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Morbosa Corrispondenza - Capitolo 10


di milflover95
10.09.2024    |    4.795    |    0 7.7
"Scrollò le spalle, riscuotendosi dai pensieri..."
Lia

“Sydney..”
“Luchino, come ti senti?”
“Sei tu?”
Lia avrebbe voluto sorridergli, rassicurarlo.
Steso nel letto di ospedale, suo fratello Luca balbettava frasi senza senso; coperto di bende, era uno spettacolo triste, continuava a bofonchiare frasi sconnesse.
Lia avrebbe voluto sorridergli ma era sconvolta per la scena a cui aveva assistito e non riusciva a mantenere la calma; le pareva di tremare impercettibilmente e di avere ancora le mani doloranti per la colluttazione con sua madre Teodora.
La loro folle madre.
Cosa era scattato in quella mente contorta? Perché aveva aggredito in quel modo il suo stesso figlio? Non aveva voluto dirlo, aveva solo urlato che lo faceva per il suo bene e che lui sapeva il motivo.
Teodora era seduta vicina a loro, serena come un monaco tibetano; li fissava annoiata, distaccata come se avesse portato suo figlio in ospedale per un ginocchio sbucciato.
Come se non fosse stata lei a ridurlo in quello stato.
Come se quel paziente non fosse suo figlio, sangue del suo sangue. Carne frustata dalla sua carne.
Lia provò ad abbozzare un sorriso e si rivolse a Luca: “quando starai meglio ci faremo un bel viaggio in Australia, che ne dici?”
Luca aprì gli occhi, sembrò tornare lucido e le rispose, inaspettatamente allegro: “con te andrei ovunque, lo sai.”
“Scemo. Come ti senti?” Disse Lia, rincuorata.
“Meglio, solo un po' dolorante”.
In quel momento entrò l’infermiera. Era una bella ragazza, castana, trentenne, piuttosto vivace.
Non ricordava il suo nome. Marzia?
“Come sta il nostro malatino?” disse l’infermiera nel cambiargli la flebo.
“Bene, grazie mille signorina”.
L’infermiera sorrise a Luca. C’era qualcosa di molto materno e rassicurante in lei, un’evidente voglia di complicità.
“È il mio lavoro. Ti prego Luca, dammi del tu. Solo Marta, per te!”
Marta, giusto. Era proprio una bella ragazza, anche se non reggeva il confronto con Anna; anche se probabilmente sotto quel camice aveva un bel seno.

Ma che stava dicendo?
Confronti e pensieri inopportuni in quel momento.
L’emozione le tirava brutti scherzi.
“Luca, penso tu ci debba dire come ti sei fatto questi graffi su tutto il corpo. Sei stato aggredito?” Aggiunse Marta, improvvisamente seria.
Lia non disse nulla. Avrebbe voluto spiegarglielo, urlare al mondo intero che era colpa di sua madre, che l’aveva frustato, coperto di sale, umiliato.
Chiuse gli occhi e tacque, in attesa che Luca raccontasse tutto.
Lia ripeté a sé stessa che taceva solo per avere un quadro chiaro di quello che era successo, per capire le ragioni di quell’aggressione.
In realtà era paralizzata dall’indignazione.
E gli occhi di Teodora, fissi su di lei, non la aiutavano a ragionare meglio.
Luca rimase spiazzato dalla domanda, iniziò a balbettare e a guardare Lia.
“N-n-n.. non lo so, credo sia stato u-u-un incidente..”
“Un incidente?”
Un incidente? Suo fratello era impazzito? I farmaci lo avevano stordito?
“S-s-si..”
Il sorriso di Marta divenne quasi impercettibile e con un tono indagatore l’infermiera rispose: “quale incidente ti riduce pieno di abrasioni, la schiena e le braccia come un puzzle?”
Esatto, di che incidente parlava?
“Se sei stato aggredito, dovresti sporgere denuncia”.
Giusto.
“È stato un incidente, sono caduto”.
“Caduto?” Chiese Marta, incredula.
Caduto? Lia fissò suo fratello Luca e lesse nei suoi occhi la paura.
“Sì, passeggiavo in campagna e.. sono inciampato su un grosso cespuglio di rovi. Mi sono graffiato a causa di tutte quelle spine”.
Marta scosse la testa: “sicuro? Un incidente? Rovi?”
“Assolutamente. È stato un incidente. Solo dei rovi.”
Teodora taceva e a Lia parve di catturare un ghigno impercettibile sulle sue labbra.
Impercettibile per chiunque altro.
Marta schioccò le labbra, stavolta con un tono amaro: “rovi salati?”

