incesto
Morbosa Corrispondenza - Capitolo 13 parte 1

27.01.2025 |
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"Anna si irrigidì, cercando di fermarsi, e le sue mani scattarono ad appoggiarsi sulle gambe muscolose di lui..."
Mena“Mi perdoni, padre, perché ho peccato.”
“Mena… sai che possiamo anche chiacchierare in sagrestia? Non serve ritrovarsi ogni volta qui, in questo confessionale così angusto e buio.”
Mena ridacchiò, ondeggiando leggermente sull’inginocchiatoio; aveva lasciato crescere ancora di più i lunghi capelli castani che in quel momento teneva raccolti, lasciando libere alcune ciocche che le incorniciavano il volto. Rispose semiseria: “Ma è proprio qui che mi sento… al sicuro. C’è qualcosa di confortante in questo angolino ristretto, non trovi?”
“Sì, ma come dico sempre..”
“Sì, lo so! Chi ha inventato queste scatolette pensava al sacramento sbagliato, quello dell’estrema unzione!” Lo interruppe cantilenando, ilare.
“Sto diventando prevedibile?”
“Don, che stai dicendo? Direi che hai un talento particolare nel far sembrare tutto così profondo.”
“Davvero? Non esagerare.”
“Non essere modesto, Don. Ti assicuro che non mi annoio.” Mena fece spallucce e oscillò lievemente il suo vestito grigio, sobrio anche se ben aderente sui fianchi e con una scollatura che lasciava intravedere il crocifisso d’oro appoggiato tra i seni.
“Grazie..” Anche se nascosto dal pannello di legno traforato del confessionale, era possibile intuire il sorriso di Don Marco e lei ne percepì il respiro.
“Mena… non sarà mica che oggi sei venuta solo per farmi sentire il tuo nuovo profumo, vero? Lo avverto anche da qui!”
“Bravo, padre, è nuovo! Ti piace? Si chiama ‘”Calypso” ed è un’essenza alla gardenia.
“Calypso… Mi piace. Come la ninfa dell’isola deserta, bellissima e sola.”
“Un paragone azzeccato..” Sospirò Mena.
“Vuoi confessarti?”
Mena si fece seria. “Sì. Sono passati sei mesi dal compleanno di mio nipote Alessio. E, in quell’occasione, sono stata testimone di un miracolo.”
“Addirittura.”
“Mia sorella, che non solo compie un gesto generoso, ma addirittura mette mano al portafoglio per farlo.”
“La carità è alla base del comportamento di ogni buon cristiano.”
“Non conosci mia sorella.”
“Per quello che so, nemmeno lei tiene molto a conoscermi.” Aggiunse Don Marco, serafico.
“No, infatti.”
“Ma ti ho interrotta, perdonami. Prosegui pure.”
“È stato un vero miracolo. Mio marito è a casa, finalmente. Purtroppo è ancora in coma e i medici non sanno quando si riprenderà. Tutte le spese mediche sono state pagate e, grazie ai soldi di mia sorella, abbiamo assunto una badante, Irina, una ragazza davvero eccezionale. Mi sento sollevata, ora che la casa è sotto controllo.”
“E tuo figlio come sta?”
“Mio figlio è come me. Perennemente inquieto, lo so. È felicissimo per questo miracolo e per avere suo padre in casa, eppure non smette di azzuffarsi con la sua fidanzata. E io…”
“E tu, Mena? Anche tu non trovi pace? Non dovresti, finalmente, essere serena?”
Mena annuì, pensierosa. “È questo il punto, Don. La casa è silenziosa… troppo. La mattina sono tranquilla, vedo Toni bighellonare per casa, lo sento ridere mentre mi racconta dell’ultima partita vinta o borbottare per Anna che è troppo assente. Aiuto Irina mentre pulisce casa.”
“È la notte il problema, vero?”
