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Il funerale di Billie


di Easytolove
26.01.2024    |    531    |    6 7.6
"Non è più filiforme, è muscolosa, i lineamenti sono induriti, anche la voce mi sembra più roca, i capelli invece sono sempre rasati..."
La giornata è fredda e grigia, osservo un po’ in disparte l’arrivo della gente, alcuni scendono da dei grossi suv , gli uomini indossano cappotti color cammello sopra ad abiti scuri, le donne piumoni neri, lunghi fino ai piedi, scarpe con il tacco alto e sottile, capigliature fresche di parrucchiere.
La chiesa presto sarà stracolma, la mia riluttanza a varcarne la soglia mi tiene quasi paralizzata, nonostante il freddo stia risalendo su per le cosce semi strizzate negli autoreggenti, sotto alla gonna e al piumino troppo corto per poterle riparare.
Mi sento toccare una spalla e la vedo, è Spoon, l’unica persona oltre a me, che probabilmente oggi è veramente dispiaciuta per la morte di Billie.

Mi fa un cenno e lentamente seguo la sua figura fin dentro alla chiesa, è grande, a tre navate con delle absidi laterali, in una di queste ci sono delle sedute defilate, dove prendiamo posto.
Ripenso al giorno in cui, io e Spoon, che al tempo ancora usava il suo vero nome, Barbara, abbiamo incontrato Billie.
Eravamo due ragazze, che andavano verso l’età adulta, stravaganti e decisamente poco normali.
Ci conoscevamo da sempre, il nostro,per così dire amore, era nato sui banchi di scuola.
Io ero la classica bambolina bionda, rotondetta e delicata, mentre lei un maschiaccio dai capelli neri, ossuta e slanciata.
Il nostro gioco preferito era il matrimonio.
Lei si vestiva da maschio, indossava abiti che sottraeva di nascosto al fratello, e ci sposavamo, fingendo cerimonia e invitati, viaggio di nozze e vita coniugale.
Naturalmente questo gioco che inizialmente era innocente e casto, con il passare del tempo si fece sempre più morboso, fino a quando la prima notte di nozze, non divenne il fulcro della rappresentazione.
Avevamo da poco raggiunto la pubertà, dei ciuffetti di morbidi peli ci erano spuntati sotto alle ascelle e sul pube, spesso nostro malgrado dopo esserci troppo agitate, trovavamo del liquido appiccicoso nelle mutandine.
Fino a quando per la prima volta, ci siamo spogliate, messe sotto alle coperte, e abbiamo fatto quello che mi aveva raccontato Spoon, in una notte in cui si era svegliata, aveva sbirciato attraverso la porta socchiusa della camera da letto i genitori.
Sua madre era sotto con le gambe allargate, e suo padre da sopra la montava, come aveva visto fare al loro cane una volta che era sfuggito , con una cagnolina, il cui padrone disperato gridava “ è in calore,è in calore”.
Naturalmente io mi mettevo sotto, e lei da sopra sfregava il suo piccolo ciuffo peloso contro il mio.
Non ricordo precisamente cosa provassi , solo uno strano calore dentro alla pancia, e poi quell’umidiccio colloso intorno alla fessurina.
Con il passare del tempo il gioco è diventato sempre più elaborato, abbiamo iniziato a baciarci, a toccarci, e alla fine a procurarci i primo veri orgasmi, con le mani e con la bocca, siamo diventate due piccole amanti.
Il giorno che conobbi Billie, ero con Spoon.
Ormai il nostro era un fidanzamento clandestino che durava da qualche anno.
Io mi ero trasformata in una bella ragazza bionda, molto femminile, corteggiata da moltissimi ragazzi, mentre lei era sempre più androgina, però di una strana bellezza conturbante, scura, con i capelli quasi sempre rasati, alta e magra, con un seno sodo che teneva nascosto da una stretta fasciatura.
Andavamo in treno nel vicino grande capoluogo, dove gironzolavamo e potevamo fare i fidanzati lontano da sguardi indiscreti e maliziosi.
C’era un bellissimo locale in centro, una specie di disco bar, era piena estate, servivano degli apericena, e poi un dj metteva musica fino a notte fonda.
Avevo un vestito corto e leggero, svolazzava e spesso lasciava intravedere le caste mutandine di cotone bianco che indossavo, giocavo a fare la ragazzotta ingenua, mentre Spoon aveva abiti maschili come al suo solito, un paio di jeans sdruciti e una maglietta colorata.
Ballavamo scatenate al ritmo della musica techno che il dj metteva a tutto volume, ci sentivamo al centro dell’attenzione.
Fu durante una pausa al bancone dei drink, dove ogni tanto sostavamo per riposarci e tenere al giusto livello il quantitativo di alcol in circolazione, che Billie si intromise nelle nostre vite.
Aveva una decina di anni più di noi, il suo fascino e la sua bellezza, un misto di delicatezza e perversione,
ci lasciarono per qualche istante senza parole.
