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Il Mio Erasmus - 1. Giorno Zero


di TheStoryteller99
07.04.2024    |    5.099    |    7 9.7
"Intanto siamo arrivati davanti a un portone non troppo distante da casa mia, il tutto illuminato solo dalla debole luce della luna e dai lampioni, la cui..."
Questa storia è vera al 100%, ogni racconto è il resoconto dettagliato di tutte le scopate fatte durante il mio Erasmus di 6 mesi a Barcellona.

6 Settembre 2023

La prima volta che esco dall’Italia.
La prima volta che mi allontano così tanto dai miei genitori.
Ho paura? Sì. Vorrei tornare indietro? Sì, ma so che me ne pentirei amaramente, perché quando mi ricapiterà l’opportunità di fare un’esperienza simile? Mi sarà utile, professionalmente e umanamente parlando.
Sarà come mutare pelle, gettando via la vecchia e cucendone una nuova ogni giorno in cui sarò lì.
Barcellona. Andrò a Barcellona!
Salutare i miei genitori è dura come pensavo, qualche lacrima mi scappa e ogni mio timore su come sarà l’esperienza viene a galla. Ma vado verso i controlli e li supero senza problemi, per poi dirigermi verso il gate dove un aereo è già in preparazione per trasportarmi nel nuovo capitolo della mia vita.
Il volo è tranquillo, anche un po’ noioso. L’aereo è pieno zeppo di gente e stare fermo due ore con le gambe premute in poco meno di un metro quadro è fastidioso.
Atterriamo e prendo subito in mano il cellulare per avvisare i miei. Non si connette a internet, per qualche strano motivo, perciò sono costretto a entrare in aeroporto e a utilizzare il wifi.
Il mio operatore telefonico non funziona, nemmeno con il roaming. Faccio un giro di chiamate intanto che attendo l’uscita del mio bagaglio; intanto che l’ansia inizia a rosicchiarmi. Quando mi risponde un addetto al servizio clienti mi da alcune istruzioni su cosa fare per ripristinare la linea. Ma non cambia nulla, continuo a non avere internet.
Inizio a cedere a panico, come potrò sopravvivere in una città sconosciuta, in una nazione sconosciuta, se non potrò nemmeno utilizzare Google Maps per vedere come muovermi? Persino la voce mi è stata tolta, come quando la Strega del Mare ruba la voce alla Sirenetta, dato che non posso nemmeno parlare con tranquillità. Devo ricorrere all’inglese, lo spagnolo non lo conosco, e parlare inglese mi da la sensazione di essere un macchinario in disuso da secoli che prova a ripartire nonostante l’ossidazione e la ruggine.
Il mio inglese scricchiola e spesso si sgretola. Però me la cavo, di sicuro a chi lavora nell’aeroporto ho mostrato un ragazzo in preda al panico che non sa dove andare.
Alle 19 salgo su un taxi per raggiungere l’agenzia da cui ho affittato una camera. Continuo a chiamare Kena per cercare di risolvere il problema di internet ma niente sembra funzionare.
Per fortuna il viaggio in taxi mi aiuta a rilassarmi un po’, passando per Barcellona inizio a rendermi conto di dove sono e mi ritrovo a schiacciarmi contro il finestrino per vedere tutto ciò che mi passa davanti. L’ansia e il panico fanno spazio a quei brividi di eccitazione che un viaggio ti regala sempre.
Arriviamo all’agenzia, vicino alla Rambla, e fare il check-in per prendere le chiavi della mia stanza non mi da problemi, c’è anche una ragazza italiana che mi aiuta, e in circa venti minuti sono in quella che sarà la mia casa per i prossimi sei mesi.
Me l’aspettavo diversa. Decisamente diversa. La mia camera sembra un ripostiglio, lo spazio è occupato da un letto a una piazza schiacciato contro il muro, di fronte a esso c’è una scrivania scarna, mentre alla destra della porta c’è un armadio con le ante a specchio. Un altro specchio è affisso alla parete di fronte alla porta e una misera mensa sovrasta la scrivania standosene là come se neanche lei avesse voglia di decorare il muro.
Non ci sono finestre. O meglio, ce n’è una ma da sul corridoio, quindi non circola aria in questa stanza nemmeno se la pagassi per entrare.
Tutte le mie certezze sulla buona riuscita di questo Erasmus iniziano a vacillare e mi chiedo seriamente se ho fatto la scelta giusta o una grande cazzata.
