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UN ECCITANTE IMBROGLIO


di La_Lilla
05.08.2022    |    10.766    |    26 9.9
"Sulla mia destra c’è una scala, che porta al piano di sopra..."
Ogni tanto, sul tardo pomeriggio, vado a farmi una passeggiata en femme sul una stradina che costeggia un fiume a poche centinaia di metri da casa mia. In genere non trovo mai nessuno, passano pochissime macchine, e qualche volta mi capita di vedere qualcuno in bicicletta. Sono nuova della zona, quindi non conosco nessuno, e nessuno mi fa problemi. Inoltre, con la mia bella minigonna sbarazzina, il top e i tacchi alti, sembro proprio una bella fanciulla.
Quel giorno, però, ho sentito una macchina arrivare abbastanza velocemente, e così, d’istinto, mi sono spostata, per paura di essere investita.
In realtà la macchina stava frenando e, quando mi affianca, sento un finestrino che si abbassa.
Faccio finta di niente e continuo a camminare, ma la macchina mi sta accanto, a passo d’uomo.
“Scusa”, sento. “Scusa, tu”.
A quel punto non posso più ignorarlo e, guardando dentro l’abitacolo, dico:
“Cosa c’è, che vuoi!”.
“Scusa se ti disturbo. Mi chiedevo se ti serviva un passaggio”.
E’ una bella macchina; una Mercedes grigia, tipo SUV, e l’uomo alla guida avrà poco più di cinquantacinque anni.
“Ah, no, tranquillo. Facevo una passeggiata. Non serve”, dico, guardando avanti.
“Ah, okay”, fa lui. “Chiedevo. Be’, buona passeggiata, allora”.
“Grazie”, dico.
Poi lui tira su il finestrino e accelera.
Dentro di me pensavo… speriamo che non desista, che non desista…
Una cinquantina di metri più avanti vedo gli stop che si illuminano, poi il fanale della retro. Sta tornando indietro.
Ero iper eccitata, a quel punto.
Mi affianca di nuovo.
“Non mi serve un passaggio”, gli ho detto dal finestrino. “Sei sordo?”.
“No”, mi fa, “non sono sordo. E’ solo che volevo invitarti a salire per fare due chiacchiere. Mi piaci. Ti ho vista altre volte passeggiare per questa via. Sei una bella tipa”.
Sorrido.
“Sei molto gentile”.
“Allora, monti su?”.
“Se la metti così”, dico.
Apro la portiera e salgo in macchina.
I sedili di pelle sono sorprendentemente freschi. Una goduria per le mie gambe.
“Dove andiamo?”, gli chiedo.
“Non lo so. Volevo fare due parole con te, prima, conoscerci”.
“Ma certo. Piacere, sono Priscilla”.
“Piacere, io sono Samuele”, poi sta un attimo in silenzio. “Sai, ho un debole per le trav. Non so perché”.
Mi metto a ridere.
“Ah, se non lo sai tu, io non posso saperlo di certo”, gli dico. E poi, così, di botto, gli chiedo: “Ma sei sposato?”.
“Separato e in fase di divorzio”, mi dice.
“Ah, capisco. E vivi solo?”.
“Al momento ancora con la mia ex. Ci dividiamo una grande casa a due piani. Lei sopra, io sotto. Non abbiamo figli”.
“Ma tu e tua moglie in che rapporti siete?”.
“Mah”, fa, mentre svolta sulla strada principale. “Alti e bassi. Comunque non credo di restare lì ancora per molto”.
“Capisco. Quindi”, aggiungo facendo la sfacciata, “di andare a casa tua non se ne parla”.
Lui sorride.
“Perché no”.
“E la tua ex cosa dice”.
“Può dire e fare quello che le pare, per quello che mi riguarda. Non è la prima volta”.
“Oh, capisco. No, chiedo perché non vorrei saltassero fuori casini a causa mia”.
“Ma figurati”, mi fa mettendomi una mano sulla coscia.
La mano sale sempre più su, sotto la gonna.
“Mi piace la pisella. Soprattutto quando è moscia”, mi dice.