Luca non disse nulla.
“Voi potete confermare?” Chiese Marta rivolgendosi a Lia e a sua madre.
Teodora fece spallucce e disse con tono freddo, metallico: “sarà andata così. Mio figlio è un po' sbadato”.
Lia fissò sua madre. Assurdo. Non poteva passarla liscia. Stava per gridare qualcosa, quando sentì la mano di Luca stringerle la sua e i suoi occhi imploranti su di lei. Suo fratello aveva paura. Come dargli torto?
Anche se li aveva cresciuti in una specie di casa monastero, Teodora non era mai stata fisicamente violenta fino a quel momento.
Per la prima volta avevano subito un abuso familiare e suo fratello era terrorizzato al pensiero di ammetterlo.
Marta la fissava e Lia la guardò cercando di mantenere la calma. Aveva la nausea. Prese un bel respiro e si limitò a scrollare le spalle; lasciò piano la mano di suo fratello e mormorò solo: “non so perché sia successo”.
Poi, disgustata, Lia uscì dalla stanza. La vista di sua madre in quel momento le era intollerabile, come un serial killer tornato sul luogo del delitto.

Toni
Suo padre Roberto continuava a non riprendere i sensi. Rimaneva lì, steso su quel letto di ospedale ed esanime da far male al cuore.
Di solito sua madre Mena veniva con lui a trovare Roberto, stavolta aveva preferito andare in chiesa.
Probabilmente voleva pregare o rimanere un po' sola.
Toni non sapeva bene che pensare di questa “conversione” di sua madre. Non era mai stata molto religiosa in passato, tuttavia in quelle circostanze era perfettamente normale cercare conforto ovunque potesse.
“Ciao papà, tornerò presto”. Disse Toni e gli baciò la mano.
L’orario di visita non era ancora finito ma Toni ne approfittò per passare a trovare suo cugino Luca, povero diavolo malridotto.
Vide fuori dalla stanza Alessio, il fratello di Luca, ciondolante e annoiato come al solito.
Scambiarono alcune parole e Toni cercò di rassicurarlo.
“Tranquillo Ale, secondo me non è nulla di grave, Luca starà benissi..”
Toni si interruppe.
Guarda chi si vede.
La sua pessima fidanzata.
Leggera come una foglia, Anna entrò nel reparto e iniziò a cercare tra le stanze.
Ma com’era vestita? Felpa e tuta, senza trucco, sguardo un po' assonnato. Aveva fatto serata?
Le fece segno col braccio, Anna sorrise vedendoli e li raggiunse di corsa.
“Ciao amore!”

Si avvicinò a Toni per baciarlo e salutarlo, ma lui si scansò, scocciato.
“Noi dobbiamo fare i conti. Ieri sera sei sparita. Non mi hai più scritto nemmeno un messaggio”.
“Scusa, hai ragione. Io e Lia abbiamo bevuto un paio di drink e avevo la testa pesante, mi sono addormentata come un sasso”.
“E oggi ti presenti qui in ritardo?”
“Ma intanto sono qui!”
“..E trasandata, peraltro! Chi ti credi di essere, Rose Villain?”
Anna rise.
“Qualcuno dice che un po' le somiglio, forse dovrei tingermi i capelli di blu. Però io canto meglio, non trovi?”
Era sempre così strafottente, non la sopportava quando faceva così. Avrebbe voluto risponderle per le rime ma, senza dargliene tempo, la mora iniziò a canticchiare:

