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Notte brava


di Easytolove
12.09.2021    |    8.374    |    14 9.8
"Mi aggiro nel piazzale, sperando che qualche fotocellula dall’interno sia deputata a questo arduo compito, quando mi sento chiamare..."
E' da sei mesi che ci siamo lasciate,
o meglio , che lei mi ha dato il ben servito.
“Mi dispiace amore, ma la pulsione eterosessuale è tornata a prendere il sopravvento, mi sono innamorata di un uomo, vado con lui negli Stati Uniti, tra qualche settimana manderò qualcuno a prendere le mie cose. Cerca di perdonarmi.”
Con questo scarno biglietto si è congedata, e non l’ho mai più rivista.
I primi momenti sono stati di rabbia e disperazione, poi è subentrata la delusione e l’odio per la sua figura.
Ho preso le sue cose e le ho messe dentro ad alcuni scatoloni che ho riposto nel garage, quando sono venuti a ritirarli non li ho nemmeno fatti salire in casa.
Ho cancellato tutte le fotografie dal p.c e dal cellulare, il suo numero dalla rubrica, buttato nella spazzatura le fotografie di me e di lei appese alle pareti.
La mia intimità si è estinta, congelata, la vagina mi è diventata un corpo estraneo, per tutti questi mesi
ho soltanto pensato a lavorare, fare la spesa, accudire il gatto e riassettare la casa.
Nessuna lettura, film o ascolti musicali. Soltanto qualche visione serale di stupidi programmi televisivi,
dove fingono di cucinare, o di ristrutturare case.
Poi come dicono i vecchi maestri della conoscenza e del sapere, il corpo e soprattutto l’anima si auto ripara.
In me si sono rimessi in moto i meccanismi di auto protezione, le alchimie positive hanno sostituito quelle nefaste e cattive, mi è ritornato l’appetito, la voglia di fare e riscoprire le cose antiche.
Sono tornata a correre la sera dopo il lavoro, ho riacceso il giradischi, ripreso le letture interrotte sei mesi prima.
La svolta definitiva si è manifestata una sera, mentre tornavo dal lavoro. Guidavo e improvvisamente nel traffico della sera, mi ha superata una ragazza, alla guida di un grosso scooter.
L’immagine è durata qualche secondo, un piccolo casco bianco da cui scappavano fuori dei capelli neri, un lungo vestito scuro a fiori sotto ad un giubbotto di jeans tutto scolorito.
Il vestito svolazzante a tratti le scopriva le lunghe cosce affusolate, e lei con un gesto rapido le ricopriva,
quasi a non volersi far vedere.
Improvvisa la mia vagina si è risvegliata, dopo mesi di torpore e indifferenza a qualunque stimolo sessuale.
Con quell’immagine stampata nella mente sono corsa a casa, mi sono denudata e buttata sul letto, dove mi sono masturbata con tutta la foga e la voglia repressa che avevo in corpo.
Sono bastati pochi secondi, con la schiena inarcata verso l’alto, le cosce spalancate, e il palmo della mano
che sfregava rapido e impazzito contro il clitoride duro come un piccolo sasso marino, la vagina mi è esplosa come un cocomero quando viene colpito da una fucilata.
Poi ho continuato con calma, piccole carezze, sfregamenti leggeri, mi sono succhiata le dita e la mano bagnate dei miei umori, ho strizzato i capezzoli delle mie grosse tette, lentamente ho sentito che l’orgasmo rimontava, l’ho assecondato, l’ho lasciato arrivare senza forzature, come quando si riempie una brocca d’acqua e poi, raggiunto il limite inizia a tracimare, per poi sgorgare come un fiume in piena.
Ormai è passata una settimana, tutte le sere mi tocco prima di dormire, ho voglia di una donna, di qualcuna che mi baci, da poter stringere tra le mani, qualcosa da leccare.
Dopo tutti questi anni ho quasi dimenticato come si rimorchia una ragazza, e in ogni caso non è restando chiusa in casa che questo avvenimento potrebbe capitare.
