Lui & Lei
Dodici anni dopo...
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01.03.2025 |
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"Non era solo attrazione fisica, era un gioco di menti..."
Tanto era passato dall’ultima volta che avevo messo piede su quel sito. Un’era geologica in cui la mia vita aveva preso altre direzioni, lontane da certe follie. Eppure, quella sera d’inverno, mentre il vento batteva contro i vetri della finestra e il silenzio riempiva la stanza, qualcosa mi spinse a riaprire quel capitolo sepolto. Una curiosità leggera, un richiamo lontano. Un clic, una password riesumata da vecchi ricordi, e di nuovo dentro.Il sito era cambiato, le grafiche più moderne, le funzioni più avanzate. Ma l’anima era la stessa: incontri, trasgressione, gioco. Mi aggirai tra i profili come un esploratore in un vecchio continente, cercando tracce di quel mondo che avevo lasciato. Volti sconosciuti, proposte audaci, desideri messi nero su bianco senza filtri.
Poi, un messaggio. Diretto, semplice: “Ti va di chiacchierare? Penelope.”
Nome in codice. Nome che evocava attese e pazienza, ma qualcosa mi diceva che lei non era il tipo da aspettare troppo a lungo. Risposi. La conversazione scivolò via fluida, come se ci conoscessimo da sempre. Non era solo attrazione fisica, era un gioco di menti. Lei citava autori che amavo, raccontava viaggi che avrei voluto fare, parlava di desideri con una leggerezza che nascondeva una profondità rara. Era bella, interessante, audace e curiosa. Come me.
“Le lettere d’amore non sono ridicole. Ridicolo è non scriverne mai.” Citò a un certo punto, guardandomi con un sorriso. Vecchioni, ovviamente. La sua voce era nella colonna sonora delle nostre vite, e scoprire che anche lei ne era affascinata fu l’ennesima conferma che eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Dopo giorni di scambi, decidemmo di incontrarci. Un bar discreto, luci soffuse, musica jazz in sottofondo. Mi riconobbe subito. Occhi scuri, sorriso sfacciato. Una stretta di mano che era una promessa. Parlammo di tutto e di niente, assaggiando il vino, lasciando che i nostri sguardi si rincorressero in sottintesi infiniti. Il tempo si fece relativo. Il mondo esterno smise di esistere. Eravamo solo noi, una bolla di desiderio che si gonfiava lentamente.
Non servivano troppe parole. Il passo successivo era naturale, inevitabile.
Fu lei a suggerire un posto, un piccolo loft nel centro storico. Nessun imbarazzo, nessuna esitazione. Solo la voglia di scoprire cosa succedeva quando due menti affini si lasciavano andare anche alla chimica del corpo. Il tragitto fino a lì fu una lunga anticipazione. Camminammo fianco a fianco, le dita che si sfioravano appena. Sorrisi rubati, piccoli gesti di reciproca sfida.Quando la porta si chiuse alle nostre spalle, il silenzio divenne elettrico. Ci guardammo, un attimo sospesi nel momento prima dell’inevitabile. Poi, senza fretta, ci venimmo incontro. Fu un bacio lento, profondo, il primo tassello di qualcosa che entrambi volevamo assaporare fino in fondo.
E fu esattamente come doveva essere: intenso, giocoso, libero. Un incontro che non era solo fisico, ma un dialogo tra pelle, respiri e desideri. Nessuna fretta, nessuna ansia. Solo il piacere di conoscersi in tutti i modi possibili. Ridere tra un bacio e l’altro, esplorarsi senza paura, lasciarsi guidare dall’istinto. Il suo corpo era una mappa da scoprire, e io ero un esploratore affamato di terre nuove.
La notte scivolò via senza che ce ne rendessimo conto. Dopo, ci fu spazio per confidenze tra le lenzuola, per racconti intimi, per parole sussurrate nel buio. Lei parlò di una vita che aveva cercato di sfuggire alle convenzioni, di un bisogno di libertà che la faceva sentire a volte incompresa. Io le raccontai di ciò che mi aveva tenuto lontano da quel mondo per anni, di desideri sopiti e della voglia, quella notte, di riscoprire qualcosa che avevo messo da parte.
Passammo ore a toccarci, a esplorarci, a scoprire le infinite sfumature del desiderio che si era acceso tra noi. Ci furono risate, sospiri, mormorii che riempivano il silenzio della stanza. Ogni gesto, ogni bacio, ogni carezza era una storia a sé, un nuovo capitolo di un libro che avevamo appena iniziato a scrivere. Lei era audace, sfacciata, ma anche delicata nel modo in cui si abbandonava tra le mie braccia. Io la seguivo, la guidavo, la lasciavo condurre. Fu una danza perfetta.
Ci alzammo solo quando il cielo si colorò di sfumature aranciate. Penelope si distese sul letto, il lenzuolo che le scivolava addosso come una seconda pelle. Mi guardò con quegli occhi scuri che avevano incendiato la notte.
“Non sei come gli altri.”
Le sfiorai il viso con la punta delle dita, disegnando contorni già familiari.
“Forse perché nemmeno tu lo sei.”
Lei sorrise e mi tirò a sé, baciandomi di nuovo. Il tempo sembrava sospeso, e in quell’istante avrei voluto che restasse così per sempre.
Quando il primo chiarore dell’alba filtrò tra le tende, eravamo ancora lì, abbandonati tra lenzuola stropicciate e odore di pelle calda. Lei mi guardò con un sorriso soddisfatto e complice.
“Dodici anni, eh? Direi che ne è valsa la pena.”
Sorrisi. Sì, ne era valsa la pena.
Poi, quasi tra sé e sé, sussurrò: “E di nuovo cambio casa, e di nuovo cambiano le cose… e chissà domani che succederà.”
Vecchioni, ancora. La vita, come una canzone, con strofe che si ripetono e altre che sorprendono sempre.
Non sapevo se ci sarebbe stato un domani per noi, ma non importava. Quella notte era stata un viaggio, una parentesi perfetta tra due vite che si erano incrociate per una ragione. E forse, in fondo, era proprio questo il bello.
Mentre il sonno ci avvolgeva, le mormorai all’orecchio un ultimo pensiero, quasi senza accorgermene: “But at my back I always hear Time’s wingèd chariot hurrying near.” Lei sorrise, socchiudendo gli occhi.
“Marvell…” sussurrò. “Un classico.”
E ci addormentammo così, con la poesia e il desiderio ancora sospesi tra noi.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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