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UNA NOTTE PIENA (Prima Parte)


di La_Lilla
30.07.2022    |    7.750    |    20 9.4
"Subito dopo ho aggiunto: “Comunque piacere, io sono Priscilla, per gli amici Lilla, e tu?”..."
Non ero mai entrata prima in un locale LGBT e non mi aspettavo che succedesse granché. Una volta trovatami all’ingresso, una gentile signora mi ha fatto compilare un modulo per ottenere la tessera gratuita del locale. Una volta consegnatami la testa, mi ha augurato buon divertimento. Ho ringraziato e ho percorso un breve corridoio, al termine del quale c’era un’ampia saletta. Ho visto subito un bel po’ di gente seduta che beveva e parlava del più del e meno. Qualcuno, vedendomi avanzare nella saletta, mi ha guardato, senza dire niente. Per l’occasione mi ero messa un vestito rosa, corto, calze autoreggenti, rigorosamente bianche, e scarpe con tacco alto. Non sapendo cosa fare né come comportarmi, e non conoscendo nessuno, mi sono seduta su un divanetto. Era una zona particolare: il divanetto, infatti, si trovava tra quattro tende, ma da un lato le tende erano completamente aperte, permettendo così l’accesso. Di fronte al divanetto, un altro divano, per due persone. Ho atteso cinque minuti, credendo che arrivasse un cameriere o qualcosa del genere, ma non si è materializzata anima viva. In quel momento vedo passare una sorellina, trav come me, vestita in modo abbastanza provocante, ma dallo sguardo allegro.
“Se stai aspettando qualcuno per bere”, mi dice sorridendo, “sei sul posto sbagliato”.
Poi sedendosi vicino a me: “Se invece cerchi qualcos’altro, penso che tu sia nel posto giusto”.
E si è messa a ridacchiare.
“Cosa intendi dire”, le chiedo.
“Che se vuoi prendere qualcosa da bere devi andare al banco del bar. Non fanno servizio ai tavoli. Questa è una zona… diciamo calda”, mi fa, scuotendo la testa. Ho affettato il concetto.
“Be’”, le ho detto, “allora sono sul posto giusto”, e mi sono messa a ridere. Subito dopo ho aggiunto: “Comunque piacere, io sono Priscilla, per gli amici Lilla, e tu?”.
“Piacere, mi fa”, quasi abbracciandomi, “bel nome. Io mio chiamo Lina”.
Poi abbiamo iniziato a chiacchierare, a farci domande a vicenda, eccetera eccetera. Era una ragazza divertente, con la battuta sempre pronta, anche se un po’ ciucca, a mio avviso: un po’ troppo. Io non bevo. O, se bevo, bevo pochissimo. Non tanto da perdere l’autocontrollo. Lina, invece, mi sembrava un po’ per… ‘aria’, aveva gli occhi lucidi e rideva in continuazione per qualsiasi stupidaggine. Nel frattempo, mentre cianciavamo, un tipo si è seduto sul divanetto di fronte a noi. Sulle prime, non ci avevo fatto caso, e non lo avevo neanche considerato, anche perché non si era minimamente degnato di salutarci; poi, però, noto che inizia a guardarmi in modo insistente, così faccio un cenno a Lina che, sempre ridacchiando, gli fa: “Oh, buonasera”. Il tipo, un uomo robusto sui cinquant’anni, a quel punto ci saluta senza aggiungere altro. Che ci faceva lì? Perché si era seduto senza dire niente? Cosa voleva? Ho iniziato a farmi queste domande. Io e Lina continuavamo a parlare, e lui ci guardava e basta. La cosa cominciava a diventare imbarazzante, così ho pensato di mettere un po’ di pepe alla situazione allargando leggermente le gambe in modo che potesse sbirciarmi le mutandine. Mentre parlo con Lina, lo tengo sotto controllo, e vedo che guarda con fissamente in mezzo alle mie gambe. “Bene”, penso, “il giochetto funziona”; a quel punto le allargo ancora, in modo che possa vedere bene. Qualche minuto dopo, vedo che si alza, va verso le tende, le chiude e poi si avvicina a noi. Lo guardiamo.
“Sono di pizzo?”, dice, rivolgendosi a me.
“Cosa”, dico io facendo la gnorri.
“Lo sai cosa”, mi risponde lui.
Lina scoppia a ridere.
“Be’”, continua lui, “volevo solo farti sapere che la vista ha fatto effetto”, e in quel momento si è abbassato la lampo e ha sfoderato cazzo e palle.
Il cazzo, ritto, già durissimo, saliva su quasi in verticale. Lina, eccitata, mi dà una pazza sulla spalla.
“L’hai provocato, eh?, troietta”.
“Macché”, dico, ridendo.
“Adesso ti arrangi”, mi fa lei, portandosi una mano alla bocca.
Il tipo ci guardava, in silenzio. Io ho abbassato un attimo la testa per contenere l’eccitazione e la voglia e, quando l’ho rialzata, ho visto che Lina stava passando la lingua su cappellone del tipo.