“Io sono Sissi come trav”, gli dico, “sempre moscia. Non è facile, a volte, ma l’erezione è solo un fatto mentale”, gli dico, mentre guardo il rigonfiamento nei suoi Jeans.
“Esatto”, dice lui, notando che gli sto guardando il pacco.
“Tanta roba lì”, dico.
“Eh! Eh!”, ridacchia. “Ho un cazzo di 24 cm. Reali”.
“Urca!”, faccio, “non stai scherzando, vero?
“No, no”, mi fa, “esamina tu stessa, se non ci credi”.
Intanto ci fermiamo a un semaforo. Accanto a noi accosta una macchina nera; dentro c’è un tipo; si volta e guarda verso di noi.
“Tranquilla”, fa Samuele, “i vetri sono oscurati. Non te ne sei accorta, prima?”.
“Eh no”, gli faccio, “avevi il finestrino abbassato.
“Vero”, fa lui, ridendo. “Comunque non può vederci all’interno”.
Galvanizzata, gli slaccio la cintura; poi apro piano piano la patta, bottone dopo bottone; dentro sento il cazzo che preme per liberarsi; una volta sbottonata completamente, la apro bene, gustandomi il cazzone nelle mutande.
“Cavolo”, gli dico, “che roba è”.
“E’ sì, superdotato”, dice ridendo.
Ha una verga enorme che fatica a stargli nelle mutande. La libero. Il cazzo salta fuori a molla e sbatte due volte sulla sua pancia.
Guardo il cazzo e comincio già a sbrodolare.
“Ma è davvero enorme”.
“Roba che fa male”, mi dice.
“E ci credo”, rispondo ormai fuori di me dall’eccitazione.
Lui continua a guidare serenamente, e io mi infilo il cazzo in bocca. Però non riesco a farmelo entrare tutto: è davvero lungo e grosso.
“Più di così non entra”, dico.
“Eh, ci vuole allenamento”, mi risponde.
“Sono super allenata, io. Ma non mi entra più di così. Ne rimarranno fuori cinque centimetri”.
Lui ride e mi dice:
“Okay, dai, siamo arrivati”.
A fatica rimette il cazzo nelle mutande e richiude la patta.
Scendiamo dalla macchina.
“E’ questa casa tua?”.
“Esattamente”.
Saliamo qualche gradino, lui cerca la chiave e apre la porta.
Siamo dentro.
E’ arredata in modo molto semplice, come piace a me. Sulla mia destra c’è una scala, che porta al piano di sopra.
“Vuoi qualcosa da bere?”, mi chiede.
“Una cocacola va benissimo, se ce l’hai”.
“Sicuro”, mi dice. “Faccio in un attimo”.
Ritorna in boxer con una cocacola. Il cazzo chiedere di essere liberato.
“Grazie”, gli dico. E gli guardo il palo in mezzo alle gambe.
“Ma ti resta sempre in tiro?”, gli chiedo.
“Dipende, se una mi eccita sì. E tu mi ecciti, parecchio”.
Faccio una risatina e bevo la cocacola.
“Ti va”, mi chiede, “di leccarmelo dentro i boxer. E’ una cosa che mi manda in estasi, non so perché”.
“Ma certo”, gli dico.
Lui si sdraia sul divano e i mi ci butto sopra a pesce e comincio a leccarglielo dentro i boxer.
La cosa infoia fuori di modi anche me. Tanto che sbrodolo.
Il cazzo però è talmente enorme, ormai, che la cappella scappa fuori dall’elastico dei boxer. La lecco. Sento che ha un sussulto.
In quel momento, succede l’irreparabile.
Innanzitutto sento dei passi, ma essendo super eccitata non ci bado molto, poi, però, a un tratto odo una voce femminile, che dice:
“Ti porti ancora le troie a casa, vedo”.
Mi tiro su di scatto e mi volto. Credo sia la moglie.
“Emma”, le fa lui, “che cazzo vuoi. Torna di sopra. Non sono affari tuoi”.
La cosa singolare è che Emma, la moglie, è in mutandine e reggiseno. E basta.
“Cara”, mi fa. “Lo sai che è un porco, vero?”.
Io non so che dire. La guardo stranita.
