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IL CONTROLLORE FISC...ANALE


di La_Lilla
11.04.2023    |    8.527    |    18 9.8
"Una volta raggiunta la mia cuccetta, mi siedo, e inizio una breve videochiamata con quella che avrebbe dovuto essere il team manager dell’agenzia..."
Ero diretta a Parigi. Mi aspettava un lungo viaggio in treno. Per questo avevo prenotato una cuccetta personale. Il biglietto mi era arrivato online, via mail, direttamente dall’agenzia di moda da cui dovevo recarmi. Era una buona opportunità di lavoro, quella, per me. Avrei iniziato come semplice stagista, per poi entrare a far parte del team creativo.
Ero già stata in Francia, ma soltanto in vacanza. Questa volta era tutta un’altra storia.
Una volta raggiunta la mia cuccetta, mi siedo, e inizio una breve videochiamata con quella che avrebbe dovuto essere il team manager dell’agenzia.
Sapevano che ero trav e che volevo lavorare vestita da donna e essere donna, a tutti gli effetti.
La team manager non ebbe nulla da obiettare al riguardo. Anzi, mi disse che non ero la prima travestita che assumevano.
Ben felice, chiusi la videochiamata ripromettendole che ci saremmo incontrate presto quando sento bussare alla mia cuccetta. Da notare che ero appena salita, quindi non avevo idea di chi potesse trattarsi.
“Biglietto”, sentii. “Prego”.
Giusto, pensai, che scema, il biglietto.
Aprii la porta. Il controllore era piantato lì dietro, con il suo strumento alla mano.
“Buongiorno”, disse. “Biglietto, grazie”.
Molto velocemente, smartphone alla mano, cercai la mail dell’agenzia, ma non so perché ero un tantino agitata, e non riuscivo a trovarla.
Il controllore, intanto, picchiettava nervosamente le dita sul bordo della porta.
“Un secondo”, feci, a mia volta agitata, “che trovo la mail”.
“Sarebbe bene”, incalzò lui, “quando si sale in treno, preparare anticipatamente il biglietto, proprio per ovviare a queste situazioni”.
Queste parole non fecero altro che mandarmi ancora di più in tilt. Cominciai a cercare, nevroticamente, nelle mail ricevute, quella dell’agenzia, ma niente.
Non è che, scema come sono, mi stavo domandando, per caso ho cancellato mail e allegato?
“Be’”, disse lui a quel punto, spazientito, “facciamo così: finisco la carrozza, e poi torno. Sperando che il biglietto salti fuori”.
“Sì, sì”, dissi io, costernata. “In caso me lo faccio inviare di nuovo”.
Il controllore scosse la testa e proseguì oltre.
Io chiamai in agenzia, nella speranza che qualcuno potesse inviarmi di nuovo il file con la prenotazione della cuccetta. Mi rispose una segretaria, molto gentile, la quale mi disse che avrebbe provveduto immediatamente all’invio.
Avrei voluto baciarle i piedi.
Quando il controllore tornò, allegra e tronfia gli mostrai il biglietto sul mio smartphone.
Lui guardò attentamente, e poi disse:
“Mi spiace, signorina, ma questo biglietto andava stampato e vidimato. Così non è valido”.
Di nuovo, tutto, mi crollò addosso.
“No, no…”, dissi cercando di convincerlo, “è una prenotazione a mio nome”.
“Vedo, e capisco che le sue generalità… Non sto qui a sindacare, si figuri, sono di larghe vedute, io. Ma il problema è che questo biglietto andrebbe vidimato nelle macchinette della stazione”.
“E non può proprio farlo lei?”, gli chiesi facendo gli occhi da cerbiatta.
“Temo proprio di no, signorina”.
“Non vorrà mica farmi una multa, spero”, dissi, cercando acquietare la situazione.
“Mi sa che non ho alternative, signorina. Mi dispiace”.
“Ma suvvia”, feci io mostrandomi sempre più dolce e disponibile, “non potrei per caso scendere alla prima stazione, farmelo stampare, vidimare e salire?”.
“Mmmm”, face lui passandosi la mano sulla barba. Aveva una leggera barbetta, ben curata. Stiamo parlano di un uomo sulla cinquantina, di bella presenza, dall’aspetto più che virile. “Ho proprio paura che non farebbe in tempo, signorina. Purtroppo mi vedo costretto a multarla”.
A quel punto, messa alle strette, mi gioco la carta seduttiva.
“Ma su, non potrebbe chiudere un occhio…”, scostando la gonna e mostrando buona parte della gamba con le autoreggenti, “in fin dei conti ho pagato”.
Lui osservò il mio gesto.
“Non starà cercando di sedurmi per non pagare la multa, spero”.
Sorrisi, anche se in realtà volevo piangere. Forse stavo semplicemente complicando la mia situazione. Che era già grave in sé.
Poi successe un cosa inaspettata. Il controllore chiuse la porta dietro di sé.
“Bene”, disse, “Ho deciso di cedere al ricatto”.
Sorrisi di nuovo, questa volta senza remore. Il cuore andava a mille.
“Vediamo quanto sei troia”, mi disse, così, di punto in bianco.
La cosa mi mandò letteralmente in solluchero.
“Mettiti in ginocchio e girati e appoggia la pancia al lettino”.
