Gay & Bisex
MI SONO SCOPATO L’OPERAIO
di Cazzone_spacca
06.01.2025 |
5.490 |
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"Ma quasi mai se ne viene a capo e la soluzione ultima, alla fine, è rifare la terrazza..."
Avete presente quelle belle terrazze romane? Quelle che ti godi da marzo a settembre, quelle che con le famose ottobrate romane un barbecue lo puoi ancora organizzare?Quelle da cui puoi ammirare quei tramonti mozzafiato. Quelle che non serve tu sia in centro con affaccio sull’altare della patria o sulla scalinata di Trinità dei monti. No, a roma anche una terrazza a Centocelle ha il suo innegabile charme.
La terrazza romana è un po’ una sorta di logo registrato, quello che fa pensare ai film di Ozpetek, con le lunghe tavolate di amici e le lucine appese da parte a parte.
Ma c’è un dark side anche nelle terrazze romane. Qualcosa di cui nessuno parla. E che non è sempre rosa e fiori, la terrazza, gli agenti immobiliari non te lo dicono quando acquisti casa. Su quella terrazza fai il Brindisi con gli amici appena firmato il rogito e entrato in possesso della chiave. Quella terrazza la tieni per ultima quando fai fare il tour della casa. Ma quella terrazza, quella cazzo di terrazza che ti ha alzato il valore della casa tra il 25 e il 40% del prezzo di mercato, quella terrazza che tanto hai voluto, quella infima terrazza cela un segreto tra quelle piccole spaccature che si formano tra le mattonelle in cui cresce il muschietto. La dannata infiltrazione.
E credetemi, l’infiltrazione è un gran cazzo su per il culo. E non di quelli che piacciono a voi.
Quando c’è un’infiltrazione inizia un calvario infinito. Innanzitutto passano mesi prima che si riesca a capire esattamente dove sia il punto. E voi siete i primi a volerlo capire con esattezza perché se c’è possibilità di fare un intervento mirato anziché rifare tutta la terrazza si tratta di bei soldoni risparmiati.
E così via a perizie di centinaia di euro a botta, improvvisamente si diventa una sorta di PIERRE dei geometri che inizi ad assoldare a destra e a manca. Ma quasi mai se ne viene a capo e la soluzione ultima, alla fine, è rifare la terrazza.
Ma a quel punto si apre un’altra annosa questione: le riunioni di condominio. Poiché una parte della spesa è a carico del condominio, ogni condomino, dopo che tu hai speso fior fiori di quattrini in geometri super qualificati, si sente di mettere bocca e dire la sua. Ovviamente il tutto per ritardare l’inizio dei lavori e non dover pagare. Ma alla fine, inesorabile, la macchia sul soffitto dell’inquilina di sotto si allarga, e quando arriva a minacciare di denunciare tutto il condominio e addebitargli i costi dell’alloggio in hotel, magicamente l’assemblea si trova d’accordo e delibera per l’inizio lavori.
E qui ha inizio la terza tappa della nostra odissea: la scelta della ditta. Ma di tempo ne è stato perso così, dopo che hai fatto colloqui per la ditta che doveva ristrutturarmi casa che manco per entrare alla JULLIARD di New York, ti affidi alla prima ditta che trovi disponibile che di solito è quella di un lontano parente dell’amministratore che gli dà pure una mazzetta per ottenere lavori nei condomini che amministra.
Ed è stato così che ho conosciuto Daniele.
Genero del capo della ditta che, finita la stagione delle piogge, ha piantato strumenti e ponteggi nella mia terrazza per tre settimane. Sfasciato pavimentazione, stesa guaina, saldato, rifatto massello e piastrellato. Di soldi non stiamo neanche a parlarne.
Di Daniele invece ve ne parlo volentieri. Lo avevo visto mentre era venuto col suocero a fare il sopralluogo prima di iniziare i lavori. Era stata erezione a prima vista. Avevano preso qualche misura, mi avevano fatto scegliere il rivestimento da ordinare, avevano preso un caffè e se ne erano andati. 10/15 minuti in tutto. Abbastanza per farmi capire che in quell’operaio qualcosa non mi tornava.
Erano qui suoi lineamenti particolari, azzarderei delicati, in confronto con l’aria da uomo di fatica sporco di vernice e calcinacci fin dentro le orecchie. Sarebbe sembrato piuttosto un ballerino che interpretava il ruolo di un manovale. E quel contrasto mi eccitava non poco.
Un ragazzo sui 25 anni, con fitti ricci biondi che incorniciavano un viso dai lineamenti decisi ma armonici, un viso regolare, pulito, pelle chiara e liscia con poca peluria, due grandi occhi azzurri e labbra carnose. Un affilato naso dritto risultava perfettamente proporzionato in un viso tanto bello da sembrare finto. Lo sguardo era timido e un po’ remissivo, e strideva con le grosse mani con cui mi diede una stretta di mano virile la prima volta che ci conoscemmo e che ebbi modo di veder lavorare duro nelle settimane successive a mescolare malta e maneggiare attrezzi.