“Sei trav, vero? Ma io dico, come si fa a preferire una trav a me?”.
Guardo la signora. In effetti è una bella donna. Un po’ in carne, ma nel complesso attraente, con i capelli scuri e mossi.
“Perché tu sei una troia”, gli dice lui. “Ecco perché”.
“E la tua amichetta, allora?”, domanda.
“Lascia fuori lei da questo discorso”, dice Samuele tirandosi su e affrontandola. “Tu sei una troia perché mi hai tradito con tutti”.
“Ti ho sempre mantenuto. Tu sei un nullafacente. Ero innamorata della verga che hai nei pantaloni, non di te. Lo sai questo”, rincara la dose lei.
“Ascoltate”, intervengo io, “capisco che sono di troppo qui. Me ne vado. Chiamo un taxi”.
“Stai scherzando Priscilla?”, mi fa Samuele, “tu non vai da nessuna parte: quella che deve andarsene è questa troia qua”, puntando il dito verso sua moglie.
Lei ride in modo isterico.
“Ma secondo te”, domanda rivolgendosi a me, “che uomo è uno che preferisce il culo di una travestita a questa”, togliendosi le mutandine.
Resto basita.
“La vedi bene? O sei gay? Questa è la fica”, fa lei rivolgendosi a Samuele.
La signora Emma ha una fica pelosissima. Roba anni ottanta.
“Ma a me non interessi tu”, gli dice lui, “figuriamoci la tua fica pelosa”, dandole una stoccata.
“Ti sembra normale?”, mi domanda Emma.
“Che ne so, io”, faccio, tra l’imbarazzato e il furibondo, “di cosa è normale e non lo è. Sono venuta qui per farmi una scopata e sento tutte queste storie assurde. Mi avete fatto passare la voglia”.
La signora Emma mi si avvicina e mi dice:
“Guarda Priscilla, ti chiami Priscilla, no?”.
“Sì”.
“Guarda, è bene che tu sappia che io non ho niente contro di te, né contro le trav, ci mancherebbe. Ma lui ha sposato una donna, una donna con la fica, e avrebbe dovuto scoparle la fica, non il culo e basta”.
Samuele si è ammutolito.
“Lui dice che non gli interessava avere figli e non voleva rischiare di lasciarmi incinta, ma io credo che ci sia ben altro sotto”.
“Signora Emma”, le dico, “a me non interessano molto i vostri trascorsi sessuali. Per quel che mi riguarda si può sposare e amare una donna anche soltanto scopandole il culo e la bocca. Ne conosco tanti. O non scopandola affatto. Se questo, per lei, è un buon motivo per tradire suo marito, sono fatti suoi. Ma non vedo perché debba incolpare lui”.
“Bravissima Priscilla”, dice Samuele, “hai centrato il punto. Sei davvero molto intelligente”.
“Tutte scuse. Scuse bell’e buone che non mi bevo più”.
La signora continua a parlare, incurante di essere senta mutandine davanti a me. La cosa non sembra turbarla molto. Anzi, comincio a pensare che le piaccia.
Infatti, subito dopo, Samuele dice:
“Allora, dopo questo assurdo sfogo (inutile, aggiungerei, visto che siamo separati) che intendi fare, andartene o cosa”.
“No”, fa lei, “piantando i pugni sui fianchi, “penso che resterò”.
“Bene”, dice Samuele, “come immaginavo”, e poi, rivolgendosi a me: “non badarci troppo, fa sempre così. Forse le serve per eccitarsi”.
“Non dire stronzate”, lo ammonisce Emma.
Lui si mette a ridere.
Io lo guardo. Non ci capisco più niente. Ma ormai è chiaro che sarà una cosa a tre, completamente inaspettata.
Emma si libera anche del reggiseno. Ha due grosse tettone cadenti con capezzoli grandi quanto una fiches da casinò. Con una mano comincia a sgrillettarsi e con l’altra alza un seno e con la lingua si lecca il capezzolo.
Io non so che fare. Mi volto. Samuele ha liberato la Verga: è dritta come un palo piantato a terra.
Emma mi si avvicina.
“Ti va di leccarmi le tette?”, mi chiede.
Non sono una che si tira indietro. Prendo una tettona in mano, la soppeso.
