Gay & Bisex
IL PROFESSORE D’ARTE
di Michellerimini
09.11.2020 |
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"La cosa mi eccitava, anche semi impauriva, d'altronde ero un ragazzino al primo anno di università che appena cominciava a scoprire l’amore, il sesso e..."
Aspettavo l’ultima metro per tornare a casa dopo un’intensa giornata trascorsa tra lezioni e sessioni di studio forzato alla Kunstbibliothek di Berlino in Matthäikirchplatz, per fortuna non si trattava di una tratta lungo, un’ora di metro per raggiungere Pankow, il mio distretto. Era inverno e la metro arrivò appena in tempo per salvarmi da un principio di congelamento. Salii su di uno scompartimento tranquillo, vidi che ce n’era uno occupato solo da un signore sulla sessantina, distinto e intellettuale, che leggeva un libro. Dopo aver salutato e mi lasciai cadere su un sedile vicino al finestrino; ero così stanco e infreddolito da non avere neanche la forza di leggere il giornale.
Il signore, con barba corta bianca e occhiali dorati, mi sorrise e continuò a leggere il suo libro. Avevo aspettato il treno per mezzora e finalmente, al caldo dello scompartimento, e ricominciavo lentamente a recuperare tutte le mie facoltà psicofisiche precedentemente intirizzite dal freddo.
Non avevo voglia di fare niente, soltanto di godere quel piacevole calduccio che usciva dal riscaldamento situato all’altezza dei polpacci. Dopo una decina di minuti passata ad osservare dal finestrino buio, rigato da raggi di luce delle luci nelle gallerie in movimento, cominciai ad annoiarmi. Scambiai un paio di occhiate e di sorrisi col viaggiatore e avevo la sensazione che, come me, avesse voglia di far passar il tempo chiacchierando. Ebbi la prova di questa sensazione quando a metà viaggio, mi vide sbirciare la sua lettura, un libro d’arte sull'opera di Albrecht Dürer, in italiano arcaico noto come Alberto Duro o Durero, mi chiese allora se mi piacesse la pittura e fu così che cominciammo a conversare. Era un professore di storia dell’arte, molto serio, parlava a bassa voce facendomi domande sui miei studi e sui miei hobby.
Ovviamente parlammo dei corsi universitari, conosceva molti dei miei professori. Gli dissi che mi piaceva la fotografia a e che stavo imparando a maneggiare una reflex e notai molto interesse da parte sua.
Mi disse che era fotografo amateur e che se mi interessava avrebbe potuto mostrarmi i suoi lavori e che se fossi stato d’accordo mi avrebbe fatto anche qualche foto e insegnato un po’ di tecnica fotografica. Non ebbi il tempo di rispondere, però presi il biglietto da visita che mi stava porgendo. L’altoparlante annunciava l’immediato arrivo all’ultima stazione, si vedevano i passeggeri uscire in corridoio e muoversi verso le porte. Erano le 23 e 05 ed eravamo arrivati. Strinsi la mano al signore e ognuno se ne andò verso una porta differente. Non so perché ma la maniera di guardarmi di quell'anziano professore mi inquietava e mi eccitava allo stesso tempo e seppi, fin dal primo momento che presto o tardi avrei preso il telefono lo avrei chiamato. Avevo notato il suo interesse fin dal primo momento e avevo visto che il suo sguardo si soffermava insistentemente sul mio corpo.
La cosa mi eccitava, anche semi impauriva, d'altronde ero un ragazzino al primo anno di università che appena cominciava a scoprire l’amore, il sesso e l’avventura. Ero stato abbordato da molti uomini e donne, sapevo che avevo qualcosa che mi rendeva magnetico, ma avevo sempre rifiutato gli inviti; questo signore era però diverso, così colto e discreto, e, a parte qualche sguardo intercettato, non aveva fatto alcuna allusione che potesse essere interpretata come un invito sessuale; mi aveva fatto anzi una buona impressione e poi si era offerto di insegnarmi diverse tecniche che non conoscevo. Il pensiero di essere fotografato mi piaceva, ma seguitavo a domandarmi:
..che tipo di foto mi avrebbe fatto?
..Dove sarebbero finite queste foto?
..E i negativi chi li avrebbe tenuti?
