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Gay & Bisex

ANTONIO E SEBASTIAN (L’undicesima notte) - 1


di jeepster
15.01.2025    |    3.623    |    5 9.5
"Anche le lunghe calze di lana, che gli fasciavano le gambe muscolose, erano di un tessuto pregiato..."
ILLIRIA 1596 – Una casa in riva al mare nei pressi della città di Apollonia.

La tempesta era durata per tutta la notte; il fragore spaventoso delle onde del mare che si abbattevano sulla vicina spiaggia lo avevano tenuto sveglio fino a tardi, finché fu vinto dal sonno. Ora il chiarore che riusciva a filtrare tra le tende della finestra della camera dove Antonio dormiva, lasciava intendere che era giorno fatto ormai e così decise di vestirsi e uscire. Doveva andare a vedere se la furia degli elementi aveva recato dei danni alla casa o alle due baracche accanto. Appena aprì la porta fu investito dalla luce splendente del sole già caldo di quella tarda primavera. Uscì e si fermò sulla piccola veranda dell’abitazione in mattoni che si era costruito una ventina di anni fa, con l’aiuto di alcuni amici marinai come lui, per andarci a vivere con sua moglie. Il matrimonio però durò poco, perché la donna morì di parto quando diede alla luce il bambino già morto. Il dolore fu talmente grande che decise di non risposarsi più, certo che mai nessun’altra donna avrebbe potuto prendere il posto della sua amatissima Elena.
Adesso il mare era calmissimo; delle piccole onde arrivavano e si ritraevano sulla battigia lentamente. L’immensa distesa d’acqua era come un uomo stremato da un’immane fatica che, esausto, riesce appena a respirare.
Fece un rapido giro intorno alla casa e constatò che non c’erano stati danni, tranne un pezzo di copertura del tetto di una baracca che il vento aveva staccato e scagliato alcuni metri distante, dopo sarebbe andato a recuperarlo.
Quindi si diresse verso la riva per vedere se tra i detriti che il mare aveva portato sulla spiaggia, c’era un po’ di legna da ardere o comunque qualcosa che gli sarebbe potuto tornare utile. Intanto constatò che la sua barca, che aveva trascinato in secca per un bel pezzo, era ancora saldamente legata al palo prescelto; poi la sua attenzione fu catturata da un tronco non molto lontano, accanto al quale c’era però qualcosa che non riusciva a distinguere bene. Pensò che forse era la carcassa di un animale o un qualche grosso pesce spiaggiato per via della tempesta. Decise di andare a vedere.
Grande fu lo stupore, quando man mano che si avvicinava, quella sagoma pareva proprio quella di una persona. “Era forse un naufrago annegato?” pensò. Si mise a correre e raggiunse subito il posto. Era proprio un uomo quello attaccato a quella grossa trave, che subito riconobbe come un pezzo dell’albero maestro di una nave. Lo sventurato era legato ad esso con una corda che gli cingeva la vita e poi girava tutt’intorno al legno, fissata con un grosso nodo; le sue gambe erano disposte a cavalcioni del tronco, sembrava che l’avesse cavalcato per rimanere a galla.
Riavutosi dall’iniziale sbalordimento, cercò subito di capire se quell’uomo era già morto o fosse ancora miracolosamente in vita. Dalle piccole bolle d’acqua che gli vide uscire dalla bocca, capì che ancora respirava, benché molto debolmente. Grazie alla sua grande esperienza di marinaio, in pochi secondi riuscì a sciogliere il nodo e lo liberò dalla corda che teneva l’uomo attaccato al legno; fece rotolare un poco il tronco per liberare la gamba che stava bloccata sotto; sollevò da dietro il malcapitato, afferrandolo ai fianchi, e lui subito sputò acqua dalla bocca e cominciò a tossire. Lo scosse e gli uscì ancora altra acqua.
In passato Antonio si era trovato più volte di fronte a qualcuno che aveva rischiato di annegare, perciò si ricordò il da farsi, pur non avendolo mai fatto.