Ricordo di un vecchio pub, dove anni prima, andavo la sera con gli amici di allora, giravano persone strane,
si sapeva che era anche territorio di caccia per donne in cerca di loro simili in odore di avventura.
Decido di uscire, ma sono indecisa, tergiverso a lungo davanti allo specchio, sono titubante tra un look provocatorio oppure qualcosa di neutrale, di una che è uscita per bere una birra e ritornare a casa in santa pace.
Dopo alcune prove, opto per il look neutrale, scarpetta new balance con jeans attillato e maglietta di cotone colorato. Poco trucco, e un giacchettino di stoffa impermeabile, da tenere in mano e casomai utilizzare più tardi, quando la temperatura rinfresca.
Scendo dall’auto e parcheggio nel grosso piazzale di ghiaia che utilizzano i clienti del pub.
E’ una specie di capannone rimodernato, rispetto a quando lo ricordavo hanno cambiato gli arredi,
i tavoli sistemati lungo un muro dove sono appesi gigantografie di gruppi rock e sportivi famosi.
Di fronte un bancone che occupa tutta la lunghezza del locale, con un infinita fila di sgabelli in stile american bar.
In fondo uno slargo, forse utilizzato per ballare e per i concerti, con un palchetto per il dj e i gruppi musicali.
In una sala attigua separata da una vetrata, una ventina di macchinette per il tiro delle freccette, tutte occupate da gruppi eterogenei di ragazzi e ragazze intenti a giocare.
Gli avventori sono pochi, forse è ancora presto, sono seduti qua e là nei tavoli lungo il muro.
Agli sgabelli non c’è nessuno, penso che o è ancora troppo presto, oppure il posto è inesorabilmente cambiato, difficilmente qui mi capiterà di incontrare quello che cerco.
Mi accomodo comunque su di uno dei trespoli imbottiti, in una posizione abbastanza centrale.
Quattro o cinque ragazzotte con una maglietta bianca con sopra il logo del locale, trafficano con le spine delle birre, e la preparazione dei drink.
Dopo qualche istante una mi si avvicina, e le ordino una media rossa.
Intanto un tizio alla consolle ha fatto partire una musica di queste che vanno ora, per fortuna non ad altissimo volume, un misto di tecno, hip hop, ambient, con effetti elettronici, e fraseggi di canto strampalati. Una mia collega che ne è appassionata mi ha detto che è musica autoprodotta, composta dal dj stesso, un sistema astuto per aggirare il taglieggio della siae.
Alla fine non è nemmeno poi così male, mi rilassa, inizio ad osservare i movimenti delle bariste, l’andirivieni dei giocatori di freccette che vengono al bancone a rifornirsi di birre, gli avventori seduti ai tavoli che si raccontano gli avvenimenti della giornata.
Ordino una seconda media, questa volta chiara e odorosa di cannella, mi sono girata verso il fondo del locale, con le spalle all’entrata, sento che tutto sommato questa uscita mi ha fatto bene, anche se non so come e con cosa, sto finalmente per ripartire.
“Come mai qui da sola”?
Mi giro verso la voce dietro di me e la vedo.
E’ seduta sullo sgabello di fianco al mio, rivolta verso al bancone, con i gomiti appoggiati, davanti a sé ha un bicchierone con dentro uno strano intruglio colorato.
E’ bionda con i capelli a spazzola, slanciata, indossa dei jeans sdrusciti con una t short bianca e un giubbotto di cuoio nero, ai piedi degli anfibi militari.
Ha girato la testa verso di me, intravedo due occhi chiari che mi scrutano cercando di inquadrarmi,
aspetta senza scomporsi, né lasciar trasparire nessuna emozione.
Mi volto verso di lei e abbozzo una risposta.
“Venivo qui molti anni fa,ora esco molto di rado, e mi era venuta la curiosità di vedere se qualcosa fosse cambiato”.
Rigira la testa verso il bancone e dopo aver dato una breve sorsata al suo beverone dice:
“E lo è”?
