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Morbosa Corrispondenza – Capitolo 14 –Parte 1


di milflover95
02.02.2025    |    137    |    0 8.7
"” Mena lo guardò per un attimo, poi abbassò lo sguardo, come se stesse cercando di riflettere su quelle parole..."

Lia

Le dita di Lia, nervose e irrequiete, arricciavano una ciocca di capelli dopo l’altra mentre fissava la figura di suo padre Sergio che si stagliava contro la luce della cucina.

Non lo vedeva da mesi. L’ultima volta che l’aveva salutato all’aeroporto sembrava tranquillo, quasi come se si fosse sfogato da poco.

Cos’era successo nel frattempo?

Lia incrociò le braccia, le dita strette a pugno, le unghie che affondavano nei palmi; lo esaminò con calma e notò la barba lunga, i vestiti macchiati e l’assenza di valige; lo sguardo di Sergio era scavato e stanco.

Lia lo fissò negli occhi azzurri e freddi, così identici ai suoi, cercando uno spiraglio di dispiacere. Invece vi trovò solo stanchezza e una scintilla di oscura ostinazione.

“Non hai pensato di chiamarmi almeno una volta?” Chiese Lia con un tono tagliente.

Sergio sospirò, poggiandosi al tavolo con le mani e stringendone il bordo come se volesse ancorarsi a quella superficie.

La sua voce rimase calma, quasi flebile.

“Lia, io… non è stato semplice.”

“Cosa? Sparire? Nessuno mi ha saputo dire cosa cazzo fosse successo dopo la mia partenza!” Si accorse di aver quasi urlato.

“Fammi spiegare, ti prego!”

“Cosa vuoi spiegare? Non sono stupida. Hai litigato con mamma, vero?”

“Non era difficile immaginarlo, in effetti”. Rispose Sergio, caustico.

“Perché?”

“Per te.”

“Me?”

“Abbiamo discusso sul tuo futuro, ma la verità è che sei stata solo il pretesto di quel litigio. Era da tanto che desideravo abbandonare quello schifo di posto”.

“Vedi la differenza tra me e te, Papà? Io non sono scappata, l’ho affrontata. E adesso la mamma mi ha cacciato di casa.”

“Perché?”

“Poi ti spiego..Non cambiare argomento. Resta il fatto che non hai avvisato nessuno della tua partenza.”

“Non ero lucido. Sono andato via, ho passato un periodo turbolento, ho provato a distrarmi.”

“Distrarti?”

Lia trasalì, la rabbia montandole nel petto come un’onda pronta a infrangersi contro una diga fragile.

“E adesso?” Urlò, piegata in avanti, sfidandolo con lo sguardo.

“Adesso ti sono finiti i soldi, vero? È per questo che sei qui! Perché vuoi che convinca la mamma a riprenderti!”

Il padre deglutì, lo sguardo chino per un istante, prima di tornare a guardarla con un sorriso sardonico.

“Sì, sono al verde.”

Ammise con un cenno del capo.

“Ma non penso nemmeno per un secondo di tornare giù. Questo no.”

Lia scosse la testa incredula. “E come hai fatto a trovarmi? Non ti sei mai interessato a dove fossi.”

“Mi sono ricordato di questa casa. Tua madre l’aveva già adocchiata per te. Sono venuto qui a cercarti…”

“Per quale motivo?”

“Per chiederti un posto dove dormire, tutto qui. Non ho nemmeno i soldi per un ostello.”

Lia lo guardò con occhi freddi, le mani che si chiudevano a pugno.

“Ti prego.. Lia..”

La tentazione di cacciarlo fuori le vibrava dentro, una scintilla di orgoglio ferito che pulsava con ogni battito del cuore. Anna avrebbe saputo cosa fare. Lei lo sapeva sempre. Forse stava facendo una sciocchezza, ma il riflesso lucido nei suoi occhi, quel baluginio vulnerabile che non aveva mai visto prima, le fece tremare il cuore.

