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MIKE PALLE GROSSE


di La_Lilla
22.06.2023    |    11.496    |    12 9.8
"“Porca troia! Ma tu non hai mai abbastanza, eh? Ma se volevi andare via, prima, senza farti Johnny e Rico”..."
“Dove stiamo andando”, gli chiedo eccitata. Lo avevo appena conosciuto in discoteca.
“Ti porto a battere”, mi rispose lui serio.
“A battere?”, dissi io sorpresa.
“Sì, a battere. Adesso capirai dove”.
Svoltammo, in macchina, in una stradina secondaria che conduceva a una ex zona industriale ormai dismessa.
Arrivammo in un parcheggio abbastanza isolato, proprio dietro una fabbrica con i vetri sfondati. Nel piazzale c’erano due lampioni, accesi. Sull’asfalto si potevano notare chiazze di olio e ciuffi d’erba che invadevano le buche che si erano formate con il tempo.
Nel parcheggio c’era già un'altra macchina. La luce dell’abitacolo era accesa. Dentro c’era qualcuno.
“Eccoci arrivati”, mi disse.
In quel momento qualcuno scese dalla macchina. Si sentiva della musica rock provenire dal veicolo.
Il tipo fece il giro della macchina, aprì la portiera dal lato in cui ero seduta, mise dentro la testa e disse:
“È questa la zoccola?”.
“Ciao Flavio”, disse Mike. “Sì, che te ne pare?”.
“Niente male”, fece lui. “Come ti chiami”.
“Priscilla”, dissi io, quasi timidamente.
“Scendi, dai, Priscilla”, fece lui.
Scesi dalla macchina e lo seguii.
Lui mi prese per le spalle e mi fece sedere sul cofano della macchina. Poi si abbassò i pantaloni, tirò fuori il cazzo, afferrò la mia nuca e mi abbassò la testa in modo da farmelo ingoiare.
“Sì, brava”, disse, mentre mi tratteneva per la testa con il cazzo in bocca, “stasera avevo proprio bisogno di una troia che mi svuotasse le palle”.
Poi cominciò a scoparmi la bocca tenendomi la testa ferma con ambedue le mani. Sentivo il suo cazzo dentro fino alle tonsille e, un paio di volte, ebbi i soliti conati, con abbondante uscita di saliva.
Ogni tanto si fermava e mi guardava. Il cazzo duro come un sasso, davanti alla mia faccia.
Mike, nel frattempo, stava costantemente al telefono. Osservava la scena da qualche metro, e se la godeva.
Poi questo Flavio ricominciò a scoparmi la bocca con più veemenza, finché, a un certo punto, prima di scoppiare, si tirò indietro, mi tenne la testa rivolta indietro e svuotò tutto quello che aveva dentro nella mia bocca, ululando qualcosa come “uuhhhhhgt”.
Ingollai.
Lui si tirò su i pantaloni e mi diede un buffetto sulla guancia. Poi diede il cinque a Mike, che era ancora al cellulare, salì sulla sua macchina, mise in moto e se ne andò.
Da lì a due minuti vidi arrivare un’altra macchina, in lontananza. Arrivò a fari spenti. Parcheggiò a qualche decina di metri da noi.
Mike si mosse in quella direzione, sì avvicinò lentamente alla macchina, parlò al conducente (che aveva il finestrino abbassato) e poi tornarono insieme da me.
“Piacere”, mi disse porgendomi la mano, “io sono Andrea”.
“Piacere mio. Io sono Priscilla”, dissi io, stringendola.
Andrea, a differenza di Flavio, basso e tarchiato, era un tipo alto, sulla cinquantina.
Ci fu un attimo di imbarazzo generale, mentre io mi pulivo la bocca con un fazzoletto e cercavo, in qualche modo, di rimettere in sesto il trucco.
“Sei veramente carina”, disse, “più di quanto immaginassi. E con quel vestitino, poi, arrapi proprio”.
Andrea era piuttosto su di giri e, a quanto si notava, già eccitato.
“Visto che roba?”, fece Mike, smanettando sul cellulare.
“Vi ringrazio per i complimenti”, dissi io, sorridendo.
“Poi girarti un secondo?”, mi chiese Andrea.