“Si direi parecchio, sia negli arredi che nell’atmosfera, e soprattutto dalla gente che lo frequenta”
Poi chiedo:
“tu ci vieni spesso qui”?
Mi riguarda con quel modo strano muovendo solo la testa.
“Ogni tanto ci faccio una capatina, di solito il venerdì sera,conosco una delle bariste, facciamo due chiacchiere, bevo una cosa, e poi sgommo da qualche altra parte per continuare la nottata.”
Iniziamo una strana conversazione, domande elusive, senza chiedere nulla di personale entrambe cerchiamo di comprendere l’altrui situazione personale, restiamo nel vago, non parliamo di lavoro, tantomeno di legami sentimentali.
Restiamo per qualche attimo in silenzio, entrambe osserviamo i bicchieri vuoti che si fanno compagnia sul bancone.
All’improvviso dice:
“ora io me ne vado,se vuoi venire con me,andiamo a casa di certi amici, e poi lì vedremo cosa altro fare”.
Senza nemmeno pensarci due volte le dico di si, ci avviciniamo alla cassa, dove una ragazza, suppongo la sua amica, le si avvicina, parlottano piano per qualche istante, poi lei si gira verso di me e dice:
“il conto è già pagato, offerto dalla casa”.
Le due si fanno occhiolino, la ragazza ci augura “buona serata” con un sorriso, e ce ne andiamo.
Appena usciti si avvicina ad una grossa motocicletta americana, bassa e nera, e mi dice ,
“questo è il mio mezzo di locomozione, hai l’auto tu”?
Le indico la mia Country man rossa e nera.
“Bene, ti porterei con me, ma ho un casco solo, seguimi, cercherò di non seminarti”.
La motocicletta fa un rumore infernale, per fortuna non c’è molto traffico, e lei non va forte, la seguo abbastanza agevolmente.
Osservo questa curiosa creatura, sicura e risoluta, l’idea e la speranza che anche lei sia lesbica, si è ormai insinuata dentro di me, un certo affanno misto all’ansia di non sapere dove stiamo andando si stanno facendo strada.
Abbiamo imboccato un vialone che porta verso la periferia, poi ad una rotonda svolta in una strada secondaria dove ai lati ci sono due file di villette residenziali.
Di fronte al cancello di una di queste si ferma, poi la vedo armeggiare con qualcosa, forse un telecomando che lentamente lo fa aprire.
Entriamo in un piazzale, dove parcheggiate ci sono altre due grosse motociclette, un utilitaria giapponese, e un grosso suv americano.
Fermo l’auto e scendo, lei si è già tolta il casco, l’aria è fresca ho messo il giacchino impermeabile, mette la moto sul cavalletto.
“siamo arrivate, qui abita una mia amica, le due con le moto le conosco, gli occupanti delle auto non so chi siano”.
Poi mi si avvicina si mette di fronte a me e restiamo qualche istante a fissarci negli occhi, il suo sguardo mi entra nel cervello, poi di scatto mi prende la testa tra le mani e le nostre bocche si incollano.
Sento la sua lingua che mi esplora, il dolce del beverone mi violenta le papille gustative, le infilo le mani sotto al giubbotto di cuoio, la stringo, è magra, pochissimo seno, ancora un istante e con un gesto brusco mi allontana.
“dai che andiamo a vedere chi sono questi coglioni”.
La seguo fin dentro casa.
Un grande spazio aperto ci accoglie, una specie di enorme soggiorno cucina, con un lungo tavolone centrale e tutto intorno divani e mobili semi rovinati, o forse restaurati in modo che lo possano sembrare.
Soprammobili e souvenir, sparsi ovunque in modo caotico e disordinato,oggetti vintage, quadri senza cornice alle pareti.
Una donna sulla cinquantina vestita come una hippie degli anni sessanta ci corre incontro.
“Margie cara, finalmente sei arrivata”!
Le due si danno un bacio in bocca, poi la tipa mi osserva e chiede:
“Lei chi è una tua nuova amica”?
“ Si lei è……..”
