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Lui & Lei

Vita d'ufficio 1


di RazorJack
17.12.2024    |    180    |    3 8.5
"“Ho molto apprezzato la tua assistenza oggi, sono sicuro che il CEO non sa neanche che esistiamo, ma neanche per tutti i suoi milioni avrei voluto essere..."
Quando si invita una collega a cena, non c’è niente di male. Tuttavia, se la mia ragazza è in trasferta, e suo marito è stato convinto che dopo l’ufficio ci siano altri giri da fare fino alla tarda serata, il dubbio è lecito. Avrò fatto una cazzata? No, mi rispondo. Questa signora, definita così solo perché ha qualche anno più di me ed è sposata, è sempre tanto gentile e ha degli occhi buoni e bellissimi. È simpatica, precisa nel suo lavoro, forse meno popolare delle sue due compagne di ufficio perché non fa la gatta morta, eppure io la vedo la lussuria e la malizia che si cela nei suoi occhi bellissimi. Ma andiamo con ordine.

Le tre ninfe dell’ufficio amministrativo sono un po’ il gruppo di cheerleader dell’ufficio. 50/40/30 in ordine di anzianità ma ognuna è un microcosmo a parte, e personalmente, ognuna ha una sensualità tutta sua. Questa storia parla di tutte e tre, e di come io sia diventato il legante principale di quell’ufficio. Cominciamo con il dire che si trova in fondo al corridoio, perciò la mattina, quando le signore arrivano con calma dopo il caffè al bar qui sotto, fanno anche la sfilata, mirabile dalle finestre di ogni stanza. È davvero una sfilata, ognuna ha il suo modo di essere sexy. La senior, coi suoi tailleur così fascianti che non lasciano spazio alla fantasia, si muove come la leonessa capobranco. Conosce i segreti dell’azienda e mentre tutti le guardano le tette o il culo, lei studia le sue prede e sa come non farsi dire mai di no. La sua giovane assistente, la segue a ruota, con un abbigliamento elegante fatto di camicette, gonne al ginocchio, ugualmente attillate e calze. Infine l’altra, forse meno appariscente agli occhi degli sbavatori, ma che in quanto a culo e seno, non è seconda a nessuno.
Ha i capelli rosso fuoco, sempre in piega, veste sempre di scuro ma con delle trasparenze che, perlomeno a me, non passano mai inosservate. Sono certo che abbia l’intimo più ricercato delle tre, e personalmente, più
da buon intenditore.

Passano davanti al direttore, che non c’è mai perché in viaggio perenne, squadrate dal suo assistente viscido, dai commenti timidi patetici; passano davanti a due dirigenti, dediti più al vino che non agli altri
piaceri della vita, e coi paraocchi per non vedere altre donne al di fuori delle mogli; passano davanti al mio
capo, che ha sì occhi solo per sua moglie, ma non perché lei lo tenga al guinzaglio (perlomeno non in
pubblico, ma questa è un’altra storia); passano davanti all’ufficio tecnico, che le omaggia con un genuino
catcalling quando è di buon umore, sempre accolto con la giusta dose di ilarità. Queste dinamiche routinarie perfettamente equilibrate scorrono da prima che arrivassi io in azienda. Io, un libertino, che scopre ogni volto, ma che soprattutto ha trovato in loro tre anime affini, maliziose e mascherate. La senior, profumiera navigata, ha i documenti sempre in ordine, gli ordini sempre puntuali, e il caffè servito al tavolo, dallo stuolo di colleghi che in processione passano a trovarla per ammirare le sue curve e ascoltare la sua risata. Lei fa la finta tonta: diresti che è un’oca bionda e giuliva, solo perché è lei a fartelo credere, in realtà è furba come una volpe, oltre che determinata e intelligente. Meglio averla amica, e io credo di essere entrato nelle sue grazie, metaforicamente per ora, perché ha visto oltre la mia maschera di morigerata educazione quella malizia che tanto ama.

