Lui & Lei
L'ovetto
di NoOne8
22.08.2024 |
3.627 |
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"Comincio a massaggiarti il clitoride..."
Questo racconto nasce come un esperimento, dedicato alla mia donna, che sa farmi godere come nessun'altra. Buona lettura!È un bel venerdì primaverile, abbiamo spostato tutti gli impegni, quindi la sera è tutta per noi. Finalmente, siamo riusciti a organizzarci per andare a quel locale jazz che abbiamo visto un po’ di tempo fa, l’atmosfera sembra bella e c’è sempre musica dal vivo.
Mentre ti stai preparando, ti raggiungo, ti abbraccio da dietro, ti dico quanto sei stupenda e, quando comincio a baciarti sul collo e sulle spalle, inizi a scioglierti in quel modo tutto tuo che mi piace così tanto.
Le mie mani ti frugano ovunque mentre continuo e tu stai ansimando sempre di più, quando mi fermo.
“Ho un’idea”, ti dico, mentre ti faccio sedere sul letto e mi inginocchio.
“Sì? E cosa?” mi chiedi tu, un po’ frustrata da quell’interruzione improvvisa.
Senza risponderti, comincio a baciarti i piedi, fasciati in un bel paio di tacchi a spillo. Lentamente, molto lentamente, la mia bocca risale lungo le tue gambe, assaporando ogni millimetro di te.
Arrivato alle ginocchia, con le mani ti allargo le gambe, non spalancate, ma aperte abbastanza per continuare la mia scalata verso la vetta, che infatti ricomincia subito, ma ancora più lenta. Sono alle tue belle cosce e me le voglio godere come si meritano.
Le mie labbra cominciano a volare da una gamba all’altra, sempre più vicine alle tue, quando…
“Queste non ti serviranno”, ti dico guardandoti negli occhi, prima di baciare dolcemente il tessuto delle tue mutandine. Hai indossato un perizoma, lo apprezzo molto, ma voglio saperti libera, per la nostra serata libera.
“OK…” è l’unica cosa che riesci a rispondere, mentre le mie dita si infilano sotto l’elastico dell’intimo, tirandolo giù e tu assecondi i miei movimenti con il corpo per rendermi il compito più facile.
Sfilato il perizoma, lo annuso, è già bagnato. Sono stato io, o lo eri già all’idea di avere una serata tutta per noi? Senza pensarci più di tanto, mi inebrio del profumo della tua eccitazione e mi metto le mutandine in tasca.
Senza quella barriera a separarci, mi chino di nuovo tra le tue gambe e comincio a baciare l’interno coscia, avvicinandomi sempre di più alle tue labbra. Lo sento che ti sta piacendo, per questo ogni volta che mi avvicino pericolosamente, poi mi riallontano. Il tuo respiro ti tradisce, lo so che ormai vorresti sentire la mia lingua sul clitoride.
“Caspita, guarda che ora si è fatta… Dobbiamo andare o daranno il tavolo a qualcun altro,” mi allontano bruscamente, rimanendo in ginocchio.
“Cos- no!” Protesti, come se ti avessi appena svegliata con un ceffone.
Con calma, mi rialzo, mi chino su di te e ti bacio. Tu rispondi, sento la tua lingua ovunque, come se potesse riuscire a convincermi a tornare giù. Intanto, la mia mano scende tra le gambe ancora aperte e il medio comincia ad accarezzarti le labbra, sentendole schiudere al solo passaggio. Ti penetro. Sei calda e davvero molto bagnata, entra senza difficoltà e comincia ad accarezzarti dentro.
“Sì…” mi stacco un attimo dal bacio, ma ricomincio subito.
“Direi che sei pronta…” ti lecco le labbra, mentre il dito continua a esplorarti.
“Per cosa?” Mi chiedi con voce roca, eccitata e incuriosita.
“Per questo,” ti spiego, mentre tiro fuori un ovetto con una coda dalla tasca.
Lo guardi curiosa e intrigata, ti mostro il logo di un'app sul telefono e tu capisci tutto. Quasi me lo strappi dalle mani e in pochi secondi è già dentro di te, al sicuro, pronto.
"È davvero tardi" mi dici. Ti dai un'ultima passata di rossetto, prendi la borsa dal divano e saliamo in macchina.
Prima di partire, accendo l’ovetto, impostandolo sulla vibrazione più bassa.
“Che ne dici?”
“Mah, non è che si senta molto,” rispondi, scettica.
Sorrido, ti stampo un bacio sulle labbra. Lo so che si sente poco, ma non stiamo correndo uno sprint, questa è una maratona.
Il locale non è lontano, ma Roma è quella che è, c’è traffico e i semafori sono tanti. La mia mano ti accarezza la coscia scoperta, allungandosi occasionalmente verso l’inguine. Mi giro per guardarti, ma sei troppo concentrata.
“Si sente ancora poco?” La domanda è retorica, la tua carne è bollente e giurerei di averti sentita anche un po’ bagnata sull’interno coscia.
“Forse un po’ di più…”
Bugiarda.
Finalmente siamo arrivati. Spengo il vibratore prima di venire ad aprirti la portiera.
“Grazie,” mi dici, accettando la mia mano per uscire. Ma nella tua voce l’ho sentita la delusione per aver interrotto quella piacevole tortura a bassa intensità.
I tuoi primi passi sulla terra ferma sono incerti. Amo vederti così eccitata e confusa da non avere il tuo solito controllo. Ti bacio e ci incamminiamo verso il locale.
Ci fanno accomodare subito, a un tavolino all’angolo, non troppo riparato, se non dal divanetto su cui siamo seduti, ma neanche al centro della sala. La musica ancora non è iniziata. Siamo in anticipo. Meno male.