Adagiò il corpo supino sulla sabbia, congiunse le proprie labbra con quelle dell’altro e cominciò a soffiare aria nei suoi polmoni. Si fermò per vedere se la cosa aveva giovamento e infatti l’uomo tossì, sputando fuori dell’altra acqua. A quel punto appoggiò l’orecchio sul petto di lui per sentire il battito del cuore: era debolissimo. Allora con entrambe le mani premette energicamente per alcune volte e subito ricongiunse la sua bocca a quella dell’altro per soffiare dentro altra aria. Questa volta, oltre all’acqua, dalla sua bocca uscì anche un flebile gemito: questo era un buon segno. Ripeté ancora le operazioni di prima, finché dopo un ulteriore colpo di tosse, l’uomo riprese a respirare da solo, seppur tossendo di quando in quando. Ascoltò un’ultima volta il battito del cuore, e anche quello sembrava che stesse riprendendo a pulsare più forte. «È fatta!» disse tra sé, quindi cominciò ad osservare meglio l’uomo che gli stava disteso davanti. I pochi indumenti che indossava erano di una foggia raffinata, quindi si trattava di qualcuno che veniva da una ricca famiglia o comunque benestante; gli pulì dolcemente la faccia sporca di sabbia; era un giovane uomo, sicuramente non aveva più di 25 anni. Gli armoniosi lineamenti del viso e il suo corpo robusto e ben fatto suscitarono in Antonio un sentimento di grande soddisfazione, per essere riuscito a strappare alla morte quest’uomo così giovane e bello.
Un lamento del ragazzo che aveva cominciato a tremare visibilmente, interruppe il momento di contemplazione dell’uomo, quasi a ricordagli che c’era ancora un bel po’ da fare, prima di poter dire che fosse del tutto fuori pericolo.
Lo sollevò, si fece passare un suo braccio intorno al collo tenendolo stretto con una mano, mentre con l’altro braccio lo cingeva ai fianchi. Lo trascinò con sé fino a quando, arrivati a pochi metri dall’abitazione, lo prese in braccio e lo portò dentro, per poi adagiarlo su una sedia dell’ampia cucina. Accese subito il fuoco nel camino e poi corse fuori con un gran pentolone, per riempirlo con l’acqua piovana che prese da un grosso fusto. Lo appese a un gancio all’interno del camino. Dopo un po’ corse ancora fuori con due grossi secchi, a prendere dell’altra acqua. Quando quella nel pentolone fu quasi bollente, la svuotò in una grande tinozza ovale che posizionò accanto al camino e poi lo riempì con l’acqua dei due secchi, per metterlo di nuovo sul fuoco. Dopo aver riempito ancora quei due recipienti, passò ad occuparsi del giovane per spogliarlo. Gli tolse la camicia bianca di seta con le maniche a sbuffo ornate di pizzo ai polsi e al colletto. Era decisamente una camicia che solo i ricchi o i nobili potevano permettersi di avere. Anche le lunghe calze di lana, che gli fasciavano le gambe muscolose, erano di un tessuto pregiato.
Quando fu il momento di togliere la brachetta con la conchiglia che ricopriva e proteggeva le parti intime, esitò, come bloccato da un senso di pudore che mai aveva provato prima. Superò subito quello scrupolo, vista la necessità di denudare completamente il ragazzo, che intanto aveva smesso di tremare, pur permanendo in quel suo stato di quasi totale incoscienza.
Rimosso anche l’ultimo indumento, Antonio non poté fare a meno di soffermarsi ad osservare l’attributo del giovane: di cospicua dimensione, adagiato su uno scroto rugoso ma senza peli; invece una fitta peluria scura e arricciata contornava l’intero organo.
Mentre indugiava nel suo contemplare, fu colto da una specie di turbamento.
Per riaversi da quella strana sensazione, svuotò l’acqua dei due secchi dentro la tinozza che fungeva da bagnarola e poi aggiunse quella che nel frattempo si era andata scaldando nel camino. Ora l’acqua era tiepida, quindi prese in braccio il ragazzo e lo adagiò delicatamente dentro al grosso recipiente di legno.