“Sì. Mi sono trasferita a dormire nella stanza degli ospiti. Il nostro letto matrimoniale è pieno di macchinari, tubi e flebo. La notte sento questo silenzio, questo vuoto… e mi agito.”
Mena si interruppe, vergognandosi di questa sua confessione. Per fortuna Don Marco riprese a parlare.
“Non capisco. Ti ho sentita piena di entusiasmo per la tua attività online come influencer… non era qualcosa che ti piaceva fare? Magari era quella la tua strada.”
Mena abbassò lo sguardo, accarezzando distrattamente il crocifisso che pendeva tra i seni: “Ho smesso. Non avevo più bisogno di soldi, quindi era inutile continuare.”
“Peccato. Non hai pensato di continuare? Per distrarti con un passatempo innocente.” Sentiva gli occhi del prete osservarla dalla grata del confessionale.
Mena sfiorò distrattamente il vestito sul ginocchio, lisciandolo e nicchiò, imbarazzata: “Non era più necessario, come passatempo.”
“Va bene, ma..”
“Adesso ho io una domanda per te, Don.”
“Chiedi pure..”
“Come mai sei finito in questa chiesetta sperduta e così… fatiscente? Di solito qui si arriva solo se si ha combinato qualche marachella.”
Don Marco scoppiò a ridere, anche se con una nota di imbarazzo.
“Ah, se per questo tua sorella Teodora ha già detto in giro che sospetta io possa essere coinvolto in un giro di squillo thailandesi o in riti orgiastici. La chiesa è solo un luogo, Mena. Quello che conta è aiutare chi ci sta intorno.”
Mena si morse il labbro. “Scusa. Hai ragione, non sono affari miei.”
“Ah, la gente parla sempre… tranquilla.”
“Comunque..”
“Mena, ti vedo molto irrequieta. Stai accumulando stress, in attesa che tuo marito si riprenda, a Dio piacendo.”
“Cosa dovrei fare?”
“Trovati uno sfogo, no? So che fino a poco tempo fa lavoravi in palestra. Potresti tornare a fare esercizio fisico, potrebbe aiutarti a calmare i pensieri.”
Gli occhi di Mena brillarono, di colpo. “In effetti la palestra era parte della mia vita. Ho insegnato ginnastica per anni, sai? Grazie Don..” Disse Mena, alzandosi in piedi.
“Fammi sapere, Mena. E passa quando vuoi, io sarò qui. Beh, magari non proprio in questo loculo ma.. nei paraggi!”
“Suvvia, Don, scommetto che ti stai affezionando al nostro posto preferito!”
Concluse Mena, sorridendo mentre si allontanava.
Vide Don Marco farle un allegro cenno di saluto con la mano e sentì i raggi del sole riflessi dal crocifisso accarezzarle la pelle, dandole un’effimera quiete e, soprattutto, una piccola speranza.
Anna
Appena uscita dalla piscina, Anna si infilò una giacca sopra la maglietta sportiva, ancora umida dal cloro. Si legò i capelli, lasciando che qualche ciocca bagnata le ricadesse sulle spalle, mentre l’asciugamano era già piegato nello zaino. Il pomeriggio era piacevolmente tiepido, e quasi le dispiaceva dover rientrare così presto.
Ma poi vide Toni, parcheggiato lì ad aspettarla, con le braccia incrociate e la sua solita espressione attenta. Sembrava un falco con il cappuccio in testa, pronto a scattare da un momento all’altro.
Mentre attraversava il vialetto, un gruppo di ragazzi si avvicinò, salutandola e cercando di attaccare bottone.
“Ciao, bella!” disse uno di loro, con un sorriso pieno di desiderio.
Anna sorrise, cortese ma distaccata. “Ciao, ragazzi.”
“Ma guarda un po’ ..” mormorò uno, “se in piscina sono tutte belle come te, ci verrei ogni giorno.”
“Ce ne sono di mooolto più belle, entra a vedere se vuoi!” Disse Anna, salutandoli col palmo della mano.