Decido di farmi forza, perché devo resistere almeno due mesi, altrimenti tutte le borse di studio che l’università deve darmi dovranno essere risarcite. Faccio un nuovo giro di chiamate, ora posso anche usare WhatsApp dato che in casa abbiamo il wifi, e riesco a trovare una soluzione al mio problema di internet ma sono costretto ad aspettare la mattina dopo per vederlo effettivamente risolto.
Bestemmio contro Kena e la loro linea del cazzo, con lo stomaco che brontola e l’adrenalina della giornata che inizia a calare. Ora mi sento stanco, spossato e scombussolato, come se mi avessero scosso dalla testa ai piedi per tutto il giorno.
Scendo al supermercato e compro un paio di Saikebon con cui cenare.
Quando torno, passo il tempo mangiucchiando e modificando il mio account su Grindr per tradurlo in inglese. Che altro posso fare? Non ho voglia di tirare robe fuori dalla valigia, che se ne sta già lì a diventare un nuovo pezzo di arredamento della stanza.
Da subito ho il telefono intasato di messaggi sull’app. Sono tutti molto interessanti, sia fisicamente che non, e per la maggior parte passivi intrigati dai miei 20 centimetri. Mi stupisco nel vedere quanti bei ragazzi, o begli uomini, mi scrivono e sono interessati a incontrarmi; sono abituato a dover cercare un po’ prima di trovare qualcuno che mi piaccia e a cui piaccio, mentre qui in Spagna sembrano dare valori diversi ai canoni estetici.
Converso con molti di loro, ammiro le loro foto e lascio che la stanchezza e lo stress sfocino in libidine, gonfiandomi i pantaloni. Hanno tutti dei culetti molto invitanti o dei piselli dall’aspetto gustoso, una fauna variegata pronta a soddisfare i gusti più disparati. Ci sono twink dalle mazze prominenti, daddies pelosi, semplici ragazzi altetici… ma c’è un uomo sulla quarantina, dall’aspetto abbastanza androgino, che non la smette di inviarmi foto del suo culo a bolla.
A tratti è molto insistente, dice che ha posto per ospitarmi e che vuole incontrarmi subito per svuotarmi le palle con la sua fica anale.
Ho il cazzo in tiro, ormai, le sue foto sono molto arrapanti, ma gli spiego gentilmente la situazione e che non voglio fare sesso, anche perché è tardi, è già passata la mezzanotte e ho un po’ paura a girare per strada in questa nuova città.
Lui propone di passarmi a prendermi, dopotutto siamo distanti poco più di 200 metri.
Mi manda altre foto del suo culo, fotografato in tutte le posizioni e inquadrature possibili. Ha una rosellina depilata in mezzo a due chiappe sode che sembrano delle sfere perfette fuse insieme, il cullo perfetto da gustare con calma e sfondare con passione. Magari finendo in bellezza con una farcitura a base di sperma.
Continuo a desistere, non me la sento di fare sesso il primo giorno in Spagna.
E poi non so quale scusa inventare con mia madre…
Poi mi rendo conto che mia madre è rimasta in Italia e che io sono solo nella mia stanza, a casa mia, senza genitori o altri a cui dare conto di ciò che faccio.
Rispondo di sì alle richieste del tipo e mi preparo. Gli scrivo il mio indirizzo e gli chiedo di passare a prendermi, poi aspetto che lui mi dica di essere sotto casa mia per uscire.
Scendo e lo vedo ad aspettare accanto al mio portone. Indossa solo una felpa con cappuccio, un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica. Ha la testa rasata e mi saluta con un “Ciao, come va?" sussurrato in spagnolo.
– Tutto bene, grazie – gli rispondo in inglese.
Mi dice di seguirlo e inizia a farmi strada. Hospitalet de Llobegrat (sì perché non risiedo a Barcellona centro ma in una frazione periferica) è davvero strana di notte, sembra quasi una Bari con una geografia diversa. Diversi palazzi, diversi paesaggi, ma stesse vibes.
Il tipo mi chiede come sto, come mai mi sono trasferito qui e io gli rispondo con garbo. Intanto siamo arrivati davanti a un portone non troppo distante da casa mia, il tutto illuminato solo dalla debole luce della luna e dai lampioni, la cui luce non è più forte di quella lunare.
Mi chiede di fare silenzio mentre saliamo le scale di questo edificio. Dopo 4-5 rampe di scale si ferma vicino alla porta del terrazzo. Dice che posso sedermi sul pianerottolo intanto che mi succhia.
Credevo mi avrebbe portato in un appartamento o comunque in una stanza. Non su di un pianerottolo polveroso dove avremmo dovuto scopare in silenzio e al buio per non essere scoperti.