Bisognava lavare via tutta la sabbia, la salsedine e l’altra sporcizia che le onde gli avevano lasciato addosso.
Antonio si inginocchiò di lato, raccolse una spugna di mare che era lì sul pavimento e iniziò a bagnare e strofinare dolcemente la testa e il volto del ragazzo, quindi scese verso le spalle e sul petto quasi completamente glabro, tranne un vago accenno di peluria nell’incavo centrale. Lo prese dolcemente per una spalla per farlo piegare leggermente in avanti, affinché potesse strofinargli per bene la schiena e giù fino ai glutei; poi mentre lo faceva riappoggiare all’indietro, notò che aveva smesso di lamentarsi: doveva essersi addormentato. Prese a strofinargli l’addome, poi la pancia e i fianchi, ma quando fu il momento di passare al bacino, lasciò la spugna e proseguì con la sola mano.
Oltre che per pulirgli meglio il pube, anche per un improvviso desiderio di toccare direttamente il suo membro. Voleva sentire quanto fosse liscio e consistente; se la pelle che lo ricopriva lasciava uscire la punta; passare le sue dita su quei peli arricciati tutt’intorno. Mentre cercava di tenere divaricate il più possibile le gambe del ragazzo, Antonio tastò i testicoli, per poi infilare la mano sotto allo scroto e con un dito andò ad esplorare anche l’apertura dell’ano, senza però tentare di varcarla; si limitò a vellicarla dolcemente. Forse fu un puro caso o una precisa coincidenza, di fatto in quel momento il giovane emise un lieve gemito; così l’uomo provò di nuovo il turbamento di prima; dopodiché si mise subito a lavargli le gambe e i piedi e alla fine lo tirò fuori dalla tinozza e lo adagiò di nuovo sulla sedia, dove aveva predisposto una grande tovaglia per asciugarlo. Infine lo portò nella camera da letto e lo distese su quel letto nuziale che per troppo poco tempo aveva svolto tale funzione. Gli pose sopra una coperta e lo lasciò dormire.
Se ne tornò in cucina per mangiare qualcosa. Prese dalla dispensa un po’ di pesce affumicato e un tozzo di pane scuro, li poggiò sul tavolo dove c’era anche una bottiglia di vino semivuota. Mentre mangiava, ripensava all’evento straordinario che gli era capitato, quand’ecco che sentì chiaramente dei lamenti che arrivavano dalla camera dove stava il ragazzo. Corse a vedere e lo trovò completamente scoperto: si dibatteva e tremava, si lamentava e pronunciava parole incomprensibili. Quando gli fu accanto, notò la fronte ricoperta di gocce di sudore, come tutto sudato era pure il suo corpo. Capì che era sopraggiunta una forte febbre, ma non aveva idea di come porvi rimedio. Da una cassapanca che si trovava nella stanza, tirò fuori delle pezze di lino e cominciò ad asciugare il sudore dalla fronte del giovane e poi su tutto il corpo. Lo coprì di nuovo e quindi andò in cucina a prendere un bicchiere e dell’acqua. Lo mise in posizione seduta e anche se non fu facile, poiché continuava a tremare, riuscì a farlo bere un po’. Dopodiché lo fece stendere e gli si distese a fianco; lo abbracciò e lo strinse forte a sé. Rimasero così un bel po’, finché il tremore si affievolì, fino a scomparire del tutto; i lamenti cessarono e il ragazzo si addormentò di nuovo. Anche Antonio poco dopo si assopì. Quando si risvegliò era pomeriggio tardi, si rese conto di dover sbrigare alcune faccende, prima del calar del sole. Il giovane uomo che gli giaceva accanto, sembrava dormisse tranquillamente, così uscì per raccogliere delle pere da un albero lì vicino, quindi andò a governare la capra che teneva in una delle due baracche e gli tirò un po’ di latte, riempendone un bel boccale.