“Torna a casa presto e fai la brava
Non fare quella faccia, sembri sempre arrabbiata
Da come balli penso, "Che maleducata"
Andiamo a un funerale, mica ad una sfilata”

Aveva una bella voce, era indiscutibile: limpida come il mare in estate. Ma non era il momento di cantare.
“Va bene, Anna. Ne riparliamo dopo”. Disse Toni, brusco.
Lei però non smise, sorniona. Anzi, tirò fuori un acuto sorprendente:

“So che non sono facile
Il mio segno è bad bitch, ascendente fragile”

Alessio la fissava affascinato, il ragazzo pendeva letteralmente dalle labbra di Anna e non sembrava curarsi del felpone ma solo di spogliarla con gli occhi.
Toni aveva sempre considerato suo cugino minore come un bimbo, il pensiero che provasse desiderio per la sua fidanzata lo innervosì.
Tredicenni, tutti segaioli.
Forse non è giusto sgridarlo, pensò tristemente Toni. Da qualche settimana aveva riscoperto il gusto di “fare da sé “ e non era nella posizione giusta per lamentarsi. Dopotutto, lui faceva lo stesso. Più volte. Con tanti video porno. Alexis Fawks. Brooke Barclays. Reagan Foxx. Jennifer Wwhite. Shay Sights. Penny Barber. Eccetera. Tutte attrici accomunate da una sigla. MILF. Mother I'd Like to Fuck. Madre che mi piacerebbe scopare. Gusti innocenti, categorie di porno molto comuni.
Si riscosse guardando Alessio che fissava Anna, stregato. In effetti la sua fidanzata era proprio bella, anche senza trucchi e orpelli. Tanto bella quanto inopportuna.
“Sei simpatica come un dito dove dico io, finiscila”. Disse Toni, atteggiando il volto a una smorfia di sdegno.
Strinse i pugni. Anche Anna dovette accorgersi dell’interesse di Alessio perché gli sorrise a sua volta arricciando appena le labbra e continuò a cantare:

“Sbatti la porta ma se l'aprirai
Entriamo io, me ed altri guai”

Toni sbottò, in collera. “Basta! Va bene! Hai fatto il tuo show. Siamo in ospedale e ho due parenti ricoverati, la smetti?”
“Va bene amore, scusa.” Disse Anna, di colpo glaciale.
Toni prese Alessio per un braccio, guardandola appena.
“Io e Alessio entriamo in stanza a salutare Luca. Tu vai a farti un caffè, almeno ti svegli e ti eserciti a cantare mentre sei al distributore”.
E le voltò le spalle, risentito. Avrebbe voluto che sua madre Mena fosse lì, lei sapeva sempre cosa dirgli per calmarlo, per farlo stare bene.