“Solo finché non avrai trovato un lavoro. Va bene?”

Sergio sorrise, sollevato.

“Grazie.. Mi dispiace di non averti avvisato della mia partenza, biondina. Tu sei l’unica a cui avrei voluto dirlo. Degli altri non mi interessa nulla.”

Lia sbuffò, innervosita: “I miei fratelli sono anche tuoi figli, ti ricordo. Lo avrebbero meritato tanto quanto me!”

Sergio scosse la testa, con un sorriso sprezzante che si trasformò in un cenno di disapprovazione. “Quei due sono sette spanne sotto di te. Lo sai anche tu. Sei sempre stata l’unica degna di rispetto. L’unica con cervello, con grinta. Il resto…”

“Basta!”

Lo interruppe, con voce indignata. Una parte segreta e scomoda del suo cuore si riscaldava al suono delle sue parole. Anche se era arrabbiata per quello che suo padre diceva, sentirsi scelta, speciale, le dava una soddisfazione che non voleva confessare nemmeno a sé stessa. Il peso del silenzio calò di nuovo tra loro, pesante come una coperta umida. Lia si strinse le braccia attorno al corpo, il cuore che le martellava nel petto.

“Scusa.. però l’ho sempre pensato, tutto qui.”

“Va bene..”

Perché arrabbiarsi? Dopotutto, anche lei era andata via di casa, esiliata da una madre incapace di tollerare chi non obbediva alle sue regole rigide. Erano due naufraghi alla deriva nello stesso mare. Sergio la fissava ancora, con quello sguardo che cercava di scavare dentro di lei, fragile e ostinato allo stesso tempo.

“Ti stai lasciando crescere i capelli? Ti stanno bene. Basta col caschetto! Alla tua età avevo una bella chioma bionda!”

Disse suo padre, sorridendo.

“E tu invece?” Lia lo osservò, trattenendo un sorriso. “Questa barba lunga e grigia ti sta malissimo. Dovresti raderti. Sembri un senzatetto.”

Sergio si portò una mano al mento, sfiorando la barba ispida con le dita lente.

“Davvero? Pensavo mi desse un’aria più vissuta.”

Lei sbuffò, alzando gli occhi al cielo, ma un accenno di risata le sfiorò le labbra. Gli indicò il corridoio. “La camera degli ospiti è in fondo, accanto alla mia. Puoi usare il bagno di servizio di fronte.”

Si chiese come stessero i suoi fratelli e se dovesse dire loro questa novità. Meglio di no. Sua madre avrebbe tramato qualcosa.

Forse lo avrebbe detto ad Anna. Fece una pausa, lo sguardo indurito, la voce che si abbassava roca: “vedi di non farmi pentire di questa convivenza.”



Anna

Dieci anni prima.

La febbre la consumava, il suo corpo intrappolato in un torpore che la estenuava e intorpidiva.

Anna era piccola ma ricordava quel malanno come se fosse ieri; distesa sul proprio letto, faticava a stare in piedi e le bruciavano gli occhi, il sudore le bagnava la fronte e i capelli neri, colandole lungo le tempie in rigagnoli caldi.

La porta di camera sua si aprì, piano. Suo padre Luigi entrò con una valigetta nera che odorava di disinfettante.

“Come sta la nostra malatina?”

Chiese Luigi con un lieve sorriso, come se stesse parlando a una paziente appena conosciuta. La voce era gentile ma distante, le parole calibrate con precisione, quasi fosse impegnato in una conversazione formale. La piccola Anna sentì il cuore stringersi. Avrebbe quasi voluto vederlo in apprensione.

Si sedette accanto a lei e il materasso scricchiolò per un istante a causa dell’aumento di peso. Aprì la valigetta e tirò fuori degli strumenti ordinati con cura: il termometro, lo stetoscopio, una piccola torcia. Prese il termometro, lo agitò con colpi secchi e lo infilò delicatamente sotto l’ascella di Anna.

