mentre Alejandro lo fece a piccoli sorsi per gustare al meglio quella delizia che lei le aveva offerto. Alejandro posò il bicchiere sul vassoio, mentre Valery fece il bis; poi, ritta di fronte a lui, prese un telecomando e fece partire un valzer. “Dai, su”, fece lei stringendogli i fianchi per sollevarlo, senza però riuscirci, mossa questa che lo incoraggiò al punto che, rotto ogni indugio, mise una mano dietro quella bellissima schiena, si chinò per passare l’altro braccio dietro le ginocchia della padrona di casa che dopo un attimo si trovò ad essere librata per aria agitando le gambe dall’eccitazione tenendo le braccia strette sulle spalle di Alejandro che si cimentò in qualche giro cercando di seguire, più o meno, il ritmo del valzer tra le risate divertite di Valery. Cominciava a girargli la testa, e rimise in piedi quella donna alta che lo stava facendo eccitare e divertire allo stesso tempo, e che con tocco da maestra gli tolse il giubbotto per lanciarlo su una sedia. Si misero di fronte, petto a petto se non fosse stato per la forte differenza di statura, ma la bocca di Alejandro era ad altezza perfetta per i turgidi seni di Valery che restò quasi paralizzata quando si sentì succhiare uno dei capezzoli mentre, cercando di mantenere il controllo più che poteva, si accingeva a sbottonargli la camicia. Dopo 10 minuti Alejandro era rimasto soltanto con gli stivali di pitone, a Valery piacevano molto, e lo fissò con desiderio. Egli le si avvicinò e le tolse la vestaglietta, ed anche Valery rimase praticamente nuda davanti a lui. Si strinsero l’uno con l’altra, quindi Alejandro la sollevò e la fece sedere sul letto per toglierle i sandali. “Che eccitante sei con questi stivali, ti danno un tocco in più di ‘macho-macho’ che fa un tutt’uno con il tuo aspetto grazioso e delizioso... aaahhh!”, esclamò agitando la gamba libera quando sentì quelle dita che le sfioravano il clitoride. Poi toccò a lui, e Valery gli tolse gli stivali e i calzini leggeri. Erano entrambi in ginocchio sul letto e con le mani ai fianchi, a guardarsi in atto di sfida, come una gara a chi ride per primo. La musica terminò, e Valery partì all’attacco. Prese Alejandro per le spalle, voleva stenderlo supino e farlo suo, ma lui rispose a tono, e dopo alcuni minuti di furibonda quanto divertente lotta fu Valery, con la schiena adagiata sul letto e Alejandro sopra di lei, a dover alzare la gamba destra in segno di resa. Ridevano entrambi, rotolavano e si stuzzicavano, Valery era eccitatissima ed anche il suo partner. “Succhiami, leccami... sono tua, tua”, disse Valery ansimante dibattendosi come una pitonessa sotto quel piccolo corpo che ormai l’aveva fatta sua e non aveva intenzione di mollare la presa, né dei polsi, né tanto meno dei capezzoli. Quindi passò a strofinare la lingua su quel morbido collo mentre il suo turgido giocattolo se ne stava beatamente tra il clitoride e l’ombelico di lei, le cui pulsazioni aumentavano freneticamente. “Sììì... daiii... sìììì... inchiodami!”, gemeva Valery agitando furiosamente le gambe, aprendole per poi richiuderle stringendole attorno alle gambe di Alejandro, unite appaiate e inamovibili nonostante i tentativi di rovesciamento da parte di Valery grondante di sudore. La temperatura in quella stanza pareva aumentata nonostante il condizionatore, lei inarcò la testa all’indietro e mise fuori la lingua che fu subito preda delle labbra di lui per qualche istante. “Ti prego...”, gemeva Valery, “lasciami fare la cavaliera, ti supplico, por favor querido mio!”, disse ad arte quelle ultime parole, ma non ce n’era bisogno: solo l’idea di avere Valery Du Mont che si prendesse cura del suo durissimo gingillino facendo la cavaliera sopra di lui fece sì che in qualche secondo la situazione si capovolse.
