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La curiosa storia di due “gemelli” speciali (I parte)


di pollicino
29.12.2022    |    890    |    0 6.0
"Ho raccontato questo aneddoto, perché più avanti questa cugina, più piccola di noi, sarebbe divenuta l'unica depositaria – insieme a me – di una notizia..."
0. Presentazione della storia.

Buongiorno, ed eccomi di nuovo qua, dopo un po’ di tempo, con un altro racconto.

Questa volta la storia prende spunto da avvenimenti realmente accaduti a chi scrive, poi corredati da "licenza poetica", ed è un pò complessa, forse perché mi coinvolge e trattandosi dell'incontro con una () o sarebbe meglio dire “la”) prostituta "di casa".
Ovviamente, non si tratta di una cugina “vera”, come l'ho descritta, ma è ugualmente una persona a cui sono molto affezionato.

Lo ribadisco: non è una storia totalmente reale e non è un racconto completamente inventato, ma rappresenta la speranza che la "favola" per una volta possa prendere il sopravvento sulla realtà.

Certo che se sono qui è perché considero sesso a pagamento, sesso di gruppo, gangbang e quant'altro come esperienze a cui non mi sottraggo, ma a volte la vita ti obbliga a fare i conti con te stesso e a rivedere certe convinzioni.

Buona lettura, e accetto commenti costruttivi...

1. Introduzione.

Era una giornata di inizio autunno quando, verso mezzogiorno, in una clinica romana, avvenne qualcosa che avrebbe segnato per sempre la vita di due indifese creaturine.
La sala parto era un via vai di medici e paramedici, indaffarati attorno a due donne in travaglio, due cognate che si apprestavano a dare alla luce i loro bambini...
Ed ecco che, finalmente, il primo – un maschietto – si annunciò rumorosamente con un pianto disperato. Venne attentamente ripulito, e poi deposto tra le braccia della mamma:
- "Signora, auguri... E' un bel maschietto! Chissà a quante ragazzine farà perdere la testa...".
Giusto il tempo di far abituare la puerpera a quella nuova situazione che il piccolo fu condotto nel nido, e – poiché un pò sottopeso – messo in una incubatrice.
L'altra donna, intanto, una colombiana, stava ritardando, ma non passò neanche un quarto d'ora che una vocina stridula e tutta risentita attirò l'attenzione dei presenti. Una bellissima femminuccia era arrivata ad allietare un'altra famiglia...
Anche per lei, l'infermiera di turno volle rallegrarsi con la donna che aveva appena partorito:
- "È una signorinella... Le darà grandi soddisfazioni...".
Ma la donna, che evidentemente si augurava con tutte le sue forze che fosse un maschio anche il suo bambino, si lasciò sfuggire un poco elegante:
- "Sì, proprio una soddisfazione... Cominciamo bene!".
Ad ogni modo, anche per la piccola – prematura – si rese necessaria una terapia in incubatrice... Ma non ce n'erano più disponibili... E allora, cosa fare?
Fu la caposala ad avere l'idea che avrebbe risolto il "problema". Allungò lo sguardo verso le madri, e quindi disse agli altri inservienti del reparto:
- "Beh, visto che i bimbi sono cuginetti, potremo metterli insieme! Che c'è di male?".
E così fu fatto, e quando i due giovani papà furono ammessi per la prima volta a vedere la loro prole, si trovarono sulle prime spiazzati ma compiaciuti di trovarli assieme...
Inoltre, il maschietto giaceva a pancia in giù e la femminuccia gli era sopra, aggrappata con un ginocchio sollevato...
Sembravano veramente due gemelli, tanto che erano diventati l'attrazione principale per tutto il personale della clinica, il quale nel tempo libero si accompagnava lì dicendo:
- "Andiamo a vedere i gemellini...".
Passarono alcuni mesi, e i bimbi parvero trovare comoda e "naturale" quella posizione.
Intanto, i genitori li avevano registrati all'anagrafe, e quelle creature presero rispettivamente i nomi di Blanca e Claudio...

2. Prime esperienze.

Questo fu il "fortunato" esordio su questo mondo per me e mia cugina Blanca.
Fu la prima creatura che vidi quando aprii gli occhi, e da quel momento non ci lasciammo mai più, almeno finché la nostra volontà non si andò ad infrangere – ripetutamente – contro le scelte di chi non sapeva che il nostro destino ci stava portando a grandi passi l'uno verso l'altro...

Usciti dall'ospedale, infatti, non ci allontanammo di molto, poiché mio padre – "che era insegnante e ingegnere – aveva costruito un villino bifamiliare su due piani per la sua famiglia e per quella del fratello.
Io, andai a vivere con i miei genitori al piano di sopra, mentre Blanca si ritrovò al pianterreno con i suoi.
Ogni giorno, le nostre mamme si ritrovavano in casa dell'una o dell'altra a parlare del più e del meno, e noi eravamo sempre con loro.
Non avendo ancora altri fratelli, cominciammo a giocare insieme, e in breve tempo diventammo inseparabili: ogni volta che la mia famiglia cercava me, mi trovava con lei e viceversa...

Tutto andò avanti in questo modo fino al nostro sesto compleanno, che come i precedenti festeggiammo insieme, e che segnò il nostro ingresso nella scuola dell'obbligo.
Inoltre, a quell'epoca le nostre genitrici erano entrambe nuovamente in dolce attesa, e potevano dedicarci sempre meno tempo.
Ma a noi poco importava quella ovvia mancanza di attenzioni, o forse non ce ne rendevamo conto fino in fondo, poiché eravamo sempre più visceralmente legati, al punto che il sopraggiungere delle vacanze estive – con la momentanea separazione delle famiglie per lidi diversi – fu da noi vissuta come una tragedia di immani proporzioni.
Una volta, Blanca arrivò a dirmi:
- "Credo che non potrò sopravvivere... Addio Claudio... Se non ci vediamo più, non guardare le altre femmine!".

Ad ogni modo, abitando praticamente insieme, fummo iscritti nello stesso Istituto scolastico.
Ci ritrovammo nella medesima classe, e – forse per compiacere i nostri genitori – la maestra ci assegnò lo stesso banco.
Ricordo ancora come ci tenevamo per mano per tutto il tempo, e ciò destò l'attenzione dell'insegnante che ne parlò alle nostre famiglie, le quali però non diedero peso alla cosa pensando che il fatto fosse dovuto a una carenza di affetto.
In realtà, proprio in quei momenti, stava nascendo qualcosa di straordinario, di grandioso, che con innocenza noi non esitavamo a mostrare sfacciatamente agli altri bambini.
E anche a scuola venimmo additati da tutti – forse come presa in giro, o forse in tono commiseratorio – come "i gemelli", fatto che noi tenevamo a puntualizzare ad ogni circostanza.
Dicevamo, come una cantilena, a giustificare ogni comportamento:
- Noi-siamo-gemelliiiii".