Mentre aspettavano, le sollevò una palpebra per controllare gli occhi. Il suo tocco era leggero, quasi impercettibile. Le sfiorò la fronte con il dorso della mano, freddo e asciutto.

“La febbre è alta.” Disse lui, con un tono neutro, leggendo il termometro.

“Trentanove.”

Poi le prese il polso della piccola Anna, le dita premute contro la pelle sudata, contando i battiti con attenzione.

La piccola osservò il viso di suo padre, cercando invano un segno di preoccupazione o di tenerezza.

Prese lo stetoscopio, il freddo metallo la fece rabbrividire quando lo posò sul petto. “Respira profondamente”. Lei obbedì, il respiro si spezzò in piccoli colpi di tosse che lui ascoltò, annuendo.

“Stai migliorando, ma serve riposo e molti liquidi.”

Concluse suo padre, richiudendo la valigetta con un movimento controllato.

Anna, ancora febbricitante, lo guardò con occhi lucidi e spiritati. Un desiderio improvviso le scoppiò nel cuore: madida di sudore, si sollevò a fatica, tendendo le braccia verso di lui e chiedendo un abbraccio.

“Papà?”

Vide suo padre irrigidirsi e indietreggiare appena, alzando una mano tra loro.

“Meglio di no, tesoro. Potrei prendermi anch’io l’influenza.” Disse con un sorriso incerto, evitando lo sguardo della piccina.

La piccola Anna si distese nuovamente sul letto, il cuore stretto da una morsa di delusione che sembrava quasi fisica. Non disse nulla, dopotutto c’era abituata. Quella notte si accorse che le lacrime le pizzicavano gli occhi, calde sulla pelle sudata.



Teodora

Il dirigente scolastico aprì la porta del suo ufficio con un sorriso gentile e un cenno benevolo.

“Buongiorno signora Teodora, grazie per essere venuta.”

“Buongiorno, cosa voleva dirmi?”

Il preside, spiazzato, le fece segno di sedersi e iniziò a parlare, sorridendo.

“Spero che la messa di ieri sia stata di suo gradimento. Don Ugo ha parlato di continenza e temperanza, temi molto importanti, vero?”

Teodora, insaccata nel suo completo scuro, annuì.

“Sì, davvero interessante. Mi ha convocata per parlare della messa?”

Il preside, mantenendo un tono affabile, anche se più serio, si fece più diretto.

“Parole sempre preziose, soprattutto per i ragazzi di oggi. Purtroppo devo parlarle di un comportamento di suo figlio Alessio che non è stato propriamente in linea con questi principi di continenza.”

Teodora, sorpresa, lo fissò dritto degli occhi.

“Cosa intende dire?”

“Beh...” il preside fece una breve pausa, cercando le parole giuste. “Alessio, ultimamente, ha avuto dei comportamenti piuttosto disturbanti. Soprattutto verso le compagne di classe, se mi capisce”.

“È normale, è un ragazzo molto vivace. Una volta, i ragazzi corteggiavano le ragazze. Ha presente?”

“Ho presente, signora. Ma Alessio non ha corteggiato nessuna.”

“E che avrebbe fatto? Sentiamo.”

“Il personale scolastico lo ha visto mentre..”

“Mentre..?”

“Praticava la.. masturbazione sulla biancheria intima di alcune compagne durante l'ora di educazione fisica. Nello spogliatoio.”

Le orecchie di Teodora ronzavano, come se un brusio lontano la stesse deridendo.

Non era stato Luca a fare quelle porcherie.

Un brivido le percorse la schiena.

Il preside, notando la sua distrazione, la chiamò.

“Signora?”

Teodora si risvegliò di colpo e, un po' confusa, disse solo: “e adesso?”

“Il comportamento di Alessio è stato abbastanza serio da rischiare una sospensione. Ha mai valutato la possibilità di farlo supportare da uno psicologo?”

“Capisco.” Rispose, terribilmente preoccupata. Suo figlio non era matto.