Mena

Ancora stupita di aver mancato una visita a suo marito Roberto per salutare don Marco, Mena entrò nella piccola chiesetta.
Cosa avrebbe potuto dirgli? Sarebbe stata una conversazione paradossale: “Grazie don Marco, i suoi consigli mi hanno spinta a diventare una content creator di roleplaying. Cosa fa una content creator? Si fa pagare per masturbarsi assieme a sconosciuti nel corso di conversazioni online. Non svenga, la prego!”
Mena sospirò, gustando il fresco della chiesa. Era una giornata piuttosto calda, perciò aveva indossato solo dei leggings color jeans aderenti, un reggiseno sportivo grigio e una maglia lunga con uno scollo a “V” piuttosto accentuato. Nulla di elaborato. Il reggiseno le metteva involontariamente ben in mostra il seno.
Vide Don Marco sorriderle e venirle incontro. Era un bell’uomo di mezza età, volto regolare, capelli corti e barbetta brizzolata; gli occhi chiari ed espressivi risaltavano sulla tonaca nera.
“Don Marco!” Disse Mena e gli sorrise.
“Mena!” Don Marco si avvicinò e, reciprocamente un po' imbarazzati, si strinsero la mano e si sedettero.
“Come stai, cara?”
“Meglio, grazie.. tu? Come vanno i lavori alla chiesa?”
“Benissimo, non vedo l’ora di iniziare con le messe! Vedo queste panche vuote e le immagino gremite di fedeli e di vita”.
Mena si guardò intorno e gli sorrise. L’immaginazione è un’arma potente, caro Don. Sapessi.
“Ma dimmi di te, per favore. L’ultima volta che ci siamo visti eri piena di dubbi, di paure”.
“Lo sono tutt’ora..”
“Però?”
“Però.. volevo ringraziarti per aver creduto in me, nelle mie capacità. Avevi ragione, basta avere fiducia e andare avanti”.
“Cara Mena, amo parlare con te di questioni così interessanti come la fiducia, il dubbio e la paura. Però..”
“Però?”
“Mi piacerebbe tu mi parlassi di quello che succede nella tua vita, non solo di massimi sistemi. Ti va di sfogarti?”
Mena iniziò a lacrimare, in maniera quasi incontrollata. Che le stava succedendo? Nessuno, nemmeno suo figlio, le aveva mai chiesto di sfogarsi.
Chinò il volto e iniziò a parlare.
Gli raccontò tutto, di Roberto, dei soldi che mancavano, delle cure che non poteva permettersi e di sua sorella dal cuore di pietra, quando Don Marco la interruppe.
“Se ti servono soldi, posso provare a informarmi con le altre parrocchie..”
“Non lo dire nemmeno per scherzo. E poi, sono convinta di aver trovato una soluzione a questo problema”.
“Che soluzione?”
“Ho creduto in me, nelle mie capacità. Per questo ti ringrazio”.
“Hai trovato un lavoro?”
Non lo vuoi sapere davvero, caro Don.
“Sì..”
Brava Mena e adesso che gli dici?
“Di che lavoro si tratta?”
“Mi vergogno un po' ad ammetterlo..” disse Mena, asciugandosi le lacrime.
“Non hai nulla di cui vergognarti, bella mia” disse Don Marco e le accarezzò affettuosamente una spalla.
Mena si chiese se Don Marco fosse uno degli uomini che si masturbavano con lei, per lei; presa da mille scrupoli non se la sentì di confessargli il suo vero lavoro.
“..Sono una influencer”.
“Ah!”
“Eh!”
“Adesso capisco perché ti vergognavi a dirlo! Una seconda giovinezza?” Disse Don Marco, ridendo.
“.. Eh!” Ripeté Mena, sorridendo sollevata.