Avevamo sei anni, dunque, ma facevamo ancora il bagno insieme, soprattutto quando ci trovavamo a casa di mia zia, la quale – essendo di più larghe vedute rispetto a mia madre – ci diceva che non c'era nulla di male e di cui vergognarsi a vedere "come siamo fatti".
Giravamo nudi per casa, e cominciavamo a toccarci a vicenda nelle parti intime scoprendo le diversità dei nostri corpi: lei chiamava il mio pisellino "dan-dan", e io la sua fichetta "patatina".
Ma tutto finiva sempre con una gran risata...
Anno dopo anno, i nostri fisici cambiarono, ma non cambiò quell'attrazione – anche fisica – che provavamo l'uno per l'altra, anzi quel sentimento cresceva ogni giorno di più.

Dalle scuole elementari passammo alle scuole medie, e lì dovemmo affrontare per la prima volta il "mondo avverso": il primo giorno, furono sorteggiate le classi, e noi due ci ritrovammo in sezioni differenti...
Ci guardammo atterriti, e ci abbracciammo per impedire a chiunque di dividerci, e infine scoppiammo a piangere.
Poi, serio, le dissi sottovoce in un orecchio:
- "Non ti preoccupare, dovranno ammazzarci per separarci... E io non ti mollo! Dammi la mano e stringi forte...".
Per i primi tempi non ci fu niente da fare, fummo separati e il nostro profitto scolastico divenne un disastro, tanto che mio zio – più accondiscendente di mio padre – capì la situazione e pregò la preside di trovarci un posto nella stessa classe...

A casa, però, le cose precipitarono improvvisamente: mia sorella e suo fratello, che ormai avevano circa sette anni, si fecero prendere dalla gelosia e fecero di tutto per mettersi contro, volevano a tutti i costi la nostra attenzione e coinvolsero i genitori.
Risultato: io e la mia "gemella", ormai tredicenni, ci sentimmo "minacciati", e ci legammo ancora di più... escludendo, involontariamente, loro dalla nostra infinita tenera storia.

Piano piano, le nostre giovani vite stavano giungendo al culmine della carriera scolastica... Le scuole superiori.
Mi iscrissero a una scuola tipicamente maschile, dove su duemila ragazzi c'erano solo quattro femmine. E una di queste era Blanca...
Sì, perché a 14 anni mia cugina non avrebbe accettato per nessuna ragione di spezzare quel "patto d'acciaio" che anch'io consideravo imprescindibile.

Insomma, ancora una volta ci ritrovammo fianco a fianco, a scuola e a casa, ma mentre tra le mura domestiche nessuno insidiava più il nostro essere una cosa sola, a scuola Blanca era diventata una preda ambita da molti.
Così, accadde che mentre lei non se ne curava, io fui costretto – per la prima volta in vita mia – a "marcare il territorio"... Financo ad alzare le mani.
Non so sé da "femmina navigata" mi lasciò fare per constatare quanto l'amavo (lo sapeva, ma come ogni donna le piaceva sentirselo dire...), ad ogni modo il mio "avversario" ebbe la peggio.
Lo aggredii, prima soltanto verbalmente:
- "Se sei così stupido che ancora non l'hai capito, devi lasciar perdere la mia gemella; se hai certi pruriti, cercatene un'altra... Blanca non è roba per te...".
Ma quello, ignorando il rischio che stava correndo, insisteva... E replicò:
- "Che ti credi, guarda che ce l'ha come tutte le altre... E poi le piace il calippo!".
E tutti gli altri compagni scoppiarono a ridere...
A quel punto non ci vidi più, e dalla rabbia stavo quasi per sentirmi male; quel maleducato stava mettendo in dubbio l'onore di mia cugina, e questo non potevo permetterlo.
Gli sferrai un cazzotto proprio a metà naso, rompendogli il setto nasale e facendogli uscire una gran quantità di sangue.
Infine lo guardai mentre piagnucolava impaurito e gli urlai:
- "Stai lontano da Blanca o te ne pentirai!".
E mia cugina, ripreso coraggio, intervenne in prima persona, confermando a muso duro quanto già io avevo messo in chiaro:
- "Non provarci mai più... Noi siamo gemelli, e voi mocciosi non avete nessuna speranza...".
Restai a bocca aperta e non riuscii a dire altro, ma mi sentii davvero orgoglioso di essere suo... Soltanto suo!

3. Il "battesimo dei Tati".

Prima di andare avanti, c'è una cosa che voglio dirvi per spiegare bene a che punto era arrivato il nostro "folle" legane...
Fin dai primi anni di vita, non si sa bene perché, a Blanca venne affibbiato dal padre un nomignolo che poco aveva a che vedere con il suo vero e bellissimo nome, un nomignolo breve, conciso e quasi "neutro".
Zio, cominciò infatti a chiamarla "Tati", e anch'io – per non essere da meno – presi a usarlo, anche perché effettivamente risultava più confidenziale, sia in casa che fuori, soprattutto quando volevo marcare con "gli altri" questa intimità senza però dare spiegazioni...
Ebbene, Blanca restò "Tati" fino al giorno d'oggi, quando – ormai grande – solo io continuo a chiamarla in questo modo.

Detto ciò, a quei tempi, un giorno che stavamo scherzando tra di noi, a un certo punto la mia gemella si rabbuiò in volto e mi chiese:
- "Ma, se io sono Tati... Tu chi sei?".
Non mi ero mai posto, prima, questo "problema", anche perché tutti mi avevano fino ad allora chiamato con il mio nome di battesimo per intero...
Avevo le sue mani strette sul mio petto quando sentii uno strano calore emanare da lei, e istintivamente mi venne di fissarla negli occhi come facevamo sempre nei momenti in cui necessitavamo di quello scambio di energia che proveniva dal di dentro.
Furono pochi istanti, ma a me parvero un tempo infinito... E alla fine Blanca, con fare ieratico di una sacerdotessa, mi mise le mani sulla testa e proclamò solennemente:
- "Va bene... Te lo do io un nome: ti chiamerai Tato!".
Ci abbracciammo di nuovo, poiché sentimmo che questi nuovi nomi ci avrebbero proiettato in una dimensione al di sopra e al di fuori del tempo, in una dimensione tutta nostra.

Ma proprio in quel frangente così solenne sopraggiunse Maria Grazia, un'altra cugina con cui ci stavamo affezionando, sebbene a un livello inferiore rispetto al nostro pathos.
Rimase in silenzio a guardarci, battendo nervosamente a terra il piede destro, fino a quando non riuscì più a trattenersi ed esplose in una ingenua domanda:
- "E io? Come mi chiamo?".
Di scatto, ci voltammo nella direzione da cui proveniva quella vocina e la vedemmo a braccia conserte che attendeva una parola da noi...
Allora, sciogliemmo l'abbraccio in cui eravamo ancora avviluppati per formare una sorta di catena con la nuova arrivata, mentre Blanca la "battezzo'":
- "Sarai Tata! D'ora in poi, noi tre saremo i Tati!".

Ho raccontato questo aneddoto, perché più avanti questa cugina, più piccola di noi, sarebbe divenuta l'unica depositaria – insieme a me – di una notizia incredibile.