“sono Adele ci siamo conosciute da poco in effetti”
Ancora non conoscevamo i nostri nomi.
“Bene qui ci sono degli amici, divertitevi”
Ci lascia per tornare a parlare con una ragazza con cui stava nel momento in cui siamo arrivate.
“Ti chiami Adele, io come avrai sentito sono Margie, vedi quel grosso frigorifero laggiù,
è pieno di roba da bere, serviti che io devo sbrigare una faccenda di lavoro”.
Mi lascia da sola per sparire dietro ad una porta in fondo al grosso salone.
Osservo coloro che popolano la stanza, sembra quasi che nessuno abbia fatto caso al nostro arrivo.
Un tizio vestito come un manager , seduto al grosso tavolo, traffica con una di quelle grosse pipe ad acqua,
dalla quale aspira delle grosse boccate di fumo, dall’odore mi sembra erba, chissà forse ci potrebbe scappare anche qualche tiro.
Due coppie parlottano sedute su uno dei divani, mentre la padrona di casa con la sua interlocutrice sembrano sprofondate in una lunga discussione.
Raggiungo il frigorifero e dopo averci frugato, trovo una bottiglia di birra Corona, la stappo e mi vado a sedere al tavolone, dall’altra parte del tipo che continua ad aspirare fumo e a tossire.
All’improvviso la padrona di casa e la ragazza si alzano, lei è poco alta, grassoccia, indossa un lungo vestito nero che sembra un kaffetano.
Si avvicinano al manager, che nel frattempo si è tolto la giacca e la cravatta ed è rimasto in maniche di camicia.
Lui gira la sedia verso di loro, e la ragazza si mette in ginocchio, gli slaccia i pantaloni e, dopo averglielo tirato fuori, glielo prende tutto in bocca.
L’amica di Margie intanto si è denudata, e offre le tette nemmeno troppo sode al manager che avido le inizia a succhiare.
Nello stesso tempo ha iniziato a fissarmi con sguardo lascivo, un invito neppure troppo malcelato ad unirmi alla congrega.
Cosa che non ho nessuna intenzione di assecondare.
Anzi un moto sordo e sempre più incontrollato di imbarazzo si impossessa di me, soprattutto quando distolto lo sguardo dai tre, mi accorgo che sul divano dietro di me, i quattro che prima erano seduti a conversare, si sono denudati, le due donne sono impegnate in un sessantanove, con le lingue saettanti che
si infilano nelle vagine, e i due maschi che si masturbano, spettatori delle due, pronti a buttarsi nell’ammucchiata.
Istintivamente mi alzo e con la mia Corona in mano mi dirigo verso l’esterno, ho bisogno di una boccata d’aria fresca.
Non sono mai stata attratta da questo genere di cose, in amore sono possessiva, così come nel sesso.
E poi da un uomo non mi farei toccare per nulla al mondo.
Inizio a prendere in considerazione l’idea di andarmene, dovrei solo trovare il modo di aprire il cancello.
Mi aggiro nel piazzale, sperando che qualche fotocellula dall’interno sia deputata a questo arduo compito, quando mi sento chiamare.
“Adele, che stai facendo qui fuori, non hai fatto amicizia con quelli “?
La guardo e mi chiedo da chi diavolo mi sono fatta trascinare in questa situazione.
“no, non sono propriamente le persone con cui sono abituata a confrontarmi”.
Mi si avvicina, e con fare rassicurante mi accarezza leggermente una guancia.
“nemmeno io, tranquilla, sono venuta qui per una faccenda di lavoro, con le due che dividono la casa con la mia amica, sono le proprietarie delle motociclette”.
“Mi sono scordata che lei al venerdì organizza queste riunioni per scambisti, mette a disposizione la casa, sono quasi sempre degli sconosciuti, ci ricava un discreto gruzzoletto, ma a me tutto sommato non importa, sono soltanto affari suoi”.
“hai risolto il problema del lavoro”?
Lo dico per sviare l’argomento che tutto sommato non mi interessa e mi infastidisce.