Difficilmente impressionabile, riesce ad emozionarsi per ogni sciocchezza, mandando in paradiso i suoi avventori. Li condanna però a vivere un inferno di indifferenza in tutti gli altri momenti, e quando si coalizza con una dirigente, di un altro ufficio, la malizia annulla totalmente ogni aspetto di compliance aziendale che le risorse umane hanno cercato di inculcare nei dipendenti. La più giovane, degna discepola, è una ragazza tosta, sempre elegante, camicetta e gonna, che prende spesso spunto dai comportamenti della sua responsabile, e si comporta da sirena, nella miglior tradizione Odissea. Vola delicatamente sulle scrivanie, intona un canto melodioso, e non c’è pratica
che le resista, non c’è fattura che non possa comparire, piuttosto la morte. Con me non attacca. Non attacca perché io apprezzo davvero il suo lavoro, sia in senso stretto e tecnico, sia in senso comportamentale, e soprattutto perché lo vedo. Lo vedo quando una volta è venuta con un plico minaccioso da controllare, ma anziché lasciarlo lì, ha voluto monitorare il mio lavoro. Nel mio ufficio siamo in due: io mi occupo della gestione del progetto e il mio collega di seguire solo i dettagli tecnici. Coi suoi lunghi capelli color miele, i suoi occhi blu come il mare in estate, la camicetta sbottonata al punto giusto e stretta, un profumo agrumato e dolce, si siede sulla scrivania e incrocia le gambe. Le calze nere avvolgono queste strade pericolose fino a sparire dentro al paio di décolleté nere di vernice.

“Iniziamo dalle fatture, tutti i progetti che stai seguendo hanno il budget approvato?”

“Non partirebbero neanche, se così non fosse, lo sai.”

“Non fare l’antipatico. Lo sai che non è ovvio”

“Scusa, ma tu lo sai che non lavoro come i due boomer qui a fianco. Quali ordini vuoi controllare? Stiamo
aspettando l’approvazione della supplier quality del cliente XXX per quasi tutto. In parallelo, a pomeriggio
devo discutere con il sales manager”

Mentre procediamo nell’analisi di questi documenti, noto che lei, con la gamba accavallata, inizia a giocare col piedino sulla mia coscia. Sento la punta della scarpa accarezzarmi, la lascio fare, ma senza darle la soddisfazione di vedermi imbarazzato. Le do un’occhiata del tipo “continua pure, ci vuole ben altro” e lei Aricambia con uno sguardo di sfida. Muove il piede, mi punge col tacco, so che mi sta sporcando i pantaloni del vestito. Con la mano libera dal mouse, mi muovo sotto la scrivania per toccarle la caviglia, ma lei non si aspetta che gliela stringa per bloccarla.
Arrossisce un istante, e poi in silenzio, mi guarda dolcemente e muove la sua mano per toccare la mia. Mi fa una carezza per dirmi che farà la brava, e infilando la punta del dito sotto il tendine si sfila la scarpa, che appoggia nello spazio tra cassetto e scrivania. Il suo sorriso innocente, elemento che le conferisce una carica erotica devastante, è forse più eccitante della carezza. Il suo piedino, fasciato dalla calza nera, continua a toccarmi sopra la coscia, mentre procediamo nel lavoro. Io lo accompagno, le accarezzo la caviglia. Passo la punta delle dita sul polpaccio. Il nostro movimento è armonico, e non ci serve altro. O meglio, a me sì: le mie dita, facendo movimenti sempre più ampi stanno salendo, e senza fare rumore sono arrivate al ginocchio. Si piega leggermente, stuzzicata dalla sensazione di solletico che le provoco toccandola sulla parte posteriore, ma così facendo, mi dà la possibilità di procedere. La mia mano l’accarezza, il mio dito mignolo cerca il principio dell’interno coscia mentre coi miei occhi ancorati ai suoi, la costringo a rimanere concentrata sul lavoro. L’altra mano alterna mouse e tastiera, per produrre quel rumore bianco che copre il nostro gioco. Il suo piedino continua a massaggiarmi la coscia, ma anche lei sta guadagnando terreno. Si sposta più su, gira intorno alla punta della cravatta con le dita. Lo ritira, mi massaggia più forte, osa più nell’interno, dove la mia virilità costretta si è svegliata ma è totalmente bloccata.