4. Giochi "preliminari".

Nei capitoli precedenti ho accennato come io e Tati stavamo crescendo senza il benché minimo senso della vergogna e del pudore, e così all'età di quasi 15 anni accadde ciò che prima o poi accade sempre tra un uomo e una donna...

Eravamo a casa degli zii, in una afosa giornata estiva. Avevamo giocato in giardino, quando a un certo punto arrivò la zia che ci disse:
- "Forza, andate a lavarvi... Fatevi il bagno, che sembrate dei maiali...".
Quel momento era sempre stato per noi fonte di giochi e – come ho già detto – di continue scoperte.
I nostri corpi cominciavano a prendere quelle sembianze che presto ci avrebbero permesso di spiccare il volo verso emozioni a noi ancora sconosciute.
Il mio membro si mostrava in tiro sempre più spesso, mentre Tati stava sviluppando due tette deliziose e sulla sua bella fichetta ancora vergine stava prendendo corpo una peluria che attirava la mia attenzione. Lei, sarebbe stata – da allora in avanti – il mio cliché di femmina perfetta...

Purtroppo, però, con il crescere si era manifestata in me una forma non troppo severa di fimosi, e – visto che ci dicevamo tutto – Blanca ovviamente lo sapeva.
Allora, non c'era internet, e quindi non potevamo documentarci bene sul da farsi. I nostri familiari cominciavano a parlare di circoncisione, ma capitava spesso che la mia "gemella" (a cui mi appoggiavo) si facesse valere:
- "A me piace tantissimo così! Guai a chi lo tocca!".

Una ragazzina che parlava di cose così "scabrose" e troppo più grandi di lei, faceva sorridere, ma insomma quel giorno seguimmo il suggerimento di zia.
Tati riempì la vasca da bagno, e in un baleno ci spogliammo. Ci immergemmo entrambi, uno da un capo e l'altra dall'altro, in un tepore fantastico, e quel calduccio fece crescere la mia virilità, che emerse dal pelo dell'acqua come un periscopio di carne.
Peccato che il glande restò prigioniero e tutto ricoperto dalla pelle che lo strozzava letteralmente... Per la prima volta, davanti a Blanca estasiata, mi vergognai come un ladro, e cercai di coprirmi con le mani, mentre lei sghignazzava con quel risolino che mi ammaliava:
- "Ma che fai, ti vergogni di me? Lascialo stare... Piuttosto, non credi che sia arrivato il momento di risolvere il problema?", mi disse...

La guardai, e la sensazione di imbarazzo si trasformò presto in estrema fiducia, ed ebbi chiara l'impressione che sul mio basso ventre – nascosto da una coltre di sapone – si fosse posato qualcosa che mi dava un insolito piacere...
La lasciai fare, finché non vidi la punta delle dita dei suoi piedini emergere dalla schiuma.
Capii che mi stava massaggiando lo scroto, giocherellava con i testicoli, fino a che si gonfiarono tanto che iniziò a farmi male tutto...
Poi mi disse:
- "Sai, ho deciso di prendermi cura di lui... Meglio io che quei macellai che ti vogliono fare la circoncisione, non ti pare?".
E detto questo abbrancò l'asta con le sue estremità e cominciò a scoprire lentamente il glande.
Era bravissima, e – grazie anche all'effetto lubrificante del sapone – inizialmente non sentii alcun dolore, ma poi – quando la pelle giunse al punto più largo della cappella che si era ingrossata incredibilmente – si "incastrò".
La Tati non demorse, e continuò a tirare verso il basso facendo molta attenzione... La pelle, infatti, era tesa allo spasimo, io strinsi i denti per non dirle che mi stava facendo male, e poi giunti a quel punto volevo risolvere una volta per tutte la questione...
Quando finalmente il prepuzio scavallò la corona del glande provai come una sensazione di qualcosa che tirava, e Blanca – con i piedi sempre ben serrati attorno all'asta – mi disse:
- "Non muoverti, aspettiamo un poco che si abitua...".
E così facemmo; poi, riprese a muoversi scorrendo verso l'alto, forzando di nuovo il "blocco" fino a ricoprire completamente, questa volta, la cappella...
Sapeva bene quale sarebbe stata la mia risposta, ma volle sentirmelo dire... Quindi, mi chiese:
- "Ti ho fatto male?".
Non era sadismo, ma ci conoscevamo alla perfezione tanto che sapevo che la mia "sentenza" sarebbe stata per lei una sensazione mentale difficile da descrivere...
Perciò, risposi:
- “Fa un male cane, ma di te mi fido... Assolutamente!".
Visibilmente soddisfatta, non replicò, ma riprese il suo lavoro...
Tornò a scendere lentamente, e stavolta la pelle sembrò più elastica, tanto da superare l'ostacolo abbastanza agilmente.
Continuò a tirare verso il basso, fino a scoprire la carne viva e a mettere in evidenza il frenulo che sembrava lì lì per cedere.
E infatti le urlai, spaventato:
- "Tati, così lo rompi... Per carità!".
Si fermò, un pò spaventata anche lei, ma siccome non volevo crearle un trauma (lo aveva fatto per me, ed era la prima volta che "giocava" con un cazzo) e le ero assolutamente riconoscente, le presi le mani e la tirai a me.
Lei flettè le ginocchia portando le gambe attorno ai miei fianchi, e solo allora le sussurrai:
- "Gemellina, non so come hai fatto ma sei stata bravissima...".
Ora toccava a me fare qualcosa per lei...
Affondai il mio pollice sott'acqua alla ricerca della sua primizia, e quando individuai la fessurina sentii Blanca che spontaneamente mi allargò le cosce...
Presi a spingere leggermente, ma avvertii una resistenza che – nella mia inesperienza – non mi aspettavo... La guardai negli occhi in modo interrogativo, come a domandare spiegazioni, e lei con estrema semplicità mi spiegò:
- "Noi femminucce siamo fatte così... Sono ancora vergine... Ma non temere, quando sarà il momento sarai tu a entrarci per primo... Ci apparteniamo, ricordi?".
E, come avevamo fatto tante altre volte, ci "accontentammo" di giocare come bimbi curiosi.
Ma ormai eravamo pronti al grande passo...

5. Da fanciulli a uomo e donna.

Ancora una volta, Blanca ed io ci eravamo aiutati in una cosa così importante, ma il "bello" doveva ancora venire... E arrivò dopo qualche mese.

Era il giorno del nostro quindicesimo compleanno, il solito bagno insieme alla mia gemella dalla zia, quando stavamo finendo di asciugarci ed eravamo faccia a faccia.
Il mio membro – ormai libero da quella "gabbia" fisica e mentale – rimaneva stranamente in tiro, tosto, e puntava deciso e "minaccioso" verso la Tati.
D'altra parte, quel giorno anche lei provava un particolare desiderio che la faceva bagnare tra le gambe, e così decise di rompere gli indugi...