Esegui, diligentemente, l’ordine.
Lui tirò la tendina del finestrino e subito dopo mi alzò la gonna da dietro.
Partì uno schiaffo, forte. Intenso. Seguito da un altro.
“Proprio un bel culo da schiaffi”, disse.
Subito dopo si accucciò, mi scostò il filetto del perizoma e, in attimo, infilò la sua lingua nel mio buchetto.
Cominciò a leccarmelo con bramosia, famelico.
“Mmmm”, faceva mentre leccava, “proprio bello slabrato, come piace a me. Chissà che cazzoni devi aver preso, puttana, per averlo così slabrato”.
Io emettevo soltanto dei flebili risolini.
“Meglio di una fica”, disse lui. “Mmmmm, dolce”.
Io, intanto, avevo iniziato a sbrodolarmi nel perizoma. Ero in visibilio. Sentivo la sua lingua penetrarmi. Non la smetteva più di leccarmelo.
Poi si staccò un momento, giusto il tempo per infilarmi un dito e poi un secondo dito e infine il terzo.
“Bello aperto. Accoglierà con piacere la mia verga”, disse, e poi aggiunse. “Girati”.
Mi voltai, in ginocchio. Ce lo avevo di fronte, in piedi.
“Ora abbassami i pantaloni”, mi disse.
Slacciai il bottone e abbassai la zip. Poi iniziai a calarglieli.
Indossava slip aderenti, e il rigonfiamento era molto evidente.
“Ora abbassami anche gli slip… lentamente e avvicina la faccia: deve sbatterti in faccia il cazzo, quando esce”.
Ero talmente eccitata e bagnata per la situazione che eseguii l’ordine con una lentezza sovraumana, finché il cazzo non saltò fuori, colpendomi prima il mento e poi rimbalazandomi in faccia un paio di volte.
“Ferma così”, fece lui, a quel punto, “voglio proprio sbattertelo in faccia pere bene, vacca”.
Prese la verga in mano. Era un cazzo notevole. Grosso e suppergiù sui venti centimetri. E subito iniziò a sbattermelo sulla fronte, come se mi stesse scudisciando.
La faccenda mi stava letteralmente mandando fuori di testa. Sentivo la pisellina umidiccia e appiccicicaticcia, come rare volte mi era capitato prima.
“Ora tira fuori la lingua”.
Gliela porsi.
Cominciò a sbattermelo con forza anche sulla lingua. Tutto questo mentre il treno continuava a viaggiare. Non eravamo ancora arrivati alla prima fermata.
“Lo vuoi, vero, puttana, dillo che lo vuoi”.
“Sì”, dissi, senza farmi pregare oltre, “lo voglio”.
In quell’istante me lo sbatté in bocca, senza pietà, e cominciò a scoparmela con irruenza.
“Tutto dentro, puttana, fino in gola, fino a soffocare”.
Cosa che, tra l’altro, stavo per fare. Ma lui non sembrava darsene pena, continando a pompare il cazzo nella mia bocca senza freni.
Al decimo colpo, riuscii a divincolarmi dalla sua presa, ed ebbi due forti conati di vomito. Non ebbi il tempo di riprendermi, che ce l’avevo di nuovo in bocca fino all’ugola.
“Tienilo dentro, razza di troia!”, disse. “Fino in fondo”.
Ma era grosso e lungo. Non resistii per molto. Sputai.
“Non si fa così”, proseguì lui. E poi mi disse di appoggiare la testa al lettino. Lui salì sopra di me a gambe divaricate e me lo infilò in bocca di nuovo, riprendendo a scoparmela.
Quando mi vedeva diventare rossa paonazza, lo sfilava dalla bocca, e poi ricominciava. In quella posizione, però, riuscivo a riceverlo meglio. Non mi salivano i conati.
Mentre mi scopava la bocca, ebbi una specie di orgasmo, cioè mi uscì un sacco di liquido dalla pisella, che tremava tutta.
Sul più bello, il treno iniziò a frenare, e lui dovette accelerare le operazioni. Mi disse di mettermi in ginocchio, con la testa leggermente piegata all’indietro. Poi cominciò a segarsi davanti a me, molto velocemente, mentre io passavo la mia lingua sulla sue belle palle piene.
Poi esplose, venendomi in faccia. Una sborrata copiosa, e lunga. Quando finì, mi guardò. Io guardai lui, anche se avevo un occhio pieno di sborra, ed ero costretta a guardarlo con un occhio solo. La sborra mi colava giù lungo il naso, scendendo nel mento.
“Guarda che bella che sei così, troia. Tutta sborrata. È quello che ti sei meritata”.
“Sì”, dissi. “Il mio premio”.
“Proprio così, cagna, la sborra in faccia è il tuo premio, perché sei stata brava”.
Io, così, di scatto, afferrai lo smartphone e mi feci un selfie.
“Brava, vantati con le tue amiche adesso. Puttana”.
Poi si tirò su slip e pantaloni.
“Ah, grazie”, disse, “e, un’ultima cosa: non serviva affatto vidimare quel biglietto, è a posto così. Ma immagino lo sapessi già.
Sorrisi.
“Cagna”, disse uscendo.
Il treno, intanto, si era fermato alla prima stazione.

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