Poi tirò fuori il telefono, cercando con lo sguardo un angolo tranquillo. Si allontanò di qualche passo, aprì la chat di Lia e digitò veloce.
“Quanto mi manchi.” Mandò un cuore, poi un bacio.
Lia rispose subito inviando una foto delle sue bellissime labbra e scrisse “Anche tu.”
Il cuore di Anna sobbalzò, ma un brivido la riportò alla realtà: Toni la stava fissando dalla macchina, impalato come una statua.
Lei chiuse in fretta il telefono, fece un respiro profondo e si avviò verso di lui; appena entrò in auto, Toni iniziò subito. “Divertente, eh?”
“Che cosa?”
“Non fare la finta tonta. Quei tizi, lì fuori. Sembravi divertirti parecchio. Domani li prenderò a ceffoni.”
Anna chiuse gli occhi, allacciandosi la cintura con un gesto stanco. “Toni, ti prego. Erano solo ragazzi che chiacchieravano. Non c’è niente di male.”
“Oh, certo, per te è tutto innocuo. Sempre a sorridere a chiunque ti rivolga la parola. Vedi altre fidanzate comportarsi così con estranei? Fare le simpaticone in giro?”
“Stai esagerando. Smettila di fare il paranoico.”
Ci fu un momento di silenzio, rotto solo dal loro respiro teso. Poi il telefono di Anna vibrò di nuovo e lei non riuscì a staccare immediatamente la vibrazione.
“Sempre attaccata a quel maledetto telefono! Negli ultimi mesi non fai altro che scrivere. A chi? Eh?”
Anna lo guardò con un’espressione esasperata. “Ancora? Ma sei serio?”
“Oh, sì, sono serissimo! Fammi vedere a chi scrivi allora, se non c’è niente da nascondere. Voglio vedere.”
“Non devo mostrarti proprio niente. Questo è il mio telefono, e devo avere almeno un minimo di privacy!”
“Privacy, certo… La privacy di chi ha la coscienza sporca!”
“Ma che stai dicendo? Non ho fatto niente e tu mi accusi sempre!”
Lui diede una spinta al volante col palmo, scuro in viso. “Non cambiare discorso, Anna. Sono io che devo sopportare questa tua mania di flirtare con tutti.”
“Ti stai facendo dei film, Toni. Sono educata, è diverso.”
Lui scrollò le spalle, sarcastico. “Come no..”
Lei non rispose, lasciandosi cadere nel silenzio, stanca di quelle discussioni che sembravano sempre uguali.
Toni la riportò a casa, parcheggiando nei paraggi. Spense l’auto e sospirò, posandole una mano sul ginocchio.
“Dai, scusa…” disse, senza guardarla. “Forse ho… esagerato un po’.”
Anna accettò le sue mezze scuse con un mezzo sorriso, lasciando che il suo sguardo si addolcisse. Ma dentro, sentiva un peso fastidioso: quel senso di colpa che cercava di reprimere ogni volta che lo guardava negli occhi. Era lei ad essere in mala fede, dopotutto; quel segreto tra lei e Lia era la cosa più bella e più brutta che le poteva capitare. Anche perché Toni le era stato fedele.
O meglio, per quanto ne sapeva.
La situazione a casa di Toni era migliorata da quando il padre Roberto aveva ottenuto le sospirate cure, eppure.. Loro due non avevano rapporti intimi da diverse settimane. Si ripeteva che non era un problema, erano entrambi molto impegnati con gli sport e la vita sociale, eppure.. L’ultimo orgasmo degno di questo nome non lo aveva avuto con Toni.
E aveva tanta voglia di fare l’amore.