“Credo che nemmeno il nostro vescovo, severo quanto un inquisitore, possa proibire una simile professione, figuriamoci il sottoscritto! “
Anche perché probabilmente il “severo inquisitore” era anche il porco che le aveva confessato di sognare di frustare le natiche di un ragazzino per poi schizzargli di sborra il sedere, caro Don.
“Ma si guadagna bene? Come si guadagna?”
“Beh.. pubblicità, inserzionisti…”
“Mi sembra che sia un lavoro peculiare, anche se innocuo!”
“Grazie Don, quindi non andrò all’inferno?” Chiede Mena, fingendosi corrucciata e imbronciando scherzosamente le labbra. Innocuo? Si era masturbata di più in una settimana di lavoro che in dieci anni.
Don Marco rise e proseguì: “Beh, certi influencer di cui parlano i telegiornali potrebbero finire all’inferno, però non penso il tuo caso”.
“No?”
Forse per la prima volta da quando si conoscevano, Mena vide Don Marco sbirciare nella sua scollatura. Fu questione di un secondo, poi il prete distolse lo sguardo e annuì.
“Mena, credo tu abbia qualità migliori di quelle che ostenti. Non saranno ugualmente utili al tuo mestiere di influencer, però dovresti credere anche nelle tue doti morali e intellettuali”.
Ma certo che ci credo, Don. So far sborrare gli uomini con le parole. Una bella qualità intellettuale. Potrei farlo con te adesso, senza nemmeno sfiorarti, ma non è il caso.
“Mena?”
“Sì?”
“Ti sei distratta. A che pensavi?”
“Parliamoci chiaro. Non proverò mai vergogna per questo mio corpo. So di non essere solo un bel paio di gambe, però non avrei mai preso la decisione di iniziare questo.. mestiere se non fossi in difficoltà!”
“Fai bene, non dovresti mai vergognarti. Mostra il tuo corpo, proteggi la tua famiglia. Se questo è il modo migliore per farlo, amen”.
“Grazie.. erano proprio le parole che mi servivano”.
“Ti chiedo solo una cosa”. Disse don Marco e iniziò a frugare nella tasca del pantalone.
“Cosa?” Chiese Mena e, in quel momento, lo vide tirare fuori dalla tasca una collana con un bellissimo crocifisso dorato, piccolo e aggraziato.
“Mi faresti l’onore di essere la mia prima parrocchiana?”
“Io..”
E le poggiò in mano la collana.
Mena sorrise: “sarà una gioia per me”.
E con un solo gesto indossò il crocifisso che si appoggiò perfettamente tra i suoi tondi e prosperi seni; Mena ebbe come l’impressione che quella collanina fosse avvolta da un bel tepore.
Una voce maligna in lei le disse che era normale, quella collana era stata tutto quel tempo nella tasca del prete, a contatto col suo inguine.
E la carne è debole.
Respinse quel pensiero e, con estrema naturalezza, Mena abbracciò Don Marco che la strinse delicatamente e le diede una pacca sulla schiena, affettuoso.
A Mena parve di sentire il respiro del prete, leggermente affannoso per l’emozione e i propri capezzoli, dritti, per lo struscio del reggiseno sulla tunica nera.
Era un bell’uomo, oltre che una presenza rassicurante.
Si staccarono dall’abbraccio e lei fece per avviarsi.
“Mena..”
“Sì?”
“Grazie per esserti aperta. Vedrai che la nicchia lavorativa che hai creato ti aiuterà ad andare avanti”.
Mena sorrise, annuì e si voltò.
Doveva tornare a casa e mettersi al lavoro. La sua nicchia la attendeva.
E la carne è debole.

