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Lui & Lei

Dalle otto alle otto per ventiquattr'ore - Capitolo 5 - dalle 12 alle 13


di Parrino
09.11.2022    |    998    |    1 9.0
"«Scherzi? E quello cosa credi che sia?», ti chiedo indicando il chiosco a poche centinaia di metri da noi che, intanto, aveva sollevato le sue saracinesche..."
Ruoti il tuo corpo verso destra per smontare dall'auto, ma ti fermo quando hai il busto ancora nell'abitacolo e le gambe penzoloni. Ti guardo negli occhi mentre mi inginocchio davanti a te. Le mie mani prendono a scorrere lungo le tue gambe nude, facendo risalire il vestito fino alle cosce. Ti accarezzo ancora per arrivare alle caviglie, sfilandoti la scarpa sinistra e baciandoti delicatamente la pianta del piede, sino a lambirne le dita. Le mie labbra si spostano verso l'interno, sfiorando prima il polpaccio e poi il ginocchio. Mi interrompo nel punto in cui la tua pelle inizia a divenire più calda e il tuo odore a risultare percepibile. Il tuo sesso, a pochi centimetri dal mio viso, mi appare invitante, le sue labbra gonfie e umide reclamano cure e attenzioni. Ma mi allontano da esso per dedicarmi all'altro piede, all'altra caviglia, all'altro polpaccio, all'altro ginocchio. Assaporo la tua pelle morbida, setosa, calda. La percorro, ora con le labbra, ora con un tocco delicato inferto dalla punta della lingua. Fremi mentre mi dedico alle tue cosce. Ti costringo a divaricarle; un piede contro il telaio dello sportello, l'altro abbandonato a mezz'aria fuori dalla vettura. E il tuo bacino che scivola inesorabilmente sul sedile, verso di me, verso la mia bocca affamata.
Le mie dita incontrano per prime le tue grandi labbra. Le percorro con l'indice mentre ti bacio le cosce, fino all'inguine. Sospiri quando una falange si fa strada dentro di te. Un antro bollente e fradicio ghermisce la punta del mio dito. Ma gli sfuggo, per risalire con nuova, esasperante lentezza a tormentare quel bottoncino turgido che è diventato il tuo clitoride. Lo stringo fra due dita, torcendolo tanto da strapparti un gridolino. Poi, con il polpastrello del pollice lo premo e lo muovo, imponendo un ritmo circolare. La mia lingua, intanto, si appropria della tua intimità, suggendo i succhi che ormai sgorgano copiosi tra le tue gambe. Quando la mia bocca aderisce alle tue labbra e la mia lingua ti penetra in profondità, i tuoi sospiri si tramutano in gemiti di godimento. Più rudemente massaggio il tuo clitoride, più aumenta la tua eccitazione, dissetandomi con abbondanti rivoli del tuo nettare.
Tenti di stringere le gambe, ma con la mano libera riesco agevolmente a tenerle divaricate, a lasciarti esposta e impotente, in balia della mia fame delle tue carni. Mi fermo solo per un istante, quando ti lasci andare sdraiandoti sui sedili e avverto le tue mani cingermi la nuca per attrarmi ancora di più a te.
«Via quelle mani - sussurro, con la bocca impastata del tuo piacere - non costringermi a legarti. Non ancora, almeno».
Rispondi con un lamento rauco e porti le braccia in alto prendendo a strisciare e contorcerti, sdraiata supina e bloccata nella mia morsa dalla cintola in giù, con la parte inferiore dell'abito ormai arrotolata in vita e la mia mano e la mia bocca a frugare senza riguardo tra le tue cosce spalancate.
La mia lingua continua a mimare un amplesso, come fosse un piccolo membro guizzante dentro di te. Il mio pollice non smette un istante di torturare quel clitoride ormai gonfio, duro, sensibile. La presa della mia mano destra sulla tua coscia si fa più salda, incurante di lasciare un'impronta rosso vivo sulla tua pelle di porcellana. Passano alcuni minuti prima che inizi a sentirti rigida, con la testa riversa all'indietro e ti veda ansimare a pieni polmoni con la bocca spalancata, alternando lamenti a respiri affannati.
Solo allora interrompo la mia azione. Un istante prima che l'orgasmo possa esplodere dentro di te.
Tremi mentre afferro le tue braccia e ti tiro su. Ti avvinghi a me e ti abbandoni mentre, quasi a peso morto, ti tiro fuori dall'auto. Le mie labbra sporche di te vanno a cercare le tue mentre sei in piedi stretta tra la carrozzeria e il mio corpo, col mio pene eretto premuto contro il tuo ventre. Dopo essermi appropriato della tua bocca ancora in debito d'ossigeno, il mio sguardo corre su di te. Accaldata, arrossata, ansimante, con lo sguardo languido rivolto all'infinito e le labbra tumide a testimoniare la tua eccitazione viva, pulsante. Ti guardo ammirato, stravolta e bellissima. Poi ti scosto dal viso i capelli scarmigliati, tornando a perdermi nell'oceano oscuro dei tuoi occhi.
«Non le reggo ventiquattro ore così. Ci resto secca prima», mi dici in un sussurro mentre un accenno di sorriso ti disegna delle graziose rughette ai lati della bocca.
«Sapevi a cosa andassi incontro», replico in tono complice.
«Certo, ma sarebbero potute essere solo parole».
«No no - insisto - quali parole, sono proprio porco come dico di essere».
«E anche più stronzo di quanto mi aspettassi», ringhi.
«Te l'ho sempre detto che sei troppo pessimista».
«Perché diavolo ti sei fermato...», mi dici accarezzandomi.
«Perché non voglio ancora che tu goda, ovvio».
Espiri rumorosamente, spazientita. «Hai una vaga idea di quanto tu mi stia sul cazzo in questo momento?».
«Certo... e non vedo l'ora di guardarti godere per vedere questa rabbia venir fuori», ribatto per poi afferrare tra i denti il tuo labbro inferiore.
«Te l'ho già detto che sei un grandissimo bastardo?», concludi prima di permettere alla mia lingua di cercare la tua e arrenderti a un nuovo, umido bacio.
«Ora che facciamo?», mi chiedi qualche secondo dopo.
«Be', è quasi ora di pranzo. Io ne approfitterei».
Senza allontanarti da me, allunghi il collo per guardarti intorno. «Dovremo andare da qualche altra parte allora, qui non c'è nulla».
«Scherzi? E quello cosa credi che sia?», ti chiedo indicando il chiosco a poche centinaia di metri da noi che, intanto, aveva sollevato le sue saracinesche azzurre.
«Una pescheria, ha i banchetti fuori», rispondi dubbiosa.
«Non solo. Appartiene ad una famiglia di pescatori. Oltre ad essere una pescheria d'asporto, funziona anche come una sorta di tavola calda nella quale cucinano il pescato del giorno. Un po' spartano, ma più fresco e genuino di così...».
«Ma a te non piace il pesce», affermi.
«Non molto... ma a te si. Andiamo?», replico ammiccante.
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