Mentre io ero seduto sul water e sopra pensiero, lei si voltò verso il lavandino dandomi le spalle.
Poi mi disse:
- "Tato, ecco il mio regalo di compleanno...".
Subito mi rattristai, poiché non avevo pensato a ricambiare, e glielo confessai candidamente:
- "Oh Blanca, ma io non ti ho fatto niente...".
Mi guardò ammiccante e mi rispose:
- "Dici?".
Poi, divaricò di molto le gambe, reclinò il busto in avanti e poggiò i gomiti sulla ceramica in modo da spingere il culo in fuori e trovarsi praticamente a novanta gradi con gli arti inferiori.
Fino a quel momento, il nostro sentire era stato quasi solo un fatto di testa e di cuore, ma non potei non restare imbambolato di fronte alla sua straripante bellezza, che avevo a pochi centimetri dai miei occhi e che stava fiorendo di giorno in giorno.
A un certo punto, fu la sua voce a riscuotermi da quel torpore... Guardai nello specchio, e incrociai i suoi magnifici occhioni languidi e impazienti:
- "Tato, è questo il regalo di compleanno che ci facciamo... Il grande momento è arrivato... Su, ho tanta voglia di te, facciamolo e non pensiamoci più!".
Anch'io la "volevo", non mi importava nient'altro, volevo donarle quella scintilla di me stesso che sarebbe esplosa dentro di lei, ma a quella sua richiesta fui colto dalla paura. Paura dell'ignoto o forse di deluderla...
Ma Tati, come in ogni altra circostanza, "sentì" la ragione del mio timore, e mi rassicurò:
- "Tranquillo Cla, è la prima volta anche per me; se non andrà bene oggi, abbiamo tutta la vita davanti...".
Si aprì più che poté le natiche per mostrarmi la "via", e attese...
Ma io tornai ad essere titubante. Blanca era già qualche anno che aveva le mestruazioni, e capii lucidamente che rischiavamo grosso... Le dissi:
- "E se succede qualcosa? Non abbiamo il preservativo e tu non prendi la pillola... Non posso prometterti di riuscire a controllarmi...".
Tati era eccitatissima, e non voleva rinunciare a quella "prima volta", ormai si era preparata mentalmente ed era al settimo cielo, percui ribattè stizzita:
- "Tato, smettila con queste pippe mentali... Ci dicono sempre che non siamo normali... Ebbene, dimostriamolo! Noi-non-siamo-normali! Rinunceresti per così poco a ciò che abbiamo aspettato così tanto? Vedrai, sarà il destino a decidere per noi...".

Ormai non c'erano più scuse... Puntai deciso tra le sue labbra tenere, e spinsi...
Una prima botta, e poi una seconda che mi parvero inutili... O io ero imbranato, o la sua fisiologia mi respingeva. L'imene pareva essere una resistentissima lastra d'acciaio...
La strinsi per i fianchi (fu allora che cominciai ad apprezzare la prelibatezza conturbante di quel suo particolare anatomico) e ripetei il movimento, finché non feci breccia ed entrai... Finalmente! Fu così naturale, così bello, ma allo stesso tempo fu una cosa difficile da descrivere con le parole.
Mollai la presa sui lombi di Tati per prenderla sotto i seni – come se dovessi sostenerli – e le bisbigliai all'orecchio:
- "Ce l'abbiamo fatta, Blanca... Questa giornata resterà scolpita nella nostra mente per sempre... Sei stata fantastica, non lo dimenticherò mai...".
Sentii anche, per la prima volta, i muscoli della sua vagina contrarsi e quasi "stritolarmi", e di li a poco le venni dentro, sebbene mi fossi ripromesso di concentrarmi per non farlo...
Non ce la feci ad uscire in tempo, o piuttosto fu lei ad impedirmelo, e le instillai nel ventre fino all'ultima goccia del mio piacere...
Pure Blanca era tremendamente infoiata, tanto che gridò con tutto il fiato che aveva in gola:
- "Siiiiii... Sei mioooo... Sei tutto mioooo!".
Siccome erano già passate almeno due ore da quando ci eravamo chiusi in bagno per lavarci, la zia – sentendo mia cugina urlare a quel modo e profferire quelle parole – corse verso di noi, apri la porta e ci trovò con Blanca alla pecorina ed io ancora dentro di lei...
Sconvolta dalla scena, inferocita, si bloccò sull'uscio, e solo quando si riprese ci latrò dietro in spagnolo, la sua lingua madre:
- "Santo Dios, ¿estás loco? Blanca, eres una puta... Sin pastilla y sin condón...".
Invece che cercare una scusa plausibile, io – che avevo sentito oltraggiare ancora una volta la mia gemella in quel modo – mi scagliai nudo con veemenza contro di lei e le "sputai" contro tutto d'un fiato:
- "Abbiamo fatto la cosa più bella e naturale... Se abbiamo sbagliato, devi prendertela con tutti e due... Non toccarla e non chiamarla in quel modo!".
Per la prima volta in vita sua, Blanca – che era sempre sollecita a difendere le nostre comuni ragioni – ammutolì. La madre si era spinta troppo oltre ad indagare nella nostra intimità, in quel "castello dorato" nel quale non sarebbe dovuto entrare nessuno... O forse era anche un pò di vergogna, poiché quella donna aveva curiosato nella nostra sessualità che proprio in quegli istanti era sbocciata...
Comunque sia, alla fine ritrovò il coraggio e disse anche lei la sua:
- "Te molesta porque nunca has podido separarnos y ahora estamos creciendo... Bueno, mira... Podría estar embarazada, y eso espero, al menos te resignarás... Tú He estado celoso de Tato desde el primer momento, pero ten cuidado...".

La sfidò con uno sguardo di fuoco, e poi ci stringemmo nell'ennesimo abbraccio da togliere il fiato; un abbraccio sfacciato come noi, e forte come se volessimo impedirle di strapparci l'uno all'altra...

6. La prima separazione non si scorda mai.

Mia zia, indispettita, si voltò e uscì dal bagno sbattendo la porta tanto forte che tremarono gli stipiti.
Nel mentre che stavamo ancora incerti sul da farsi, sentii come un solletico sul braccio, e girandomi dovetti constatare che era tutto bagnato... Blanca era in un mare di lacrime, e contagiò anche me.
Muto, sprofondai nei suoi occhi che erano la via diretta per la sua anima, ed ogni suo pensiero mi fu chiaro...
Con un filo di voce, tornò a parlare in spagnolo (così come faceva quando si arrabbiava con sua madre ma anche quando era particolarmente spaventata):
- "No la conoces lo suficiente... Me temo, Tato, ella también es capaz de arrastrar a mi padre a su estúpida venganza... Prométeme que pase lo que pase, siempre seremos un solo corazón...".
Io, avevo imparato da lei un poco di quella lingua, e tentai di calmarla:
- "Ascoltami, zio non dirà mai nulla ai miei, perciò di questa storia lo sa solo lei... E finché ci sono io non ti succederà niente di male... Gemelli siamo e gemelli resteremo per sempre!".
Purtroppo, le mie speranze si rivelarono completamente sbagliate e ben presto la situazione precipitò...