Quanti dubbi avevo in testa, passarono così un paio di settimane nelle quali quasi ogni giorno avevo l’impulso di prendere il telefono e chiamare il numero del biglietto da visita, che avevo ormai memorizzato. Arrivai alla conclusione che avrei telefonato e avrei chiesto delle risposte ai miei dubbi prima di accettare l’invito.
Ero confuso, ma in realtà avevo sempre avuto la curiosità di vedermi nudo in fotografia, e, da quando mi avevano regalato un treppiedi per la mia reflex, avevo pensato di farmi delle foto erotiche con l’autoscatto. Fin da adolescente in diverse circostanze come le docce della piscina dove mi allenavo, la sauna del club di canottaggio o qualche spiaggia nudista, avevo constatato che mi eccitava da impazzire essere guardato e ammirato, soprattutto da uomini e donne più maturi di me. E adesso mi si presentava un’occasione imperdibile, un professore che più che triplicava la mia età, fotografo, distinto e disponibile.
Un lunedì mattina misi da parte le paure, presi il telefono e digitai il numero del professore. I miei propositi di esporre in modo chiaro i miei timori svanirono appena rispose al telefono, la sua voce era fredda, metallica, mi disse che si ricordava di me e che si rallegrava che l’avessi chiamato, non mi diede tempo di parlare che avevo già accettato un appuntamento per mercoledì, a mezzogiorno davanti al chiosco di giornali della stazione dei treni. Abbassai la cornetta col cuore che batteva a più non posso,ormai era fatta.
L’attesa dell’appuntamento fu struggente.
Alternavo momenti in cui la mia fantasia si lasciava andare in ipotetiche e fantasiose storie de sessioni fotografiche, che normalmente terminavano in una succulenta sega, oppure mi prendevano le paranoie: dovevo fidarmi di questo misterioso professore del treno? In fondo non sapevo nulla di lui, mi aveva dato appuntamento in un posto strano, cosa avrebbe voluto da me? Comunque la mattina dell’appuntamento, una di quelle bellissime giornate di sole e freddo invernale, feci una doccia, indossai degli slip, forse un po’ stretti, ma facevano risaltare la forma dei mie glutei, un paio di jeans attillati, una maglietta bianca e un maglione, non ero certo elegante, ma mi sentivo molto attraente.
A mezzogiorno in punto mi presentai al chiosco di giornali della stazione ed ecco che scorgo, o almeno mi sembra di vedere, a una decina di metri il professore che evidentemente mi stava aspettando. Mi misi ad aspettare ed immediatamente i nostri sguardi si incontrarono e ci avvicinammo l’uno all'altro, stringendoci la mano.
Io fui preso da una specie di panico scenico, ero nervosissimo e non riuscivo a dire nulla, mi disse di seguirlo e si incamminò alla pensilina dei taxi, entrammo nel primo di una lunga coda, lui diede l’indirizzo al tassista e dopo un tragitto di una decina di minuti per il centro durante il quale non proferimmo parola, arrivammo davanti a una porta gigantesca, che solo i palazzi storici delle nostre città d’arte possono vantare, anche perché pochi ne sono rimasti dopo la seconda guerra mondiale qui a Berlino.
Il professore apri un entrata ritagliata nel legno massiccio, con una chiave che misurava come minimo trenta centimetri, e ci ritrovammo in un ingresso enorme pieno di statue e ritratti di estetica rinascimentale.
C’era odore di umidità e muffa, non avevo avuto la sensazione di entrare in una casa, anche se questo signore di una certa età, alto con barba bianca e occhiali una volta entrati mi disse che quella era casa sua. Non salimmo le due scalinate che portavano ai piani superiori e restammo al piano terra attraversando un corridoio stretto che conduceva a una serie di grandi locali che si aprivano con dei finestrati di ferro e vetro su un giardino interno selvaggio e rigoglioso. Lasciai il cappotto e lo zainetto in una specie di salone, che era l’angolo di un vano pieno di librerie, tavoli da lavoro, piante ornamentali, divani e seguii il padrone di casa che mi portò, o almeno così mi parve, ai suoi appartamenti.
Mi fece entrare in una sorta di laboratorio, pieno di libri, riviste, scartoffie varie oltre a dei fari, dei tavoli luminosi e altre attrezzature fotografiche. Su un mobile rilucevano delle macchine fotografiche di tipi diversi e in mezzo c’erano due poltrone. Io ero nervosissimo, lasciavo che fosse lui a prendere l’iniziativa. Mi fece accomodare sulla poltrona, mi offrì una birra e mi diede due album di foto.