Valery stava sopra il suo addome, dandogli la schiena, una schiena da urlo, e gli dispiaceva di non riuscire a portare le mani su quei turgidi capezzoli. Lei se ne avvide, ma lo rassicurò: “Stai calmo... rilassato...”, e dopo un paio di secondi il sodo cetriolo di Alejandro venne inghiottito dalla golosa farfallona di Valery, il suo gemito di piacere ne era la prova inequivocabile. “Aaaahhh.... mmmhhhh... il chiodo m’inchioda... ooohhhh...”, gemeva Valery, “oooohhhh... mmmmhhh... adoro il tuo cazzo! Mmmhhh... aaaahhhhh...”. La mente di Alejandro cominciò a galleggiare su quella liquida scena di godimento allo stato puro, vedeva la sagoma di Valery che si stagliava sopra di lui farsi come evanescente e i suoi mugulii di piacere farsi sempre più lontani, lontani, lontani... la lussuosa camera assunse un aspetto molto più spartano, ed un profumo di pane artigianale permeò le sue narici...
...”Margherita! Margherita!”, fece una voce da una stanza vicina.
“Eccomi Margot, che c’è?”, rispose lei, “Ma sei favolosa, adoro come ti vesti tu, non te ne importa mai del pensiero degli altri”.
“E io adoro i tuoi occhi scintillanti. Comunque è l’ideale per vivere bene con sé stessi, giusto Rosalia?”.
“Certo”, rispose quella giovane ragazza brunetta e di piccola corporatura, “con quel bustino azzurro in seta e raso e quegli stivali così alti sembrate una dea, anche noi quattro ci eccitiamo solo a guardarti, sei splendida!”.
“Appena tornano Laurentia e Patrizia dal mercato rionale dagli questo ingrediente per la pozione che useremo verso l’imbrunire, per quella coppia che ha quel problema particolare”.
“Certo, i due fiorentini di buone famiglie che hai conosciuto il mese scorso a Firenze, durante la settimana di Pasqua”, riprese Margherita.
“Esattamente! Io adesso esco in passeggiata all’orticello della piccola rupe, un giretto tranquillo, tanto per non dare nell’occhio!”.
“Spiritosa! Ma non temi le malelingue?”, chiese Margherita.
“No”, rispose Margot, “ciascuno si diverte come meglio crede, anche se la pubblica gogna non ha mai fatto ricco nessuno, comunque, chi si contenta gode, e non mi pongo certo questi problemi all’alba dei 35 anni che compirò tra poco più di un paio di mesi”.
Si fece pomeriggio, tardo pomeriggio. Margot stava nella stanza grande con le sue quattro amiche fidate: Margherita, che era la meno giovane, sua nipote Patrizia e le loro amiche intime, Laurentia per Margherita e Rosalia per Patrizia, e Margot per tutte e quattro. In cucina il liquido dentro il paiolo già aveva iniziato da tempo a bollire. Ad un certo momento si sentì il convenuto bussare alla porta, e Margherita andò ad aprire. Alla particolare coppia che si era appena presentata sull’uscio quell’atmosfera apparve subito con un qualcosa di particolare, faceva un certo effetto vedere quelle quattro donne vestite di bianco con una vestaglia in seta leggera e con dei calzari tinta oro e porpora con dei lacci che si attorcigliavano fino al polpaccio che stavano accanto a Margot (che avevano conosciuto il mese prima ad una fiera di città a Firenze a cui era andata da sola) vestita con il nero come colore dominante per le braccia e le gambe che staccava alla perfezione con l’azzurro tenue del busto in seta e raso.
“Avanti, siete i benvenuti nella mia dimora”, disse Margot mentre le sue quattro amiche guardavano quell’uomo altissimo e robusto avvicinarsi a loro con quella giovane donna di media statura e con i capelli pettinati a guscio d’uovo proprio come Margherita, pareva si somigliassero. L’uomo si pose in ginocchio davanti a Margot e le baciò la mano destra guantata di raso nero in segno di riverenza, mentre la donna le porse un cofanetto che Margot prese con la mano sinistra, quindi fece cenno a Margherita di spegnere il fuoco e prendere un po’ di quel filtro con gli appositi contenitori e prepararlo, così che si raffreddasse prima dell’uso.
“Siamo qui in paese da quattro giorni, nessuno ha fatto caso e si è interessato alla nostra uscita da Firenze quindici giorni fa, i più ci credono a Milano e lasciamo che lo credano”, disse la donna, “ma è questa la serata del plenilunio perfetto, in cui poniamo la nostra speranza di veder data risposta a questo dubbio annoso che ci angustia”. Margot pose il cofanetto sul vicino tavolo, prese le mani destre di quella coppia e le alzò tenendole tra le sue, cosa questa abbastanza facile poiché l’uomo era ancora in posizione genuflessa.