Sapevo che questa prima trombata sarebbe stata come al cazzo!
Eppure mi siedo lo stesso e lascio che lui mi sbottoni i pantaloni. Non ho indossato le mutande, sarebbe stato inutile indossarle visto che dovevo tirare fuori il cazzo, perciò appena abbassa la cerniera il mio pisello si libera da solo lasciandolo a bocca aperta.
– Oh, guarda che cazzone! – sussurra in spagnolo.
Accende la torcia del cellulare per ammirare meglio la mia dotazione, accarezzandolo con la mano libera e succhiando la cappella con quelle sue labbra morbide.
Inutile dire che il mio corpo risponde subito e la mia mente non si fa pregare a rispondere. Nel giro di tre secondi ho il cazzo nuovamente in tiro e pronto a fecondare; gli prendo il cellulare e spengo la torcia, poi afferro la sua nuca e spingo la mia carne giù nella sua gola.
Sembra di infilarsi in un tunnel caldo, morbido e umido. Non ho mai fatto sesso con una ragazza, perciò non ho idea di come sia scopare una vagina, ma ho l’impressione che non sia troppo diverso dal fottere la bocca di questo tipo.
Lui si lascia dominare e io continuo a spingere la sua testa sul mio cazzone, stringo i denti per non gemere o ansimare.
Quando ha imparato il ritmo e la profondità che deve raggiungere lo lascio fare da solo. Prendo le sue mani e me le metto sul petto, facendogli capire che deve strizzarmi i capezzoli.
Ci sono cinque punti erogeni nel mio corpo e sono disposti a croce: il primo è la bocca, con la quale godo quando succhio altri cazzoni; poi c’è il pisello e a seguire il culo; infine ci sono i capezzoli. Vanno a formare una croce di piacere elettrizzante che mi fa vedere le stelle ogni volta che vengono stimolati tutti e cinque insieme, come se potessi raggiungere Dio con un orgasmo.
Perciò immaginate il mio piacere quando il tipo continuò a divorare il mio membro e a strizzarmi i capezzoli con le sue dita.
Io me ne stavo mezzo nudo sul pavimento di un pianerottolo dove la luce entrava a malapena da strisce sottili lasciate aperte dalla porta del terrazzo. E lui stava disteso davanti a me, a succhiarmi il cazzo. E non mi stava dispiacendo.
Dopo un po’ lui smette di succhiarmi e si alza. – Vuoi scoparmi?
Gli dico di sì senza capire esattamente cosa vuole.
Lo intendo solo quando lo vedo girarsi, i pantaloni già calati, e ficcarsi due dita bagnate di saliva su per il culo.
Gliele tolgo perché voglio ammirare il suo pertugio. Accendo la torcia del mio telefono e sento il cazzo sussultare quando la sua rosa appare davanti ai miei occhi, emergendo dal buio come un’apparizione divina; così rosea e carnosa, sembrano delle labbra setose che mi parlano con le loro pulsazioni libidinose. Non riesco a capire se chiedono di essere baciate o sfondate, sicuramente la seconda, ma io decido di fare la prima.
Attacco le mie labbra al suo buco e inizio a divorarlo come se non avessi mangiato nulla a cena e quel culo fosse l’unico sostentamento disponibile.
Ci ficco dentro la lingua, fino all’impossibile, finché non la sento indolenzirsi. Ha un ottimo sapore, di pulito e di fresco; e non puzza, ha un odore di pelle appena lavata, segni evidenti che si è preparato per bene per accogliermi dentro di sé senza spiacevoli sorprese.
Gli succhio il culo e lo insalivo fino a renderlo fradicio, intanto che sento il tipo grugnire e ansimare per il piacere. Io mi sego forsennatamente, stando bene attento a non raggiungere l’orgasmo: voglio esplodere dentro questo pertugio morbido e squisito come un cupcake. Ogni cupcake ha bisogno della sua glassa e qui sono pronto a mungere un bel po’ di glassa bella fresca.
– Ah… scopami… ti prego… mmh! – lui fa ancora fatica a non urlare.
Decido io quando è arrivato il momento di scoparti, penso. Intanto continuo a limonargli il culo e non la smetto finché non sento la mia saliva colare lungo le sue palle e cadere sul mio cazzone. Faccio durare il rimming ancora due minuti, il tempo che la saliva ci mette a inzuppare anche il mio cazzo.
Poi mi alzo e gli ordino di mettersi a pecora. Lui afferra la ringhiera ed espone il culo alla mia verga.
Afferro i suoi fianchi… e SBAM! Tutto dentro fino alle palle in un solo colpo.
