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Black Story cap 3 - Rosmary


di Easytolove
27.03.2024    |    289    |    4 8.7
"Il tizio della reception mi ricorda, con voce assonnata, che la tariffa era per due ore, e che siamo nel cuore della notte, quando ce ne andremo dovremo..."
Dopo tre giorni, ha già trovato lavoro come cameriera in una delle tavole calde di West Lake Street, in pieno centro.
Di giorno lavora, e poi la sera continua a girare per locali, con quella fotografia sbiadita, alla ricerca del marito scomparso.
Temo che presto si infilerà in qualche guaio, le raccomando in continuazione di stare attenta, anche se, per qualche strano mistero, mi sembra abituata ad avere a che fare con situazioni pericolose, come se mi nascondesse qualcosa della sua vita nelle campagne dell’Oklahoma.
Oggi avevo già messo in programma un giretto in centro, una bella e tiepida arietta primaverile, mi attira per una passeggiata sul lungolago.
La tavola calda è di quelle vagamente ricercate, gli avventori a prima vista si capisce che sono tutti impiegati degli uffici, provengono dai grattacieli qui intorno, trascorrono lì dentro la propria pausa per il pranzo.
Quando entro un gradevole profumo di cucina mi cattura, mi accomodo nell’unico tavolo rimasto libero.
Gli arredi sono in legno scuro, le sedie foderate di velluto rosso.
La cerco con lo sguardo e la vedo, che si aggira con un vassoio ricolmo di piatti, da come si muove, si vede che non è nuova di questo lavoro, di sicuro anche prima deve aver fatto la cameriera.
Poi mi vede e mi fa un cenno , e ad alta voce grida
“aspetti vengo io a prendere l’ordinazione”.
La divisa la rende ancora più sensuale, con quel grembiulino chiaro a palline rosse, corto sopra al ginocchio, le due grosse poppe strizzate, sculetta come si deve, con il cartellino con il nome in bella vista.
Arriva con il suo sorriso, di ragazza ingenua, e mi porge il menù.
“Bella signora cosa gradisce mangiare”?
“Tu cosa mi consiglieresti Rosmary”?
Lo dico facendo finta di leggere il nome dal cartellino, giochiamo alla cliente e alla cameriera.
E’ senza calze, con ai piedi dei mocassini neri, bassi, fanno parte della divisa da lavoro, su quella parte delle cosce che sono in bella vista, compaiono quelle piccole lentiggini, che mi hanno fatto da subito impazzire.
“oggi c’è il filetto con i funghi e il contorno di riso”
Lo dice con tono professionale, anche se con un piede mi ha strofinato un polpaccio, da sotto al tavolo.
Sa che la voglio scopare, e che se ancora non l’abbiamo fatto, è solo per aumentare la mia aspettativa, siamo entrambe consapevoli di questo gioco.
“Ne prendo una bella porzione,Rosmary, grazie, e da bere caffè americano”.
“Quando termina il tuo turno”?
“Alle tre del pomeriggio signora”.
“Bene allora dopo andremo a passeggio sul lungolago”.
La attendo su di una panchina, in uno slargo rettangolare con la vista su di un lungo molo, con ormeggiate in una fila ordinata, delle grosse barche a vela.
Si siede al mio fianco, senza parlare, restiamo qualche minuto a prendere il sole, con il vento che ci spettina i capelli, e fa svolazzare i leggeri vestiti che coprono le nostre cosce accavallate.
Rosmary mi accarezza con un tocco leggero, anche io sono senza calze, un brivido di freddo e di voglia mal repressa mi percorre la schiena, la circondo con un braccio, sento il suo odore di cameriera, di pelle mal lavata, con il naso le soffio in un orecchio, di colpo si gira verso di me, e la sua bocca mi aggredisce, la lingua sa di gelato alla fragola, il bacio dura come il battito di ali di una farfalla.
Mi alzo di scatto.
“andiamo a fare un giro”!
Gironzoliamo lungo i moli, osservando i traghetti che portano i turisti dall’altra parte della baia.
Rosmary mi cammina al fianco, ha sempre le scarpette di vernice nera, un vestito leggero a fiori, un maglioncino di lana blu abbottonato sul davanti, i rossi capelli sciolti che svolazzano, insieme al vestito, che a tratti si solleva, lasciando intravedere le candide mutandine bianche di cotone.
La mia voglia di donna sta diventando quasi una tortura, me ne accorgo dalla salivazione azzerata, ho la lingua che non si stacca dal palato, sento la vagina come incollata, un liquido appiccicoso mi ha inumidito la parte interna delle cosce, inizio a fare fatica a ragionare.
Camminiamo in silenzio, lei ogni tanto mi sorride, quando mi sfiora, sento di non poter resistere ancora.
So per esserci stata, che in una via interna, parallela al lungolago, c’è una pensioncina, una specie di albergo a ore.
“vieni con me andiamo in un posto che conosco”.
Lo dico come fosse un ordine impartito che non si discute.
Mi segue come un cagnolino fedele.
La pensione è in vecchio edificio di mattoni rossi, incastonato tra i palazzi a venti piani, in cemento armato, foderati da grandi vetrate scure.