“Apprezzo l’aiuto, signor Preside. Le assicuro che non si ripeterà. Spero che la cosa finisca qui, senza sospensioni.”

Il preside sorrise, leggermente insinuante.

“Siamo qui per aiutarlo. E, ovviamente, apprezziamo molto il suo sostegno alla scuola. Le donazioni che ha fatto sono state fondamentali per il miglioramento della nostra struttura.”

Teodora lo fissò, mascherando il proprio sollievo. Avido Ruffiano, era solo una questione di soldi. Come sempre.

“Spero che la scuola possa continuare su questa strada visto che intendo raddoppiare il mio contributo. L’istruzione prima di tutto.”

Il preside si schiarì la gola, quasi imbarazzato, preparandosi a replicare, poi cambiò idea e si limitò ad annuire.

Teodora si alzò per andarsene, una macchia nera che ondeggiava in una scuola grigia.



Mena

“Padre..”

“Eh…”

“Dai! Con questo entusiasmo, mi fai sentire una scocciatrice!”

“Scherzo, lo sai. Vorrei che tutte le mie parrocchiane fossero come te.”

“Disperate?”

“Stavo per dire “appassionate”, però credo che ci siamo capiti.”

“Grazie..”

Don Marco la guardò con calma e Mena si vergognò di essere meno curata del solito. Tuta e scarpe da ginnastica. Un’immediata sensazione di imbarazzo la colpì, anche se si trattava di un prete. In fondo era stato un periodo difficile e, a volte, l’aspetto esteriore doveva passare in secondo piano.

Sedendosi accanto a lei sulla panca, Don Marco le fece un cenno bonario, invitandola a parlare. “Dimmi pure, cara!”

“Ecco, io... vorrei sapere quale sia la posizione della Chiesa sui rapporti extraconiugali.”

Il prete sospirò, come se la domanda non fosse inaspettata. “La Chiesa è chiara su questo punto, Mena. I rapporti extraconiugali sono considerati.. molto male, perché vanno contro il sacramento del matrimonio.”

Mena annuì, ma la sua espressione non cambiò. “Ipoteticamente, sarebbero vietati anche se quella persona.. vivesse un momento complicato e pieno di dubbi?”

Don Marco sorrise, con un velo di malinconia. “Purtroppo, non sono io a fare le regole. Se dovessi essere sincero, direi a una buona credente di non tradire. E, se posso aggiungere, soprattutto se il marito stia attraversando un momento di difficoltà...”

Mena lo guardò per un attimo, poi abbassò lo sguardo, come se stesse cercando di riflettere su quelle parole. “Ho provato a seguire il tuo consiglio, a fare palestra. Ma, in realtà, è stato ancora peggio.”

Don Marco sollevò un sopracciglio, visibilmente sorpreso. “Davvero? Come mai?”

Mena sorrise amaramente. “È stato solo un altro modo per farmi sentire ancora più insoddisfatta. Te lo dico sinceramente, in palestra ho pensato di tradire mio marito Roberto. Sono una donna, ho dei bisogni, va bene?”

Don Marco la fissò, incuriosito. “E allora, perché non l'hai fatto?”

“Perché non sarebbe stato giusto! Roberto è lì, steso in un letto, senza coscienza, e io sono preda delle mie voglie, come se fossi una ragazzina in calore. In palestra ho avuto la soluzione a tutti i miei problemi a pochi passi da me e non l’ho colta per questi stupidi sensi di colpa!”

Mena alzò leggermente la voce, sollevata di aver confessato un momento così intimo al prete e, allo stesso tempo, timorosa di ulteriori domande sull’episodio di Valerio.

Per fortuna, Don Marco non volle approfondire.

“Sai, cara Mena, a volte pensiamo che certi rimedi possano essere la soluzione, ma poi ci accorgiamo che non risolvono nulla.” Disse don Marco, rassicurante .