“Certo”, dissi voltandomi.
“Mmmmm”, disse lui, “niente male”.
Poi mi alzò il vestito da dietro, scoprendomi il culo.
“Niente male davvero”, continuò, rifilandomi un sonoro schiaffone. “E senti come suona bene”.
Io ansimai.
Partirono altre due manate. Poi così, a un tratto, mi spinse giù, con la faccia premuta contro il sedile anteriore della macchina.
Sentivo che si stava slacciando i pantaloni. Il cuore era a mille, come sempre.
Mike ci guardava attraverso i vetri dell’auto. Sempre scrivendo al cellulare.
Andrea ci mise qualche secondo con le operazioni di incappucciamento, poi si sputò su una mano e ispezionò il mio buchetto.
Subito dopo appoggiò la cappella e cominciò a infilarmelo lentamente.
Mi sbatté con una foga e un irruenza assurda, facendomi sussultare e sbattere ripetutamente la testa sul seggiolino, dentro e fuori, dentro e fuori, botte senza pietà, coi io che urlavo, per dieci minuti buoni.
Poi sborrò sulle mie chiappe, centrandole entrambe.
Quando mi tirai su, sentii la sborra scendermi lungo le gambe, lentamente.
Mi voltai per guardare e misi la mano su una chiappa. Ne tolsi un po’.
“Cavolo”, dissi guardandolo con il cazzo ancora duro. “Quanta ne hai fatta”.
“Visto?”, fece lui sorridendo. “Puliscimelo, dai. So che ti piace”.
Mi abbassai e gli leccai la cappella. Ne aveva ancora mola tutta intorno. Poi presi a ciucciarglielo, mentre, lentamente, gli si ammosciava. Aveva un cazzo decisamente interessante, per questo mi aveva fatto urlare.
Quando finii, lo guardai.
“Che dire. Sei veramente una maestra”, fece lui, alzandosi i pantaloni. “Spero di rivederti”.
“Speriamo, sì”, gli dissi.
Mi piaceva Andrea. Era un tipo tranquillo, allegro, con un bel cazzo. E lo usava bene.
“Ora vado, ci si vede”, poi si voltò verso Mike e aggiunge: “Grazie Mike. Ti adoro”.
Lo vidi incamminarsi verso la sua auto. Ero un po’ dispiaciuta. Non volevo che se ne andasse.
Tirai fuori delle salviettine umidificate dalla borsetta e mi diedi una pulita.
“Quanta sborra. Cielo”, pensai.
“Ascolta”, mi disse Mike avvicinandosi, “stanno arrivando altri due tipi. Tra una decina di minuti, se ti va. Sennò possiamo andare via”.
Io ero ovviamente infoiata. Mentre Andrea mi lavorava il culo, avevo avuto un orgasmo anale.
“E io e te non facciamo niente?”, gli chiesi, a quel punto.
“No”, mi fece lui, “non vado con le trav”.
“E… allora… allora perché mi hai avvicinata in disco?”.
“Come perché. Non lo capisci? Per portarti a battere”.
“Solo per quello?”.
“Sì, certo, perché altro sennò”, fece lui, laconico, e poi, vedendo i fari di una macchina avvicinarsi, “oh, guarda, sono arrivati prima del previsto”.
“Davvero non capisco”.
“Be’, mettiamola così: ho parecchi amici a cui piace ingropparsi le trav. Io le recupero e poi gliele faccio scopare”.
“E cosa ci guadagni, scusa”.
“Oh, be’, mi pagano cene, qualche viaggio, ma a volte anche niente. Lo faccio per amicizia”.
La macchina intanto si era avvicinata alla nostra.
“Mike”, sentiamo. “Canaglia! Non te ne scappa una, eh?”.
Erano due tipi, sulla quarantina, piuttosto robusti. Uno dei due addirittura in carne.
“Jonny, Rico, come va?”, gli fece lui dando a entrambi il cinque.
“Benone, fanno. Allora, dov’è la puttana”, disse uno dei due.
“Seduta in macchina”, disse Mike che, davanti alla portiera, mi copriva.
I due si avvicinarono.
“Saaalve”, disse quello più grassoccio. “Ma come siamo belle”.
