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Gay & Bisex

Il Mio Erasmus - 4. Il Boyberry parte 2


di TheStoryteller99
15.12.2024    |    2.966    |    3 9.9
"Ma è proprio quando mi rilasso che Arold inizia a giocherellare col mio capezzolo sinistro…..."
Camminando per il locale vedo molti uomini che mi guardano e fissano bramosi, oppure semplicemente divertiti dallo spettacolo che ho dato poco fa.
Purtroppo non riesco a prestare loro attenzione – nonostante alcuni siano davvero interessanti, fisicamente – perché il mio sfintere sta pulsando e inizia a urlare di dolore; voglio assolutamente sciacquarmi con dell’acqua fresca e capire se sto sanguinando o no.
Arrivato in bagno, vengo aggredito dalle forti luci bianche che illuminano la stanza, del tutto aliene rispetto alla penombra rischiarata dai colori al neon in cui ero immerso.
Vedo che ci sono due lavandini sulla destra, un ampio bagno per disabili davanti a me, uno più piccolo alla mia sinistra e poi ancora a sinistra degli orinatoi. Guardo nei due bagni se c’è un lavandino, ma sembra che gli unici due siano quelli alla mia destra.
Mi calo i pantaloni e afferro un mucchio di fazzoletti dal dispenser, poi mi bagno la mano con dell’acqua fresca e la passo sul mio buco, che protesta in un primo momento ma poi sembra sospirare quando il freddo dell’acqua va a spegnere il fuoco che mi stava mordendo.
Quando ritiro la mano la vedo sporca di sangue. Come temevo.
Be’, per oggi ho dato con il culo, ora andrò solo di pompini e seghe.
Sciacquo ancora il mio buco e poi lo asciugo coi fazzoletti, assicurandomi che ogni traccia di sangue venga tolta. Mi faccio anche un piccolo e veloce bidet, passandoci del sapone e lavando nuovamente il tutto.
Una volta sicuro che non sto più sanguinando e che il mio culo non protesta di dolore appena mi muovo, mi ricompongo e torno nella mischia.
Appena esco dal bagno, due ragazzi sulla trentina mi passano davanti e si dirigono alla mia destra. Seguendogli con lo sguardo noto che di lì c’è un’altra via dove una scalinata porta a una specie di seminterrato.
Wow, questo posto è enorme. E non nascondo che sono ben felice di non averlo esplorato tutto, ancora.
Come Alice attirata nella tana dal Bianconiglio, seguo i due uomini e scendo la scalinata verso il Paese delle Meraviglie Omosessuali.
Inutile dirvi che mi sembra davvero di essere entrato in un altro mondo. Non ci sono animali parlanti, cappellai matti o carte da gioco animate, ma uomini chiacchieroni, teste intente a succhiare e schermi che mandano video porno ovunque. A differenza del piano di sopra, questo nuovo livello è illuminato da luci più rosse e porpora che però lasciano sempre spazio alla penombra, facendo sembrare il luogo un vero girone infernale.
Come sopra, anche qui ci sono uomini appostati davanti alle cabine, in attesa della giusta vittima o del giusto cacciatore, ma io gli ignoro come loro ignorano me e proseguo ad esplorare.
Girando a sinistra appaiono delle pareti di plastica poste in mezzo ad uno spazio ampio, a creare le solite cabine e delle dark room improvvisate. Continuando a sinistra, invece, un rettangolo aperto nel muro mi mostra un’ampia sala occupata solo da un grande divano di pelle nera, quadrato come la stanza e posto al centro.
Anche se sono intrigato da questa stanza, dove un paio di uomini si stanno dando da fare nascosti nell’ombra – sento i loro gemiti e riesco a percepire il groviglio di ombre creato dai loro corpi che si muovono – la mia attenzione viene attirata dal chiacchiericcio basso e profondo che proviene da dietro la parete di plastica che ho visto prima. Torno indietro e giro di nuovo verso sinistra, appena supero questa parete, scoprendo che si apre in una dark room ricavata appositamente.
Capisco che è completamente affollata quando vedo quattro o cinque uomini che guardano ciò che succedendo all’interno da fuori, senza poter entrare. Due di loro si stanno masturbando e io, senza gettarmi in quella foresta di uomini, afferro il cazzo di quello più vicino a me – giovane, sui trentacinque anni, poco più alto di me, con una bellezza particolare e un bel 17 centimetri.
Lui mi guarda un po’ spaventato, forse non si aspettava un approccio così diretto, e mi scosta. Si rimette il cazzo nei pantaloni e va via.