Anna sorrise e gli accarezzò la mano, in cerca di un po’ di conforto. Se fossero riusciti a distendere un po’ la tensione, magari avrebbero potuto trascorrere a letto quel fine settimana. Gli strinse la mano, sentendola ruvida e forte, giocando con quelle dita massicce e per un istante desiderò un contatto più intimo. Ma, nella sua mente, quella mano virile divenne improvvisamente quella diafana e aggraziata di Lia. Anna fece un respiro profondo, scacciando quel pensiero.
“Va bene… basta che la finiamo qui.” Mormorò Anna, accettando quella tregua illusoria e stuzzicandogli le dita con le unghie.
Nemmeno si accorse che Toni la stava fissando, gli occhi eccitati pieni di desiderio.
All’improvviso, lui le afferrò la nuca, tirandola giù di scatto verso di sé. Anna si irrigidì, cercando di fermarsi, e le sue mani scattarono ad appoggiarsi sulle gambe muscolose di lui.
Vide che aveva una palese erezione che la tuta non riusciva a nascondere.
Una voluminosa tenda formata dal suo cazzo duro.
“Toni! Ma che stai facendo?” Sibilò, con un tono carico di stupore che le si annodava nello stomaco.
Lui si ritrasse, arrossendo e lasciandola andare con un sorrisetto imbarazzato. “Scusa… Non so, mi era sembrato… un momento romantico.”
Anna lo fissò, sempre più stranita. “Romantico?” ripeté, incredula. “Toni, siamo in macchina… E non è esattamente una strada isolata! Ti rendi conto di quanto sia fuori luogo?”
Toni guardò fuori dal finestrino, silenzioso, le mani che tornavano al volante. Anna lo osservò per un attimo, ancora turbata, poi aprì la portiera ed uscì dalla macchina senza aggiungere altro.
Mentre si avviava verso casa, il pensiero le tornò alle parole di suo padre, che tempo addietro le aveva suggerito di distaccarsi dai problemi di Toni. Un nodo le strinse la gola.
Mena
La palestra era silenziosa e deserta, anche se il lieve sentore di sudore misto a disinfettante lasciava presagire che nelle ore più affollate si sarebbe riempita di persone prese dai propri esercizi o dalle chiacchiere più o meno innocenti. A Mena non importava, preferiva andarci molto presto per poter fare i propri esercizi in pace.
Sbuffando appena, la donna si muoveva con energia e concentrazione, in una serie di esercizi di aerobica che, con suo immenso fastidio, la stavano facendo sudare. Una volta avrebbe fatto quegli esercizi a occhi chiusi.
Negli anni aveva accettato che il suo fisico atletico diventasse più prosperoso, acquistando quelle belle forme che adesso ondeggiavano in un pantalone leggings nero e in una maglietta bianca elasticizzata che metteva in risalto la sua figura. L’elastico stringeva i suoi lunghi capelli castani in una coda di cavallo ordinata e il volto cominciava a luccicare di sudore.
Passò da un esercizio all’altro, combinando salti, affondi e squat. Era un piacere che le mancava da tanto, da quando aveva smesso di insegnare aerobica per lavoro. Si ricordava degli sguardi degli uomini, di quel piccolo divertimento segreto nel sapere che tutti notavano la sua presenza in palestra.
Dopo una serie particolarmente intensa, si fermò seduta a bordo tappeto, ansimando e bevendo a grandi sorsi dalla bottiglia d’acqua. Si concesse un momento per stirarsi, allungando il busto in avanti e rilassando i muscoli della schiena.
A quarantacinque anni, non se la sentiva di riprendere a insegnare aerobica. Conosceva bene Giovanni, il titolare della palestra e suo ex capo che le aveva volentieri lasciato le chiavi, consentendole di aprirla per allenarsi quando voleva, anche in orario di chiusura.
La mattina era il momento perfetto perché non c’era nessuno e, come dimostrava il suo seno ben ondeggiante, ciò le consentiva di stare comoda.
Non c’era anima viva, e l’idea di sentirsi più libera e comoda aveva preso il sopravvento. Cambiandosi negli spogliatoi, Mena aveva deciso di togliere il reggiseno, rimanendo solo con la canottiera aderente.