Alessio
“Hai voluto la bicicletta?”
Alessio ricordava queste parole come se suo padre Sergio le avesse pronunciate ieri. Aveva solo sette anni quando tentò per la prima volta di andare in bici, cadendo e provocandosi una bella sbucciatura sul ginocchio.
Ricordava di essere rimasto per terra a piangere per interminabili minuti, in attesa che suo padre lo soccorresse.
Invano.
“Hai pianto per avere questa bici e piangerai adesso, ti serva da lezione. Frignare porta solo guai”, sillabò Sergio, immobile, il tono indifferente e quasi strafottente.
Rimase lì, piagnucolante, anche dopo che il dolore era passato, finché non arrivò lei.
“Gioia, ti sei fatto male? Piccolo mio, vieni qui!”
L’unica che gli volesse bene, la sua dolce e forte madre.
Sentiva ancora quel profumo di talco, quelle braccia che lo stringevano e lo cullavano, quei seni burrosi e maestosi che lo accoglievano come due cuscini.
Forse quel momento gli era rimasto così impresso perché era simbolico della sua esistenza.
L’unica persona a volergli bene era sua madre Teodora, da sempre; amava trascorrere del tempo con lei, farle compagnia mentre faceva i suoi servizi in casa.
Eppure, Alessio non si illudeva: sua madre non era una donna felice. Aveva puntato tutta la sua vita sulla famiglia guadagnando molte delusioni.
Non intendeva giustificarla, anche se..
I suoi fratelli non si rendevano conto di quanto fossero fortunati. Con la partenza misteriosa del padre, tutti loro si erano liberati del vero verme di famiglia, parassita indifferente, marito assente e padre lontano.
Senza soldi, il mondo reale lo aspettava; ogni tanto Alessio fantasticava su suo padre sotto un ponte o intento a lavorare in un fast food per vivere.
Aveva voluto la bicicletta? Che pedalasse!
Li aveva abbandonati così, senza preavviso, infame fino all’ultimo. Era un momento delicato per tutti loro, per mamma soprattutto.
Non capivano, non sapevano comportarsi con lei. Alessio era l’unica persona a saperla trattare, la ascoltava e lasciava sfogare.
I suoi fratelli non erano un granché, impacciato Luca, stronzetta Lia.
Lia era sempre critica, soprattutto da quando viveva in città. Luca balbettava, non ti guardava mai negli occhi, era imbarazzante.
Sei contento, papà? Bella eredità che ci hai lasciato.
Scrollò le spalle, riscuotendosi dai pensieri. Il lato positivo di quel giro in ospedale era l’incontro con Anna.
La fidanzata di suo cugino Toni era un pezzo di fica incredibile, anche con la felpa. E che culo! Tondo, sinuoso, perfetto. Non capiva perché lui la maltrattasse così.
Era proprio vero, chi ha il pane non ha i denti; finse di non notare lo sguardo incazzato di Toni fisso su di lui mentre le guardava il sedere: che problemi aveva? Ormai Alessio era un ometto, lo diceva anche sua madre. E come tutti gli uomini aveva i suoi bisogni e le sue fantasie, doveva accettarlo.
Il pensiero di Anna gli provocò il solito formicolio, dolce preda dei suoi turbamenti sessuali.
Purtroppo, sua madre era anche molto credente e controllava scrupolosamente che in casa non ci fossero immagini pornografiche di alcun tipo, una vera e propria tortura per lui!
A scuola, avvertiva quello stesso formicolio ogni volta che fissava le sue compagne di classe, i loro seni, i loro corpi.
Anche gli altri maschi della scuola erano sempre arrapati, anche se più intraprendenti di lui: ogni occasione era buona per toccare il sedere alle ragazze, per provare a baciarle o a farci cose nei bagni.
Lui era più timido, seduto da solo al penultimo banco, invidiava il coraggio di quei ragazzi ma preferiva rimanere in disparte. Guardava ogni culo, cercava di sbirciare disperatamente in ogni scollatura.
Non sapeva cosa volesse, ma lo voleva tanto.
In casa, era materialmente difficile avere del tempo solo per sé, motivo per cui rimaneva spesso con questo formicolio strisciante, questa voglia non ben definita di sfogarlo.
La sera cercava di origliare dentro la camera dei suoi genitori, cogliendo ogni mugolio o rumore ambiguo.
L’ultima volta sentì delle vere e propria grida provenire dalla camera da letto; i suoi avevano lasciato la porta socchiusa e Alessio si avvicinò, sperando che nessuno si accorgesse di lui.