All'epoca, io e Tati frequentavamo insieme il primo anno delle superiori, e ogni mattina io passavo da lei e insieme ci avviavamo verso scuola. Ebbene, la mattina dopo il "fattaccio", mi recai ad aspettarla al portone, ma lì trovai la megera (zia) che – senza tanti complimenti – mi allontanò dicendomi:
- "Vai, stamattina Blanca non viene, non si sente bene...".
Non era mai successo prima che me lo dicesse in quel modo tanto aspro; non solo: stavo per precipitarmi su per le scale fino alla sua stanza per sincerarmi di persona dello stato di salute della mia gemella, quando lei mi sbarrò la strada.
Ero profondamente deluso, amareggiato, e fino impaurito: erano rare, infatti, le occasioni in cui io e lei non eravamo insieme, e anche gli insegnanti – che quella mattina notarono la "novità" – me ne chiesero la ragione...
Per me, fu come rigirare il coltello nella dolorosissima piaga, fatto sta che ero distratto e non riuscii a seguire le lezioni, non vedendo l'ora di tornare a casa per avere notizie da lei stessa...

Ma quando tornai da scuola e giunsi sulla soglia, sua madre – senza il minimo tatto, anzi con uno sguardo da resa dei conti, come aveva ben previsto Tati – mi diede la brutta notizia:
- "Blanca è partita, l’abbiamo messa in collegio... Così non avrà distrazioni... Sarà meglio per te che pensi solo alla scuola...".
Se mi avesse sferrato un cazzotto alla bocca dello stomaco mi avrebbe fatto meno male.
- "Ecco" – mi dissi –, "quella che stava male era solo una scusa, non voleva che la vedessi andar via!".
La odiai con tutte le mie forze, e con le gambe molli tornai a casa in lacrime, riferendo tutto quello che era successo ai miei familiari.
Non riuscii a mettere nulla sotto i denti, e vomitavo di continuo dal nervoso.
Era la prima volta in 15 anni di vita che non l'avevo con me, e lì capii davvero cosa significava quella parola con cui ci chiamavano da sempre: gemelli... Era come se mi avessero amputato un braccio, o una gamba, come se mi avessero privato dell'ossigeno...
Mi ammalai, e alla fine mio padre – che era apparentemente burbero ma buono come il fratello – andò a parlare con lo zio.
Da lui seppi che Blanca era stata messa in un collegio di suore nei pressi di Viterbo, e che anche lei era caduta in una depressione terribile. Da allora piano piano mi ripresi, con l’obiettivo preciso di organizzarmi per andare a riprendermela...
La mia seconda passione (dopo lei, ovviamente) era la bicicletta, e una mattina marinai la scuola, di buon'ora inforcai il mio mezzo e cominciai a pedalare a più non posso verso il mio "sole".
Nonostante la distanza, non sentivo la stanchezza, perché la mia ricompensa più grande si avvicinava...

Una volta giunto sul posto, mi resi conto che avevo un altro problema: come potevo "presentarmi", un ragazzino, un perfetto sconosciuto, e domandare di lei?
Nel mentre che cercavo di escogitare uno stratagemma, vidi che il portone dell'istituto si aprì e da esso uscì una lunga fila di bambine e bambini vocianti che si tenevano per mano, guidati da una monaca con un grande cappello.
Non impiegai molto a riconoscere la mia dolce metà – sebbene fosse "mascherata" sotto una buffa divisa –, la quale quando mi vide si divincolò dalla compagna di fila e senza farsi accorgere mi corse incontro. Urlò, sorpresa:
- "Tatoooo! Tu non sei normale...".
Alludeva a quello che ci dicevano sempre i grandi, ma io badavo solo ai suoi grandi occhi, alla sua vocina e al suo sorriso che mi erano mancati così tanto.
Come sempre accadeva, ci capimmo con il solo sguardo e senza dover aprire bocca...
Dopo quasi due mesi di lontananza, capimmo che non era cambiato niente, e che volevamo una sola cosa.
Così Blanca mi prese per mano e ce ne ritornammo verso il collegio...
Mi fidavo assolutamente di lei, ma non riuscii a trattenermi dall'esclamare:
- "Sei matta? Vuoi andare in collegio?".
Ma lei mi disse:
- "Tranquillo, e lascia fare a me...".
Entrammo per una finestrella priva di grate che veniva sempre lasciata aperta, e da lì mi condusse su per delle scale dinanzi a una porta chiusa. Mi guardò, sorniona, girò la maniglia ed entrammo in una stanza buia.
Non si vedeva nulla, sopratutto quando lei chiuse la porta a chiave.
Quando però, finalmente, accese la luce tutto mi fu chiaro. Con una dolcezza che non ricordavo, mi domandò:
- "Hai capito adesso?".
Avevo capito, eccome, ma replicai:
- "E se ci scoprono?".
Ma avevamo troppa voglia l'uno dell'altra per preoccuparcene, e cominciammo a spogliarci...
Mi parve ancora più bella del solito, e quando fu completamente nuda presi a sfiorare quel corpo di giovane femmina dalla testa ai piedi.
Sotto le mie mani tremanti, scorrevano le carni di quella creatura con cui ero nato, e una solitaria lacrima d’emozione rigò il mio viso.
Tati fece la stessa cosa con me, e si fermò sul pene, ricordando quella sera in cui mi aveva sciolto dai miei "impedimenti"...
Ci strusciammo l'uno sull'altra, compulsivanente, scambiandoci un calore familiare, e infine Blanca mi esortò:
- "Su, non perdiamo tempo... Stavolta sarà tutto più facile...".
Poi, come se avesse l'impressione che io dubitassi di lei, si affrettò a rassicurarmi:
- "Guarda che non mi ha toccata nessuno dei ragazzini che sono qui... Mi sono conservata apposta per questo momento".
Oh, misericordia!, quell'idea non mi aveva nemmeno sfiorato... Crollai in ginocchio dinanzi a lei, le baciai con sacralità la patatina, e feci di tutto per farle capire che le volevo bene come il giorno che siamo venuti al mondo:
- "Tati, lo so che sei pura come un giglio, non c'era bisogno che me lo dicessi... Lo sento, siamo gemelli o no?".
Superato questo imbarazzo, mi rialzai e fu lei questa volta a sedersi sul copriwarter, allargò le gambe mostrandomi la prima peluria che le stava crescendo sul monte di venere, e vergognandosi un po' mi disse:
- "La prossima volta cercherò un rasoio per depilarmi... Sai, qui non lo fa nessuna... E poi è stato tutto così inaspettato...".
Era fantastica che al solo guardarla il mio membro si drizzò con prepotenza. La presi per il busto, e le dichiarai:
- "Quanto mi sei mancata! Sai, tua madre, quando sei partita mi costrinse ad andare a scuola lo stesso... Non è stata colpa mia se non ho cercato di fare qualcosa...".
E lei:
- "Lo so, la conosco bene, e conosco bene anche te... Ma adesso sbrighiamoci, tra poco torneranno tutte dalla passeggiata e mi cercheranno... Sai, sono già la pecora nera del collegio... Ahahah...".
Così, piegai le ginocchia, e senza più esitare la penetrai a pelle. Niente preservativo e niente pillola, ma poco importava tanta era la voglia di possederci.
Non appena fui dentro, la sentii strettissima, e le parole che mi aveva detto poco prima sulla fedeltà nei miei confronti mi parvero assolutamente superflue...
A quei tempi ci piaceva farlo con estrema lentezza, percorrendo tutta la sua cavità dall'ingresso al collo dell'utero.
Non ricordo più nemmeno quante volte affondai nella mia gemella, ma ricordo invece molto bene quello che accadde dopo...
Blanca, infatti, inaspettatamente, si tirò indietro sfilandomelo dal suo ventre.
Provai una delusione cocente per questa sua scelta che valutai come la "fine dei giochi", ma lei mi indicò palesemente il suo buchino più stretto, e con gli occhi sbarrati dalla libidine più estrema mi spronò:
- "Cla, visto che c'è ancora un pò di tempo, dobbiamo fare anche questo passo...".
Ci mancò poco che mi prendesse un colpo... Fino ad allora per me scopare voleva dire solamente la penetrazione per via vaginale, e le urlai quasi inorridito:
- "Oh no, Tati, no... così ti faccio male, non chiedermelo ti prego!!".
Ma lei fu irremovibile, e mi rispose con risolutezza:
- "Se ti rifiuti, vuol dire che in fondo non siamo proprio gemelli... Devi conoscere tutto di me... Non si può farne a meno...".

