Prime Esperienze
Max il ricciolino

10.04.2025 |
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"E Ginevra, mentre accendeva la sigaretta e lasciava che la cenere cadesse sul pavimento, capì che sì — poteva avere quarantasei anni, ma dentro di sé c’era..."
Era una di quelle giornate di fine agosto, in cui l’aria vibrava densa, quasi liquida, avvolgendo ogni cosa in una patina umida e opprimente. Ginevra aveva scelto di rifugiarsi al parco, cercando sollievo all’ombra rarefatta degli alberi. Il prato era quasi deserto, solo qualche passante lontano e, poco distante da lei, un ragazzo steso sull'erba, apparentemente immerso nella lettura, ma con occhi che di tanto in tanto sfuggivano furtivi nella sua direzione.Non aveva affatto pensato, uscendo di casa, che si sarebbe lasciata trascinare in un gioco simile. Non era il tipo da lusinghe improvvise, da fantasie estive. Ma quello sguardo... qualcosa le scattò dentro. Ginevra si sentì osservata con una fame silenziosa, con un desiderio trattenuto. Era giovane, forse appena ventenne — troppo giovane per lei, che di anni ne aveva quarantasei, anche se il suo corpo non lo dimostrava affatto. "Potrebbe essere mio figlio," pensò tra sé, colta da un brivido che le attraversò la schiena e la fece sorridere di lato, con un pizzico di vergogna e un retrogusto di eccitazione.
Quel volto le ricordava Livio — il primo ragazzo con cui aveva fatto l’amore, nell’estate dopo la maturità, tra le lenzuola di una casa vuota, quando l’innocenza si mescolava alla scoperta.
Era un pomeriggio torrido, proprio come quello. Avevano marinato le lezioni, rifugiandosi in quella stanza prestata da un’amica, ancora profumata di doposole e sudore adolescenziale. Livio aveva i capelli ricci, neri, un po' lunghi, e quel sorriso che sembrava sfidarla ogni volta che lo incontrava tra i banchi. La guardava con l’audacia di chi non conosce ancora la vergogna, e le mani gli tremavano mentre le slacciava il reggiseno. Ginevra ricordava ancora il tocco incerto delle sue dita, la tenerezza mescolata alla fame, la lingua che cercava, sbagliava, imparava. Si erano amati lentamente, impacciati, ma pieni di voglia. Lei aveva provato a guidarlo, ma finì con il lasciarsi andare completamente, gemendo piano mentre lui la prendeva per la prima volta. Quando si rivestirono, le gambe le tremavano ancora.
Il ricordo le tornava vivo, vivido, nel modo in cui Max sfiorava le pagine, nell’espressione assorta, nella postura rilassata. Le mani di quel ragazzo, distese sul libro, sembravano lì solo per tenere a bada un sogno proibito. Le dita lunghe, la pelle tesa sulle braccia ancora adolescenziali. Quel libro di poesie, forse, che stringeva con finta noncuranza, gli dava un’aria dolcemente intellettuale.
"Scommetto che studia Lettere," pensò. E aveva ragione. La stanza in cui sarebbe finita di lì a poco si trovava in una piccola casa, fuori dal parco, nel quartiere adiacente: un insieme di edifici bassi e vivaci, frequentati da studenti universitari e artisti improvvisati. Il quartiere aveva un odore di pizza al taglio, sudore e gioventù.
Indossava una gonna leggera, senza nulla sotto, e una canottiera di lino che lasciava trasparire appena i capezzoli induriti dal contrasto tra il calore e la brezza improvvisa. Incuriosita da quell’attenzione discreta, Ginevra sentì nascere un fremito sottile, un gioco di provocazione che le parve irresistibile. Lentamente, scostò le gambe, lasciò che la stoffa della gonna si arricciasse sulle cosce, mostrando la pelle nuda, liscia, perfetta. Incrociò le gambe e poi le aprì di nuovo, più lentamente, lasciando che la luce del sole accarezzasse quella fessura umida e gonfia, che cominciava già a pulsare.