Vide suo padre, nudo, urlare contro sua madre mentre la afferrava da dietro e si buttava a capofitto su di lei, dandole delle spinte poderose, mentre nell’aria si sentiva odore di sudore e rumore di corpi che cozzavano.
Teodora piangeva sommessamente, ma non si allontanava, si limitava a implorarlo di smetterla di farle male.
Vide suo padre mugugnare qualcosa e spingere sua madre via, costringendola a voltarsi: in quel momento vide il pisello di suo padre, lungo come un tubo di cartone e provò una fitta di invidia. Non vedeva l’ora di crescere e fargliela vedere a quello schifoso bastardo.
Lo sentì grugnire e vide d’improvviso sua madre sporcarsi ovunque, sui seni, sulla bocca, sul viso.
Come ultimo affronto, suo padre le infilò il pisello in bocca. Era impazzito? Ci faceva pipì con quel coso.
Poi, il silenzio.
Alessio si sentì piccolo e impotente. Avrebbe voluto correre ad abbracciare sua madre e dirle che tutto sarebbe andato bene, ma le gambe erano pesanti, come se fossero radicate al pavimento.
Il buio della sua stanza lo soffocava.
Sentì suo padre ghignare. "Continua a leccare la tua merda, puttana, non ti distrarre!"
Restò immobile, paralizzato da una serie di emozioni che non sapeva come gestire: rabbia, delusione, tristezza. Non capiva cosa stesse succedendo. Avrebbe voluto andarsene in un posto sicuro, ma dove? Solo lì con mamma.
Decise di entrare.
“Mamma, papà, che succede? Tutto bene? Ho sentito urlare.”
“Tutto bene piccino, mamma e papà stavano solo facendo ginnastica, torna a dormire”.
Che diavolo di ginnastica era mai quella? Era piccolo ma non così scemo da non capire la violenza.
“Non ci riesco, mi sono spaventato per le urla e non ho sonno, posso dormire con voi?” Sussurrò Alessio, con una voce che tradiva il desiderio di sentirsi protetto. Suo padre russava già.
“Va bene, vieni qui piccino di mamma”. Teodora allungò le braccia e gli fece cenno di avvicinarsi.
Alessio non ci pensò due volte: si arrampicò sul lettone e la abbracciò forte; non credeva ai suoi occhi: Mamma era sempre stata una puritana e non gli era mai capitato di vederla così, mezza nuda e sudata.
Lei non accennò ad andare a rivestirsi. Si sistemò accanto a sua madre, appoggiando la testa sul suo braccio. Lei lo avvolse con un abbraccio tenero, accarezzandogli dolcemente i capelli e sussurrando parole rassicuranti con voce tremolante.
Trovò immensamente piacevole quella dolce intimità con la madre, le sue mani potevano toccare e accarezzare il morbido corpo materno.
La stanza era buia, appena illuminata da pochi raggi lunari, eppure gli sembrò di vedere nitidamente il corpo nudo di sua madre, per la prima volta.
La camicia da notte era strappata in più punti e non copriva nulla. Incredulo, le fissò i seni nudi nel loro splendore. Erano seni enormi, bianchi, cadenti, le aureole rosate ed i capezzoli rosa scuro; sulla pelle, diafana, c’erano chiazze di sperma ben visibili.
Fissò in particolare i capezzoli, che istintivamente desiderò succhiare. La voglia era così forte da imporgli di addentarsi le labbra per tenerla a bada.
Smise di fissare quei globi di carne solo quando la sua attenzione fu calamitata da un altro dettaglio: lei non indossava le mutandine mutande.
Il triangolo di peli, nerissimi, lo lascio lasciò senza fiato. Mai avrebbe immaginato una meraviglia del genere.
La prima visione, dal vivo, di una fica sconvolse il piccolo Alessio.
Era bellissima, pienotta. Molti peli, neri e ricci, sulla sommità dove si poteva vedere distintamente la clitoride.
Mentre Teodora si addormentava, esausta, Alessio non riusciva togliere gli occhi di dosso da tutto quel ben di Dio davanti a sé; rimase senza fiato quando la madre, muovendosi nel sonno, mise involontariamente in mostra le grandi labbra vaginali. Dopo mesi di ignoranza, cominciava a capire come fosse fatta una fica.
Sentì di nuovo quel piacevole e misterioso formicolio, anche se stavolta si unì una sensazione di calore proveniente dal suo pube. Con cautela inserì la mano dentro le mutande e sfiorò l’origine di quella sensazione così nuova, avvertendo la durezza del suo pisello, turgido e all’insù.