Cominciai a sfogliare il primo, dove c’erano foto di architetture e paesaggi. Mentre sfogliavo l’album vedevo con la coda dell’occhio che lui mi stava osservando la patta dei jeans, molto stretti che seduto nella poltrona, marcavano il contorno del mio pene. Continuai a sfogliare l’album sorseggiando un po’ di birra, ma sentivo crescere il nervosismo e l’eccitazione.
Mi passò un altro album dove, mi disse c’erano i ritratti. Dopo un paio di foto di persone eleganti in ambienti eleganti, apparve una pagina con due foto in bianco e nero di una donna seduta dal petto abbondante e dai capelli neri e riccioli vestita soltanto da un paio di centimetri di perizoma semitrasparente, cominciava la serie dei nudi, ecco spuntare infatti sull'album i primi ragazzi nudi. Qualche bianco e nero, qualche foto a colori, formati differenti, devo riconoscere che le foto erano ben fatte, ma in quel momento sentivo una specie di febbre che mi saliva, il cuore aumentava i suoi battiti, una sensazione di calore che partiva dalle zone genitali fino a percorre tutto il corpo. Avrei voluto cominciare a spogliarmi li per li, ma mi bloccavo, il nervosismo o la timidezza mi impedivano di fare un primo passo.
Cominciavo a sentire però il cazzo che mi si gonfiava dentro gli slip. Finii di sfogliare l’album, seguii il professore in un lato del laboratorio dove aprì un armadio pieno di album e di scatolette di diapositive. Lì mi disse teneva tutte le foto, negativi e diapositive che faceva. Mi mostrò la camera oscura, una stanzetta non più grande di tre metri per tre, senza finestre, illuminata da una luce rossa. Restammo qualche secondo chiusi e in silenzio dentro la camera vermiglia. Io mi aspettavo, in qualsiasi momento, un suo gesto di approccio, ma a parte i suoi occhi che da dietro gli occhiali osservavano il mio giovane e snello corpo muoversi nervosamente nei suoi spazi privati, non ci fu nessun indizio di seduzione da parte sua. Uscimmo dalla camera oscura e ci incamminammo nel salone dove avevo lasciato lo zainetto e il cappotto.
Mi misi a sedere su un divano di velluto rosso e il professore mi servì un’altra birra. Mi chiese se mi fossero piaciute le foto, ma io già sapevo che stava arrivando il momento che tanto aspettavo. Dopo aver parlato una decina di minuti fu lui a prendere l’iniziativa. Prese la macchina e senza darmi la possibilità di negarmi, disse che mi avrebbe fatto qualche foto.
Cominciò a scattare ma io non sapevo come posare, ero più rigido di un baccalà.
Mi fece togliere le scarpe e mi fece distendere sul divano, ma non c’era verso di tranquillizzarmi. Tra uno scatto e l’altro veniva a muovermi le braccia, l’inclinazione della testa, le gambe, insomma mi metteva nella posa che lui desiderava. Io mi lasciavo fare, anzi, mi dava sicurezza il fatto che era lui a muovermi, io non avrei saputo come fare. Mi levai il maglione e restai in maglietta. Mi fece alzare e mi mise vicino alla parete tra i finestrati di vetro. Mi fece un paio di scatti e poi mi invitò a levarmi anche la maglietta. Restai in jeans e a torso nudo. Il professore mi disse che in quel momento avrebbe cominciato a farmi le foto, prese un rullino e lo mise nella macchina.
Rimasi basito dalla sua dichiarazione.. mi stava facendo foto da una mezz'oretta, ma mi disse che fino allora aveva fatto finta e che mi aveva ingannato per rompere il ghiaccio. Cominciai così a posare veramente, sembrava un esercizio di stiramenti e sentivo i muscoli tendersi quando mi metteva in posizioni più difficili. A un certo punto si avvicino e mi sbottonò il bottoni dei jeans, lasciando intravedere gli slip e un ciuffo di peli pubici biondi che fuoriuscivano. Sentivo che adesso cominciavamo le foto erotiche e stranamente, soprattutto in confronto a poco prima, mi sentivo totalmente a mio agio.