“Tanto non c’è nessuno.” Pensò Mena.
Il tessuto leggero della canottiera le offriva un’immediata sensazione di libertà, e la freschezza sulla pelle la faceva sentire più a suo agio. Si guardò brevemente allo specchio, osservando il riflesso del proprio bel corpo.
Si sentiva più disinvolta, stare senza reggiseno era un piccolo atto di ribellione privata che la faceva sorridere tra sé e sé. La palestra era il suo momento, il suo spazio lontano da tutto.
Per un momento si rivide mezza nuda, sul balcone di casa, intenta a masturbarsi per una platea inesistente. Ricordava le proprie dita penetrarla così a fondo nella sua vagina da farla urlare di piacere e immaginò di rifarlo anche lì, in palestra.
Con un respiro profondo, Mena scartò il pensiero e si concentrò di nuovo sul suo allenamento, sentendo ogni movimento del suo corpo in modo più intenso, più erotico. Forse aveva ragione Don Marco, un po’ di moto bastava a tenere a bada quelle sensazioni. O forse no? I capezzoli le erano diventati duri, presa da tutti quei pensieri.
Improvvisamente, il silenzio della palestra venne interrotto. La porta si spalancò e Mena, interdetta, alzò lo sguardo. Un ragazzo sulla trentina, piuttosto muscoloso, entrò con un’andatura sicura. Aveva i capelli scuri, una barba ben curata e un fisico atletico. Il volto, un po’ squadrato, presentava due tatuaggi: una lacrima sotto l’occhio destro e una faccina che ride vicino all’occhio sinistro. Quel dettaglio gli dava un’aria un po’ sfrontata, quasi da bulletto.
Indossava dei pantaloni di tuta bianca e una canottiera nera che gli lasciava scoperti i bicipiti tatuati. Le lanciò un’occhiata e si avvicinò all’armadio degli attrezzi, senza smettere di guardarla.
“Anche tu amica de Giovanni, eh?” Le chiese, con un accento romano che rimbombava nel vuoto della sala.
Mena si ricompose, cercando di mascherare il fastidio. “Eh, sì.” Rispose, abbassando lo sguardo per tornare alla sua posizione di stretching.
Il ragazzo le sorrise, avvicinandosi e porgendole la mano, con tono rilassato.
“Piacere, Valerio.”
“Mena.”
“Mena?” Ripeté Valerio, con un ghigno strafottente.
“Filomena. Tutti mi chiamano Mena.”
“Pensa te, dalle parti mie menare vuol dire dare un sacco di botte a qualcuno!”
Mena osservò Valerio con un misto di curiosità e diffidenza. Lui ricambiava il suo sguardo con una tranquillità spavalda, come se non avesse fretta di andarsene.
Mena cedette alla curiosità e gli chiese: “Fammi indovinare. Sei nuovo in città?”
Valerio annuì, passando una mano sulla nuca. “Non s’era capito, vero? So’ de Roma. Sto in Sicilia da un annetto per lavoro. In Paese conosco solo Giovanni, ma me trovo bene perché posso allenarmi in santa pace, me tengo in forma e via.”
Mena sorrise educatamente, annuendo di rimando. Si alzò lentamente, allungandosi e respirando profondamente per sciogliere la tensione muscolare. Non aveva voglia di ulteriori chiacchiere, ma Valerio sembrava avere tutto il tempo del mondo.
Si rivolse di nuovo a lei, appoggiandosi all’attrezzo accanto a lei con aria rilassata: “Eh beh, hai proprio la stoffa da ginnasta. Professionista, vero?”
“Diciamo che ci metto sempre il massimo,” rispose lei, alzando il mento con un sorriso fiero.
Mena notò che il suo sguardo, per nulla discreto, si abbassava a guardarle le grandi tette, ben disegnate sotto la maglietta elasticizzata.