Il ragazzo, Max, la osservava ora senza più timidezza, come se anche lui avesse capito che qualcosa era cambiato. Avevano rotto il velo del possibile. Bastò un accenno del mento, un sorriso di lei, e si alzò, lasciando cadere il libro accanto alla coperta. Camminarono fianco a fianco in silenzio, le mani che non si toccavano ancora ma l’aria tra loro elettrica, densa come il cielo sopra.
La casa era un piccolo appartamento al primo piano, arredato con gusto spartano e disordinato: libri ovunque, stampe di Hopper alle pareti, una moka sul fornello ancora tiepido. La porta si richiuse alle loro spalle. Ginevra lo guardò negli occhi e pensò ancora una volta: "È troppo giovane. Ma quanto cazzo lo voglio."
Max esitò un istante, forse per rispetto, forse per paura. Ginevra allora gli prese il viso tra le mani e lo baciò. Non c’era più niente da dire.
Si baciarono contro la porta, poi lungo il corridoio, poi sul divano. Si toccavano ovunque, si spogliavano pezzo per pezzo come se ogni strato fosse troppo tra loro. Lei lo spogliava con la lentezza di chi scarta un regalo, lui le toglieva la canottiera con un tremore reverente, restando a guardare quei seni nudi con lo stupore di chi non ha mai avuto una donna vera, matura, tra le mani.
Quando si ritrovarono nudi sul letto, Ginevra si sentiva accesa come non mai. Si inginocchiò sopra di lui, sfiorandogli il petto con i capezzoli, lasciando che il suo sesso sfiorasse il suo ventre. "Lo sai cosa mi stai facendo, Max?"
Lui annuì, ma non parlò. Le sue mani esplorarono ogni centimetro del suo corpo, baciandole la pancia, poi più giù, fino a leccarla lentamente, come se volesse impararla da dentro. Lei gemeva, si contorceva, lo guidava.
Lo fece sdraiare, prese il suo cazzo in bocca con fame, con esperienza, succhiandolo a fondo, lentamente prima, poi più avidamente, lasciandosi scorrere la saliva sul mento. Max la guardava con occhi spalancati, incredulo. Quando fu sul punto di venire, Ginevra si sollevò, lo guardò con un sorriso sporco e si sedette sopra di lui, prendendolo dentro con un gemito profondo.
La cavalcata fu lenta, ipnotica. Ogni affondo una preghiera, ogni gemito una confessione. Le unghie di lei gli segnavano il petto, le sue mani le stringevano i fianchi. "Fottimi, Max... fammi godere come non succede da anni..."
E Max obbediva, con tutto il suo corpo, con la sua gioventù che si arrendeva all'esperienza di lei, al ritmo che Ginevra imponeva. Quando si girarono e lui la prese da dietro, lei urlò, godendo come una ventenne, senza freni, senza pudore.
Vennero insieme, in un'esplosione selvaggia, lui dentro di lei, lei urlando il suo nome tra i denti stretti.
Rimasero a lungo sul letto, nudi, sudati, le gambe intrecciate, i respiri lenti. Ginevra si passava le dita tra i capelli, con il sorriso languido di chi ha ritrovato qualcosa che credeva perso.
"Sai che mi ricordi Livio?" sussurrò, quasi tra sé.
Max la guardò, curioso. "Chi?"
Lei rise, e non rispose. Poi si alzò nuda dal letto e andò verso la cucina. "Hai una sigaretta?"
Max si rivestì lentamente, gli occhi ancora fissi sul suo corpo che si muoveva tra i mobili. Forse non sarebbe stato solo un capriccio estivo. Forse quel giorno d’agosto, così caldo, così denso, era solo l’inizio.
E Ginevra, mentre accendeva la sigaretta e lasciava che la cenere cadesse sul pavimento, capì che sì — poteva avere quarantasei anni, ma dentro di sé c’era ancora tutta la fame del mondo.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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