“Sono grosse”, le dico.
Lei ride.
“Ti piacciono?”.
“Belle sì, morbide”.
E comincio a mangiarle la tetta. Lei ha un sussulto quando passo la lingua sul capezzolo.
Intanto, dietro, Samuele si gomma e subito dopo, tirandomi su la gonnellina, appoggia la cappella sul mio buco. Siamo tutti e tre in piedi. Emma pare godere; continua a manovrarsi la fica velocemente, mentre io le lecco i capezzoli.
Samuele inizia ad affondare, lentamente. Sento che è entrato con la cappella e buona parte del cazzo. Ma non ho ancora il culetto ben allargato e sento un leggero dolore.
Se ne accorge, lo sfila, mi sputa in culo e lo infila di nuovo.
Questa volta riesce a entrare un po’ di più. Finché, con un colpo secco che mi fa gridare, ce l’ho dentro fino all’elsa.
“Lo so”, fa Elsa, “fa male anche a me ogni volta, nonostante mi abbia sfondata in tutti i modi”.
“E’ un super cazzone”, le dico, mentre Samuele comincia a pompare.
Urlo.
“E ancora non è niente”, mi dice Emma. “E’ anche resistente. Dura parecchio prima di venire”.
Io grido di nuovo. Praticamente a ogni colpo.
Samuele, senza batter ciglio, continua a stantuffare con un ritmo costante.
Poi la signora Emma mi dice:
“Mettiti giù, a novanta”.
Mi abbasso e mi metto a quattro zampe.
Samuele, sopra, continua a darci dentro. Adesso sento meno male di prima; però sento che tra un po’ verrò di culo.
Emma si mette davanti a me, a gambe aperte.
Io cerco la figa con le dita in mezzo a quella boscaglia.
“Leccamela”, dice lei.
Mi abbasso ancora un po’ e infilo la lingua in quella marea di pelo.
La sento godere come una vacca.
Samuele ha accelerato il ritmo, e, in quella posizione, come sempre, vengo.
Emma se ne accorge.
“Sei venuta, cara?”.
Non me ne ero resa conto, ma nella foga il vestito ormai era all’altezza del reggiseno e da un lato del perizoma mi usciva la pisella. Avevo squirtato per terra.
“Sì, dico. Una volta”.
“Anche io”, mi dice lei. “Fammi venire una seconda, con la tua bella lingua. Infilata dentro tutta”.
Continuo a leccargliela a fondo finché non sento che se ne viene in un lago un’altra volta.
Gode come una cagna, veramente. Aveva ragione Samuele che, in quel momento, mi toglie il cazzo dal culo e si sgomma. Poi ha un cenno di intesa con Emma, che io non capisco. Lei, scusandosi, si alza e se ne va. Torna un minuto dopo con l’artiglieria pesante: strap-on e un dildo.
Sì, ha una cintura con un grosso cazzo davanti.
“Ti va di provarlo, cara? Dopo che hai preso quello di Samuele, sono sicura che ti entrerà tutto anche questo”.
Guardo lo strap-on.
“Quanto è, cinque, sei centimetri?”.
“Di circonferenza… sì”, dice Emma.
Samuele, davanti a me, mi ha già ficcato il cazzo in bocca. Lo tiro fuori e lo prendo in mano, guardandolo in faccia. Lui mi fissa. Poi, partendo dalle palle, passo la lingua fino alla cappella, due, tre volte. E dentro in bocca, di nuovo. Lo pompo, mentre Emma prepara lo strap-on, lubrificandolo per bene, infilandosi il dildo nella fica.
Sento che entra. Un altro colpo ed è dentro tutto anche quel cazzone. Ma non sento dolore. Samuele me lo aperto alla grande, il buco. Ci passerà una mano.
Emma inizia a scoparmi mentre con l’altra mano si lavora la fica con il dildo. La sento gemere più volte.
Io smanetto il cazzo di Samuele, e lo guardo. Ho un palo, in mano, che meno velocemente, con foga, me quello non vuole saperne di venire.
“Sei resistente”, dico.
“Sì, cara, e molto”.