A quelle parole crollarono tutte le mie resistenze, e mi decisi ad assecondarla fino alla fine.
Ascoltai bene le sue "istruzioni", e bagnai il suo stretto sfintere con tanta saliva; le venne da ridere, perché quei massaggi le facevano il solletico, mentre io ci presi confidenza e piano piano misi dentro prima uno e poi due dita, indice e medio.
Mi guidò:
- "Adesso fermati un pò, così si allarga bene... Dopo di che, comincia a farle girare come se dovessi avvitare qualcosa...".
Obbedii diligentemente, e mi resi conto che aveva proprio ragione. La stretta iniziale aveva ceduto, e le dita si potevano muovere abbastanza comodamente.
Intanto, il tempo passava, e dovevamo deciderci... Così Blanca ordinò il passo successivo:
- "Bene... Sei stato bravissimo... Ora, però, togli le dita e inculami davvero... Senza paura, piano, ma stai tranquillo, vedrai che sarà ancora più bello che davanti... Siamo due porcelli, ma a noi ci piace, vero?".
Titubante nonostante i suoi consigli, appoggiai la cappella a quel forellino che mi pareva restringersi, e feci un pò di forza.
Contrariamente alle mie aspettative, mi accolse senza troppa fatica, esattamente come mi aveva accolto la sua padrona quando ci eravamo ritrovati, e cioè con piena disponibilità e pronto a darmi tutto il meglio di sé...
Mi inserii un altro poco, finché non giunsi alla corona del glande, e li tutto si bloccò. Tentai di proseguire, ma la mia fimosi cominciava a farsi sentire di nuovo, e il filetto stirato allo spasimo mi faceva male...
Non volevo deludere Tati, e quindi – ignorando le fitte di dolore – ripresi a spingere finché, giunto alla massima dilatazione, lei non emise un urlo:
- "Ahiiiiii... Bruciaaaa...".

Erano tre ore che stavamo chiusi in quella stanza, e all'improvviso la porta si aprì.
Nella foga del momento, forse Blanca non aveva dato le mandate di chiave, e davanti a noi si materializzò una suora monumentale che – vedendo la scena – si portò una mano alla bocca dallo sgomento.
Intanto, anche questa volta io ero ancora dentro, con il mio membro nel suo ano fino alle palle, mentre lei – beffandosi di quella presenza indiscreta – si toccava freneticamente il clitoride per godere meglio.
La reverenda madre, era stata messa sulle nostre tracce dalla spiata di un ragazzino che aveva provato un approccio "sentimentale" nei confronti di mia cugina ma da cui era stato drasticamente respinto...
Ci guardò, prima l'uno e poi l'altra, e infine si lasciò andare:
- "Oh, Maria Santissima... Sorelle, presto, correte... Madre Superiora!".
E si segnò ripetutamente con il segno della croce, come fosse in presenza del Maligno...
In un attimo, attorno a noi si ritrovò riunito tutto il collegio.
Blanca, si faceva gioco di quei falsi perbenisti dei professori, che in fondo avrebbero voluto con molto piacere unirsi a noi e che guardavano con cupidigia il suo bellissimo corpo, ed io – non riuscendo più a trattenermi – le sborrai nel retto...
Tutto era finito, o forse stava solo per cominciare...

Infatti, mentre io – ripresa la bici – stavo tornando mestamente a casa, la direttrice chiamò Tati e le disse:
- "Ma ti rendi conto? Sei lo scandalo della scuola... Farò chiamare tuo padre, insieme a quell'altro delinquente del tuo amico...".
Ma Blanca, risentita, non si lasciò per niente intimidire da quella prospettiva, e prontamente tenne botta:
- "Intanto non é un amico ma è il mio gemello, ma questo lei non lo può capire... E poi non è un delinquente, perché non abbiamo fatto nulla di male a nessuno... Noi siamo una cosa sola, e ne lei ne nessuno potrà mai farci nulla! Ci amiamo, tutto qua...".
Così, qualche giorno più tardi io, lo zio, la zia e Tati ci ritrovammo nell'ufficio della Madre Superiora. La quale esordì:
- "Caro brigadiere (zio infatti era nell'arma dei carabinieri), mi ha portato un diavolo in collegio, un diavolo! Pensi che l'ho sorpresa a fornicare con quell'altro demonio laggiù... E anche contro natura!".
A quel punto, Blanca si voltò verso di me (che ero alle sue spalle) e mi fece un sorrisino, strizzandomi l'occhio, come a indicarmi che tutto procedeva secondo il suo piano...
Quando poi finalmente la monaca ebbe terminato il suo sproloquio, fu la volta della zia a parlare:
- "Madre, io non so che dire, questi sono due pazzi... Posso solo domandare scusa a tutti... Lui (e indicò a me) è il meno colpevole, si fa sempre trascinare da questa – mi scusi la parola – puttanella da strada...".
Lo zio, a sua volta, attese con pazienza lo sfogo della moglie, e cercò come sempre di limitare i danni a nostro favore:
- "Vede, Reverenda Madre, sono ragazzi... Suvvia, che sarà mai stato... Saranno stati in preda a una tempesta ormonale... E' l'opera della natura, altro che diavolo: maschio e femmina li creò, ricorda?".
E concluse con una frase che nessuno di noi si sarebbe mai aspettato:
- "Non mi dica che lei non l'ha mai fatto...".
Era palese che quella era una frase studiata, tanto che poi guardò la figlia scambiando con lei un'occhiata di complicità.
A quel punto la religiosa, che aveva cercato di ottenere dallo zio una punizione esemplare per entrambi in cambio della permanenza di Blanca in collegio, balzò in piedi e in modo perentorio sentenziò:
- "Bene... Se è così, la ragazza non può più restare con noi... È fuori, riportatevela a casa!".
Era esattamente ciò che volevamo più di ogni altra cosa; certamente lo volevamo io e Tati, ma forse anche lo zio che – fin dall'inizio di quella assurda vicenda – non avrebbe voluto separarci.