“Amiche ed amanti mie”, iniziò Margot, “vi presento Marcello dei Gottelmi, di nobile famiglia, commerciante in tessuti pregiati, e la sua seconda sposa, Marianna Berengari, la cui famiglia ha una buona attività fabbrile in quel di Firenze e Siena. Da due anni sono sposati, e da altrettanto tempo cercano di dare alla luce un figlio, ma senza riuscirci. Lo stesso fu per Marcello con la sua prima sposa, anche lei di nobile famiglia, tale Valeria Del Monte che, attribuendo ad egli l’impossibilità di procreare, lo lasciò, ed ora, rivedendo lui ancora lo stesso guaio, umilmente chiede la nostra assistenza assieme a Marianna con la speranza di poter aver da noi giusto supporto. Già sanno che io certezza di riuscita dar non potrò, spero però di capire il male alla radice quale sia, anche perché, con tutta umiltà, Marcello mi ha spiegato che Valeria un anno fa ha dato alla luce un figlio, ed è stata abbandonata dal suo nuovo sposo, e comunque questo fatto gli ha dato prova che è sua di lui l’infertilità ma ancor spera e non lascia la pugna con sé medesimo!”. Margot presentò alla coppia le quattro ancelle che salutarono gli ospiti con un riverente inchino.
“Orsù, appropinquatevi mano nella mano nella stanza grande già a punto incensata”, disse Margot invitandoli ad entrare nello stanzone sulla destra dove Margherita e Laurentia già stavano entrando. La coppia entrò, seguita da Patrizia e Rosalia, infine Margot, entrando per ultima, chiuse la porta. Alle due finestre con le imposte semiaperte stavano delle tende rosse leggere, mentre sette candelabri con sette candele ciascuno illuminavano la stanza decorosamente. La coppia si distese supina, con i bacini a contatto, gambe vicine unite e le altre aperte, e idem per le braccia, quindi Margherita li bendò entrambi. Margot mormorò una specie di cantilena mentre le sue amiche tenevano lo sguardo in basso, e asperse quei nudi corpi con un profumo molto particolare, tanto che a quei due parve di avere la sensazione di respirare aria fresca di montagna. “La mano sinistra di Marianna stringa dove può il braccio destro di Marcello”, e a quelle parole le quattro ancelle iniziarono a prendere posizione: Margherita si pose a cavalcioni delle due braccia della coppia che si toccavano, guardando verso i piedi, mentre Laurentia si pose a cavalcioni delle gambe che erano unite guardando verso Margherita, e sorrise nel vedere un certo ‘palo’ che si stava alzando, ma non era certo magia. Rosalia salì a cavalcioni della gamba sinistra di Marcello e Patrizia su quella destra di Marianna. Con fare elegante Margot salì sul letto e si sedette sopra i due bacini che stavano a contatto. Dietro Laurentia c’era un tavolino con l’occorrente. Margot pose le dita della mano destra sul clitoride di Marianna e con l’altra mano iniziò a toccare il membro durissimo e gigantesco di Marcello. “Non trattenete le sensazioni, fate come se foste intimi tra voi...”, sussurrò Margot con un tono frusciante e sibillino, a Rosalia sembrava di avere quella voce dentro la sua mente, e le palpitazioni le salirono. La strega fece un cenno con la testa, Laurentia si girò per prendere un’ampolla e gliela porse. Bagnò con quella specie di olio profumato il membro di Marcello e la farfallina di Marianna, restituì l’ampolla ed iniziò il massaggio.
“Aaaahhhmmm... ooohhhh...”, gemeva Marianna mentre Marcello provava a sbattere la gamba, per Rosalia fu la stessa sensazione di avere un terremoto locale sotto di lei.
“Sfoga il pensiero e la voce, Marcello”, disse Margot con fare soave.
“Sììì... sììì... sembra di galleggiare”. Un altro cenno e Laurentia le porse una seconda ampolla contenente un liquido azzurrino chiaro che odorava di lavanda.
“Ooohh... aaahhh... continua... sììì... ooohhh...”, diceva Marianna come ipnotizzata.
“Ahh... mmmhhh.... è irresistibile...”, soffriva di piacere Marcello.