Il ragazzo di colore alla reception ci osserva indifferente, dopo avere preso i dieci dollari, ci consegna le chiavi di una stanza al primo piano, non gli interessa sapere né chi siamo, né cosa faremo in quella stanza.
E’ asettica e informale, però l’odore è di pulito, con un leggero sentore di disinfettante da ospedale, il letto è grande, le lenzuola e la coperta sono di un candore che sembra quasi artificiale.
Rosmary, si avvicina alla finestra e chiude la tenda veneziana, la stanza sprofonda nella penombra.
Lentamente si toglie il maglioncino, e si sfila il vestito a fiori, resta con le sue candide mutandine, che si toglie con un gesto rapido, e salta nel letto, restando supina sul candore della coperta, con il suo ciuffo rosso e le sue grosse poppe, a dominare la scena.
Prendo l’unica sedia , e l’avvicino al letto, mi metto dalla parte in cui si è coricata, mi siedo con le cosce spalancate, quando sono uscita non ho indossato le mutande, l’odore della mia eccitazione lentamente si fa largo nell’aria chiusa della stanza, inizio a toccarmi, Rosmary ha voltato il capo verso di me, mi guarda dritta negli occhi, come in una scena al rallentatore, le sue mani si dirigono verso quella collina rossa, e senza distogliere mai lo sguardo, inizia anche lei a strofinare.
Il cicaleccio fastidioso del telefono mi sveglia.
La stanza è sprofondata nel buio, Rosmary dorme, coricata di fianco a me, sento il calore di una sua mano appoggiata sulla mia fica.
Il tizio della reception mi ricorda, con voce assonnata, che la tariffa era per due ore, e che siamo nel cuore della notte, quando ce ne andremo dovremo lasciare almeno altri venti dollari.
Gli rispondo che va bene, ormai restiamo fino a domani.
Anche lei si risveglia, mi sorride.
“cosa volevano”?
“altri soldi, la tariffa era solo per due ore”.
“Ormai restiamo, aspettiamo che apra qualche tavola calda per fare colazione”.
Inizia a baciarmi, sento il sapore della mia fica sulla sua bocca, ci tocchiamo ancora, le nostre vagine emanano un odore pungente, restiamo intrappolate in un nuovo amplesso, con la sua lingua che mi esplora, mentre le sue cosce mi stringono la testa, e un getto caldo mi lava il naso e la fronte.
Quando scendiamo il portiere è cambiato, c’è un tizio alto con gli occhiali, quando gli porgo la chiave mi dice:
“mi deve altri venti dollari”.
Li prendo dalla borsetta, e mentre glieli porgo, mi guarda con lo sguardo malizioso,da dietro gli occhiali, e poi ammiccando a Rosmary mi sussurra,
“complimenti è davvero un bel bocconcino”.
Usciamo nel vento freddo che giunge dal lago, la primavera spesso gioca brutti scherzi, quello che ieri pomeriggio era un abbigliamento adeguato, oggi è totalmente inappropriato.
Corriamo svelte attraverso la strada, ed entriamo nella prima tavola calda che troviamo,per placare la fame e ripararci dal freddo improvviso.
La osservo mentre cosparge il pancake di miele, e sorseggia il caffelatte fumante.
Il tavolo di formica rossa , nasconde le nostre gambe nude, che si stringono tra le ginocchia alla ricerca di un po' di calore.
I nostri vestiti leggeri, tradiscono la notte trascorsa senza tornare a casa, mentre l’odore delle nostre fiche non lavate, ci lascia il ricordo della nottata, vorrei tornare a casa, immergermi nella vasca da bagno, restare fino a questa sera immersa nella schiuma e nel sapone, riprendere il controllo della situazione.
Il taxi si ferma di fronte alla tavola calda di Rosmary, tra mezz’ora inizierà il suo turno, si farà una doccia nello spogliatoio delle cameriere, lascerà anche lì il ricordo di questa nottata.
Oggi non ci rivedremo, le ho ricordato che questa sera avrò il mio solito impegno al “Back door”.
“questa notte non mi aspettare”.
Mi tocca una coscia con il palmo della mano e mi sorride,
“stai attenta baby”.
“anche tu zuccherino”.
Il taxi pigramente percorre il tragitto nel traffico dell’ora di punta, che ci separa dal mio appartamento.
Quando scendo e attraverso il marciapiede davanti al mio portone vedo un grosso nero che mi osserva, e attende che mi avvicini.
“sei tu Eileen”?
“si sono io chi lo vuole sapere”.
“Mi manda big Mama, stasera prima delle otto ti vuole vedere.
Resto immersa nella vasca, una spessa schiuma mi ricopre, ogni tanto apro l’acqua calda per mantenere la giusta temperatura, non riesco del tutto a rilassarmi, per scacciare il pensiero di big Mama, cerco di toccarmi, voglio una distrazione immediata,ma non ci riesco, la mia mente è entrata in una sorta di corto circuito, rotea tra le immagini di Rosmary, con la sua testa rossa affondata tra le mie cosce, e la grossa e pericolosa visione di big Mama, con i suoi scagnozzi neri, che sguinzaglia per la città, a mantenere ii predominio della sua ombra nera, la ferocia del suo potere.
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