La voglia di toccarlo divenne prepotente, ormai il suo cazzetto sembrava muoversi di vita propria e lo torturava con scosse di eccitazione che crescevano mentre ripassava lo sguardo sul corpo di sua madre.
Afferrò il pisellotto e cominciò a strofinarlo delicatamente scoprendo la piccola cappella già ben lubrificata dai suoi liquidi pre-spermatici.
Non poteva fare rumore, se la madre si fosse svegliata e lo avesse scoperto si sarebbe infuriata.
Iniziò a scappellare il cazzetto in maniera lenta, a minuscoli scatti, mantenendo la mano dentro le mutande. Avrebbe preferito di gran lunga un ritmo molto più accelerato per la sua prima sega.
Il pericolo di essere scoperto lo spaventava e allo stesso tempo lo eccitava mentre sentiva il cuore battere come un tamburo.
Silenziosamente, poteva solo cercare di placare le sue smanie segando il suo pisello con goffi movimenti del suo polso, lentamente, con piccoli scatti che lo stavano esasperando e mandando in paradiso allo stesso tempo.
In ogni caso era troppo eccitato, troppo giovane, troppo incosciente e carico di sborra per resistere a quella masturbazione proibita, avvenuta a pochi centimetri dal corpo burroso e sporco di sperma di sua madre.
Dopo pochi minuti lo sperma non tardò a salire e Alessio, trattenendo a fatica i mugugni del suo primo orgasmo, venne in un silenzio soffocato.
Ebbe la prontezza di mettere l’altra mano a coppa e vide piccoli filamenti di sperma uscire dal buchino della pipì sulla cappella. Ecco cosa aveva fatto suo padre prima. Le aveva schizzato quella roba in bocca. Maledetto porco.
Mentre Teodora continuava a dormire, le mani di Alessio si rilassarono lentamente, lasciando andare la stretta sul cazzetto ormai moscio.
Di colpo gli era venuto sonno, però aveva un nuovo problema: la mano sinistra sporca di piccoli schizzi di sperma. Che fare? Se si fosse pulito sulle lenzuola nella zona dove aveva dormito, sua madre avrebbe sospettato qualcosa.
Non gli vennero in mente altre soluzioni e, furtivamente, prese con la mano destra piccole quantità di sperma e, con estrema lentezza, le fece colare piano sui grossi seni di sua madre.
Sorrise dell’idea, per quanto rischiosa. Lei non poteva accorgersene, quelle grosse tettone erano già ben incrostate di sperma di suo padre.
Guardò, indeciso, l’ultimo filamento sul dito; perché non provare a farglielo assaggiare? Troppo rischioso. Lo accompagnò, lentamente, nello spacco del seno di mamma, già ben irrorato di sborra paterna.
Dopodiché, soddisfatto della nuova scoperta ed esausto, Alessio chiuse gli occhi, il suo respiro si fece sempre più lento e profondo, finché non si addormentò accanto alla donna che aveva meritato di ricevere sul seno la prima sborrata del suo figlio prediletto.
In ospedale, Alessio si riscosse dai suoi ricordi di quella sera e guardò sua madre, seduta serenamente accanto al letto su cui riposava Luca.
Non sembrava affatto essere colpevole di nulla e Alessio iniziò quasi a sospettare che Luca si fosse inventato tutto.
Poi ricordò che era tutto vero.
Ad Alessio dispiaceva che suo fratello si fosse fatto male; per fortuna non era nulla di grave.
Forse sua madre aveva esagerato, sebbene Luca non avesse fatto nulla per farsi amare da lei.
Povero Luca, aveva pagato per una colpa non sua.
La vita poteva essere ingiusta alle volte ma lui si sarebbe guardato bene dall’ammettere di essere il responsabile della masturbazione su quelle mutande.
Suo fratello era in quel letto d’ospedale per colpa del suo fratellino.
Colpa sua se quella biancheria di mamma era così morbida e invitante? Colpa sua se quel profumo gli ricordava quella notte assieme?
Non lo avrebbe mai ammesso, comunque; avrebbe rischiato di rovinare il rapporto con sua madre. Era andata così e basta. Le ingiustizie capitano. Luca si sarebbe ripreso.
Sei contento, papà? Bella eredità che ci hai lasciato; scosse la testa e scrollò, silenziosamente, le spalle.

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