“Che vacca”, ho detto.
“Troppo tardi, cara”, mi ha detto, ridendo come una scema. E in quel momento lo ha quasi fatto sparire tutto in bocca.
Non sapendo che fare né cosa dire, ho preso a massaggiare le palle del tipo. Palle grosse e gonfie, che spuntavano dalla patta. Intanto lei faceva su e giù guastandosi quel bel cazzo alla faccia mia. Il tipo mi guardava mentre gli massaggiavo le palle; vedevo che aveva una voglia smisurata di ficcarlo in bocca anche a me. Così ci ha chiesto di sederci una accanto all’altra, guancia a guancia, con le bocche aperte, e a turno a cominciato a scoparci le bocche. Una decina di stantuffate forte a Lina, una decina a me. Lina ogni tanto aveva qualche conato. Io no, riuscivo a sopportare i colpi, anche se erano forti, mentre teneva forte la testa e me lo sbatteva dentro. È andato avanti così, dentro e fuori dalle bocche, una quindicina di minuti. Quando lo cavava di bocca a Lina, a lei scendeva un sacco di saliva lungo il mento, tanto che ogni volta era costretta a levarsela via con la mano.
“Ma come fai a non sbavare saliva e farti ficcare tutto quel cazzo in bocca senza avere conati? Sei proprio una troia”, mi ha detto.
Ma io sentivo solo i colpi di quella verga in bocca. Finché il tipo, che fino a quel momento si era limitato a gemere a ogni colpo, non ha tolto il cazzo dalla mia bocca e mi ha detto:
“Va un po’ indietro, tira su il vestitino, e allarga bene le gambe, che te le sborro quelle mutandine”.
Faccio esattamente come mi dice.
“Avevo indovinato, allora. Sono di pizzo”, fa” e, un istante dopo, gemendo, se ne viene: tre, quatto fiotti di sborra densa e calda, tutta sulle mie mutandine bianche.
“Wow”, fa Lina, “che sborrata tesoro”.
La sborra mi correva lungo le cosce. Mi aveva inondato di sborra. Subito dopo il tipo ha rimesso il cazzo nei pantaloni, ci ha salutate e se ne è andato, passando attraverso le tende, come se niente fosse.
Io guardo Lina, Lina guarda me, e ridiamo come due stupide.
“Per fortuna ho sempre due o tre perizomi in borsa”, le dico, “sennò ero fritta”.
“Se vuoi andare a darti una pulita”, mi fa, “c’è il bagno con il bidet laggiù, dopo l’angolo del bar”.
Ma mentre mi dice queste parole e faccio per uscire, vedo che dalla tenda chiusa spunta un cazzo. C’è qualcuno, dietro, con il cazzo fuori, e lo ha infilato fra le due tende.
“Sorpresa”, fa Linda, e giù a ridere. “Guardoni, che spiano, e questo è il risultato”.
Ma io ero talmente eccitata che mi sono avvicinata e, senza scostare le tende, ho cominciato a leccare il cazzo. Lo leccavo proprio, come se fosse un gelato, un ghiacciolo.
“Che fai?”, mi fa Lina. “Fai proprio ridere, sai? E poi la vacca sarei io”, continua, mettendosi a ridere.
A ogni leccata sentivo un sussulto e il cazzo del tipo dietro la tenda che vibrava. Era un cazzo carico, a molla, si capiva, pronto a esplodere. Infatti ho appoggiato di nuovo la lingua alla cappella e… wruuummm: una fontana di sborra, letteralmente, mi si è riversata in faccia. Ho sentito… “ahhhhght”, dietro la tenda, e poi il fiume di sborra in faccia. Ho continuato a leccare la cappella bagnata di sborra, ma a un tratto il cazzo sparisce di nuovo dietro la tenda.
“Svuotato”, mi dice Lina.
A quel punto apro la tenda, per capire chi era.
“Sempre troppo tardi. Fai le cose sempre troppo tardi”, mi dice Lina, ridendo come una matta.
“Volevo solo capire chi era”, dico io.
“Ma che te frega, teso’, un cazzo è un cazzo. Ti sei divertita?”.
“Sì”, dico, parecchio.
“Adesso va’, dai, vai a pulirti. Anzi, prendi, intanto”, mi fa dandomi delle salviettine imbevute, “non vorrai girare per il locale in queste condizioni. E comunque”, continua, “ascolta me: ti conviene tirarti su il vestito prima che si inzaccheri tutto di sborra, e levarti il perizoma. Poi buttalo nel cestino là, visto che ne hai un altro. Così poi ti cambi”.
“Sì, hai ragione”, le dico; così mi levo il perizoma e lo butto, riabbasso il vestito ed esco. Il bagno è dopo il bar, mi ha detto. Ho bisogno di pulirmi, e subito, penso. “Poi ti aspetto là in zona bar, se vuoi, così ci beviamo qualcosa”. “Okay”, dico, “a dopo”.
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