Rientrò in casa, appoggiò la frutta e il latte sul tavolo e si diresse subito in camera da letto: il ragazzo continuava a dormire tranquillo. Tornò in cucina, accese il fuoco nel camino e mise a scaldare dell’acqua in un bricco. Cercò nella credenza che fungeva da dispensa il barattolo che conteneva il tè, glielo aveva portato in regalo dalla lontana Inghilterra un suo caro amico marinaio, che era capitato dalle sue parti.
Il vero nome di Antonio era Antony Peasant, ma si faceva chiamare Antonio; era nato a Plymouth, in Inghilterra, quarant’anni fa. Aveva iniziato a imbarcarsi che era poco più che un adolescente; negli oltre vent’anni di navigazione che aveva alle spalle, aveva ricoperto un po’ tutti i ruoli di marinaio, fino ad arrivare ad essere capitano di mare. Da qualche anno non aveva più voluto riprendere la via del mare e se ne stava in solitudine nella sua casetta sulla spiaggia.
Preparò l’infuso di tè, vi aggiunse del latte e un bel po’ di miele, quindi ne portò una tazza al giovane. In quel momento vaneggiava; tra tutte le parole smozzicate che pronunciava, l’unica che ad Antonio sembrò di capire chiaramente fu “Viola”. Pensò che probabilmente era il nome della donna amata.
Lo tirò su per metterlo a sedere con la schiena appoggiata alla spalliera e, dopo essersi sincerato che il tè non fosse troppo bollente, gli avvicinò la tazza alla bocca. Con piccoli sorsi, riuscì a farglielo bere tutto.
Dopo averlo fatto ridistendere, rimase a guardarlo per alcuni attimi, sentendosi invadere da un senso di tenerezza mai provato prima. Pensò che doveva essere quel tipo di sensazione che prova un genitore quando si prende cura del proprio figlio ammalato. Ad ogni modo, qualunque fosse la natura del sentimento che lo ispirava, si chinò per baciarlo sulle labbra e lo coprì; accese una lampada ad olio, affinché non si trovasse totalmente al buio nel caso di un suo risveglio e se ne tornò in cucina. Bevve il tè a latte che era rimasto e prima di cenare decise di svuotare la tinozza in cui c’era ancora l’acqua con cui aveva fatto il bagno allo sventurato ospite.
Cenò con un piccolo trancio di carne essiccata, due gallette di riso, un paio di pere e un bel bicchiere di vino, svuotando la stessa bottiglia da cui aveva bevuto a pranzo.
Finito di cenare, dopo aver rassettato, decise di leggere un po’, prima di andarsene a letto.
In un angolo della cucina c’era uno scaffale, dove nel corso degli anni aveva raccolto i libri che comprava nei vari luoghi in cui capitava. Erano per lo più scritti in inglese e tra essi, aiutandosi col lume di una candela, cercò e trovò quasi subito un compendio sul pensiero e le opere di Francis Bacon. Si accomodò in una poltrona di vimini, accanto al camino e aprì il libro. In realtà voleva rileggere un passaggio che l’aveva particolarmente colpito ma che ora non ricordava più bene. Ci mise un po’, ma finalmente lo trovò: “…Esiste tra tutti gli esseri un legame di carattere universale che si manifesta come forza di attrazione o di repulsione. Tutti i corpi sono dotati di percezione. Quando un corpo è a contatto con un altro corpo, avviene una specie di scelta con la quale viene accettato ciò che è gradevole e respinto ciò che è sgradevole. Sia che un corpo alteri un altro o che ne sia alterato, l’operazione è sempre preceduta da una percezione”.
Smise di leggere e cominciò a riflettere su quanto era accaduto quel giorno.