“Grazie”, gli risposi io, poi, rivolgendomi a Mike, dissi: “Portami via”.
“Come?”, mi fece lui, esterrefatto.
“Portami via. Hai capito bene”.
“Non sai cosa ti perdi, bella”, disse quello che doveva chiamarsi Rico.
“E cosa mi perderei”, gli dissi, seria. “Sentiamo”.
“Questo, per esempio”, mi disse abbassandosi i pantaloni della tuta.
Spuntò fuori un cazzo veramente XL. Lo fece dondolare in mezzo alle gambe.
“Ventitre centimetri, bella. Te lo senti fino in pancia”.
Quell’altro, Johnny, si mise a ridere. Mike lo assecondò.
“Devo ammettere”, feci a quel punto, “che il materiale ci sarebbe. Però la situazione non mi piace più. Mike, per piacere, riportami al parcheggio della disco”.
In quell’istante, vedemmo i fari di un’altra macchina in lontananza.
“Chi sta arrivando?”, chiese Rico con il batacchio dondolante.
“No ne ho idea”, rispose Mike. “Oltre a voi non ho contattato nessun altro”.
“Curiosi, forse”, azzardò Johnny.
“No”, feci io risoluta. “È la pula”, e in quel momento vedemmo i lampeggianti accendesi.
Rico si tirò su le braghe della tuta. Mike e Johnny rimasero muti, immobili.
Dalla volante scesero due poliziotti.
“Che succede qui ragazzi?”, chiese uno dei due.
“Nnn… niente di che”, disse Mike. “Chiacchieravamo tra noi”.
“Hmmm”, fece il poliziotto. “Sono le tre del mattino. Siete in un’area dismessa in cui è vietato l’accesso. Non avete un altro posto dove andare? Qui non potete stare. E, per piacere, favorite i documenti”.
Poi guardò dentro la macchina.
“E lei, signorina, tutto a posto?”.
“Sì, non si preoccupi. Io e Mike stavamo andando a casa. Vero Mike?”.
“Sì, sì”, balbettò lui, “giusto in questo momento”.
“Ecco, bravi, fate bene”.
Gli demmo tutti i documenti. I due agenti si assentarono un attimo per segnare i nostri nomi. Poi tornarono e ce li riconsegnarono.
Li ringraziammo. Mike si mise subito al volante, e partimmo. Gli altri due fecero lo stesso.
“Ma chi cazzo li ha chiamati”, mi disse, in macchina, Mike e, mentre lo diceva, vedemmo un signore, ai lati della stradina, con le mani sui fianchi.
“Quel figlio di puttana”, disse, “ci scommetterei i coglioni”.
“Chi può dirlo”, feci io. E poi aggiunsi: “Sicuro proprio di non volerlo un pompino?”.
“Porca troia! Ma tu non hai mai abbastanza, eh? Ma se volevi andare via, prima, senza farti Johnny e Rico”.
“Te l’ho detto. Io vivo di sensazioni. Mi faccio guidare da quelle. E ho la sensazione che sotto quei pantaloni ci sia un bel cazzo”, dissi senza mezzi termini.
“Come quello di Rico no di sicuro”.
“Che importa la lunghezza. Magari sborri tanto, dimmi la verità”.
Accostò la macchina, poco prima di arrivare al parcheggio della discoteca.
“Senti, bella, se le tipe mi chiamano Mike Palle Grosse, ci sarà pur un motivo”.
“Lo dicevo, io, che mi nascondevi qualcosa”.
“Fai un po’ tu”.
“Fammele vedere, dai”, azzardai, “soltanto vedere. Sono curiosa”.
In realtà ero talmente eccitata che avevo le mutandine inzuppate.
“Ehmm, d’accordo. Ma non qui. Siamo in mezzo alla strada”.
Mi guardai intorno.
“Vai dentro quella via. Ci sarà un parcheggio, da qualche parte, tra quelle case”.
“Eh, sì, e ti mostro le palle in mezzo alle case?”.
“Ma dai, scemo, sono le tre e mezza di notte. Dormono tutti”.
“Okay”, fece anche se ancora un po’ riluttante. “Proviamo”.
