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Il club di Ginevra


di RANDELLONEMAIALONE
11.04.2025    |    38    |    0 8.0
"Da una di queste, una donna bionda con un collare di pelle nera cavalcava un uomo legato, i seni che ondeggiavano con una bellezza quasi crudele..."
Il giovane si fermò un attimo davanti all’ingresso. Le mani sudate nelle tasche del cappotto, il cuore che batteva come se volesse uscire dalla gola. Davanti a lui, la facciata anonima del locale sembrava voler nascondere, dietro le sue linee discrete, un universo che prometteva tutto ciò che non si poteva dire a voce alta.

Aveva sentito parlare del Circolo. Ne parlavano sottovoce, tra chi sapeva. Un locale dove i desideri prendevano forma, dove ogni corpo era insieme spettatore e spettacolo. Ginevra lo aveva attirato per caso, ma quel posto — no, quella promessa — era diventata una calamita irresistibile.

Mostrò il documento a un uomo elegante con occhi di ghiaccio e sorriso impercettibile. “Prima volta?” chiese l’uomo, con un accento francese appena percettibile. Il ragazzo annuì. “Allora goditi lo spettacolo... e non avere fretta. Qui il tempo si misura in respiri.”

Entrò.

L’aria era densa di profumo e segreti. Una penombra calda avvolgeva ogni cosa. Luci soffuse, musica che era più sussurro che melodia, e corpi — ovunque — a metà tra l’attesa e l’abbandono. Alcuni parlavano, altri si toccavano piano, altri ancora osservavano con sorrisi indecifrabili.

Si avvicinò al bancone per prendere un drink, cercando di non fissare troppo a lungo. Ma era impossibile non guardare. Una donna con un bustino color sangue sussurrava qualcosa all’orecchio di un uomo nudo fino alla vita; poco oltre, due corpi intrecciati si muovevano su un divanetto, coperti solo dall’ombra.

Poi lo vide. Un uomo distinto, sessanta anni forse, capelli d’argento e uno sguardo che sembrava sapere esattamente cosa cercare. Lo osservava. Non con bramosia, ma con calma. Con pazienza. Come se lo stesse aspettando da sempre.

Il ragazzo distolse lo sguardo, ma fu inutile. L’uomo si avvicinò con una naturalezza quasi aristocratica. “Sei solo?” chiese, il tono profondo e morbido come velluto. Il giovane fece sì con la testa.

“Allora permetti che ti accompagni.”

E da lì, il vortice.

L’uomo gli porse il braccio con un gesto teatrale, come un anfitrione che introduce un ospite d’onore a un ballo esclusivo. Il ragazzo esitò un istante, poi lo seguì, spinto da quella voce calda e dalla sicurezza magnetica che emanava.

“In questo posto,” disse il signore, camminando lentamente lungo un corridoio tappezzato di velluto nero, “non esiste il peccato. Solo il piacere… declinato in tutte le sue forme.”

Si fermarono davanti a una tenda. Dietro, voci sussurrate e un suono sordo, ritmico, bagnato. L’uomo scostò appena il tessuto, quanto bastava perché il giovane vedesse.

Una donna era in ginocchio, completamente nuda. I capelli scuri incollati al viso sudato, la schiena arcuata in avanti, mentre le sue mani affondavano nei glutei di un uomo che la teneva stretta per i fianchi. La penetrava con vigore, senza violenza, ma con quella forza controllata di chi sa esattamente dove condurre ogni affondo. Davanti a lei, un altro uomo, seduto e nudo, riceveva i suoi baci umidi, la lingua che lavorava lenta attorno alla cappella.

Il ragazzo trattenne il fiato.

“Vedi?” sussurrò l’uomo alle sue spalle. “Non è solo sesso. È un linguaggio. Un modo di appartenersi… anche solo per una sera.”

Proseguirono. Ogni sala aveva il suo universo. Una coppia legata con seta cremisi; un altro uomo inginocchiato davanti a due donne che lo accarezzavano come fosse un giocattolo prezioso. Ma più camminavano, più il ragazzo si accorgeva che gli occhi del signore non erano mai interessati a ciò che succedeva attorno. Erano fissi su di lui. A ogni scena, gli parlava a bassa voce, guidandolo.

“Ti sei mai chiesto… cosa prova un uomo a vedere la propria donna tra le braccia di un altro?”

Il ragazzo lo guardò, incerto.