Eh vabbè, penso, non si può piacere a tutti.
Cerco di sporgermi per guardare cosa sta succedendo nella dark room, ma è difficile per la quantità di corpi caldi e premuti lì dentro che ci sono.
Per mia fortuna, un paio di uomini escono e mi danno la possibilità di entrare. Mi faccio strada tra tutti quei maschi caldi e sudati, sfioro anche i membri duri di quelli che li hanno tirati fuori e raggiungo il fulcro di tutto quell’arrapamento di massa, che sembra così fitto da poter essere tagliato con un coltello, lì dentro. O addirittura scopato con un cazzo.
Una troia totalmente sottomessa sta succhiando un tipo di colore dalla muscolatura perfetta – si vede perché è totalmente nudo, indossa solo le scarpe – mentre un altro tipo gli scopa il culo in maniera aggressiva come quei quattro hanno fatto con me poco prima.
Vedere una scena del genere dall’esterno mi fa comprendere quanto io debba essere sembrato troia e di sesso facile, prima. Una cosa che mi arrapa da un lato e mi fa riflettere dall’altro.
Una mano inizia ad accarezzarmi partendo dal culo, poi si sposta verso la pancia e il petto, stringendomi una tetta. Subito dopo vengo tirato verso un uomo taurino e barbuto che mi solletica la nuca con la sua folta barba scura.
— Vuoi un altro cazzo, dopo quelli che hai svuotato di sopra? — mi chiede in spagnolo.
Ah, quindi mi ha visto prima. Mi libero dalla sua stretta e mi giro a guardarlo. Sembra un bell’uomo, un orsone a cui mi cederei volentieri, ma dalla canottiera che indossa noto che ha il petto depilato con cura. Non è una cosa che mi da problemi, perciò invece di rispondere mi getto sulle sua labbra.
Lui risponde al mio bacio ficcandomi la lingua in bocca e agguantandomi i capezzoli, mentre io afferro il suo pacco già duro.
Glielo stringo con fermezza e sussurro — In effetti ho molta fame, ora. Hai qualcosa che posso ingoiare? — dopo essermi staccato dal nostro bacio vorace.
— Ho molto che puoi ingoiare, piccolo.
Con una mano si libera di pantaloni e mutande, con l’altra spinge la mia testa contro il suo cazzo in tiro, schiacciandomi il naso sulle palle lisce e profumate.
Mi schiaffeggia con la sua verga una decina di volte, facendomi arrossire la guancia sinistra, poi mi tira per i capelli e punta il suo cazzone verso la mia bocca.
Lo ingoio tutto in un solo boccone e lascio che sia lui a usarmi, tirandomi e spingendomi la testa tramite i capelli.
Ho il cazzo talmente duro da farmi male, infatti lo tiro fuori e inizio a masturbarmi come se non ci fosse un domani, come se questa possa essere l’unica possibilità che ho di godere in vita mia.
Ammetto che se il tipo fosse stato peloso come mi aspettavo, avrei goduto molto di più nel succhiarglielo, ma il profumo di pulito che si unisce a quello di uomo nel suo pube mi fa mugolare lo stesso, intanto che la sua cappella preme contro il fondo della mia gola provocandomi un paio di rigurgiti.
D’un tratto, sento la testa venirmi strattonata verso la parte opposta rispetto a dove si trova il tipo. Quando l’orsone mi lascia andare, una mano d’ombra mi afferra e porta la mia gola a ingurgitare un altro cazzone di discrete dimensioni.
Cazzo! Mi sembra di star facendo pompini alle tenebre stesse.
Riesco davvero a fare fatica a tenere realtà e fantasia separate, perché tutta la situazione è talmente pornografica e fantascientifica – per me – che inizio a pensare sul serio di essere finito all’Inferno, nel girone dei lussuriosi. Sono morto, non c’è altra spiegazione. Il mio corpo, in realtà, si trova di sopra, dove quei quattro tori mi hanno scopato a sangue, fino alla morte. Non riesco a credere che questa situazione così arrapante, tra gli umori di uomini sconosciuti che mi bagnano involontariamente, i loro gemiti e i loro odori, il calore dei loro corpi, la durezza dei loro membri che creano una foresta odorosa in cui perdermi, sia reale.
Ma lo è. E il mio orgasmo mi colpisce in maniera così improvvisa che riesce a rigettarmi nella realtà, come se un pugno mi abbia fatto ricadere nel mio corpo da un viaggio astrale che stavo facendo.