Ci avviamo in questa stradina. In effetti c’erano diverse villette a schiera. E parcheggi a volontà. Fermò l’auto in quello meno ‘in vista’.
“Eccoci”, disse.
“Dai”, feci io, eccitatissima. La cosa mi stava veramente prendendo da un punto di vista mentale.
Si slacciò lentamente i pantaloni e li calò quasi all’altezza delle ginocchia. Poi scostò i boxer e tirò fuori i coglioni.
Due albicocche, tonde, dentro uno scroto lungo e gonfio.
“Cielo!”, feci, “più di quanto pensassi”.
“Visto?”, disse sollevandole con la mano.
“Sì, sì. Stupende. Mai viste tanto grosse”, e poi, sorridendogli, aggiunsi, “posso provare io a… soppesarle?”.
Mi guardò un attimo. Era dubbioso.
“Massì”, acconsentì, “prova”.
Ormai ero un lago. Il cuore mi batteva all’impazzata.
Misi una mano sotto le suo grosse palle, e le sollevai. Mi riempivano le mani. Poi chiusi il pugno, e le strizzai, piano.
“Ohi, piano”, fece lui.
Non fece a tempo a finire la frase che io mi ero già fiondata su quelle palle. Cominciai a leccagliele.
“Oh, cavolo!”, fece lui. “Che fai, troia, mi lecchi i coglioni adesso?”.
“Mmm”, bofonchiai io, “sii”.
Feci il giro della lingua intorno alle palle e poi cercai di infilarmele tutte in bocca. Rimasi con la bocca aperta e i suoi coglioni dentro, mentre cercavo di guardarlo.
“Ci stanno a fatica, vero? Certo che sei proprio una gran puttana tu”.
Gliele ciucciai un pezzo, risucchiandogli i testicoli, finché lui non decise di liberare anche il cazzo. Balzò fuori dai boxer, duro e bollente.
“Vediamo se riesci a farmi venire succhiandomi solo i coglioni, troia”, disse.
Accettai la sfida. Lui intanto aveva cominciato a segarsi lentamente.
Oh, che giri di lingua, gli feci, su quelle palle! Me le gustai per venti minuti, finché non mi annunciò che l’impresa era stata realizzata.
Dalla cappella si sprigionò la prima gettata di sborra, che mi invase la faccia. Poi una seconda, più densa e copiosa della prima, sempre in faccia, e la terza e la quarta, una fiumana di sborra, la ricevetti in bocca, su suo ordine.
Mi tirai su e mi guardai sullo specchietto retrovisore. Ce l’avevo dappertutto, sulla faccia.
“Ma tu pisci sborra”, gli dico ridendo.
“E ho sborrato oggi pomeriggio. Vedi te”.
“Mi hai annegata, maiale”.
“Ho visto che te la sei gustata, troia. Buona, eh”.
Me ne tolsi un po’ dal viso e leccai la mano. Come risposta.
“Razza di puttana svuota cazzi”, disse lui, tirandosi su i pantaloni. “Ora andiamo. Ti riporto alla macchina”.
“Davvero”, gli chiesi mentre ripartivamo e io mi ripulivo la faccia inondata di sborra, “non sei mai stato con una trav, prima?”.
“Ci sono stato, sì”, fece.
“Dunque mi hai mentito”.
“Che differenza fa, per te”.
“No, nessuna, solo che… credevo di essere la prima”.
“Be’, non è così. E, comunque, sei la migliore”.
“Ti ringrazio, feci. Ma oltre ad avere le palle grosse sei anche un grosso racconta palle. Lasciatelo dire”.
“Per questa cazzatina?”.
“E tutte quelle che mi hai raccontato in disco?”.
“Mezze verità. In ogni modo”, tagliò corto, “siamo arrivati e io devo andare”.
“Dimmi solo questo. Poi ti lascio”. Presi fiato. “Sei sposato?”.
“No, ma fidanzato sì. Ma a te, che ti cambia?”.
“Niente, niente. Era per sapere”.
Poi scesi dalla macchina e lo salutai. Consapevole che, molto probabilmente, non avrei più avuto a che fare con quelle Palle Grosse e che le tipe non lo chiamavano così soltanto per le dimensioni dei suoi coglioni.





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