Quel suo modo così palese di fissarla le diede inizialmente fastidio, facendola irrigidire, ma man mano che il silenzio si allungava tra loro, quel sentimento si trasformò in un lieve compiacimento. Ormai non era più una ragazzina, eppure… faceva sempre piacere sapere di non passare inosservata.
Del resto, senza reggiseno c’era ben poco da fare per coprire la vista delle sue floride mammelle che ondeggiavano ad ogni esercizio.
Doveva essere uno spettacolo eccitante per un uomo, pensò sempre più divertita, percependo i capezzoli duri tirare contro la stoffa. Erano sicuramente ben visibili, adesso.
“Beh, allora buon allenamento, Mena io vado alla panca lunga.” Disse Valerio, e si allontanò verso un’altra zona della palestra, lasciandola finalmente in pace.
Mentre si allontanava, sentì ancora gli occhi di lui su di lei, e Mena non poté fare a meno di pensare a Toni: muscoloso come Valerio, suo figlio era sicuramente più giovane e bello, il fisico possente scolpito da anni di calcio.
Per fortuna Toni era molto più educato, pensò Mena; osservò Valerio con la coda dell’occhio, un po’ infastidita e un po’ divertita dal modo disinvolto con cui si muoveva.
Vide Valerio togliersi con naturalezza i pantaloni della tuta lì, in mezzo alla sala, senza nemmeno andare negli spogliatoi.
Il gesto era così rozzo e spavaldo che Mena non poté fare a meno di notarlo: mentre Valerio abbassava la parte inferiore della tuta, i pantaloncini che indossava sotto scivolarono leggermente, fermandosi a metà sedere prima che lui se li risistemasse.
Sembrava proprio che il ragazzo fosse senza intimo.
Mena alzò lo sguardo al soffitto, scuotendo la testa con un sorriso incredulo. “Non proprio un esempio di galanteria, eh…” Mormorò a sé stessa, indecisa se andarsene o continuare a gustarsi quelle scenette balorde.
Mentre Valerio andava verso la panca lunga, dandole le spalle, lei non poté fare a meno di dare un’occhiata al suo un sedere muscoloso e rotondo, valorizzato dai pantaloncini elasticizzati sotto cui evidentemente non indossava nulla.
Dopo una mezz’ora di esercizi, Mena lo sentì chiamarla.
“Scusa Mé, puoi venire ad aiutarmi?”
Mena sospirò appena, quasi abituata all’intraprendenza di Valerio. Aveva intuito subito il suo interesse verso di lei e in altri tempi l’avrebbe tenuto al suo posto; eppure, quel suo modo di fare un po’ sfrontato non le dispiaceva.
Quando si avvicinò, lo trovò sdraiato sulla panca, il busto pronto a piegarsi sotto il livello della panca stessa per i suoi addominali. Valerio, già accomodato, la osservava con uno sguardo che divorava ogni curva del suo corpo senza pudore.
Mena trattenne un sorriso, preferendo mantenere un’aria distaccata.
“Per favore, mi tieni le caviglie mentre faccio un paio di serie?” Le chiese, con il solito tono confidenziale.
“Va bene.” Rispose lei con calma, mettendosi in ginocchio sulla panca accanto a lui e allungando le braccia per bloccare saldamente le sue caviglie.
Mentre Valerio iniziava a piegarsi all’indietro e a risalire, Mena sentiva il movimento sotto di lei, la tensione dei suoi muscoli che si faceva più evidente a ogni ripetizione.
La distanza ravvicinata tra loro e lo sguardo insistente di Valerio, che di tanto in tanto risaliva languido lungo il suo corpo sudato, le provocavano un fremito appena percettibile.