Indossava un vestito bianco lungo fino ai piedi con dietro una scollatura vertiginosa, da cui si indovinava l’assenza di un indumento intimo.
Era scalza, ma sembrava lo stesso camminare sulle punte dei piedi, i lunghi capelli biondi spettinati, tenuti in una crocchia dietro al capo,
Il suo sorriso all’improvviso ci accecò, come un lampione, per poi pronunciare una frase che mi è rimasta scolpita nella memoria “ siete bellissime, io sono Billie, voi chi siete?”
Spoon, che è sempre stata quella più sfacciata, si affrettò a dire, “io sono Barbara, e lei è la mia fidanzata”.
“tranquilla Barbara non te la rubo, solo che stasera mi stavo annoiando, ma poi vi ho viste, e mi avete salvato la serata”.
“se volete possiamo andare a quel tavolo laggiù in fondo, che tengono sempre libero per me e i miei amici, così possiamo parlare in santa pace”.
Calamitate da quella presenza inebriante, la seguimmo senza indugiare.
Soprattutto Spoon sembrava stregata da quella donna, mentre lei riusciva a dividere le sue attenzioni su entrambe in parti uguali, io invece come spesso mi accade con le persone appena conosciute ero quasi sulla difensiva, anche se l’attrazione magnetica che emanava era difficile da contrastare.
Senza che fossero stati ordinati ,arrivarono cibarie, e tre enormi calici pieni di vino rosso.
Trascorsero almeno tre ore, a chiacchierare del nulla, le cose che ci piacciono, la musica che ascoltiamo, dove andiamo a comprare i vestiti, poi all’improvviso dopo la terza bottiglia di quel fantastico rosso, mi resi conto di essere ubriaca.
Spoon e Billie ridevano di qualcosa, ed io avvertivo il suo sguardo che ogni tanto mi attraversava i pochi vestiti, facendo crescere in me la voglia di farmi portare a letto, da quella strana creatura.
Era ormai notte fonda, e i nostri freni inibitori, sempre che ne avessimo mai avuti, erano saltati.
La seguimmo fuori dal locale, per poi salire su quella che doveva essere la sua auto, una grossa Mercedes decappottabile, sicuramente d’epoca.
Si mise alla guida, per poi renderci nota la meta, una favolosa villa posta sulle alture che si affacciano sul golfo del Tigullio.
Il viaggio a velocità sostenuta, con Spoon seduta sul sedile anteriore, mentre io, in mezzo a quello dietro, tenevo le cosce spalancate, provocante, nel mio inconscio le volevo mettere alla prova, mi giocavo il ruolo della più maiala.
Quando stava albeggiando, uscimmo dall’autostrada, Billie con il comando elettrico abbassò la capote, e l’auto iniziò a scivolare tra la brezza leggera, il profumo del mare e della macchia mediterranea mi entrava nelle narici, mi addormentai nel tragitto che conduceva alla grande casa.
Quando mi sono risvegliata il sole era alto, l’auto all’ombra sotto a una tettoia, una musica di sottofondo sembrava provenire da qualche parte in mezzo al giardino che si apriva dietro di me, con sullo sfondo il panorama del golfo.
Barcollando mi sono diretta verso quel suono, e poi le vidi, erano entrambe nude, sdraiate al sole, ai bordi di una grande piscina, con la luce accecante che le rendeva quasi invisibili.
“Ci vai sempre con i maschi?”
L’osservo e mi accorgo di non averla ancora rimessa bene a fuoco.
Indossa un giaccone invernale imbottito, sotto una tuta da ginnastica nera.
Non è più filiforme, è muscolosa, i lineamenti sono induriti, anche la voce mi sembra più roca, i capelli invece sono sempre rasati.
“ti sarai mica fatta operare”? le chiedo sottovoce.
Mi fa cenno di no con il capo, e poi,
“non mi hai ancora risposto”.
“Certo che ci vado, e che lo faccio per lavoro, e so anche che lo hai saputo”.
Mi ha scoperta per caso, ha visto un annuncio che misi in un sito per escort, nonostante avessi coperto il volto, mi ha riconosciuta, per colpa di un piccolo tatuaggio che ho sul sedere, che con Billie ci siamo fatte fare uguale da un famoso tatuatore londinese.
“chi te l’ha detto”?
“dai che lo sai”
“si lo so, apposta glielo dissi, per farti sapere che ti avevo sgamata”.
Era uno con cui scopavo, a cui lei vendeva anabolizzanti e anfetamine.
“D’altronde anche tu come carriera non sei messa poi tanto meglio”.
Vive vendendo stupefacenti, si muove sottotraccia, ogni tanto sparisce, per ora l’ha sempre fatta franca.

Mi guarda e sorride, un sorriso amaro che sembra voler dire,
“ vedi come siamo finite male”.
Cerco di concentrarmi sulla funzione religiosa , che ormai è da qualche tempo iniziata.