“Non tradimento. Non gelosia. No. Se ami davvero… il desiderio non ha confini. La vera lussuria è lasciarla libera. Vederla godere. Vederla aperta, vorace, sudata, piena del cazzo di un altro. E sapere che è tua… anche così.”

Il ragazzo lo seguiva senza più opporre resistenza. Non rispondeva, ma ascoltava col corpo intero, con ogni fibra tesa.

Attraversarono una zona più scura, fatta di stanze con vetrate fumé, luci al neon filtrate, specchi appannati. Da una di queste, una donna bionda con un collare di pelle nera cavalcava un uomo legato, i seni che ondeggiavano con una bellezza quasi crudele. In un’altra, due uomini penetravano insieme una donna in posizione prona, mentre una terza mano, femminile, le stringeva i capelli.

“Ti stai eccitando, vero?” chiese il signore senza girarsi. “Lo vedo. È normale. Ma non è ancora abbastanza.”

Salì tre gradini, poi si fermò. Il corridoio si faceva più stretto, più silenzioso. Nessuna musica. Solo un respiro costante nell’aria, quasi fosse vivo.

“Allora lasciami completare il mio regalo.”

Aprì una porta, solo di qualche centimetro.

“Guarda.”

Il ragazzo si avvicinò, e il mondo si ridusse a quella fessura luminosa.

La stanza era ampia, vestita con teli bianchi e rossi che scendevano dal soffitto. La luce tremolava, riflessa su vetri e superfici lucide. Ma fu ciò che vide al centro della stanza che gli tolse il fiato.

Una donna. Stesa su un letto basso, le gambe leggermente divaricate, piegate con eleganza. Il corpo fasciato da un completo di lingerie nera e oro che sembrava cucito su misura per il suo peccato: reggicalze che abbracciavano le cosce lisce, un corsetto che le incorniciava i seni pieni, i capezzoli appena visibili sotto il pizzo fine come ragnatela. Ai piedi, un paio di décolleté neri lucidi, appuntiti, con sottili nastri di seta attorno alle caviglie.

Ma fu la benda a farlo tremare. Una fascia di velluto scuro che le copriva gli occhi. Immobile, la donna respirava lenta, le labbra socchiuse, come in attesa di qualcosa di già sognato.

“È lì per te,” disse l’uomo.

Il ragazzo si voltò lentamente. L’uomo lo fissava, questa volta senza alcun filtro.

“È la mia donna. È la mia fantasia. Ed è il tuo destino per questa notte.”

Un silenzio denso cadde tra loro.

“Non ti chiederà nulla. Ti sentirà. Ti assaporerà. Ma sei tu che la possiederai. Solo… segui le mie istruzioni. Farai tutto quello che ti dirò. Ogni gesto. Ogni parola.”

Il ragazzo deglutì, incerto se sentire vergogna o adorazione.

“E io… io sarò lì. A guardare.”

Un fremito lo percorse. Non era paura. Era qualcosa di più profondo. Un riconoscersi.

L’uomo gli porse un guanto nero di pelle sottile, poi un secondo. “Indossali. Lei non conosce ancora il tuo tocco. Ma lo ricorderà.”

Un ultimo sguardo alla donna. Il ventre saliva e scendeva con un ritmo ipnotico. Le sue cosce brillavano sotto la luce fioca. Era un invito.

Il ragazzo indossò i guanti, sentendo il cuore esplodere nel petto.

“Entra,” sussurrò il signore. “E quando sarai dentro… ascolta solo la mia voce.”

Il ragazzo entrò in punta di piedi, come in un tempio. Il silenzio era assoluto, interrotto solo dal respiro sottile della donna distesa sul letto. Il tessuto della lingerie catturava la luce come seta bagnata. Le gambe, ancora piegate con eleganza, tremavano appena sotto la tensione dell’attesa.

Con le mani guantate, si avvicinò al bordo del letto. Restò lì, immobile. Poi sentì la voce — quella voce — tornare, sottile ma autoritaria, come un filo teso tra lui e l’uomo oltre la porta.

“Accarezzale le caviglie. Lentamente. Fallo come se stessi toccando qualcosa di sacro.”

Lo fece. E la donna si mosse. Un sussulto. Le labbra si dischiusero, un suono lieve, quasi un sì. Il ragazzo risalì lungo i polpacci, poi sulle cosce. I guanti scivolavano sulla pelle liscia, umida di attesa.