Mena sembrò voler dire qualcosa per sfogarsi, ma si trattenne. Guardò il pavimento della sagrestia, con uno sguardo che tradiva una confusione interiore che non voleva mostrare.

“Cosa posso fare allora?” Chiese, con una voce che tradiva tutta la sua frustrazione.

“Mi sento così... persa, come se non ci fosse via d'uscita. Se tutti i miei valori mi dicono che devo rimanere fedele, ma il mio corpo mi spinge da un'altra parte... dove posso andare? Qual è la soluzione?”

L’espressione del prete si fece più seria, come se stesse cercando la giusta risposta. Il suo tono fu pacato, ma decisamente fermo.

“Mena... mi piacerebbe poterti dare la soluzione che cerchi, ma è qualcosa che va cercato dentro di te. La Chiesa non offre risposte facili, perché la vita spirituale è fatta di privazioni.”

Non c’era soluzione, quindi. Bene.

“Non so più che fare con... con me stessa. È un continuo tormento.” Disse Mena, quasi singhiozzando.

“Non piangere.. Una soluzione ci sarebbe.”

Mena alzò un sopracciglio, interessata. “Quale?”

Don Marco la guardò con attenzione, poi, senza distogliere lo sguardo, proseguì.

“Premessa. Non è una vera e propria soluzione. Diciamo che è un palliativo, però è l’unico modo che vedo per aiutarti con le tue.. voglie.”

“Le mie.. voglie?”

“Non è il massimo dell’ortodossia, ma..”

Per un istante Mena pensò che il prete si stesse proponendo come “amante volontario” e il pensiero la fece sorridere. E, inaspettatamente, eccitare.

“Non capisco, Don. A cosa ti riferisci?”

“Beh, credo che tu lo abbia intuito.. o sbaglio?”

“È quello che penso?”

“Se te lo chiedessero, io non ti ho proposto nulla. Però, se proprio tu non riuscissi a resistere..”

“Don.. lo faresti davvero per me?” Sussurrò Mena, stringendo le cosce e scoprendosi bagnata. Quella conversazione stava diventando decisamente interessante.

L’occhiata interrogativa di Don Marco le fece comprendere l’equivoco: “Aspetta.. Guarda che mi riferivo a.. fare da sé! ..”

“Ah! La masturbazione?” Che figura, pensò Mena. L’astinenza le stava bruciando la mente.

“Sì! Che avevi capito?”

“Eh, non ero sicura!”

Don Marco proseguì, il volto paonazzo, in un lungo discorso dottrinale. “In realtà la Chiesa ha una politica rigorosa contro la masturbazione”. Mena non poté evitare di sospettare che il bel prete avesse un’erezione ben nascosta dall’abito talare e stesse cercando di farsela passare.

“Per la Chiesa è un atto comunque sbagliato che distoglie la persona dal vero amore e dalla sua relazione con Dio. Però..”

“Però?” Chiese Mena, le gote arrossate.

“È meglio dell’infedeltà..”

“Capisco. Sbaglio o il mio confessore mi ha appena suggerito di masturbarmi più spesso?”

“Mena..” Il prete scosse la testa, chiudendo gli occhi.

“Scusa! Scherzavo!” Ridacchiò la donna.

“Non è la soluzione che volevi. È un palliativo per tenere a bada i sensi. Nell’attesa che le cose migliorino.”

“E se non dovessero migliorare?”

“Il punto è che dobbiamo imparare a governare le nostre inclinazioni, a non lasciarci dominare da esse. La via della fede non è una strada facile, ma è l’unica che porta alla vera pace.”

“Ma cosa succede a chi non riesce a seguire questa via? A chi non ce la fa?” Chiese Mena, la voce bassa.

Don Marco le si avvicinò. “Quello che succede è che la persona deve chiedere aiuto, Mena. Quando vorrai parlare, saprai che sono sempre qui.”

Mena sospirò. Non riusciva a capire se quelle parole fossero una salvezza o una condanna.
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