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Lui & Lei

Verga dura (quattro racconti brevi)


di Easytolove
08.04.2021    |    5.121    |    7 9.9
"Con una leggera spinta inizia a farsi strada, prima un poco, sembra resistere all’introduzione, poi di colpo cede, e il manico entra tutto dentro fino in..."
VERGA DURA

Sono tutta nuda, sdraiata nel lettone, le cosce spalancate, con due dita mi allargo la fessura, le introduco piano, con l’altra mano accarezzo i seni, strizzo i capezzoli induriti, premo il ventre , strofino piano la pelle setosa dell’interno delle cosce.
Infilo fino in fondo due dita, dentro c’è un liquido appiccicoso, le faccio roteare, mi arriva il rumore della vagina quando gode, assaggio con la punta della lingua, sento l’odore della femmina in calore.
Sono quasi prossima alla venuta, sento da dentro il calore che aumenta, ma devo rallentare, allontano la mano, succhio, mi accarezzo, inarco la schiena, poi ricomincio, voglio tornare fino alla soglia del piacere, per poi fermarmi e ricominciare.
E’ una tortura sottile ed estenuante, che mi sfinisce lentamente, sono sempre più bagnata, voglio essere pronta quando arriva.
Finalmente sento i suoi passi, entra nella stanza, è nudo, vedo la sua eccitazione, la verga in erezione, tesa, pronta per essere usata.
Mi sale sopra, con le mani le afferro quel desiderio di carne dura, lo sento pieno di sangue e sperma, i testicoli come due noci, nel loro involucro, li stringo con una mano, lo sento gemere, è già pronto per godere.
Ricomincio a toccarmi con l’altra mano, l’eccitazione torna ad essere all’apice, quando sento che sto per arrivare, me lo infilo dentro, mi riempie, non riesco a trattenere un grido strozzato, inizio a sussultare.
La verga dentro di me è dura, un bastone di carne, inizia a colpirmi fino in fondo, la sento scorrere, con le mani gli ho afferrato le natiche, lo spingo contro con tutta la mia forza, i muscoli della vagina si contraggono, come se dovessi urinare, un colpo più forte e deciso, mi comunica che sta sborrando, esplodo quell’orgasmo che ho trattenuto in attesa del suo arrivo.


OSCAR

La palude nebbiosa si dissolve piano…..
Ti osservo mentre appari dai territori lontani, che dai miei piedi si insinuano tra le mie cosce sudate,
come diceva una vecchia canzone, nel blu dipinto di blu, volavo, laggiù.
Ma qui è Oscar che mena la danza, pesta sui tasti, tra lo squillare dei piatti, e la tua scura estremità.
Penso alle tue mani callose, al tuo nodoso bastone, lo vorrei sentire dentro, che mi scava, mentre le tue dita ruvide, mi pizzicano la pelle, cercando di violare l’inviolabile, un conato di vomito mi acceca, la gola si secca, rantolo, perdo la nozione del tempo.
Ma come sempre qualcosa mi sorprende, Oscar scivola leggero sulla tastiera, la sua musica è cambiata, e tu risali lento, sento la tua barba incolta e ispida che mi punge la pelle delle cosce, la tua lingua che si sofferma, indugia nelle pieghe, vorrei sentirne il sapore, se hai mangiato aglio e peperoncino, la tua alitata maschia, che mi lascia senza fiato, con la vulva che pulsa, che strizza umori acidi e vogliosi.
Ma tu sai quanto io sia troia, Oscar ora ha alleggerito la suonata, viaggia veloce , e tu ti adegui al nuovo ritmo, sento la bocca che risucchia la mia pelle, sei arrivato nella fessura, la tua lingua entra precipitosa, inarco la schiena, mi mordo le labbra, continui ad indugiare, vorrei ucciderti, ma so che ti devo lasciar fare.
Oscar ora viaggia a mille all’ora, tu mi infili due dita dentro l’ano, grido di piacere, la voglia del tuo bastone nodoso mi sta devastando, sento che potrei esplodere, ho le viscere in tumulto, prendo il cuscino dove dorme il gatto e lo stringo tra i denti, mordo forte, è l’unico modo che conosco per non gridare.
Un suono di contrabbasso adagio e lontano mi carpisce, Oscar sembra che si sia addormentato, suona la sua lullaby per qualche bimbo lontano mentre tu sei risalito, la tua bocca soffia il suo fiato maschio e depravato nella mia, aperta ansimante.
Ho le cosce spalancate, sento la tua carne nodosa che mi scorre dentro, muovo il bacino piano, le tue mani mi stringono dietro al collo, tra i capelli legati, ansimo, Oscar detta il ritmo, prima piano, ora più veloce, lo assecondo, sento il sudore che bagna la mia pancia, con le mani ti afferro le chiappe del culo, ti spingo più forte dentro di me, Oscar ora pesta, ti sento pulsare, un esplosione interna mi sorprende improvvisa, grido e ti mordo un orecchio, fino a quando non sento il sapore del tuo sangue, poi mi lascio andare, Oscar sta sfuggendo tra le sue note blu, fino a dove nessuno può arrivare.