Laurentia passò a Margot la terza ed ultima ampolla, assieme ad un piccolissimo bicchiere, grande poco più di un ditale, fatto di una lega di rame e bronzo, però molto lucido. Usò il liquido della terza ampolla, la ridiede a Laurentia e riprese i suoi graditi massaggi, mentre il bicchierino speciale lo teneva stretto dentro una coppetta del suo prosperoso seno. Margherita, che stava dietro di lei, la ammirava: quanto avrebbe voluto prendersi cura di quella schiena perfetta e poter indossare quegli alti stivali, però non era quello il momento, ed il pensiero la eccitava anche se doveva cercare di trattenersi.
“Ora!”, esclamò Margot dando cenno a Margherita di togliere alla coppia le bende dagli occhi. Braccia e gambe della coppia furono liberate, le quattro ancelle erano tutte in piedi attorno al grande letto, Margot si mise anche lei in piedi, sempre stando in posizione a cavallo sulla coppia avendo i loro bacini tra i suoi stivali, e fece loro l’invito di girarsi di fianco l’uno verso l’altra per accoppiarsi, e così avvenne. Marianna sentì la turgidità di Marcello entrare in lei come una dolce spada.
“Ahhmm... ooohhh.... aaahhhh... sììì...”, gemeva Marianna.
“Ummhhh... mmmhhh... mmhhh... “, mugulava Marcello.
Margot guardava quei due corpi madidi di sudore sotto di lei, li vedeva eccitati, desiderosi l’uno dell’altra, si muovevano con una frenesia senza limiti, proprio come se fossero soli, nella loro intimità. Tenendosi in perfetto equilibrio con una mano poggiata alla parete della testiera del letto, Margot toccò, con la punta dello stivale sinistro, l’orifizio anale di Marcello, e con un cenno della mano libera gli fece intendere che era il momento di rimettersi supino per far fare a Marianna la ‘cavaliera’. Il rovesciamento fu armonioso e fluido, senza interrompere il coito, il volto di Marianna era quasi alla stessa altezza della farfallina di Margot, che comunque era coperta da un drappo di seta azzurra a ricami dorati. Margot accarezzò il volto di Marianna, e lei intese che doveva girasi dando le spalle alla testa di Marcello che, con quel dolce e fluido mezzo giro della vagina di Marianna attorno al suo palo durissimo, sentì un tremore interno di eccitazione come fosse attraversato da un fulmine. La strega socchiuse gli occhi ed iniziò a massaggiare le spalle di Marianna che si sentiva in un’estasi di goduria che mai aveva provato in tutta la sua vita, Margot dominava la scena con la sua figura e la sua personalità, quindi mormorò qualche frase ed aprì gli occhi guardando le sue amiche trepidanti ed anche eccitate da quello spettacolo che avevano davanti. Prese Marianna per le spalle e la sollevò di quel poco che bastava, senza interrompere il coito, per permettere a Margherita, con un bicchierino speciale, piccolo come quello che teneva nella coppetta del seno, ma d’argento e con una pietrina rossa, di raccogliere un po’ dei suoi umori vaginali prima che arrivasse all’orgasmo pieno (era bagnatissima), quindi Marianna tornò nella sua posizione di ‘cavaliera rovescia’ ancora più carica ed eccitata, era in preda a degli indescrivibili fremiti di goduria, Poco dopo, quando Margot vide che lo sbattimento di gambe da parte di Marcello stava diventando troppo vigoroso (e Marianna ansimava a più non posso), per non perdere l’equilibrio e fare un ruzzolone sul pavimento, con agile mossa sollevò una gamba e con la grazia di una fanciulla scese dal letto. Guardò i due che erano ormai prossimi all’orgasmo. Infilò una mano dentro la coppetta reggiseno e prese il bicchierino speciale, lo bagnò col liquido della seconda ampolla e lo avvicinò alla zona calda dell’amplesso che aveva davanti agli occhi, spinse leggermente di lato Marianna strizzando l’occhio a Marcello, e la coppia, senza staccarsi un solo istante, tornò ad essere distesa sui propri fianchi, ma rovesci.
“Adesso!”, ordinò Margot. A quelle parole Marianna avvinghiò con le braccia le gambe di Marcello, ed altrettanto fece Marcello con le gambe di Marianna, la notevole differenza di statura fece sì che Marcello potesse prenderla bene solo poco sopra le caviglie, ma era comunque una presa salda ed eccitante, mentre i loro corpi premevano ritmicamente l’uno contro l’altro.