Erano stati solo pochi giorni di lontananza, ma per noi si era trattato della più grande "tragedia" della nostra ancor breve vita...
L'unica ad averci perso la faccia era stata la zia, incapace di provare amore e compassione per la figlia e incapace di voler rimediare a un suo errore...

7. Ritorno a scuola.

Finalmente potevamo riprendere la nostra vita di sempre, a scuola ma soprattutto fuori, in casa, nella sua cameretta che era diventata la nostra stanza "a luci risse", la nostra alcova dove – cosa importantissima – sua madre non metteva più piede...
Ma il "pericolo" era sempre in agguato, perché sarebbe bastato che mio padre fosse venuto a sapere di quell'increscioso "incidente", che la nostra ritrovata armonia sarebbe andata in mille pezzi.

In mezzo ai nostri compagni di classe, mostravamo una maturità che loro non avevano ancora, eravamo diventati una coppia a tutti gli effetti, ci tenevamo per mano, pomiciavamo tranquillamente durante la ricreazione, fin tanto che – nell'anno che ci avrebbe portati all'esame di stato – ci trovammo a fronteggiare un'altro episodio che non avevamo calcolato...
Avevamo 19 anni, e Tati stava sviluppando alla grande, trasformandosi in una splendida farfalla: biondina con occhi color nocciola, non molto alta (1 metro e 65 cm. come me), fianchi abbondanti, un culone che ormai da un pezzo non passava inosservato, pancino leggermente accennato e due cosce da sballo che sopratutto d'estate si lasciavano ammirare da tutti, facendo letteralmente esplodere i miei ormoni e la mia gelosia di gemello...
Per di più, ai "piani alti" aveva delle tette incredibili, una quinta più o meno che nessun reggiseno riusciva a contenere adeguatamente, delle areole infinite e capezzoli che spingevano prepotenti su ogni tessuto che indossava...

Ebbene, con un fisico così, non passava giorno che qualche compagno, con una scusa qualsiasi, le si strusciasse addosso, cosicché io dovetti trasformarmi nella sua "guardia del corpo" personale per impedire certe sconcerie.

Una volta, però, uno di questi "galletti" si fece più ardimentoso del solito, e – mentre io ero stato appositamente distratto da un suo "compare" – le si avvicinò e le disse:
- "Ehi, bambola, non credi che è arrivato il momento di collaudare quei galleggianti?".
Tati non aveva certo bisogno di essere difesa e non le mancava la risposta pronta, e infatti gli rispose:
- "Tranquillo, che ho il mio collaudatore... Non mi serve uno alle prime armi che non mi saprebbe neanche far godere... Pensa a studiare che forse ti riesce meglio!".
Ma quello non si diede per vinto e tornò alla carica:
- "Non sai che ti perdi, troietta...".
Purtroppo per lui, io ero a breve distanza e avevo sentito tutto, tanto che in un passo gli fui alle spalle e lo afferrai alla stessa maniera in cui un puparo afferra una marionetta:
- "Tu, piuttosto, stai tranquillo che non ti perderai proprio nulla", gli urlai inferocito.
Aveva dato della troia alla mia gemella, nessuno se lo era mai permesso e quella bravata non potevo assolutamente lasciarla impunita.
Alzai il ginocchio e lo colpii proprio in mezzo alle gambe lasciandolo senza respiro. Non gli diedi tempo di riprendersi e continuai a colpirlo all'impazzata, sulla mascella, il mento, l'orecchio, finché non giunse un insegnante a dividerci e mi cacciò dalla classe.
Stavolta, era il turno di Blanca correre in mio aiuto. E, una volta tornata la calma, si avvicinò alla cattedra e spiegò al professore:
- "Non è giusto, Prof, mio cugino mi ha solo difeso, ha difeso il mio onore che lui aveva infangato: mi ha chiamata troia!".
Ma quello non volle sentire ragione... Tati allora se ne tornò al suo posto sibilando tra i denti:
- "Mierda, te he visto babear en mis pechos cuando estoy cerca de ti...".

Fui sospeso per una settimana, io avevo sbagliato, ma ad essere "punita" fu ingiustamente anche lei...
Non una punizione qualunque, ma una brutta vendetta di mia zia che non aspettava che l'occasione per saldare definitivamente il conto con entrambi. Una vendetta dal sapore di medioevo, ma che sarebbe stata molto peggiore di quella dell'altra volta...

8. Questo matrimonio s'ha da fare.

Era già da tempo che la zia stava meditando sul futuro di Blanca e andava dicendo (tra il serio e il faceto) che era ormai in età da marito.
- "Ma un marito serio, con la testa sulle spalle, non uno scavezzacollo come te", mi diceva sempre quando capitava il discorso...
Tati, ovviamente, non vedeva che me, come io non vedevo che lei, e le rispondeva sprezzante:
- "Nacimos juntos, y juntos será nuestro futuro... ¡Así que resígnate, mamá!".

Un brutto giorno, però, con uno squallido stratagemma – molto peggiore di quello di quando la spedì in collegio – le fece credere che sarebbero andate a trovare una parente in Colombia...
La zia prese Blanca, fece le sue valigie e con l'auto la condusse in aeroporto, ma anziché dirigersi verso i voli internazionali uscirono a prendere il volo per Verona. E lì la mia gemella capi immediatamente: sua madre l'aveva tradita, un'altra volta...
Non sapeva che cosa l'avrebbe aspettata, ma le venne un atroce sospetto, come un sesto senso. Così, puntò i piedi e piangendo le disse:
- "Basta de esta farsa... quiero saber a dónde vamos...".
Allora la madre, continuando a strattonarla per un braccio, non poté fare altro che confessarle la verità:
- "Una vez te dije que estabas en edad de casarte... Bueno, ha llegado el momento. Vamos a conocerlo. La ceremonia ya está programada para mañana. No, no digas nada, tu prima lo superará...".

E infatti, proprio in quei momenti, io sentii dentro di me una "voce", la solita voce pressante che mi diceva di cercarla, lei che era la mia perfetta metà.
Sentii che dovevo fare presto, prima che fosse stato troppo tardi... Lasciai perdere ogni cosa e mi ci buttai a capofitto, bussai alla sua porta fino a spellarmi le nocche delle dita, ma non trovai nessuno: zio era al lavoro, mentre quella strega mi stava "rubando" la mia gemella per la seconda volta in pochi anni...
Blanca, intanto, come una bimba riottosa, si mise a scalciare, buttandosi a terra; urlava così forte che per poco non attirò l'attenzione della Polizia aeroportuale. Scampato il pericolo, la zia la schiaffeggiò ripetutamente e le intimò:
- "No seas tonto, ten cuidado que si lo vuelas todo te arrepentirás...".
La mia gemella parve rassegnarsi, ma era solo una tregua momentanea...