Meno il palo più velocemente mentre lecco la cappella. Chiunque verrebbe, a quel punto. Samuele, no.
Emma ci dà dentro con lo strap-on e sento che viene un’altra volta ancora con il dildo nella fica.
“Aghhth”, fa. “uhhhhg”. Suoni gutturali del genere. E’ proprio una vacca.
Andiamo avanti così per una quindicina di minuti. Emma sembra esausta, e anche io.
A quel punto imploro Samuele di venire.
Emma si toglie la cintura e mi dice:
“Quando decide, viene, sennò… hai voglia”.
“Vieni, papi, ti prego”, continuo a ripetergli. “Voglio bere la tua sborra”.
“Va bene”, fa lui, convincendosi. “Mettetevi davanti, in ginocchio, cagne, che vi innaffio”.
Io e Emma ci mettiamo davanti a lui, in ginocchio, a bocca aperta.
“Auhhht, auggt”, fa Samuele. “Vaccheee…Vi sborro, puttane”.
“La cosa lo eccita”, mi fa Emma, “sennò non riesce a venire”.
“Luride troie, adesso vi inondo”.
Un secondo dopo sborra. Il primo schizzo mi va sulla parrucca, il secondo in faccia; poi passa su Emma, e le sborra in bocca, subito dopo finisce ancora con me in bocca.
“Porca troia”, dico, pulendomi la faccia e leccando la sborra, “un litro”.
“Sì”, dice Emma ridendo, “e ha sborrato ieri. Sennò ti inondava, ma sul serio”.
“Sei il numero uno”, gli dico, rimettendomi il suo cazzone, incredibilmente ancora duro e ricoperto di sborra, in bocca.
“Succhiamelo bene, sì”, fa lui. “Così”.
Comincia afflosciarsi solo dopo cinque minuti.
“E’ una cosa incredibile”, gli dico. “Potevi fare l’attore porno, tu”.
Lui si mette a ridere.
“Ci ho provato”, mi fa, sedendosi sul divano, “ma le telecamere mi inibivano”.
“Eh, immagino”, dico.
Dopo Emma mi accompagna al bagno. Mi do una lavata e mi sistemo. Lei, ancora nuda, mi sorride.
“E’ stato davvero splendido”, fa. “Ti ringrazio”.
Io la guardo e le dico: “Toglimi una curiosità… era tutta una recita, vero? Tu e Samuele siete ancora sposati, vero?”.
Lei sorride, di nuovo.
“Sei molto intelligente, davvero”, mi dice, “ma certo che sì. Ci piace fare un po’ queste sceneggiate, perché sennò ormai la nostra sarebbe una vita piatta, la solita routine. L’altro giorno mi ha raccontato di vedere spesso una trav passeggiare lungo il fiume, e così mi ha detto: ‘che ne dici Emma se la invito qui; facciamo un po’ di scena, per eccitarci; mi è sembrata una bella idea”.
“Capisco”, dico sconsolata.
“Non sentirti presa in giro. Non credo saresti venuta qua sapendo che lui era sposato e io abitavo di sopra”.
“Questo è vero. Però…”.
“Lo so, lo so… è un po’ strano”.
“Più che altro perché mi avete spaventata con il vostro assurdo battibecco”.
“Ti chiedo scusa”, mi fa mentre ci avviamo verso il salotto, “e anche Samuele è pronto a chiederti scusa, vero, amore?”.
“Ma certo. Non volevamo in alcun modo prenderti in giro. Pensavamo che la cosa ti sarebbe piaciuta”.
“Ma mi è piaciuta”, dico. “Eccome”.
“Perfetto”, fa Emma. “Dunque non sei arrabbiata”.
“Ci mancherebbe”, dico.
“Vieni, dai”, mi fa Samuele che, nel frattempo, si era rivestito. “Ti riaccompagno a casa”.
“No, no. Fa niente. Chiamo un taxi. Non ti disturbare”.
“Però lo pago io, okay?”.
“Come vuoi”, gli dico.
Dieci minuti dopo arriva il taxi e ci salutiamo
Salgo e do l’indirizzo al taxista. Mi guarda dallo specchietto. Chissà, forse gli piaccio.







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