“Vengooo... aahhh... aaaahhhh...”, gridò Marcello
“Godooooo... ooohhh... mmmhhhh...”, rispose Marianna.
Con dispiacere Margot infilò una mano tra i due corpi e aiutandosi con l’altra spinse energicamente e li divise, raccogliendo rapida un po’ di liquido seminale di Marcello mischiato con gli umori vaginali di Marianna e, quindi, con un altro bicchierino particolare, ma d’argento con pietrina blu, Rosalia, che era già pronta in posizione sul letto, con un balzo felino salì a cavalcioni sul corpo del gigante e raccolse qualche goccia di sperma di fine coito da quel grosso membro, che non fosse quindi mescolato con gli umori vaginali di Marianna, spremendolo un po’, incurante dei suoi mugulii di piacere misti alle suppliche di fermarsi. Marianna e Marcello erano sfiniti, felici nonostante il coito interrotto, di cui giustamente non erano stati informati per non influenzare il rapporto sessuale, e si guardarono speranzosi, pensando che quella fosse stata la volta buona, per un attimo avevano dimenticato il vero motivo per cui erano andati da Margot, che non era quello di avere un amplesso soddisfacente che desse la sicurezza di avere un erede, ma che fornisse delle informazioni sul perché ancora non avessero raggiunto il loro obiettivo, anche se Marcello era ormai sicuro del responso nei suoi confronti. Margot mise i tre bicchierini su un ripiano metallico lucido, da ciascuno ne fece uscire un paio di gocce sul ripiano, quindi prese un’ampolla che teneva custodita gelosamente in uno scomparto segreto del suo comò e che solo lei sapeva aprire. Le quattro ancelle erano trepidanti come la coppia ancora seduta sul letto. Margot versò una goccia da quell’ampolla in ciascuno dei bicchierini, e la pose giù. “Avvicinatevi, e unite le vostre mani alle mie, così che io possa unire i miei pensieri ai vostri”. Passarono alcuni istanti. Margot guardò l’interno dei bicchierini e le gocce sul ripiano metallico. D’improvviso il suo volto assunse un’espressione stranissima, e trasalì. “No!! Non è possibile!!”, esclamò portandosi le mani al petto come se fosse stata colpita da una pugnalata, Patrizia e Rosalia ebbero un sobbalzo, Margherita e Laurentia deglutirono.
“Cosa succede? Non teneteci in ansia, vi prego”, supplicò Marcello.
“Io... io non so come dirvelo...”, gli occhi di Margot parevano alienati, come attraversati da una visione di morte, “...ma voi due siete entrambi sterili!!”, ed a quelle parole un improvviso colpo di vento fece aprire a metà le imposte della finestra più larga facendo scostare di lato per qualche istante la tenda rossa. Rosalia, e soltanto lei, si girò di scatto per il rumore, e in quei pochi attimi vide dietro le imposte il volto di una donna che stava guardando, anzi, spiando, una donna dai capelli biondi raccolti a boccoli e che doveva essere anche di buona statura, un volto che indietreggiò subito ma che rimase scolpito nella sua memoria, nella sua mente, nella sua psiche in maniera indelebile, un volto che non avrebbe mai più creduto di poter rivedere...
...almeno fino a quel preciso istante. “Ohhhh... mmmhhhh... non mi trattengo più... ooohhh... esplodooo...”, esclamò Alejandro spruzzando il suo liquido seminale come una fontana dal suo gingillo grosso e durissimo dentro la vagina di Valery.
“Ahhhhmmm... ahhhhh... spingiiiii.... sssììììì... aaahhhh... aaaahhhh... sto godendoooo...”, gioì Valery allargando le braccia come se stesse volando, continuando a fare la cavaliera e girando proprio in quell’istante la testa per incrociare gli sguardi di entrambi, tanto da riportare la mente e la psiche di Alejandro dal medioevo al giorno in essere, riconoscendo così che il volto di Valery era lo stesso di quello della donna che stava spiando attraverso quella finestra in quella casa antica, e che altri non era che Valeria Del Monte, la prima moglie di Marcello Gottelmi, alias... e svenne.
“Ehi... sù, sù... ecco, così va meglio”, disse Valery con dolcezza.
“Cos’è successo?”, chiese Alejandro, “mi sento confuso”.