Mi fece sedere su una sedia e mi fece mettere una mano dentro ai jeans; sentivo il cazzo che si gonfiava e presagivo che prima o poi sarei rimasto nudo, la cosa mi piaceva. Dopo un paio di scatti a torso nudo, mi disse in maniera molto naturale, di levarmi i jeans. Non me lo feci ripetere e restai in mutande davanti a lui con un’erezione molto visibile, visto che gli slip a mala pena contenevano il mio lungo cazzo duro. Mi osservava da dietro gli occhiali e sentivo l’eccitazione aumentare, anche se si mescolava alla vergogna di dover giustificare l’erezione. Mi disse si levarmi anche gli slip e finalmente restai nudo ed eccitato.
Cominciò a scattare una foto dietro l’altra mettendomi in diverse posizioni. L’erezione non scendeva, il mio cazzo turgido, troppo grosso, era coronato sulla cappella da una brillante gocciolina di lubrificante organico. Tra una foto e l’altra lui mi toccava per correggere la posa, anche le parti intime, mi spostava il pisello quando si trovava in una zona d’ombra, mi separava le chiappe, in qualche posa un po’ più spinta e mentre faceva questa operazione le sue dita mi sfioravano il buco facendomi fremere e tremare di lussuria e desiderio, credo che lui se ne accorgesse.
Scattò un centinaio di foto, in posizioni che non avrei mai potuto immaginarmi, erotiche, anche se qualche scatto sfiorava la pornografia per l’esibizione esplicita della nudità.
È inutile dire che non mi rivestii se non pochi minuti prima di andarmene.
Notai durante la sessione di foto, un rigonfiamento nei pantaloni del professore che, tuttavia, levando quelle toccate professionali ma non troppo, non fece nessuna avance. Prima di andarmene mi misi d’accordo che l’avrei chiamato due settimane dopo e che avrebbe cercato di sviluppare e stampare le foto in tempo, ma non me lo poteva promettere e aggiunse di non mostrare a nessuno le foto che mi aveva fatto prima che io le avessi viste.
Quando sull'uscio, stavo per andarmene il professore prese il portafoglio e mi porse una banconota da cento, pensai di rifiutarla, in fondo io ero li per divertirmi, non avevo mai pensato in una compensazione economica, ciononostante non ne fui capace e accettai la banconota.
Non ero ancora uscito da quella prima esperienza e già pensavo alla seconda. Me ne tornai a casa eccitatissimo, coi testicoli doloranti per la prolungata erezione. Non appena arrivato a casa dovetti masturbarmi per scaricare l’enorme tensione erotica accumulata in quelle quattro ore passate dal professore. Non lo sapevo ancora ma stava iniziando una relazione speciale, basata sull'arte, sulla sua fantasia voyeuristica e sull'esibizione del mio corpo. Nei successivi due anni frequentai la casa del mio anziano amico, durante un periodo in maniera quasi settimanale, e andavo a esibirmi e a farmi scattare foto. La sua gran fantasia faceva che le sessioni erano sempre diverse ed eccitanti. Si era instaurata l’usanza che io lo chiamavo i lunedì e lui mi anticipava qualcosa della sessione di foto successiva dandomi degli incarichi, tipo compra biancheria intima femminile che ti stia bene, mettiti un po’ di trucco.. finanche la sua decisione di posare per una sua amica artista che mi voleva ritrarre a carboncino, e io ubbidivo ciecamente e mi lasciavo guidare, eccitato e desideroso di nuove esperienze, in questo vortice di erotismo cerebrale. Non mi faceva godere il contatto fisico, che del resto era praticamente inesistente, era uno stato mentale, in cui perdevo il controllo di me e mi lasciavo andare, che mi faceva impazzire che avevo trovato in questa strana relazione.
Una volta mi fece portare un rasoio e mi rase tutti i peli pubici e anali e mi fece delle foto facendomi sentire un vero maialino. Godevo a mostrare il mio culetto aperto e depilato coronato da un paio di testicoli turgidi, anch'essi depilati. Pur avendo avuto successivamente esperienze erotiche molto positive, credo che la relazione col professore sia stata la più appagante e piacevole, la ricordo ancora oggi e spesso rivivo con nostalgia quei momenti così eccitanti.
Non ho mai lasciato la mia passione per l’arte erotica..
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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