LA PETINEUSE

Indosso una lunga camicia da notte di cotone trasparente, è ricamata, sul davanti sbottonata, sotto sono nuda.
Mi guardo allo specchio, sono seduta sullo sgabello imbottito, di fronte alla mia petineuse di fianco al lettone distrutto dalla nottata.
Vedo la mia immagine riflessa, con la spazzola nera, sto lisciando i lunghi capelli biondi, con una mano mi sfioro capezzoli turgidi in cima al piccolo seno, scendo in basso lungo il ventre rotondo, fino alla fessura, adornata da un piccolo ciuffo chiaro.
Mi tocco un pochino, sfioro il grillettino, infilo un dito nella fica, con un altro cerco il buchetto del sedere, lo sfioro, poi lo introduco lentamente, apro bene le cosce, con il pollice in un buco e il medio dentro l’altro, inizio a muovere la mano, un dentro e fuori alternato, mi inizio a lubrificare.
La mano che tiene impugnata la spazzola, ora si è avvicinata a quella che sta trafficando con le mie zone del piacere, entrambe l’afferrano nella parte setolosa, appoggiano il grosso manico di legno nero sull’imboccatura del sedere.
Con una leggera spinta inizia a farsi strada, prima un poco, sembra resistere all’introduzione, poi di colpo cede, e il manico entra tutto dentro fino in fondo.
Non riesco a trattenere un gemito, misto di dolore e di piacere, resto per qualche istante ferma, poi lo muovo, prima di un movimento circolare, poi quando sento che la cavità anale si sta adattando all’introduzione, inizio a farlo scorrere, prima piano, poi sempre più veloce.
La bombatura del manico, quando sta per uscire mi fa rabbrividire, cerco quel punto esatto, e quando il buco si è adattato, inizio a farlo entrare e uscire, tutto dentro e tutto fuori, con colpi sempre più veloci.
Con l’altra mano inizio a sfregarmi il grilletto, la vagina ha iniziato a pulsare,mi fisso nello specchio mi vedo mentre sto godendo, tra poco inizierò a grondare, un fiotto di liquido caldo mi schizza fuori dalla vagina, che meraviglia l’orgasmo anale.


HI - FI

Sono nuda, coricata sul mio divano, il vento da sud est sprofonda dai finestroni, dalle persiane socchiuse, rivolte verso la spianata, che nella calura estiva, ondeggia tra i campi, nei mesi trascorsi a coltivare grano, orzo e girasoli.
Osservo la luce smorzata, confusa nella calura che resiste, il temporale avanza minaccioso, mi piace sentire nelle narici quell’aria densa, mista al sapore della pioggia, vorrei assimilarla al muschio, all’odore di sesso consumato, a quelle notti in cui, mi risvegliavo,nell’odore della tua vagina non lavata, mi assale, mi rattrappisco, avrei voluto diventare come una mongolfiera, volare nelle arie rarefatte, perdere ogni consapevolezza di assuefazione.
Johnny Hodges ha messo in bocca il suo alto, soffia delicato, mentre il Duca scandisce sotto alle sue dita il ritmo, il confine della partitura, tutto deve essere perfetto, in un mondo regolamentato dall’anarchia più assoluta.
Le mie mani corrono veloci, il mio ventre sotto al quale, l’età ha regalato, un sottile strato di adipe gentile, sussulta incontrollato, attende, vorrebbe lingue, mani vogliose, membri turgidi e assetati, passere umide, in attesa di lingue, cosce, lavatrici in centrifuga, tramonti, estasi sospirate, assoli di chitarra, note strascicate.
Harry Edison ha appoggiato le labbra al bocchino della sua tromba, il velluto mi avvolge, le mie mani corrono su e giù, a volte sfiorano le cosce, altre volte i seni sfioriti, i capezzoli sempre vogliosi, mi sembra di sentire quella bocca, che mi risucchia, vedo la mia bionda vicina, che transita in mezzo alla verzura, vorrei che facesse un cenno, diventerei una cannibale, le sole ossa sue resterebbero a rinsecchire nella campagna.
Il duca è davvero ispirato, segue le note di Sam Jones,mentre Lee Spann glissa, le sue dita scorrono leggere sul manico della Les Paul, mentre le mie sono arrivate in quel territorio delimitato, dalle cosce, dalla fine del ventre, dove non si conosce linguaggio, un mondo misterioso, chi ci è entrato è rimasto folgorato, ha perso gli orizzonti, come una nave senza governo, è rimasto in balia dei marosi, per molto tempo non si è ritrovato.
Ora Johnny Hodges ha sublimato, lo si sente dal suono che sfugge dal suo alto, Harry Edison sembra viva una sua dimensione separata, il Duca continua imperterrito, a pigiare sui suoi tasti, sono ottantotto, le mie dita, viaggiano ormai perdute, ho la testa sprofondata, i capelli legati dietro fanno male, la schiena sembra un arco teso, sono pronta per il dieci pieno, anche il Duca pesta più deciso, forse dovrei gridare, ma mi trattengo, mi accartoccio, stringo le cosce, trattengo il mio calore, e mi addormento, anche se , il ritmo diventa più pulsante, mi richiama, volo in alto, tra la realtà, e quello che invece Johnny Hodges mi sta gridando con il suo richiamo.



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