“Eh! Forse ti ho affaticato un po’ troppo, ma era così bello stare sopra di te a fare la cavaliera a rovescio col tuo giocattolone grosso e duro tutto dentro di me! Sembravi un po’ in trance quando abbiamo goduto assieme e io ti ho guardato gioiosa, e sei svenuto... ho preso paura, sai, stavo quasi per chiamare il 911 ma poi ho visto che con i sali ti sei ripreso, meno male. Te la sei cavata in pochi minuti! Ti misuro la pressione, sei d’accordo?”.
“Sì, certo!”, e Valery prese l’attrezzatura utilizzandola sul braccio sinistro di Alejandro.
“Un po’ bassina la massima, ma la minima va bene, e le pulsazioni anche... mi sa che hai cenato leggerissimo prima di venire da me!”.
“Puoi ben dirlo, anche ultraleggero, infatti non ho cenato”.
“Sciocchino!”, disse in tono dolce e malizioso, “Dai, andiamo a farci una buona doccia, questa serata non possiamo chiuderla certo così, scopata e ciao, visto poi chissà quando mai se ci rivedremo... sai, incontrandoti qui stasera ho come avuto la sensazione che erano secoli che non ci vedevamo, anche se ci siamo visti diverse volte in compagnia quando io e Marc eravamo ancora insieme, bei tempi che non torneranno più!”.
“Sì, anch’io ho avuto la stessa sensazione”, sorrise Alejandro, “e ho capito che, in fondo in fondo, tu non sei una persona cattiva, in realtà vuoi ancora bene a Marc e non gli hai mai voluto del male, anche se in un certo senso l’hai ferito. Tu desideravi poter formare una famiglia con lui e con dispiacere hai appreso che non era possibile”.
“Proprio così”, rispose Valery.
Mentre facevano la doccia insaponandosi l’uno con l’altra, una voce sussurrata entrò nella mente di Alejandro, ‘... colei dagli occhi scintillanti tornerà a nuova vita da grembo e seme sterile’ e nel sentire quelle parole immaginava una certa figura femminile, con i capelli a caschetto con i tirabaci, un cappello nero con mantella e stivaloni neri, e in quel momento diverse cose cominciarono ad essergli chiare, e sorrise abbracciando Valery per ringraziarla, mentalmente, di averlo (o averla), incontrato a tu per tu a distanza di secoli.
Dopo mezz’ora erano entrambi pronti, lei era vestita esattamente come la mattina che era andata in ufficio per parlare a Marc di quel suo desiderio latente che aveva appena realizzato. Uscirono dalla porta di casa e si misero ad attendere l’ascensore, lei iniziò a guardarlo da capo a piedi.
“Certo che sei proprio eccitante vestito così”, disse Valery.
“Trovi?”.
“Sì, anche se...”.
“Anche se?!”.
“Mi vergogno a dirtelo...”, arrossì Valery.
“Dai, dimmi”.
“O.K.... mentre facevamo all’amore ti immaginavo vestito da donna, con i capelli a caschetto che ti starebbero bene su un viso così ben fatto come il tuo, con un bel bustino in pelle e con un paio di zeppe ai piedi, magari degli stivaloni, non immagini come mi eccitavo a quel pensiero... tu, che sei così macho-macho, vestito da donna-bomba-sexy... che pazza idea, scommetto che adesso mi molli qui, vero?”.
“E perché dovrei mollarti qui?”, sorrise Alejandro.
“Beh, con quello che ti ho appena detto... non so se sei ancora convinto di voler uscire a cena con questa pazza!”.
“Ti dirò che talvolta, a commettere o dire qualche pazzia, si fa e si dice anche qualcosa di bello e stimolante”.
“Già, anche se sono e restano fantasie della mente che mai potranno avverarsi”.
“Mai dire mai”, rispose Alejandro, e a quelle parole il suono dell’ascensore che era giunto al piano fece girare le loro teste verso il medesimo. Salirono, ed entrambi si diedero dei puffetti al viso, quindi le porte si richiusero e l’ascensore iniziò la sua lenta discesa verso il garage interrato.
* * * F I N E * * *
Nota: racconto di pura fantasia. Pur essendo certi luoghi di ambientazione in un contesto reale, si fa presente che i nomi dei personaggi e di società, aziende e il settore merceologico sono di pura fantasia. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o persone omonime è puramente casuale.
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