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Walk on the wild side


di Easytolove
01.03.2022    |    924    |    4 9.7
"Spesso qualcuno nel sentire la frase “lei è mia madre” restava un poco interdetto, e rispondeva, “però, bene, pensavo foste sorelle”..."
Il suo respiro leggero mi inumidisce il collo e una guancia.
Apro gli occhi e la sua figura, a poco a poco si materializza al mio fianco, è nuda, mi stringe con un braccio, una delle sue cosce mi sormonta le mie, l’odore del sesso consumato nella notte mi fa trasalire, quello che temevo fosse soltanto un sogno, si è materializzato in una realtà che cambierà per sempre il corso delle nostre vite.
Ricordo quando, poco più che bambina mi è stata affidata dai servizi sociali.
Uscivo da una lunga crisi, sfociata con una dolorosa separazione, da quello che era mio marito.
Lo avevo deluso e tradito, prevaricato dai miei bisogni, il lavoro di insegnante, l’impossibilità di procreare, la frustrazione affogata in decine relazioni clandestine, con amanti occasionali, dai quali mi facevo scopare, senza nessun senso, con il solo fine di fargli del del male.
Forzatamente sola,con la voglia di avere qualcuno di cui potermi occupare, per alcuni è un gatto, per altri un cane, come spesso mi accade, scelsi la strada più complicata, presi in affido una ragazzina problematica, tolta a due genitori tossicomani, che vivevano di spaccio e prostituzione.
Arrivò a casa un pomeriggio primaverile, con una busta , quelle del supermercato, una felpa e dei jeans, un quaderno, una busta di plastica con la cerniera, con dentro lo spazzolino da denti, il dentifricio, e una piccola trusse per truccarsi.
L’assistente sociale ci fece un breve discorso, eravamo entrambe in prova per una settimana, ogni sera sarebbe passata per vedere come procedeva e poi, se entrambe fossimo state davvero convinte, sarebbe iniziato l’affido ufficiale.
Sono trascorsi cinque anni da quel giorno.
Ricordo che le chiesi cosa le piacesse mangiare.
“la pasta alla carbonara” fu la risposta.
Feci una delle migliori carbonare di cui abbia ricordo, il guanciale rosolato al punto giusto, le uova cremose come il ripieno di un bignè, gli spaghetti al dente, il pecorino mezzo sciolto e mezzo rappreso, abbiamo mangiato in silenzio, poco prima si era messa a frugare tra i vinili, e dopo aver scartabellato qualche minuto, ha estratto un disco di Lou Reed, Transformer, dicendo,
“mi piace la copertina di questo disco, lo possiamo ascoltare”?
Ieri sera prima di andare a dormire senza dire nulla lo ha messo sul piatto del giradischi, e ha esclamato,
“questa notte voglio dormire con te, domani sarà il mio diciottesimo compleanno, a partire da questa sera, diventerò maggiorenne, e sarò responsabile delle mie azioni”.
Al termine di quella settimana di prova, nessuno avrebbe potuto immaginare di poterci separare.
Lei mi chiamava “zia”, in modo ironico e irriverente,
“Che tu non sia mia madre mi sembra evidente, neppure potremmo pensare di essere soltanto amiche, per cui il grado di parentela che mi sembra più adatto è quello della zia”.
E rideva come una cretina. All’inizio nel mio inconscio, la speranza di poterla considerare come la figlia mancata, si era fatta strada, anche se in realtà ben sapevo di non poter essere sua madre, la consideravo troppo intelligente per credere che mi potesse prendere in considerazione come un possibile surrogato.
Dovevo per forza essere qualcosa di diverso, forse una amica, meglio qualcos’altro, che allora ancora non riuscivo bene a definire.
Facevamo il bagno nella vasca, insieme, entrambe immerse in una spessa schiuma, fino al collo, osservavo le sue forme che mutavano, si divertiva a fare uno stupido gioco, tutte e due con la testa sott’acqua, e la prima che usciva, si sarebbe fatta insaponare dall’altra.
Cercavo di resistere il più a lungo possibile, ma forse era lei che mi lasciava vincere, insaponavo quel corpo magro, poi lo risciacquavo con il soffione della doccia, evitavo il più possibile di toccare le parti più delicate, anche se spesso, mi sentivo domandare,
“ma la passerina non me la lavi”?.
Ritenevo quelle provocazioni come dei puerili tentativi di mettermi in soggezione,il maldestro scopo di una adolescente di avere la sensazione del controllo della situazione.
Poi iniziò una fase in cui ovunque si andasse, mi proponeva agli altri come sua madre.
Fu dopo che quella vera, la trovarono morta per causa di un overdose nella stanza di un sordido albergo a ore, dove le prostitute si facevano scopare dai clienti.
Non la vidi mai versare una lacrima, probabilmente si rese conto di non aver mai avuto una vera madre, e per qualche tempo mi considerò come un temporaneo surrogato.
Spesso qualcuno nel sentire la frase
“lei è mia madre” restava un poco interdetto, e rispondeva,
“però, bene, pensavo foste sorelle”.
Il complimento era dedicato a me, o forse ad entrambe, oppure traspariva già allora qualcosa nel nostro modo di essere, che preludeva a quello che nella realtà siamo poi diventate.
