Gay & Bisex
Immagini dalla sessualità - Parte 1

12.02.2025 |
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"Mi resi conto d’averlo fatto troppo bruscamente, purtroppo il calmarsi dell’eccitazione aveva fatto riemergere tutti i miei scrupoli; concluso il piacere si..."
Fu un lampo, uno scambio di sguardi, una scintilla che scocca, gli occhi che incontrano gli occhi nel corridoio di un ristorante di un grande albergo. Ero giovane, non di primo pelo ma ancora giovane, lui un po’ meno, non troppo vecchio ma ben navigato. "Beviamo qualcosa?" fu l’approccio diretto mentre ci sfioravamo spalla su spalla. Rimasi interdetto perché non avevo mai avuto certe esperienze. A quel tempo navigavo ancora nel buio della mia sessualità. Ero un convinto assertore della mia eterosessualità, anzi, del mio machismo. Pensavo di essere un figo a fare il gradasso buttandomi a capofitto in ogni avventura e lasciare soltanto il mio profumo la mattina successiva. Gongolavo nel mio ideale di sciupafemmine. Ma quel giorno… quella sera qualcosa scattò mentre guardavo negli occhi quello sconosciuto che teneva in mano un Old Fashion e lo ascoltavo parlare senza davvero capire cosa stesse dicendo.
Non era bello, aveva fascino ma non si sarebbe potuto dire un adone. La stempiatura lo invecchiava più dei suoi anni ma il suo charme giungeva da oltre il suo aspetto esteriore. Le sue parole ammaliavano nella loro semplicità. Non sfiorò mai l’argomento sesso ma capii subito quello che voleva. E quello che volevo anche io. Quando si alzò mi lasciai condurre come un cagnolino a cui hanno promesso un osso.
Dietro la porta della sua camera si rivelò ancor più delicato. Le sue mani leggere mi spogliarono lentamente; le sue parole m’invitavano a fermarlo non appena non mi fossi più sentito a mio agio. Mentre i miei vestiti scivolavano sul pavimento e le sue dita scorrevano sul mio corpo, l’eccitazione dilagava in me. Nei miei vecchi pensieri non avrei mai potuto immaginare che la vicinanza di un uomo, il suo approccio sessuale, avrebbe scatenato in me una tale voluttà. Nelle mutande il mio sesso sembrava esplodere e gridò di sollievo quando gli slip finirono a terra.
Ero in piedi davanti a lui, che stava in ginocchio e guardava estasiato il mio pene eretto. Provavo un turbine di sentimenti che mi spingevano a voltarmi e fuggire da quella situazione imbarazzante per rimarcare quella che sentivo la mia "normalità"; impulsi sconosciuti che imploravano di chiedere a quell’uomo ai miei piedi, ancora vestito, di afferrare il mio cazzo e farne quello che più ne avrebbe voluto; turbamenti che mi dicevano che essere "uomo" non significa per forza essere un tombeur de femmes ma che la sessualità ha migliaia di sfumature e che, ma questo l’avrei capito solo diversi anni dopo, ognuno la vive, la percepisce, la gode nel modo a lui più consono, senza sbandierarla, senza subirla e senza per forza scendere negli abissi della perversione.
Fu ancora lui a rompere gl’indugi. "Posso?" mi chiese indicando il mio uccello dritto e duro.
"Sì." Sussurrai tra i denti, forse terrorizzato da quello che sarebbe successo, spaventato che avrei potuto apprezzarlo.