Non vedo quanti schizzi faccio. Non vedo quanto sono copiosi o se sono potenti e arrivano lontano. Sento solo la prostata che si contrae e rilassa così prepotentemente da arrivare a farmi male – ma potrebbe anche essere il dolore del mio sfintere che reagisce agli spasmi. Il battito del cuore arriva a mille e mi fa girare la testa in maniera preoccupante; solo adesso mi rendo conto di quanto sono caldo e seduto e… senza fiato.
Prima della fine del mio orgasmo – che dura quasi un minuto! – non riesco a smettere di succhiare l’ombra sconosciuta che mi sta scopando la gola.
Quando gli spasmi della mia prostata terminano, mi stacco da lui con uno scatto e torno a respirare, ingoiando grandi boccate d’aria. L’ossigeno che mi riempie i polmoni rischia di farmi svenire definitivamente, perché avverto un capogiro pazzesco, ma riesco a restare lucido e a riprendermi dopo pochi secondi.
Col cuore che mi batte forte nel petto, in parte per l’orgasmo e in parte per la paura che il quasi svenimento mi ha fatto venire, mi alzo tra quella foresta di carne maschile ed esco dalla dark room, assaporando l’aria fresca – per così dire – che c’è nel seminterrato.
Una vibrazione nella mia tasca mi fa spostare gli occhi verso il telefono, il cui schermo brilla attraverso i jeans.
Lo tiro fuori e trovo ben quindici notifiche di chiamate perse: otto da mia madre, cinque da mia sorella e le restanti dal mio migliore amico e da mio padre.
Merda!
Sicuramente mamma mi avrà chiamato mentre ero impegnato a troneggiare e ora staranno dando tutti di matto.
Corro fuori dal Boyberry e aspetto un altro minuto prima di provare a chiamare mia madre.
Come mi aspettavo, però, mi chiama prima lei. Ha la voce agitata, sia dall’ansia che dalla rabbia, e mi rimprovera perché non le rispondevo. Le invento una scusa dicendole che il telefono di era bloccato e non riuscivo a rispondere alla chiamate e lei sembra crederci; forse è per via della voce preoccupata che ho anch’io, frutto del mancato svenimento di poco fa, o forse no ma l’importante e che ci crede. Racconto la stessa scusa a mio padre e a mia sorella, mentre al mio amico racconto tutta la verità.
La nostra amicizia è iniziata con una scopata a tre, perciò so che a lui posso raccontarle queste cose.
Finito il giro di chiamate, vado alla fermata del bus che mi riporterà a casa e lì riesco a riprendere fiato. Strano ma vero, quel quasi svenimento mi ha lasciato più arrapato di quando sono entrato nel Boyberry.
Sento la cappella che si appiccica alla mie mutande per via degli umori che ancora la bagnano. Ricordo che il tipo alla cassa del Boyberry mi ha detto che posso uscire e rientrare quante volte mi pare, una volta pagato l’ingresso, ma in tutta sincerità non ho voglia di rinchiudermi lì dentro ancora una volta.
Preferisco tornare a casa e spararmi una sega davanti a un porno.
In quel momento, proprio quando l’autobus arriva e io ci salgo sopra, mi ritornano in mente Arold e le parole che mi ha detto quella mattina.
Una scossa di libidine e perversione mi scuote l’inguine, ma subito penso a distrarmi, altrimenti avrei un’erezione in pubblico e i pantaloni che ho addosso non la nasconderebbero poi tanto.
Durante tutto il tragitto verso casa, tento di convincermi che Arold è solo solito al cameratismo tra uomini, al massimo mi chiedere di farci una sega insieme guardando un porno. Di certo non ha interesse a intrattenersi con me, sessualmente parlando.
Risalgo nel mio appartamento col pensiero che una sega in sua compagnia sarebbe comunque fantastico.
Però… ecco, non mi sarei mai aspetto di vederlo rientrare nella sua stanza dalla cucina proprio mentre io apro la porta d’ingresso.
Ci guardiamo attoniti per un paio di secondi. Lui ha una faccia delusa e io sono certo di essere il ritratto della vergogna e della colpevolezza.
Gli rivolgo un mezzo sorriso e lui entra in camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Vado verso la mia camera e apro la porta, togliendomi poi il giubbotto e il borsello che porto a tracolla. Mi stendo sul letto e prendo il telefono per stare un po’ sui social.
Improvvisamente non ho più voglia di segarmi.