Insomma quel ragazzo da subito mi aveva colpito e non mi dispiaceva l’idea di trovarmelo in giro per casa per qualche tempo.
Ebbi modo nei giorni successivi di conoscere meglio gli operai che lavoravano alla terrazza. Perlopiù erano il titolare, Giuseppe, Daniele e qualche volta per qualche ora al giorno qualche manovale pagato a giornata che si portavano appresso. Giuseppe era la classica brava persona, semplice e genuina, che si era fatta da sola, che viveva di onesto lavoro ed era fiero di ciò che faceva. Non perdeva occasione di parlare della sua azienda, in un modo che chiunque si fosse inserito a metà conversazione, sarebbe stato persuaso nel credere che parlasse della figlia. Mi raccontò che aveva ereditato la ditta da suo padre e l’aveva fatta prosperare. Aveva avuto solo una figlia femmina e così sperava, in futuro, di poter lasciare l’azienda a “questo bravo ragazzone che a luglio sposerà la mia bambina!” Continuava a ripetere con orgoglio dando grosse pacche sulla spalla a Daniele che, ogni volta, mi guardava di sottecchi con aria imbarazzata.
Arrivavano la mattina presto, prima che io uscissi per andare a lavorare e dopo pranzo andavano via, prima che io tornassi. Ormai avevamo l’abitudine di prendere il caffè insieme la mattina, prima che uscissi, ed era diventato un simpatico rito. Verso la fine dei lavori, quando il grosso era fatto, Giuseppe inizio a vedersi sempre meno. Passava con la sua attenta aria da supervisore a controllare il lavoro svolto, prima di scappare verso un nuovo cantiere e lasciare all’ormai fidato genero i lavori di ritocco finale.
Fu così che iniziò a capitare più spesso che mi trovassi da solo con Daniele. E che mi rendessi conto che tra noi ci fosse una palpabile attrazione.
Sapevo che era fidanzato da anni con la figlia di Giuseppe, lui qualche volta orgoglioso mi aveva mostrato anche delle foto della ragazza con Daniele, sapevo che si sarebbero sposati a luglio, eppure sentivo che il mio interesse per Daniele era in qualche modo ricambiato.
Così un giorno tirai apposta prima da lavoro. Abbastanza prima da poter trovare ancora Daniele a lavorare ma in un orario in cui sapevo che Giuseppe era già passato per la sua visita di supervisione due lavori.
Salutai il ragazzo e dissi che non mi ero sentito bene a lavoro ed ero tornato prima e che andavo a fare una doccia.
Uscito dalla doccia lo raggiunsi con un asciugamano in vita, dicendo che la doccia mi aveva rimesso al mondo e chiedendo se gli andasse una birra. Lui accettò seguendomi in cucina. Una volta li, chiuso il frigo e aperte le birre, feci in modo di “impigliarmi” sbadatamente in una sedia con l’asciugamano, lasciando che mi scivolasse dai fianchi a terra e lasciandomi così, al centro della cucina, totalmente nudo col grosso cazzo pendulo a una manciata di cm da Daniele, seduto al tavolo.
Non mi fondi dispiaciuto o imbarazzato ma sostenni lo sguardo di Daniele che presto non si trattenne a spostarlo dai miei occhi ai miei genitali.
Ero in mezzo alla cucina, nudo, col cazzo di fuori e le birre nelle mani. Daniele non toglieva gli occhi dal mio cazzo che iniziava a ingrossarsi. Mi avvicinai a lui, senza dire niente, gli misi una mano sulla nuca, con l’altra mi afferrai l’uccello e glielo direzionai verso la bocca.
Lui mi guardò per un attimo, ma con nessuna esitazione nello sguardo solo una colpevole remissione, aprí la bocca e prese il mio mento tra le labbra.
Sentii una scossa attraversarmi il cervello, pulsare nelle tempie e scendere giù, verso il mio cazzo che iniziò subito a ingrossarsi in quella bocca, tanto inesperto quanto vogliosa.
Iniziai a pomparlo, tenendolo per la nuca, e lui inaspettatamente seguiva ogni movimento del mi bacino accogliendo sempre più cazzo nella sua bocca. Ero eccitatissimo, sentivo quella sua lingua umida sulla cappella, era bellissimo vederlo così, bello e maschile, con lo sguardo libidinoso e il mio cazzo nella bocca.
Non riuscii a trattenere un “che troia” mentre mi sfilavo il cazzo dalla sua bocca e iniziavo a prenderlo a pisellate sul viso.