Mena cercò di concentrarsi sull’esercizio, ma i suoi occhi, come spinti da una forza irresistibile, si posarono sulle gambe di Valerio. La tensione nei muscoli, il modo in cui si contraevano ad ogni movimento, la catturò in un pensiero che non riusciva a respingere. Si soffermò, lasciando che lo sguardo scivolasse un istante di troppo, il cuore che le batteva più forte, quasi a tradirla.
Tentò di ignorarlo, distogliendo lo sguardo in un gesto frettoloso, ma la sensazione del calore che si irradiava dal suo ventre la travolse. Si disse che era solo un’occhiata fugace, senza alcuna intenzione. Tuttavia, mentre Valerio continuava quei movimenti lenti e controllati, il busto inclinato in avanti, i respiri profondi che segnavano il ritmo, Mena si scopriva a tornare su di lui. Ogni fibra tesa del suo corpo sembrava scolpita per attirare la sua attenzione, e lei, nell’illusione di essere inosservata, si lasciava avvolgere da quella libertà clandestina.
Sapendo di non poter essere vista, poco alla volta riprese a guardarlo, questa volta con uno sguardo più malizioso, lasciandosi andare alla tentazione di guardare meglio. I suoi occhi risalirono lentamente lungo il suo corpo, indugiando su dettagli che ora sembravano più evidenti, più audaci.
Non poteva fare a meno di notare quanto le forme di Valerio fossero sfacciatamente esposte, dato che non indossava boxer sotto i pantaloncini.
Senza troppi giri di parole, vide delineata la sagoma di un bel cazzo. Il tessuto dei pantaloncini era così aderente da permetterle di distinguere nitidamente i contorni dell’asta e del glande.
Iniziò a sospettare che il bulletto le avesse chiesto di aiutarlo proprio per sbatterle in faccia quell’immagine così provocante.
Un po’ come l’immagine del suo seno rigogliosamente libero. Dopotutto, erano simili.
Era come se il tempo rallentasse ogni volta che lo fissava, il desiderio che si insinuava in lei come un fuoco lento, difficile da domare. Cercando di reprimere quel tumulto, tornò a concentrarsi sul suo ruolo, assumendo un’espressione professionale. Ma ogni movimento, ogni respiro di Valerio sembrava disegnato per stuzzicare i suoi sensi, ed era sempre più arduo convincersi che quell’attrazione non fosse visibile, che il suo distacco fosse qualcosa di più di una maschera fragile.
Cercò di ignorare quel calore che le saliva sottopelle e mantenne un’espressione ferma, una maschera di calma “da istruttrice” nonostante sentisse la tensione salire.
“Grazie, Mè. Daje, così almeno li faccio bene ‘sti addominali.” Commentò lui, facendo uno sforzo per mantenere il ritmo.
“Di nulla.” Replicò lei, mantenendo un tono neutro.
Mentre lui continuava l’esercizio, Mena si rese conto di quanto quella situazione potesse essere facilmente fraintesa da chiunque li avesse visti, ma decise di ignorare il pensiero.
Ogni volta che il ragazzo spingeva il bacino verso l’alto, la tensione del tessuto dei pantaloncini metteva in risalto quel pene così massiccio, anche se moscio.
In quel momento, almeno.
Mena si rimproverò mentalmente, ma in fondo le scappò un mezzo sorriso: dopo tutto, la sua era solo un’innocua curiosità, che teneva ben nascosta.
Si riscosse, cercando di trovare qualcosa da dire per alleggerire il momento. “Tutto bene?” Chiese con una voce che sperava suonasse normale, mentre spostava le mani per assicurarsi che i piedi di lui fossero ancora ben bloccati.
“Uff, grazie, ho finito.” Sbuffò Valerio, alzando finalmente il busto e stiracchiandosi sulla panca.
Mena si affrettò a sciogliere la presa dalle sue caviglie, sentendo un leggero calore sul viso che sperava di mascherare dietro un sorriso tenue. Senza lasciarsi turbare ulteriormente, Mena si alzò con calma, cercando di riportare la sua attenzione all’allenamento e allontanando quel pensiero insistente del pene di Valerio che le si insinuava in testa, come un tentacolo che la avvolgeva con lentezza.