Lui si lascia scappare un grido e io mi blocco, col timore di avergli fatto male. Poi, però, lui inizia a implorarmi di continuare, di farlo ancora.
Essere pregato in quella maniera, come un santo o un dio del sesso, mi fa perdere il controllo e il mio cervello viene posseduto dal demone della libidine. Altro che santi.
Lo tiro fuori del tutto e glielo sbatto in culo di nuovo. E di nuovo. E di nuovo e di nuovo. Lo faccio per almeno diciassette volte, finché non mi scoccio e lo lascio dentro di lui. Inizio a stantuffare come un toro, godendo nel sentire i suoi gemiti che ormai non riesce più a trattenere. Me ne frego se le mie cosce fanno rumore quando sbattono contro le sue chiappe, che i suoi vicini sentano i rumori del sesso che non faranno mai tra le loro lenzuola.
Possono solo imparare dalla nostra porcaggine.
Scoparmelo mi fa notare quanto la sua fica sia sublime. Lo sfintere è largo ed elastico, ma all’interno nasconde un tunnel carnoso, bollente e del tutto bagnato che si stringe attorno alla mia capocchia e alla mia asta in un abbraccio peccaminoso. La sua stretta mi incendia il cazzo, mi sento massaggiato in tutti i punti giusti, meglio del pompino che mi ha fatto prima.
‘Sta troia è abituata a prendere cazzi dalla mattina alla sera.
Non mi pento più di aver deciso di uscire con lui, anzi ne sono contento e pienamente soddisfatto. Questo è molto meglio della sega solitaria che mi sarei fatto!
Passano cinque, dieci, quindi minuti… non saprei dire. Essere avvolto nel caldo abbraccio del suo culo mi fa perdere la nozione del tempo, mi fa vivere in una dimensione di piacere sessuale e libidine, di estasi pura, a tal punto che non sento lo scorrere del tempo o la fatica o il sudore che ha iniziato a imperlarmi la fronte.
Ad un tratto lui si sottrae e mi chiede di stendermi di nuovo: vuole cavalcarmi.
Accetto la sua richiesta e lascio che il mio cazzone svetti verso di lui, che passa una gamba su di me e punta il culo verso il mio palo del piacere. Lo afferra, lo sega per tre secondi e poi inizia a scendere, finché la sua fica non ingurgita anche i miei peli pubici.
Oh Dio, vorrei gridare per quanto sto godendo!
Cavalcandomi è riuscito a intensificare il piacere, la dimensione peccaminosa di prima ora si è trasformata in un buco nero che sembra succhiarmi direttamente l’anima.
Faccio del mio meglio per non sborrare, voglio prolungare il piacere il più possibile, ma è un’impresa biblica cercare di tenere la sborra nelle mie palle. Mi servirebbe la forza di Sansone quando distrusse il tempio dei Filistei, ma anche in quel caso sono certo che farei fatica a resistere.
– I’m cumming (sto sborrando) – gli dico in inglese.
Non ce la faccio più, devo ingravidare ‘sta troia, riempirla di sborra fino a fargliela vomitare.
Lui inizia a cavalcarmi più forte appena mi sente, il cazzo mi diventa duro come il granito, così duro da farmi male. Mi sembra di avere un incendio tra le gambe, la miccia accesa di una bomba atomica che… esplodo!!
Il piacere è così forte che mi vengono le convulsioni; la prostata mi pulsa come se stesse per scoppiare o scappare via dal mio corpo. Riesco quasi a sentire i fiotti di sborra che vengono schizzati nel suo culo per quanto sono violenti.
Credo siano sette o otto.
L’orgasmo dura quasi un minuto e quando il piacere scema, e il fuoco della bomba sembra placarsi, io mi accascio come una marionetta senza fili.
Il tipo aspetta che io abbia finito di sborrare. Si alza e lascia scivolare fuori il mio cazzo, assieme a tutta la sborra che ho schizzato. La fa uscire fino al’ultima goccia, sporcandomi l’inguine, poi si gira e si stende per leccarmi e accarezzarmi.
Mi ripulisce senza lasciare tracce di sperma, intanto continua a ripetermi che ho un vergone e che vorrebbe essere scopato di nuovo, durante altri incontri.
Io convengo con lui e poi mi rivesto quando ha terminato di ripulirmi.
Ci salutiamo e io lo ringrazio per la scopata, lui fa lo stesso per il latte che gli ho donato. Torno a casa svuotato, scombussolato ma soddisfatto.
Spoiler: non lo rivedrò più. Il suo culone è stato solo un antipasto, i piatti principali arriveranno dopo.
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