Sentii le sue dita afferrare la mia asta, avvolgerglisi attorno, il suo palmo stringerla, il suo pollice accarezzare la cuspide dietro al glande fino a giungere all’orifizio e massaggiarlo. Il movimento sinuoso che l’uomo dava alla sua manovra fece vibrare le corde profonde del mio piacere, effondendo così la lussuria in ogni parte del mio corpo. Con una mano mi masturbava lentamente, profondamente, voluttuosamente, - sembrava ricevere anch’egli piacere da quel lavoro, - e con l’altra mano mi accarezzava la coscia, come a voler amplificare il godimento che partiva dalla radice del mio sesso. Ad ogni carezza avvertivo un calore mai sperimentato in nessuna delle mie precedenti avventure, anche se dentro di me, la mia parte razionale, la mia parte integerrima, la mia parte borghese e perbenista cercava disperatamente di urlare la sua disapprovazione per una pratica che considerava contro natura. Mentre mi gustavo quel lavoro così ben fatto, continuavo a ripetermi che non era quella la mia essenza, che un vero uomo come mi consideravo io non poteva certo godere di una pratica così spiccatamente depravata e immorale. Ma, nonostante questi neri pensieri che tentavano di dissuadermi da quel momento idilliaco, non volevo certo sottrarmi a quel piacere, che era insieme fisico e mentale. Un piacere che dal glande turgido, così ben curato dalla sapiente mano dell’uomo in ginocchio davanti a me, giungeva direttamente al punto più antico e profondo del mio cervello. Non era solo sesso ma qualcosa di molto più intenso. Lo capii molto tempo dopo, quello era l’abbraccio ancestrale che mi riportava al tempo in cui non esisteva nulla di giusto e nulla di sbagliato, un tempo remoto in cui ogni essere era libero dalle costrizioni imposte dal potere che si era man mano rafforzato. Quella sera, ben lungi da questi pensieri filosofici, apprezzavo l’uomo che mi aveva abbordato e condotto fin lì.
"Te lo posso prendere in bocca?"
Il cuore mancò un colpo. Mi chiesi se fossi pronto per questo? Ero pronto a sovraccaricare ancora quella situazione che aveva già oltrepassato il confine di ciò che avevo sempre pensato fosse la decenza dei rapporti sessuali? Ero pronto a sentire delle labbra maschili, contornate di barba, avvolgere e succhiare il mio uccello? Finora tale piacere mi era stato donato soltanto da dolci e carnose labbra femminili, che accompagnavano la fellatio con l’ondeggiare di lunghe capigliature profumate. Eppure, ancora una volta, dentro di me si dibatteva il mostro a due teste, l’una che si dibatteva per rifuggere da quel contatto omosessuale, l’altra che lo bramava violentemente.
"Non riesco a resistere." mi disse l’uomo in ginocchio, quasi implorandomi, "Non lo dimenticherai." mi stuzzicò la fantasia e anche un poco d’orgoglio. In quel momento non sapevo cosa avrei fatto di quella sera, forse l’avrei dimenticata subito, forse me la sarei portata dentro come un fardello che avrebbe richiesto anni di terapia per assorbirlo, forse sarebbe stato il meraviglioso ricordo di un’esperienza completamente fuori da me. Lui stava ancora aggrappato alla mia asta, con una mano poggiata alla mia natica, come a non voler farsi sfuggire l’oggetto del desiderio che aveva a pochi centimetri dal naso. Lo sguardo implorante cercava di far breccia nella mia volontà. A distanza di anni, devo ammettere che fu davvero un signore. Nessuno di quelli che ho incontrato successivamente avrebbe resistito tanto a gettarsi con foga sul mio sesso. Neppure io, quando avevo tra le mani una bella donna serbavo tanta attenzione alle sue richieste; in preda all’eccitazione bramavo di possedere ogni parte di lei che, dentro di me, sapevo mi avrebbe fatto godere. Quell’uomo era tanto educato da riuscire a tenersi a freno nonostante l’eccitazione lo pervadesse da capo a piedi.