La bara di Billie è su di un baldacchino, troneggia in mezzo alla chiesa, come d’altronde lei ha sempre troneggiato nella vita.
Il prete sembra fare una breve pausa, e dopo un cenno si avvicina al microfono un uomo di mezza età vestito di scuro, con un foglio in mano, è il momento dell’elogio funebre.
Le vuote parole che sento pronunciare, non corrispondono minimamente alla Billie con cui abbiamo trascorso quei pochi anni folli, i più belli della nostra vita.
Ma il nostro elogio non sarebbe mai stato accettato da chi non l’ha conosciuta come abbiamo fatto noi.
Diceva che eravamo il triangolo perfetto, viveva per trasgredire e stupire, usava la sua immensa ricchezza ,
per portarci in giro per il mondo, nelle grandi città, nei posti esclusivi, dove ci piaceva scandalizzare, creare situazioni improbabili.
E’ con lei che ho iniziato ad andare con i maschi, mi trascinava di nascosto in incontri a tre, con giovani con cui scopava, era totalmente bisessuale, al contrario di Spoon, che con un uomo non ci sarebbe mai andata.
Fino al giorno in cui improvvisamente decise di cambiare vita.
Per qualche motivo sconosciuto, smise di fare follie, si chiuse in una vita quasi monastica, ci diede parecchi soldi, per sparire dalla sua vita per sempre.
Spoon li ha usati per aprire una palestra, che però con gli anni ha iniziato a non funzionare, fino a quando
non è stata costretta a chiudere i battenti, senza un soldo, costretta a riciclarsi come pusher.
La cerimonia sembra volgere al termine, me lo ricorda l’odore pungente dell’incenso che il prete ha iniziato a bruciare.
La gente lentamente ha iniziato a sfollare, osserviamo gli addetti delle pompe funebri, caricarsi sulle spalle Billie, e uscire dalla chiesa.
“Io al cimitero non ci vengo, tu cosa fai”?
Ci siamo alzate in piedi, Spoon ha le mani nelle tasche del giaccone, e guarda davanti a se un punto lontano, che non riesce a scorgere.
“Nemmeno io ci vado, mi ci vorrebbe qualcosa di anestetizzante”.
“Se vuoi venire da me, ho la medicina giusta”.
“Dove vivi”?
“In nessun posto, ora ho per qualche tempo una stanza in una pensione dietro alla stazione”.
La seguo senza fare altre domande.
Saliamo sulla sua auto, una vecchia utilitaria coreana mezza scassata, senza parlare percorriamo il tragitto che ci separa dalla stazione.
Nella scomodità del piccolo sedile, mi si è alzata la gonna, e appaiono i merletti degli autoreggenti, che lascio provocatoriamente in bella vista.
Spoon ogni tanto lancia un occhiata mentre guida, da come è nervosa, comprendo che ancora non mi ha dimenticata.
La stanza della piccola pensione è quasi spartana, mobili dozzinali, un letto senza testiera, per fortuna c’è un piccolo bagno.
Spoon accende un convettore elettrico ad aria calda, e dopo qualche minuto un rassicurante tepore ci avvolge.
Si è messa a trafficare con delle confezioni di farmaci, compare una bottiglietta di acqua distillata e una siringa da insulina.
Mi spoglio, resto solo con gli autoreggenti e la maglietta bianca di cotone che indosso sempre sotto ai vestiti.
Mi metto sotto alle coperte, e aspetto che abbia finito.
Anche lei si è spogliata, sento il breve dolore della puntura nel braccio che ho lasciato fuori , poi dopo qualche istante un ondata di calore mi avvolge, e mi proietta in un mondo ovattato.
Quando il primo attimo di stordimento è passato, restiamo coricate una vicino all’altra, con lo sguardo al soffitto macchiato di muffa della stanza.
“Spoon, ti ricordi quella volta che abbiamo giocato, alla prima notte di matrimonio”?
“Si me lo ricordo”.
La sento muoversi lentamente, infilarsi in mezzo alle gambe che avevo già spalancato.
Le nostre fiche ora sono rasate, non c’è più traccia di quel ciuffetto di peli innocenti, sento il suo osso pubico che preme contro il mio, le stringo il sedere, con forza sento le unghie che le entrano nella carne,
mi prende il capo tra le mani e mi bacia , è muscolosa, ha davvero una forza inaspettata, mi sta sbattendo,
sento tutto il suo vigore , mi colpisce il clitoride sempre più forte, le mordo un orecchio e grido.
Fuori è buio, la stanza è piombata in un oscurità sinistra.
Spoon si è rivestita e da seduta sul bordo del letto mi osservava dormire.
Quando apro gli occhi mi sorride.
“Qualche giorno fa Billie mi aveva chiamata, non so come facesse ad avere il mio numero”
“Cosa ti ha detto”?
“Presto morirò, cercate di venire al mio funerale, ne sarei felice, ma l’importante è che nell’occasione, facciate la pace”.
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