Quel viso così bello, così perfetto, colpito ripetutamente dai miei 20 cm di cazzo ormai duri come la pietra mentre gli facevo aprire la bocca per leccarmi i grossi coglioni.
Così, con le mie palle nella bocca che succhiava avido, gli sbattevo il mio grosso cazzo sulla faccia e ridevo dicendogli che era un vero frocio.
Gli rimisi le mani dietro la nuca e iniziai a scopargli la bocca come una figa, ritmicamente e con foga. Interrompevo solo per sfilare il cazzo da quella bocca e sputarci dentro prima di rimetterci l’uccello e riprendere a scoparla senza pietà.
Mi sorprendeva come lui assecondasse ogni mio colpo, lo vedevo faticare, strabuzzare gli occhi, produrre saliva in quantità, eppure mai ha cercato di liberarsi la gola dalla morsa del mio cazzo puntato che non gli dava tregua.
Quanto è stato bello infilare la mano in quei ricci perfetti e tirare i suoi capelli per muovergli la bocca e farmi dare piacere.
“Succhiamelo puttana” mi divertivo a dirgli quando lo vedevo boccheggiare, “sai com’è contenta la tua ragazza a avere un fidanzato succhiacazzi” poi lo obbligavo, nei rari momenti in cui gli lasciavo libera la bocca, a dirmi che gli piaceva il mio cazzo, prima di ricacciarlo con violenza tutto dentro cm dopo cm.
Possedere quel maschio, con la sua tuta da lavoro, l’odore di calcinacci, mi fece sborrare in meno di 10 minuti. Non gli dissi nulla, inizia a fare fiotti di sborra nella sua bocca tenendola premuta e riempiendola in poco tempo ordinandogli di ingoiare il mio sperma. Cosa che, incredibilmente, fece subito senza alcuno sforzo e mostrandomi anche dopo soddisfatto la bocca vuota come le peggiori troie.
A quel punto mi feci leccare bene la cappella, per farla ripulire a fondo da ogni goccia di liquido seminale. Era bellissimo vedere la sua lingua roteare intorno alla mia cappella, percorrere la mia asta ormai quasi moscia.
Mi misi seduto e mi godei ancora per un po’ quel contatto. Lui si inginocchiò tra le mie gambe e mi leccava il pisello, lo strusciava sul suo viso come in adorazione, lo odorava, lo prendeva in bocca, leccava lo scroto prendendosi le palle in bocca e succhiandole a turno con avidità.
Presto fui di nuovo eccitato e iniziai a palpargli il culo. Lo aveva incredibilmente sodo. Gli abbassai i pantaloni e lo feci alzare mettendolo a pecora contro il tavolo.
Fu l’unico momento in cui, quando si voltò a guardarmi, notai un po’ di esitazione nel suo sguardo. Ma il mio cazzo era ormai di nuovo duro e lo baciai sul collo mentre poggiavo la cappella sul suo buco.
Me lo scopai per 40 minuti, in ogni posizione, steso sul tavolo a pancia in su, messo a pecora, piegato in avanti con una gamba alzata sulla sedia.
Le mie palle sbattevano ripetutamente contro le sue chiappe marmoree mentre lo sverginavo. Il mio cazzo lo trapanava forsennatamente e me lo sono scopato a dovere godendo come un porco e arrivando a schizzargli nel culo un fiume di sborra.
Alla fine eravamo entrambi stremati, lui mi ringraziò e mi chiese di potermi succhiare di nuovo il cazzo. Non avevo nulla in contrario e mi godetti un pompino magistrale che mi portò alla terza sborrata nella sua bocca e sulla sua faccia. Una volta finito mi ributtai in doccia finché non lo sentii uscire una volta finito il suo lavoro per la giornata.
Ci furono molti altri incontri clandestini come quelli, lui faceva in modo di tardare sempre un po’ coi lavori e io di tornare sempre un po’ prima in casa. Non ne parlammo mai. Era una cosa fisica e meccanica, era bono, mi piaceva, me lo scopavo, mi faceva godere e poi ciao, senza tante menate.
I lavori in terrazza finirono per tempo per la stagione primaverile e potei godermi la mia terrazza in santa pace.
Di lui non seppi più nulla ma a fine luglio Giuseppe passò a ritirare degli attrezzi che aveva lasciato a suo tempo da me e con l’occasione mi portò la bomboniera del matrimonio della figlia con Daniele che, seppi, se era tenuto regolarmente quel mese. Mi venne duro a ripensare a quanto avevo sborrato in quella bocca quando mi mostrò orgoglioso la foto in cui lui accompagnava la figlia verso Daniele all’altare.
Insomma, spesso le ditte edili sono fatte di gente poco onesta che ti vuole solo inculare. Ma stavolta, non solo ho trovato una persona onesta e per bene, ma l’operaio me lo sono iculato io.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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