Vuole torturarmi, e glielo lascio fare, mentre mi schiaccia con l’alluce, provocandomi piacere. È l’idea della punizione che le darò per aver giocato con me a mantenere vivo il mio desiderio. Mentre faccio questo pensiero, le mie dita sinistre avanzano, fino a raggiungere l’orlo della gonna. In quella posizione si è sollevata più del solito, e posso iniziare a distinguere il tessuto liscio dal pizzo sottostante, dolce fine delle calze autoreggenti che porta. Indugio su quel bordo, le sfioro la pelle della coscia con l’unghia, come se volessi grattare, sollevare il bordo come una pellicina. Lei mi guarda, ma i suoi occhi hanno una scintilla in più. Mi ha lasciato margine d’azione, ma vuole rimettere le cose in chiaro. Mentre mi tocca con più intensità, avvicina la mano alla mia e l’allontana dal mio movimento esplorativo delle sue calze. “fai tu il bravo” dicono i suoi occhi, “apprezza quello che hai, non esagerare”. Io incasso il colpo, sono toccato, ed è meglio una piccola ritirata strategica. Mi concentro sulle carezze nell’interno coscia, sul ginocchio, esploro ancora una volta la sua gamba liscia appoggiata a me, convinta di avermi dominato, convinta di tenermi sotto scacco.

Questa mia mossa, le fa abbassare la guardia. Il suo piede è diventato più leggero, fa movimenti più ampi, e si lascia condurre ovunque, anche lontano da me. Squilla l’app di chat, sta iniziando una riunione. Lei sussulta, provocandomi un sorriso, e arrossisce mentre io con calma le porgo il secondo paio di cuffie. Non ci siamo accorti che il mio collega è uscito, e non c’è il pc, chissà da dove risponderà. Silenziamo i microfoni e ci mettiamo ad ascoltare distrattamente le parole del CEO Global mentre illustra i milioni che sono stati fatturati quest’anno grazie al duro lavoro di noi formichine.

Questi milioni io non li ho mai visti e quindi non mi interessano, e non potrebbero neanche rispetto a ciò che la mia mano cerca. Con la destra, libera dal lavoro, inizio ad accarezzarle il piedino che ha ancora addosso a me, lo massaggio prendendolo tra le dita, le stiro le dita, premo nei punti sacri che la riflessologia plantare di youtube mi ha fatto conoscere, e vedo il suo volto rilassarsi. La carezza sulla gamba che le sto continuando a fare con la sinistra, è stata ipnotica per lei, e quindi con soluzione di continuità la sua attenzione è ora rivolta solo alla mia cura del suo piede. La mia mano si arrampica di nuovo in alto, ma senza stuzzicare alcun bordo, si muove nell’interno coscia con carezze leggere eppure sempre più profonde.
Le dita sono sufficientemente calde, perché quando giungo finalmente sulla sua pelle, lei non si scompone.

Continua a guardare lo schermo del pc, regalandomi di tanto in tanto sguardi di approvazione, socchiudendo gli occhi mentre si gode la mia venerazione delle sue gambe. Questi movimenti sinuosi, mi fanno arrivare a toccare il cielo con il dito. Ne sento il tessuto caldo che lo avvolge, ne posso addirittura percepire il colore, incrociando la mia sensazione tattile con lo sguardo lanciato con la coda dell’occhio verso la sua gonna che ha perso ancora più terreno. Oso ancora di più, e con la punta delle dita sfioro il suo caldo inguine, mi muovo in alto, in basso. Indietreggio, faccio dei piccoli movimenti circolari nell’interno coscia, a pochi centimetri dal suo monte di venere. Sotto la sua gonna il clima è molto caldo, la sua pelle è bollente. Le mie
carezze hanno la forma di una spirale, al cui centro c’è il confine tra sogno e realtà. Il bordo delle sue mutandine è lì alla mia portata, ma ci arrivo lentamente, continuando a toccarla intorno. Il dito arriva a seguirne il profilo, su e giù. Salgo quasi a metà coscia, e ritorno in basso abbandonandolo per accarezzarla sopra al tessuto. Il suo piede è fermo nella mia mano, rigido, le sue guance sono rosse e non pensa più al lavoro. Mi guarda fisso negli occhi, con aria di sfida, vuole vedere fin dove posso spingermi, pronta a fare, di lì a poco, la sua mossa.