“Aprigli le gambe. Ma non troppo. Fallo con rispetto. Come si spalanca un libro antico.”

E così fece. La donna tremò sotto le sue dita. Il profumo del suo sesso era già nell’aria. Caldo, maturo, irresistibile. Il pizzo dell’intimo era umido, segnato da una macchia più scura al centro, come inchiostro su carta porosa.

“Avvicinati. Inspira. Voglio che tu senta quanto è pronta. Quanto ti vuole… anche se non sa chi sei.”

Il giovane lo fece, e il suo cazzo si fece ancora più duro, palpitante dentro i pantaloni. Il profumo di quella fessura era dolce e animalesco, una promessa fatta carne.

“Ora… levale lo slip.”

Con dita lente, delicate, lo scostò. Il tessuto si staccò dalla pelle con un suono umido, filamenti di desiderio che restavano incollati tra le labbra aperte. Lei emise un gemito, arreso.

“Guardala. Guarda com’è bagnata per te. Per me. Per noi.”

Il ragazzo si inginocchiò, portando la bocca a sfiorare quel sesso. Leccò piano, con timore e fame. Lei inarcò il bacino, senza vedere, ma sentendo. Il suo corpo reagiva come una bestia guidata solo dall’istinto.

“Falle capire che sei giovane, affamato. Succhiala con rispetto, ma con forza. Voglio sentirla gemere.”

E gemette. Prima un suono soffocato, poi un gorgoglio profondo, gutturale, che le salì dalla gola come un richiamo antico. Le mani si chiusero a pugno sulle lenzuola.

Il ragazzo si alzò, togliendosi i vestiti con movimenti impacciati, il cazzo duro come pietra. Si avvicinò. Si fermò. Attese.

“Prendila ora. Ma entra piano. Voglio che tu senta ogni millimetro. E voglio che lei lo senta. Voglio che lei sappia… che non sei me.”

Affondò.

Caldo. Stretto. Bagnato. Vivo.

Il corpo della donna lo accolse con un brivido che si propagò fino al collo. Le cosce lo strinsero. Il bacino si mosse da solo, come se lo conoscesse già.

“Muoviti piano. Voglio vedere quanto ci metti a farla perdere.”

Ogni spinta era un’onda. La figa della donna lo succhiava, lo tratteneva, lo voleva sempre più a fondo. La sua voce era diventata canto: gemeva, chiamava, si lamentava di piacere.

Il ragazzo aumentò il ritmo.

“Ora. Ora toglile la benda.”

Lo fece.

Gli occhi della donna si spalancarono, lucidi, febbrili. E si posarono dritti sul cazzo che la stava scopando.

Lei ansimò, come se il piacere aumentasse al solo vedere quel membro sconosciuto che la prendeva con forza.

“Ma che cazzo… oh Dio…” sussurrò, prima di urlare un orgasmo improvviso, bestiale, che la fece vibrare sotto di lui. Il corpo si tese, si contorse, lo stringeva come se volesse risucchiarlo dentro.

“Sì. Così. Fallo ancora. Vieni dentro di lei. Fammi vedere cosa le fai.”

Il ragazzo spinse più forte, più in fondo, poi esplose. Un fiotto, due, tre… dentro quella figa bollente, che lo accoglieva come se fosse casa.

La donna restò a bocca aperta, tremante, le mani sulle cosce, la pelle inondata di brividi.

Il ragazzo si ritrasse. Piano. Il cazzo ancora duro e luccicante di piacere.

Poi, la porta si aprì.

L’uomo entrò.

Non disse nulla. Si inginocchiò tra le gambe della donna, allargandole di nuovo con gesto sicuro. Guardò il sesso colmo di sperma caldo, aperto e tremante, poi si chinò. Con la lingua, iniziò a leccare.

Lento. Profondo. Paziente.

Leccava tutto: il bordo delle labbra, la fessura gonfia, il seme che colava piano. Raccoglieva ogni stilla, ogni residuo, come un vino raro.

E lei… lei godeva di nuovo. Silenziosamente. Gli occhi fissi su quel marito che la adorava mentre la ripuliva.

Il ragazzo guardava, senza parole, il cuore in gola, il cazzo che già ricominciava a fremere.

“Benvenuto,” disse l’uomo, alzando lo sguardo con le labbra lucide. “Adesso sei parte di noi.”

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