Cominciamo a chiacchierare mentre sorseggiamo i nostri drink, ti sfioro la mano, ti guardo negli occhi. Riaccendo l’ovetto.
Provi a non dargli peso, a mantenere la conversazione, ma adesso non sto più guidando la macchina, adesso posso guidare te. Il dito scorre sul telefono poggiato al mio fianco, nascosto, così che neanche tu possa vedere dove andrà.
Alterno alti e bassi, con calma, sentendo il tuo respiro, sempre più affannato, e ascoltando le tue parole, sempre più difficili da trovare e pronunciare.
La luce e il trucco non possono nascondere il rossore sulle tue guance.
Ti avvicino a me, poggiando la mano sul tuo vitino. Ti bacio sul collo.
“Adesso lo senti meglio?” Ti sussurro all’orecchio, prima di alzare la vibrazione al massimo.
Rispondi con un gemito proprio quando la band incomincia a suonare.
Il concerto che sta per venire me lo voglio godere con te. Le dita toccano ripetutamente lo schermo del telefono e la vibrazione si ferma.
Mi guardi sorpresa, delusa dall’ennesima interruzione, fino a ché la batteria non attacca una canzone. Il tempo è lento, cadenzato, mellifluo e tu lo senti. Lo senti nella tua figa, perché l’ovetto vibra come se fosse un altro degli strumenti sul palco.
Sì, sarà un concerto stupendo.
Non è ancora finita la prima canzone e la tua mano cerca il rigonfiamento nei miei pantaloni. Lo tasti con ardore, come se in qualche modo potesse controllare il giocattolo, per farlo andare più forte. Mi sfreghi il cazzo da sopra i jeans, lo stringi. Lo so che lo vuoi. Lo sai che non puoi averlo. Non ora.
La mia mano scende dalla tua vita, si poggia tra le tue gambe, sul tessuto sottile del vestito. Le dita lo tirano lentamente su, finché non ti sfiorano il sesso. Sei completamente bagnata.
Ti preoccupi di essere troppo esposta. Ti guardi intorno. Gli altri avventori stanno tutti guardando nella direzione opposta, verso i musicisti e il tavolo ostruisce la vista a chiunque altro. Ci saranno almeno una cinquantina di persone in questa sala, ma siamo da soli, abbastanza per continuare senza troppi indugi.
Comincio a massaggiarti il clitoride. Le dita leggere, lente, non ho nessuna intenzione di farti venire subito. C’è tutto il concerto ancora.
Ti bacio le spalle, il collo. Agli occhi di chiunque, sembreremo solo un’altra coppietta come tante.
Con la scusa di reciprocare, nascondi la testa sotto la mia. Non hai il respiro affannato, stai gemendo senza neanche troppo ritegno.
“Ti piace, eh?” Ti sussurro all’orecchio, prima di mordicchiartelo.
“Sì…” Mi rantoli sul collo, affondandoci dentro. Mi mordi.
Non è chiaro se ti piaccia di più il vibratore o l’idea di godere di nascosto in un locale pieno di persone, ma sono abbastanza sicuro che siano entrambi a farti questo effetto. Sei sempre stata una piccola esibizionista.
“Fammi vedere quanto,” ti chiedo.
Senza pensarci due volte, mi prendi la mano e te la porti alla bocca, succhiandomi le dita bagnate, quindi la rimetti tra le tue gambe. Il tuo vestito è bagnato, il divanetto sarà zuppo, ma ormai non te ne frega più niente.
La tua presa sul mio cazzo è sempre più insistente, mi stai facendo una sega forsennata da sopra i pantaloni. Devo fermarti per non venire nelle mutande.
Le canzoni si susseguono e tu sei sempre più accesa, sempre più vicina, sempre più insaziabile. Ormai ti senti a casa nel nostro angolo nascosto, hai spalancato le gambe, poggiandone una sulla mia.
Senza darci troppo pensiero, mi scacci via la mano, per sostituirla con la tua e inizi a sgrillettarti con vigore. Sei così eccitata che non me la prendo neanche, lo vedo che stai per godere in un modo che neanche pensavi fosse possibile.
Poi, l’imprevedibile.
Il trombettista si fa avanti sul palco e si prodiga in un assolo. La tromba suona, veloce, dinamica, forte. Forte, almeno quanto la vibrazione dell’ovetto, che ti squassa dentro. Non te lo aspettavi, sei così abbandonata al tuo piacere che hai perso completamente il controllo della situazione. Vorresti fermarti, ricomporti e correre in bagno, ma la tua mano non è d’accordo, continua a correre imperterrita sul clitoride. Le note della tromba salgono ancora di più. La vibrazione aumenta. Mi guardi, impaurita ma eccitata come non mai.
Ti prendo per la vita e di stringo a me.
“Vieni,” ti ordino, come se fosse necessario, sussurrandoti all’orecchio.
Con la mano spingo la tua testa verso la mia, infilandoti la lingua in gola per ammutolirti mentre cominci a godere, tremando tra le mie braccia in preda a un orgasmo feroce. Ti sento urlarmi in bocca tutto il piacere che hai accumulato nelle ultime ore. Sembri posseduta e, in un certo senso, lo sei.
L’assolo sta finendo, proprio insieme ai tuoi ultimi gemiti. Ti stacchi da me e mi porti una mano tra le gambe. C’è un lago. Vorrei scendere a bere tutto, ma darebbe troppo nell’occhio.
“Ti prego, andiamo via subito,” mi chiedi.
“Perché?”
“Perché voglio questo cazzo,” mi spieghi, ricominciando a segarmi.
“Andiamo,” mi hai convinto al volo.
Ti alzi e mi precedi nell’uscire dal locale. La luce è poca, ma ammiro le tue gambe, da cui continua a colare il tuo piacere.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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