Doveva concentrarsi su qualcos’altro, e decise di guardarsi intorno per trovare un altro esercizio.
I tappeti elastici, che usava spesso per gli esercizi di aerobica, le sembrarono improvvisamente poco invitanti, forse anche troppo statici per quello che cercava.
Mena afferrò il kettlebell con una presa sicura, cercando un esercizio che le richiedesse tutta la concentrazione e, magari, scacciasse quei pensieri insistenti su Valerio. Era consapevole del calore che le arrossava il viso, ma non aveva alcuna intenzione di farsi distrarre. Si posizionò a gambe leggermente divaricate, con il kettlebell davanti a sé, e cominciò a eseguire una serie di squat decisi.
Non aveva considerato che gli squat fossero in grado di farle ondeggiare sensualmente le opulente tette e di farle sentire i capezzoloni strizzati contro la stoffa della magliettina.
Evitò di girarsi verso di lui, ben sapendo quanto sfrontato sarebbe stato il suo “morbido dondolio”.
Ad ogni movimento, piegava le ginocchia con precisione, lasciando che il kettlebell oscillasse tra le gambe. Poi, con un colpo deciso, spingeva il bacino in avanti, contraendo i glutei in un movimento ritmico e potente.
Ogni volta che il kettlebell tornava indietro, si trovava a farlo oscillare tra le gambe, il bacino spinto leggermente all’indietro, in una posizione che, per chi la osservava, aveva una forza ipnotica. I leggings aderenti evidenziavano ogni contrazione muscolare, e una sottile linea di sudore lungo la schiena si fece evidente mentre lei continuava a mantenere il ritmo.
Valerio, appoggiato alla panca poco distante, non sembrava perdersi un attimo.
Mena, concentrata sul movimento e sul respiro, sentiva la tensione salire, ma si ripeteva di restare imperturbabile, anche se era ben consapevole della sua presenza.
Si sentiva molto porca in quel momento. Desiderata.
“Devi da’ proprio tutto, eh?” Commentò Valerio con una nota di ammirazione. Mena sorrise tra sé, senza fermarsi. “Impegnarsi fa bene.” Rispose Mena, “Si espellono tante tossine.” Il tono era leggero ma deciso, mentre un’altra spinta decisa portava il kettlebell in alto.
“Quello è importante..” Aggiunse Valerio, passandosi di sfuggita una mano sul pantaloncino mentre con lo sguardo continuava a indugiare sul voluminoso davanzale di Mena, preso in una sensuale e perenne scuotimento.
Le scarpe di Valerio attirarono l’attenzione di Mena, e senza rendersene conto, i suoi occhi risalirono lungo le sue gambe.
Le piacevano, toniche e tese, anche se meno muscolose di quelle di suo figlio.
Lo sguardo si alzò ancora, indugiando senza volerlo sul pacco gonfio, ben evidente sotto la canottiera nera, troppo corta per coprirlo del tutto.
Mena sentiva di essere bagnata, la figa umida e i capezzoli doloranti. Non poteva fare a meno di cogliere, con un sottile brivido di piacere, come anche il ragazzo mostrasse inequivocabilmente i segni dell’eccitazione. Il suo membro era decisamente più gonfio rispetto a prima, tanto da essere ancora più evidente sotto il tessuto elasticizzato dei pantaloncini, adesso teso verso i lati, modellandosi attorno al prominente tronco.
Si compiacque di avergli fatto quell’effetto solo con qualche squat.
Mentre Mena si concedeva un lieve sorriso di soddisfazione, la voce di Valerio la richiamò all’improvviso. “Prova a ruotare di più i piedi.” Disse, con tono sicuro.
Lei interruppe il movimento, leggermente sorpresa. “Come scusa?” Chiese, guardandolo con un sopracciglio alzato.
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