“non era un problema, ma soltanto una breve riunione per organizzare la prossima settimana”.
La cosa mi incuriosisce e finalmente chiedo,
“scusa ma che lavoro fai”?
Mi guarda con quegli occhi semi socchiusi, e aspetta qualche istante.
“sono la titolare di uno dei più importanti e specializzati centri di preparazione ed elaborazione di motori
per auto e moto da competizione del paese”.
“quelle due si occupano del settore motociclistico, una è ingegnere meccanico, l’altra è specializzata in elettronica”
“non me le presenti”?
“se questa nottata prenderà la piega che spero, presto le conoscerai”.
“Ora ce ne possiamo anche andare, la moto la lascio qui, prendiamo la tua auto, andiamoci a divertire.”
Metto in moto, lei con il suo telecomando apre il cancello, l’auto scivola fuori, in un attimo siamo alla rotonda, mi dice:
“vai verso il mare”.
Pigio un pulsante e lo stereo inizia a diffondere le note ovattate di Gil Scott-Heron.
Margie scivola sul sedile, che ha leggermente abbassato.
Ha chiuso gli occhi, con un piede segue il ritmo compassato di The revolution will not be televisied.
Mi ha detto “quando arriviamo sul lungomare avvertimi”.
Osservo la sua figura slanciata, si è sfilata il giubbotto di cuoio, non ha tatuaggi visibili, il suo piccolo seno rigonfia appena il cotone della t-short, muove leggermente le cosce, sembra assecondare il ritmo della musica, e l’ondeggiare dell’auto.
La mia mano destra ha voglia di toccare, separo le sue esigenze dal contesto della guida, e lascio che si diriga verso la meta che ha individuato.
La Countryman ha il cambio automatico, nessun altro compito le è deputato.
Lascio che si avvicini e che si appoggi sul cotone bianco, in quella zona prossima al bottone che tiene allacciati i jeans.
Si muove piano, sento i muscoli dell’addome che si contraggono e ritraggono improvvisi, facilitando l’operazione.
La mano ora trova lo spazio libero, si insinua sotto alla tela azzurra e consumata, altri tre piccoli bottoni cedono senza fare resistenza, e senza che null’altro si frapponga, il tatto riconosce la presenza di una carne morbida, depilata, fradicia, le dita si infilano nella fessura, in mezzo la presenza di un piccolissimo clitoride,
che stimolato prende forma e consistenza.
Quando la mano sta per iniziare a sfregare e a stimolare, improvvisa una grande rotonda annuncia che siamo arrivate sul lungomare.
La ritraggo e chiedo,
“da che parte vado”?
“vai a sinistra verso le spiagge, poi quando vedi una grossa insegna con scritto “il tucano” ti fermi.
La strada è larga, praticamente deserta, la palpata alla sua vagina mi ha tremendamente eccitata,
pigio a fondo sull’ acceleratore l’auto corre veloce e leggera, mi sembra di volare.
Di fronte al Tucano abbiamo svoltato in una stradina che si dirige verso il mare.
Dopo un centinaio di metri ci siamo ritrovate lungo un canale, con la strada che finiva in un piccolo parcheggio deserto.
“siamo arrivate, vieni, mica soffri il mal di mare”?
Rispondo con un,
“speriamo di no”
Ci incamminiamo verso un pontile che si affaccia nel canale, alla fine del quale lungo la riva sono ormeggiati una decina di piccoli cabinati a motore.
Margie salta decisa nel primo della fila, armeggia in un gavone, poi toglie le coperture che riparano la consolle dei comandi, gira una chiave, e dopo che alcune ventole si sono messe in funzione, il borbottio sordo di un motore si mette in moto.
Il cabinato scivola leggero sullo specchio piatto che ci divide dall’altro lato della baia, dove siamo dirette.
Dopo una ventina di minuti, Margie toglie manetta al motore, siamo in prossimità della riva, che costeggia per qualche decina di metri, poi in una piccola insenatura si accosta ad un pontile.
Spegne il motore e con l’abbrivio ci accostiamo con precisione.