Con il liceo, sono iniziate le prime piccole fughe, pomeridiane e poi serali, la voglia di scoprire nuovi mondi,
di trasgredire, di dar sfogo agli stimoli sessuali.
Iniziarono a presentarsi fuori dal cancello di casa, gruppetti di ragazzini, a cavalcioni dei loro motorini, spettinati, brufolosi, chiassosi, con i cellulari sempre a portata di mano, nel continuo scambio di messaggi, appuntamenti e promesse spesso mai mantenute.
Essendomi assolutamente imposta, nella decisione che mai avrebbe posseduto un motorino, dopo qualche tempo iniziò a frequentare una strana ragazzina, capelli corti e neri, aria decisa e scanzonata.
Gironzolavano in bicicletta, prendevano sempre appunti su dei quadernetti, mi sembravano molto poco dipendenti dai cellulari, che vedevo sempre stretti nelle mani degli altri loro coetanei, sempre intenti a trafficare in chissà quali pratiche.
Un giorno le chiesi, come mai lei e la sua amica non avessero qualche storiella con qualcuno dei ragazzi,
ma la risposta fu molto evasiva, qualcosa come,
“sono noiosi, pensano soltanto ad una cosa sola, e poi all’atto pratico non sanno nemmeno da che parte incominciare”.
“quindi qualcosa avete combinato”?
“dai lo sai, come funziona, sarai stata anche tu adolescente, in ogni caso ci divertiamo di più tra noi due, che con quegli sfigati”.
Iniziai a pensare che se la intendessero oltre al normale rapporto di amicizia, ma non me la sono mai sentita di intromettermi oltre, a dire il vero, un paio di volte, quando la sua amica dormiva qui da noi, ogni tanto succedeva, ho cercato di spiarle dietro alla porta, che però le furbastre chiudevano a chiave, e inequivocabili, mi sono giunti i mugolii e i sospiri che provengono da una scopata.
Poi la sua amica è sparita, la crisi è durata qualche settimana, la spiegazione fu che
“si era fidanzata con uno più grande”.
Non indagai oltre, anche se lei prese, soprattutto nel primi tempi dopo la sparizione, l’abitudine di venire a dormire nel mio letto, non sempre, ma a volte me la ritrovavo la mattina, sdraiata di fianco, oppure con gli occhi aperti che mi osservava mentre dormivo, come fosse stata rapita da una sorta di strana e particolare contemplazione.
Nel frattempo la mia vita privata e sessuale, procedeva tra strani alti e bassi, ogni tanto uscivo da sola, mi recavo in qualcuno di quei locali dove sapevo avrei trovato qualche maschio predisposto per qualche avventura tocca e fuggi, mi facevo scopare, a volte in auto, oppure a casa loro, sondavo il terreno prima,
mettendo bene in chiaro che si sarebbe trattato soltanto dell’avventura di una serata, prediligevo quelli che mi accorgevo essere sposati, solo sesso, di solito appassionato, come quello che di solito riescono a regalare gli uomini impegnati, in una nottata di fuga dalla moglie pelosa, e quasi sempre restia ad essere scopata.
Mi sono accorta che dava chiari segnali di gelosia, quando la scorsa estate siamo andate in vacanza ospiti di un mio collega scapolo, un tipo interessante, con cui avevo scopato alcune volte, e che mi ha invitata per qualche giorno in questa sua casetta ereditata dai genitori, in una nota località balneare.
“però dovrò portare la mia figlia adottiva, anche se lei non si considera come tale”.
Non so bene il motivo per cui, abbia pronunciato quella frase, anche se poi al termine della breve villeggiatura, per la prima volta mi resi conto, dello strano rapporto con me che lei stava iniziando ad elaborare.
Fece di tutto per esserci di intralcio, ci spiava, volle a tutti i costi dormire con me, e l’unica notte che mi riuscì di sgaiattolare fuori, e la trascorsi nel letto del mio amico a scopare, accortasi della cosa, il giorno dopo diventò intrattabile, antipatica, tanto da riuscire nell’intento di farci litigare, e costringerci a tornare a casa, prima della data prefissata.
“mica penserai che ora, visto che stai per diventare maggiorenne, ti farò comandare e dormire tutte le notti nel mio letto”?
Lentamente si è spogliata, e dopo essersi infilata sotto alle lenzuola mi ha osservata con quel suo strano sguardo canzonatorio, mi ha sorriso, e poi ha detto,
“vieni anche tu a letto, che ti devo dire una cosa”.
Cammina sul lato selvaggio.
Il mio era rimasto intrappolato nel mio involucro per tanto tempo.
E’ fuoriuscito all’improvviso in una notte di primavera, quando quella che pensavo potesse essere una specie di surrogato di una maternità mai realizzata, si è trasformata nella mia amante, nella compagna di una vita.
“adesso nessuno potrà accusarti di essere un adescatrice di minori”.
Questa è la frase che dopo lo scoccare della mezzanotte, mi sono sentita sussurrare in un orecchio, mentre la voce di Lou Reed mi ricordava di un giorno perfetto, in cui mi sono dimenticata di me stessa, per diventare un'altra, per la gioia di stare con lei, per aver finalmente trascorso questa notte, nell’estasi dei nostri umori scambiati, finalmente appagata, estasiata, travolta nel momento in cui mi sono sentita dire,
“ti amo da quel giorno in cui mi hai cucinato la pasta alla carbonara”.
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