Non riuscii ad articolare una risposta, semplicemente spinsi un po’ il bacino verso il suo viso. Lui comprese la mia intenzione, aprì la bocca e ingoiò la mia cappella. Il caldo avvampò dai miei lombi fino al mio viso, percepii il rossore che si era acceso sulle mie guance. Mentre succhiava stringeva la mano sulla mia natica come a spingere più a fondo il mio sesso dentro di lui. Ogni onda di movimento si traduceva in un flusso di piacere sempre più ampio che inondava tutto il mio essere. La stanza si perdeva in un vortice di passione che raggiungeva anche le più lontane aree sensibili e ritornava scariche elettriche di immensa lussuria. La mano che teneva la base dell’asta si allentò per andare ad accarezzare la parte inferiore dei testicoli. Li sentii contrarsi al gentile solletico di quelle dita. L’uomo in ginocchio davanti a me che teneva in bocca il mio pene aveva ragione, non lo avrei dimenticato. E questo pensiero andò a sommarsi con tutti gli altri sentimenti contrastanti che lottavano dentro e contro di me, ma il godimento che traevo da quello splendido lavoro di bocca e di lingua sul mio uccello era troppo intenso per venire dissipato dagli scrupoli morali conservatori che mi avevano inculcato.
Lavorando alacremente su e giù, continuando a massaggiarmi le palle, spostò la mano che teneva sul mio posteriore fino alla riga tra le natiche. Quando le spalancò leggermente e con il medio raggiunse il mio buco di culo reso sensibile dall’eccitazione della situazione persi ogni concezione del tempo e dell’essere. Vagii alcuni suoni indistinti che salivano direttamente dalla mia gola senza che il cervello avesse la possibilità di articolare vere proprie parole e i fiotti del mio sperma eruppero irruenti come se altro non avessero atteso da quando esiste il mondo. L’orgasmo, riversato direttamente nella gola dell’uomo in ginocchio, mi lasciò senza fiato, con le gambe molli che stentavano a reggermi e con un tremolio che correva sotto pelle, perse il suo impeto lasciandomi disorientato. Immediatamente mi sentii sporco, malvagio, degenere, squallido e sordido; mi vidi sprofondare nei fiammeggianti gironi infernali destinati ai peggiori tra i peccatori, sottoposto alle crudeli punizioni di enormi demoni dalle grosse code a foggia di pene. D’istinto sottrassi il mio, di pene, dalle labbra dell’uomo in ginocchio davanti a me, che ancora si gustava il mio sapore con un sorriso beato sul volto. Mi resi conto d’averlo fatto troppo bruscamente, purtroppo il calmarsi dell’eccitazione aveva fatto riemergere tutti i miei scrupoli; concluso il piacere si risvegliavano i timori. Mi misi a recuperare i miei vestiti indossandoli velocemente per fuggire da quel luogo di perdizione in cui mi sentivo imprigionato.
L’uomo, che fino a poco prima era in ginocchio davanti al mio sesso eretto e, traendone piacere egli stesso, abbondantemente ne aveva dato a me, adesso inseguiva i miei movimenti irrequieti cercando di blandire la mia frenesia. "Non vuoi farti una doccia? Non resti ancora un po'? Non ti è piaciuto?" Io rispondevo a monosillabi, adducendo vari impegni per l’indomani e il bisogno di andare a letto presto. Scostai sgarbatamente il braccio sul quale aveva appoggiato una mano in un ultimo, disperato tentativo di trattenermi ma soprattutto di attenuare quell’angoscioso senso di colpa che mi aveva serrato il petto. Mi chiusi la porta della sua camera alle spalle con la sua voce che mi diceva che non dovevo temere la mia sessualità. Quelle parole riecheggiarono dentro di me lungo tutto il corridoio, sembrava che da ogni porta ne uscisse qualcuno che conosceva il mio segreto, che ogni persona che incrociavo giudicasse il mio comportamento ma soprattutto giudicasse il mio trarre godimento da quella pratica totalmente immorale. Percorsi quei metri che separavano le nostre camere in uno stato di turbamento ovattato, con la spina di quella scelleratezza conficcata nel cuore.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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