Il viaggio fu tranquillo, e una volta sbarcate trovarono ad attenderle un uomo che pareva un gigante.
Più si avvicinavano, e più Tati aveva il cuore in gola che le batteva all'impazzata... Pensò, tra sé:
- "Dio mio quant'è brutto! Questo è un vero incubo... Non può essere vero... Ditemi che sto sognando... Diciannove anni con Tato e ora? È lui il mio destino, non questo...".
Giunte dinanzi a lui, l'uomo salutò la zia cercando di sembrare un essere civile, e questa ricambiò unendo la sua mano con la mano di Blanca, la quale stava per avere un crollo emotivo.
Anche di questo stato io ne ebbi una chiarissima percezione, come in telepatia, e svenni improvvisamente, proprio nell'istante in cui a Verona la mia gemella stava subendo la stessa sorte...

Firmino – questo era il nome del futuro sposo – soccorse prontamente la ragazza, e propose alla zia di portarla nella sua casa per farla riposare e riprendere i sensi. Quando si riebbe, Blanca si trovò davanti agli occhi ancora ciò che non avrebbe voluto vedere: quel maschio di quasi un metro e novanta per 100 kg di muscoli plasmati dal suo duro lavoro di camionista, pelato ma coperto di peli ispidi e ricci su tutto il corpo...
Al suo confronto, Tati sembrava un fringuello appena uscito dall'uovo; era ancora scossa quando inaspettatamente quella montagna umana parlò:
- "Devi stare tranquilla, mia cara, perché d'ora in poi io mi prenderò cura di te...".
Detta così, più che una promessa rassicurante sembrava una minaccia da cui era impossibile sfuggire...

Tutto era pronto, e al momento stabilito un prete compiacente celebrò il rito senza fare tante storie. Mentre suo marito stava pronunciando la fatidica frase, lei rivedeva tutta la sua vita passarle davanti, e "vedeva" me, il suo gemello, che la cercava... Per poco non urlò, allungando le mani verso un fantasma inconsistente:
- "Tato, sono qui... Vieni a prenderni...".
Finita la cerimonia, la zia pareva soddisfatta, soprattutto perché aveva "sistemato" il suo "problema" che si trascinava da quasi vent'anni...
I novelli sposi accompagnarono in giornata la neo suocera all'aeroporto, perché aveva fretta di fare rientro a Roma, ma prima di lasciarsi Blanca sputò un'ultima stilla di veleno contro sua madre:
- "Lo pagarás, si yo tuviera que esperar mil años... Resígnate, esto es una farsa, quiero a Cláudio, y lo hice a toda costa... Él no se resignará, como lo hizo cuando tú me envió a un internado... Ellos nacen con él y con él dejaremos este mundo juntos...".

9. L'anello debole della catena.

Intanto i giorni passavano, e con i giorni i mesi, e lo struggimento non ci dava tregua, ci stava consumando, portandoci dritti verso un sicuro esaurimento nervoso.
Ma quell'anno portò con sé un'altra prima volta: quella del primo compleanno – il ventesimo – "festeggiato" senza l'altra metà accanto, e tutto questo grazie alla perfidia di quella madre-matrigna.
A ciò si aggiunse anche quello speciale "sentire", percui io non riuscivo più a far nulla senza percepire palpabile la sua infelicità: era come se la vedevo, e ogni notte mi veniva in sogno con i nostri momenti più spensierati...
A un certo punto non ce la feci più e decisi di "attaccare" l'anello più debole della catena: lo zio.

Inizialmente cercò di sviare il discorso, ma poi anche lui ebbe un crollo emotivo e mi parlò con il cuore in mano:
- "Claudio, ascolta, Blanca mi manca anche a me moltissimo... La zia è ormai fuori controllo, sembra impazzita, vediamo di aiutarla noi due... Ma dobbiamo andarci piano, perché uno sbaglio potrebbe essere fatale per tutti. Ora ti dico una cosa, ma nessuno deve sapere che te l'ho detta: la tua gemella è a Verona, dove quella pazza l'ha fatta sposare, ma contro la sua volontà, quindi credo che il matrimonio potrebbe tranquillamente essere annullato... Ad ogni modo, sarà più facile per te ritrovarla... Vai e fammi sapere".
Restai attonito per quella notizia così terribile. Non potevo crederci, le nostre speranze di una vita insieme erano andate in pezzi... Replicai:
- "Ma come ha potuto fare una cosa tanto cattiva? È un mostro... E adesso, cosa posso fare io?".

Lo zio non mi disse più nulla, ma mi fornì l'indirizzo, ed io non persi tempo e decisi di scriverle immediatamente...
Anche quello era un rischio: E se la lettera fosse finita nelle mani del marito? Ma dovevo farlo, ora o mai più... Non potevo vivere il resto della mia vita nel rimpianto di non aver lottato per riprendermela. In una parola, non volevo vivere senza di lei... Presi carta e penna e buttai giù ciò che mi diceva il mio cuore:
- "Cara gemella, vita mia, sangue del mio sangue, come vedi anche questa volta tua madre non è riuscita a strapparci dai nostri cuori come avrebbe voluto. Siamo nati in un solo respiro, e senza di te mi manca l’unico motivo per andare avanti... Non ti chiedo come stai perché già lo so, e perché anch'io sto allo stesso modo. Per la seconda volta in pochi anni ci ha separati fisicamente, e non nascondiamoci che stavolta sarà dura, molto dura tornare insieme... Ho saputo di quello che ti è successo solo pochi minuti fa da zio, al quale manchi quanto manchi a me. Ma è possibile che ci capiti tutto questo? Spero solo che tuo marito almeno ti rispetti come meriti, ma ciò non cambia per me le cose. Ci dobbiamo vedere, a tutti i costi, fammi sapere come è meglio, ed io ti raggiungerò anche in capo al mondo. Stanne certa, il tuo Tato non ti abbandonerà mai".

E dopo circa una settimana ricevetti la sua risposta... Trepidante, mi chiusi nella mia cameretta e cominciai a leggere:
- "Tato mio, è difficile mettere insieme le parole senza piangere, ma voglio innanzitutto dirti grazie. Ero certa che prima o poi saresti venuto a cercarmi, e non voglio mentirti; perciò, ti dico che questa tua "presenza" mi fa sentire meno sola. In questi primi tempi, Firmino – mio marito, pensa che nome ridicolo – mi ha costretta a quelli che lui chiama "doveri coniugali". Mi ha fatto fare di tutto, ma senza quella dolcezza che c'era tra di noi... Questo macigno, mio caro gemello, lo dovremo portare da soli: non dire niente a mio padre, che se lo sapesse ne morirebbe dal dolore. Insomma, se questo è l'inizio, credo che non potrò resistere per molto... Ma ora veniamo al lato positivo; non so se te lo hanno detto, mio marito fa il camionista, e in questo periodo sta lontano da casa dal venerdì al martedì successivo... Anch'io credo che dobbiamo vederci, toccarci, respirarci... Devi venire SUBITO da me, e quando ciò avverrà sarai per tutti (come poi è) "solo" – che Dio, che ci ha fatto nascere insieme, ci perdoni – mio cugino. Sento un immenso bisogno di te... Pensa: potremo stare insieme per tutto il fine settimana! Ti aspetto con ansia e ti abbraccio, tua Tati per sempre".

FINE I PARTE

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