Balza sicura sulle assi inchiodate, e assicura la cima di ormeggio ad una bitta di legno.
Con passo malfermo e piede per nulla marino sbarco anche io, e ci incamminiamo verso un piccolo sentiero in mezzo alla vegetazione, alla fine del quale dietro ad una spiaggetta c’è una piccola costruzione in muratura.
“Questo è il mio rifugio, ci si arriva solo dal mare”
Sono tre stanzette arredate con mobili e accessori che provengono da navi e barche smantellate, sembra di essere a bordo di qualche transatlantico dei primi del novecento.
“cosa bevi”?
“ormai vado di birra”
Apre un piccolo frigorifero da cui estrae una birra e dell’acqua minerale.
Andiamo a sederci su due poltroncine in una piccola veranda da cui si vede la spiaggetta che prima abbiamo attraversato.
Restiamo in silenzio, l’unico rumore è quello delle piccole onde che si frangono sul bagnasciuga.
Margie con due lunghe sorsate svuota la piccola bottiglia, mi fissa per un istante e poi mi dice,
“vado a letto, finisci con calma la birra e poi raggiungimi che ti aspetto”.
Assaporo brevi sorsate della Budweiser e penso a queste ultime ore.
Mi ritrovo con questa sconosciuta che mi attende dentro ad un letto, in questo posto sperduto in riva al mare.
La speranza che coltivavo prima di uscire di casa si è materializzata, costei mi ha rapita, la sto seguendo come un bimba alle prime armi, forse non sa che ho mesi di astinenza forzata da smaltire, ora scoprirà chi veramente sono.
La birra è finita, ma la lascio un altro poco a sfrigolare.
Mi alzo e nel salottino mi denudo, tolgo tutto, anche il piccolo tanga e il reggiseno, appoggio gli indumenti su di uno sgabello.
Nel piccolo bagno mi risciacquo la bocca, non voglio puzzare di birra, la fica la lascio stare, umorosa e odorosa, deve sentire tutta la voglia che trattengo nella vagina.
La stanza da letto è poco più grande della cabina di una nave, di cui ne ricalca le fattezze, in terra e alle pareti assicelle di legno, il letto la occupa tutta , un armadio prelevato da qualche cabina è appeso ad una parete.
Lei è nuda e sdraiata sul giaciglio, ha le cosce spalancate, si sta toccando la passera depilata, lentamente con una mano, mentre con l’altra si strizza i grossi capezzoli turgidi che sormontano i due piccoli seni.
E’ molto bella, tonica e muscolosa, mi guarda dritta negli occhi,poi mi scruta le grosse poppe, sorride quando vede che anche io sono tutta rasata.
La luce accecante che attraversa la finestra a forma di oblò mi risveglia all’improvviso.
Una piacevole intorpidimento mi avvolge la vagina, rivedo la bionda spazzola che ricopre la testa di Margie
tra le mie cosce, la sua lingua che mi esplora, le mie grandi labbra nella dolce morsa dei suoi denti.
Guardo l’ora, erano mesi che non mi risvegliavo così tardi.
Ci siamo consumate, abbiamo scopato fino all’esaurimento delle forze.
Mi ha detto che era un anno che non stava con una donna, entrambe avevamo represso le nostre voglie per troppo tempo, mi tocco e mi accorgo che l’irritazione per il troppo strofinare, sta diventando uno stimolo per ricominciare.
Sento dei rumori provenire dalla piccola cucina, mi alzo e con passo silenzioso vado in bagno.
Mi lavo, c’è una doccia in un pertugio, l’acqua fresca invece di calmarmi peggiora la situazione.
Con un telo da bagno evito di allagare la casa, e inumidita e nuda entro in cucina.
Margie sta trafficando con la caffettiera, ha preparato un piatto di uova e pancetta abbrustolita, indossa una enorme t short bianca che le arriva fino quasi alle ginocchia.
Le arrivo da dietro e la stringo, le bacio il collo e le sussurro nelle orecchie che la voglia ancora non mi si è placata.
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