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Lui & Lei
Dalle otto alle otto per ventiquattr'ore - Capitolo 2 - Dalle 9 alle 10
di Parrino
08.11.2022 |
1.518 |
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"«Grazie», rispondi con un filo di voce..."
«Non potevo non indossarle - mi dici, staccandoti da me e accarezzando ammiccante il tessuto delle mutandine - in stazione mi ha accompagnata mio fratello, e questo vestito col quale volevi partissi... così corto, leggero... avrei potuto farmi scoprire da lui o da altra gente. Il paese è piccolo...».Ti afferro il volto con una mano, poi scendo con un tocco delicato fino a sostituire alle mie le tue dita. «E non vuoi che i tuoi vicini scoprano la troia che si nasconde dietro questo visetto d'angelo», incalzo, sfregando il ruvido cotone bianco sulla tua vulva completamente esposta.
Sospiri, gettando il capo all'indietro. «No...».
«Non ti piace mostrarti, provocare, eccitare. Lasciarti guardare, sentire addosso occhi estranei, indagatori, occhi di gente che vorrebbe spogliarti, sfogare senza ritegno la voglia che hai fatto montare in loro», continuo, seguitando a far scorrere le mie dita lungo il tuo sesso umido.
«Mostrare la figa nuda e bagnata mentre i loro cazzi scoppiano nei pantaloni per colpa tua», insisto, penetrandoti con la punta del dito medio.
Il tuo respiro inizia farsi pesante. Gemiti sottili sfuggono dalle tue labbra, mentre il tuo odore si spande nell'abitacolo.
Infilo con esasperante lentezza un dito dentro di te. Sprofonda senza difficoltà tra le tue pareti bollenti, ricoprendosi di liquido viscoso che non vedo l'ora di poter bere con calma, dalla fonte. Lo tiro fuori e spalmo quelle gocce di piacere sulle tue labbra, per poi tornare a baciarti suggendole con avidità dal tuo viso.
«Andiamo a far colazione ora», ti sussurro indicando un piccolo bar poco distante.
Mi guardi stralunata mentre esco dall'auto, e ti reggi a fatica sulle gambe tremolanti quando ti apro la portiera e ti porgo una mano a mo' di sostegno.
Camminando mano nella mano osservo i tuoi occhi lucidi, accesi di desiderio, le tue gote infiammate, il tuo corpo scosso da un respiro che fatica a regolarizzarsi.
«Sei bella, dannatamente bella», ti dico, sinceramente ammaliato dalla tua indiscutibile avvenenza.
«Grazie», rispondi con un filo di voce. Poi ti avvicini e mi guardi fisso, porgendomi ancora le tue labbra, che non disdegno di sfiorare nuovamente.
Percorse alcune decine di metri, entriamo nel locale incollati. Mi stacco da te solo per cercare un tavolino al quale accomodarci. La saletta è vuota, eccetto per il barista intento ad asciugare bicchieri e posate: un ragazzo poco più giovane di noi, mediamente alto, mediamente magro, mediamente... nella media. Un ragazzo comune, ancora inconsapevole dello spettacolo al quale assisterà a breve, del regalo che il destino gli ha riservato in quello che era probabilmente iniziato come uno dei tanti turni di lavoro che si susseguono indistinti uno via l'altro, ma che non sarebbe rimasto tale troppo a lungo. Cordiale, ci rivolge un sorriso al quale rispondiamo di rimando.
Sposto la sedia per farti accomodare, poi ti accarezzo il viso per invitarti a guardarmi, in piedi dietro di te. Mi chino per baciarti ancora, senza smettere di sfiorare la tua pelle. Mentre le nostre lingue si cercano, la mia mano sinistra scorre sul tuo collo fino al tessuto che ti fascia il seno. Mi insinuo sotto di esso, avvertendo con i polpastrelli la morbidezza della tua carne. Scosto la coppa del reggiseno per raggiungere l'areola. Così facendo, la punta del mio indice incontra il tuo capezzolo già turgido. Lo stringo tra le dita per strapparti un sussulto, poi ritraggo la mano e smetto senza preavviso di esplorare la tua bocca. Come se nulla fosse mi siedo accanto a te, incrociando per un attimo lo sguardo del barman, che subito lo distoglie imbarazzato.
Alzo una mano per richiamare la sua attenzione, intanto che con l'altra ti accarezzo una coscia. Quando si avvicina per prendere le ordinazioni cerca di far finta di nulla, pur senza riuscire a celare il suo turbamento. E anche tu eviti di guardarlo negli occhi, rivolgendo la tua attenzione alle suppellettili di quell'angusta ma curata caffetteria della periferia cittadina, alla varietà di bottiglie in esposizione, ai calici brillanti sul bancone, ai ripiani in vetro e marmo privi di anche un solo granello di polvere.
I saccottini si dimostrano fragranti e gustosi, annaffiati da un cappuccino caldo e dolce al punto giusto, arricchito da una crema spumosa che non si può resistere dal raccogliere col cucchiaino. La conversazione non è meno piacevole. Per svariati minuti parliamo del viaggio che hai affrontato, di come hai impegnato le ore in treno, di come sei persino riuscita a dormire per un po', prima che uno dei tuoi vicini di posto cominciasse a russare con l'intensità e la sguaiatezza del motore di un trattore. Chiacchieriamo, ridiamo, non perdendo occasione per sfiorarci di tanto in tanto.
«E' arrivato il momento della tua penitenza», dico al termine di quel pasto fugace, tornando d'un tratto serio.
«Cosa vuoi che faccia?», mi chiedi, più incuriosita che preoccupata.
«Vai in bagno a togliere le mutandine».
«Facile», replichi sicura.
«Poi vieni a consegnarmele», aggiungo.
Mi osservi interdetta per un istante, dopodiché, senza inutili obiezioni, ti allontani ancheggiando sensualmente. Appena la tua figura scompare dietro la porta della toilette, posta in un angolo della sala, mi alzo per pagare il conto. Ripongo il resto e lo scontrino nel portafogli e resto in attesa nei pressi del bagno.
Riappari pochi secondi più tardi, stringendo in mano quel feticcio intriso dei tuoi succhi. Me lo porgi frettolosamente guardandoti intorno con circospezione, quasi stessi commerciando in una qualche sostanza illegale. Guardo te, poi quello straccetto bianco. Me lo porto al naso per respirare a fondo il tuo odore. Intenso, pungente, eccitante. Come te.
Torno a guardarti. Sei palesemente in imbarazzo, con la fretta di lasciare quel luogo che ti si legge evidente in faccia.
«Ho già pagato - ti dico - potremmo anche andare...».
Tiri un sospiro di sollievo, ma il sorriso che lo segue ti muore sul volto quando ti restituisco gli slip lasciandoti intuire il mio desiderio. «Tuttavia, è buona abitudine lasciare una mancia...».
Mi guardi interdetta. «Dimmi che ho capito male», replichi, stringendo il tuo indumento intimo tra le mani gelide.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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