La libidine è scivolata via, sostituita dal dispiacere e dalla rabbia per la mia codardia. Arold sembrava davvero deluso da me, ma ancor di più ho letto nei suoi occhi la paura di aver esagerato stamattina. Mi viene quasi voglia di bussare alla sua porta e assicurargli che va tutto bene e che sono io il problema.
Ehi, un attimo! Ma posso farlo! Nessuno mi vieta di starmene qui a scorrere col dito sul cellulare.
Combattendo contro l’ansia di essere malamente rifiutato, esco dalla mia stanza e vado verso la porta di Arold. Lui la apre prima che io possa bussare, evidentemente con l’intenzione di uscire.
— Oh. Ciao. — mi dice. — Stavo venendo a bussare alla tua porta.
Indico la mia mano protesa verso di lui a pugno. — Stavo per fare lo stesso.
— Ti va di entrare?
— Continueremo il discorso di stamattina? — Mentre parlo mi faccio avanti e lo supero, entrando nella sua stanza.
Lui, nella sua bellezza d’ebano, mi fa — No, se non ne hai voglia.
Il suo tono nasconde delle scuse velate, a quanto pare è davvero dispiaciuto per il suo comportamento di stamattina e io non so in che modo dirgli che va tutto bene.
Mi viene l’idea di allungarmi ad accarezzargli il pacco – ovviamente indossa solo boxer e canottiera – ma lui si avvicina a me e sembra annusarmi.
Prima che io possa chiedergli cosa sta facendo mi chiede — Ti sei divertito, per caso?
Lo guardo confuso, mentre gli spettri di tutti quegli uomini nel Boyberry mi vorticano attorno come viticci di fumo che si aggrappano alla mia pelle; ogni rivolo argentato lascia un’impronta odorosa su di me.
— Che intendi? — gli chiedo, tentando un po’ di nonchalance.
Arold si avvicina di più a me. Sono di spalle verso la porta della sua camera e ci finisco con la schiena contro, mentre lui alza le braccia e posa le mani ai lati della mia testa. Mi sovrasta come una montagna africana.
Dio, ti prego, dammi la possibilità di giocare col suo Kilimanjaro, penso con rivoli di sudore che mi imperlano la fronte.
Arold accosta le labbra al mio orecchio destro. — Piccolo… tu odori di sesso.
Ok, potrebbe essere una mia impressione, ma Arold ha avvicinato la sua bocca a me per accarezzarmi il lobo con la lingua mentre parlava.
Un attimo… piccolo?! Da quando mi chiama così?
Intanto che cerco di far fronte a tutte queste emozioni, annuisco per rispondere alla sua domanda e mi vedo riflesso nei suoi occhi: un cucciolo impaurito che trema sotto lo sguardo accusatorio del suo padrone. Questo è ciò che vedo… ed è proprio il modo in cui mi sento adesso.
— Hai preferito la compagnia di uomini sconosciuti alla mia? — Arold sposta le sue labbra sul mio collo e la sensazione che sento è la stessa di quella provata al lobo.
Perché ho l’impressione che Arold mi stia leccando?!
Con un po’ di coraggio dico — Perché tu mi avresti dato il loro stesso tipo di compagnia?
In tutta risposta, Arold si allontana con uno scatto, rendendo l’aria intorno a me più fredda ora che il suo corpo non la riscalda.
Va a stendersi sul suo letto e poi mi indica con gli occhi lo spazio vuoto accanto a lui.
Dato che il letto è da una piazza e mezza, non stiamo stretti quando io mi stendo accanto a lui, ma Arold mi tira su di sé e mi fa stendere direttamente sul suo corpo.
— Non hai caldo con i vestiti addosso? — mi chiede.
Non aspetta la mia risposta, afferra la mia maglia dal basso e me la sfila delicatamente, poi fa lo stesso con i pantaloni. E siamo entrambi mezzi nudi, l’uno sull’altro, a guardare lo schermo del suo pc dove è in onda un notiziario straniero, probabilmente americano.
Arold mi abbraccia col braccio destro, la sua mano posata sul mio petto a sfiorare il capezzolo sinistro col palmo. Sento il suo pacco che preme contro il fondo della mia schiena, il suo cazzo anche se moscio è quasi incastrato tra la fessura delle mie chiappe. Ha una presenza forte ma rassicurante.
Passiamo così i seguenti dieci minuti e in lui non sento cambiamenti – tipo erezioni o movimenti sensuali verso di me – perciò riesco a rilassarmi e a seguire il notiziario con più attenzione.
Ma è proprio quando mi rilasso che Arold inizia a giocherellare col mio capezzolo sinistro…
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