“Doveva essere quella specie di legame universale che aveva attratto il corpo del ragazzo finito sulla spiaggia qui vicino – pensò – Con migliaia e migliaia di chilometri di costa, perché era capitato proprio qua? Lo stesso legame per cui anch’io mi sono subito sentito attratto da quel corpo, appena l’ho visto sulla spiaggia, senza neanche sapere di cosa si trattasse. E il fatto di non aver per niente esitato a entrarci in contatto per prendermi cura di lui, vuol dire che, senza starci a pensare, avevo scelto istintivamente di accettarlo. Poi quando ho dovuto congiungere le mie labbra con le sue per aiutarlo a respirare, non ho provato alcuna repulsione, mentre in passato era proprio questo che mi aveva sempre trattenuto dal compiere quel tipo di operazione: attaccare le mie labbra a quelle di un altro uomo mi pareva qualcosa di abbietto. Invece questa volta la sensazione che ho avuto è stata tutt’altro che sgradevole. È evidente che l’accostamento dei nostri corpi, almeno in me, ha prodotto delle alterazioni e dei cambiamenti. Anche se la cosa mi turba parecchio, devo riconoscere che la mia percezione del fisico maschile è molto diversa da prima, così com’è del tutto inaspettato il modo in cui reagisce il mio corpo; al punto che faccio fatica a riconoscermi; mi sembra di esser diventato un’altra persona”.
La riflessione di Antonio fu interrotta dai rumori che provenivano dalla camera da letto, dove subito corse per vedere cosa stesse succedendo.
Il giovane si agitava e sobbalzava sul letto, come in preda a delle convulsioni, agitava in modo scomposto le braccia ma teneva gli occhi chiusi e ripeteva incessantemente il nome di Viola. L’uomo pensò che ora, più che dalla febbre, tutto ciò fosse causato da un terribile incubo. Si buttò sul letto per abbracciarlo e calmare i suoi movimenti inconsulti dicendo: «Svegliati, è solo un sogno, sei al sicuro qua».
Il ragazzo non si svegliò ma pian piano si quietò. Allora Antonio si alzò per spogliarsi; si denudò completamente e si coricò accanto a lui. L’uomo era poggiato su un fianco, la testa sostenuta da una mano, con l’altra cominciò ad accarezzare delicatamente il corpo dell’altro che, in seguito a tutto quell’agitarsi, era rimasto quasi del tutto scoperto. Partì dalla coscia muscolosa, quindi risalì su un fianco, poi l’addome e quindi il petto. Si accostò di più, e ora i due corpi a contatto si trasmettevano calore a vicenda.
Il respiro regolare del giovane, lasciava intendere che avesse ripreso a dormire placidamente. Pensò che le sue carezze erano riuscite a chetarlo. Proseguendo in quella specie di ricognizione tattile, gli venne in mente di disegnare con un dito dei cerchi intorno ai due capezzoli; con una certa sorpresa notò che si andavano inturgidendo. “Per Giove! – pensò – è in stato d’incoscienza, eppure il suo corpo reagisce agli stimoli fisici”. Prese a titillarglieli e notò che si indurivano sempre più; allora diresse lo sguardo verso il pube di lui e vide che il pene era in piena erezione.
Senza starci a pensare, lo avvolse con la sua mano e cominciò a masturbarlo dolcemente.
Si rese conto che anche il suo membro si era inturgidito e premeva sul fianco del giovane, perciò il modo con cui stava dando piacere al ragazzo, eccitava molto anche lui.
Dopo qualche minuto l’altro emise una specie di rantolo, sobbalzò e dal suo sesso uscirono diversi schizzi di liquido biancastro che gli imbrattarono l’addome e il petto, dopodiché altri brevi fiotti bagnarono la mano di Antonio, che aveva continuato a stimolare l’attributo del giovane.
L’uomo rivolse lo sguardo verso il viso del suo ospite per vedere se quel servizio di mano lo avesse fatto risvegliare, ma egli continuava a tenere gli occhi chiusi e dopo un debole ansimare, riprese a respirare normalmente. Antonio si alzò, bagnò le stesse pezze con cui prima gli aveva asciugato il sudore, lo ripulì del seme sparso sul torace, spense la lampada a olio e tornò a distenderglisi accanto; tirò a sé la coperta per ricoprire entrambi.

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