La tocco sulle mutandine, ma il mio movimento diventa alternato, il mio tocco più intenso. Il piacere latente
che stava provando con le mie carezze, si espande nella mia mano. Inizia a stringere le gambe, a inturgidire
le cosce. Con l’altra mano le tocco il ginocchio, faccio come per scostarlo, come per mantenere un minimo di
apertura nella sua morsa. I muscoli delle sue gambe sembrano avere la meglio su questo mio tentativo, ma
le altre dita stanno lavorando incessantemente, e l’umidità dei suoi umori permea il tessuto. Il suo respiro
sembra più affannato, le gote sono rosse. Il suo sguardo è infuocato mentre incrocia il mio. Si morde le
labbra, soffoca un gemito. Sospira silenziosamente, con la bocca semi aperta.
Cambio pian piano il ritmo del mio tocco, la mia intensità, le faccio capire con gli occhi che voglio la sua
carne, che sto desiderando il suo piacere quanto lei, lo sto desiderando quando desidero lei. Ruoto la mano,
mi aggrappo con un dito al bordo della mutandina, inizio a scostare il bordo. Lei serra le gambe ancora più forte, il
suo sospiro sembra un singhiozzo quando tocco la sua pelle. Sento la pelle liscia e bollente del suo pube
rasato, immagino quando la mia lingua assaggerà ogni centimetro superficie del suo sesso, e poi ritorno più
giù. Sento quanto si sta bagnando, il suoi umori lubrificano la stimolazione della clitoride, mentre inizio a
ruotare le dita in un senso. Percepisco il suo orgasmo che sta montando, lei si porta una mano alla bocca, e
mi guarda con occhi imploranti di non smettere. Le mie dita continuano a girare sotto di lei, con la spalla
spingo per addentrarmi più in profondità sotto di lei. Inizio a piegare la falange più lontana, sfioro le sue
piccole labbra bagnate e bollenti, sfioro i bordi, rimango sull’esterno, e poi ritorno al centro. Sono lì alle porte
del paradiso, basterebbe “suonare” il campanello, per entrare.

Di colpo mi ritraggo. Mi sta bloccando con le ginocchia ma con un movimento del polso mi libero.

“La riunione è finita, dobbiamo andare a pranzo, ci aspettano.” Le dico con una tranquillità serafica, di fronte
al suo viso sgomento e paonazzo.
“Ma stai scherzando?!”

“Così impari a sporcarmi i pantaloni, pensavo che dal mio sguardo avresti capito che te l’avrei fatta pagare.
Tu non mi conosci.”

“Pensavo fossi migliore di quei cretini, sei il più stronzo di tutti invece.”

“Ascolta” le dico io calmo, mentre prendo la scarpa appoggiata ai cassetti e gliela ricalzo dolcemente.

“Ho
molto apprezzato la tua assistenza oggi, sono sicuro che il CEO non sa neanche che esistiamo, ma neanche
per tutti i suoi milioni avrei voluto essere da un’altra parte oggi. Non hai idea di quanto ti desideri, neanche
toccandomi col piede puoi averlo capito. Io sto soffrendo da un’ora, mi sembra giusto farti capire quanto
dolorosa sia la mia posizione”

“ma potevi dirlo, anziché lasciarmi così, mi hai fatto quasi male, ti romperei sto vaso del bonsai in testa” e si
mette ad armeggiare con il regalo di anniversario della mia ragazza.
“Stai attenta, stai ferma.” E alzandomi le blocco il polso con una mano, intercettando anche l’altro. Ho il pene
duro, piegato nei pantaloni contro il suo ginocchio. Il suo viso rosso è a una spanna dal mio.

“La partita è
solo rimandata, ora farai la brava e andremo a pranzo, che ci aspettano. Se ti comporti bene, ci sono un
sacco di documenti che dobbiamo rivedere a pomeriggio. L’altro è andato a casa, quindi il MIO ufficio è a tua
completa disposizione. Farò anche gli straordinari se non riusciamo a finire”

Lei è arrabbiata e un po’ incredula. In ufficio, di tanti maschi arrapati e buoni a nulla, si è fatta fregare dal più
insospettabile di tutti. Mi lancia un’occhiataccia, si alza in piedi, senza dire nulla. Mi dà le spalle e si sistema
le mutandine, le calze, e la gonna, mentre io dalla sedia mi godo la sua piccola sfilata imbarazzata.

“Me la pagherai, lo sai vero?”

“Vedremo. Ora andiamo” e la accompagno fino all'ingresso con una pacca sul culo.

FINE PRIMA PARTE
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