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Prime Esperienze
Mia moglie Valeria - Dopo i 40 anni - Cambiamenti - Capitolo 6 - Le foto
di Marta-trav
25.08.2020 |
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"Le dita dei miei piedi, smaltate di rosso fuoco, rimanevano perfettamente visibili..."
I lettori stanno ad uno scrittore come gli spettatori stanno ad un attore.Sono certo/a che, recitare in un film che nessuno vedrà mai, non sia l’ambizione di nessun protagonista del grande o piccolo schermo.
Scrivere parole che nessuno leggerà mai, idem.
Evidentemente non sono uno scrittore/una scrittrice e, comunque, non scrivo per me. O meglio, scrivo anche per me, ma lo faccio soltanto nel momento in cui digito sulla tastiera. E’ quello il momento che placa la mia fame.
Quando decido, poi, di pubblicare quello che ho scritto, lo faccio con la remota speranza di condividere, con altri, quelle emozioni e quelle sensazioni che hanno guidato la mia mano e l’hanno indotta a pigiare sulla tastiera.
Non avere riscontri è come non avere carburante.
Viene meno la spinta. E non si va più avanti.
Viene meno lo stimolo.
In questo sito, tuttavia, non è la semplice lettura a creare quello stimolo, quanto, piuttosto, il commento (cioè il riscontro), positivo o negativo che sia, segno tangibile che qualche sensazione, bella o brutta, al lettore è comunque arrivata.
Non ho la presunzione di credere che tutto ciò che io scriva debba, per forza, piacere. Ma mi piacerebbe, comunque, saperlo.
Scusate lo sfogo.
Ed ora torniamo alla nostra storia, che è ancora molto lunga.
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Ormai pensavo solo a quello.
Al lavoro ero distratto. I miei colleghi mi chiedevano, spesso, se tutto andasse bene.
“Ottimamente!”, rispondevo io, sempre con il sorriso.
Appena potevo, mi collegavo al mio sito preferito, quello di Nefasto e Valehot.
Nefasto continuava a riscuotere successo, specialmente tra i trans e i travestiti.
Il mio profilo era sommerso di richieste di incontri da parte di quelle donne…alternative.
A dire il vero, sbirciando qua e là nei loro profili, mi capitava di imbattermi in persone estremamente piacevoli, soprattutto da un punto di vista estetico. Un look sempre curatissimo e sempre carico di eros, di seduzione e di femminilità.
Era, tuttavia, un mondo a me assolutamente sconosciuto. Che mi spaventava anche un po’.
Mi sono tuttavia ripromesso di approfondire la mia conoscenza con qualcuna di quelle splendide creature.
Ma non adesso.
Adesso c’era mia moglie, solo mia moglie.
Cliccai sulla pagina di Valehot.
Se Nefasto riscuoteva successo, Valehot era uno tsunami.
Gli accessi al suo profilo erano nell’ordine delle centinaia al giorno.
Con il mio account potevo vedere soltanto la pagina pubblica di Valehot.
Potevo vedere quante persone, non chi, fossero entrate nella pagina di mia moglie.
Potevo leggere i commenti lasciati alle sue foto ed ai suoi video.
Ma non potevo accedere alla sua chat. Non potevo leggere i messaggi che Valeria scambiava, privatamente, con i suoi pretendenti. Non potevo, ma lo avrei desiderato enormemente.
Non chiesi più a mia moglie di farmi consultare il suo profilo direttamente dal suo account.
Le avevo dato carta bianca nella scelta.
Lei, però, non sceglieva.
Lei, mia moglie.
Una splendida donna di 45 anni.
A 25 anni era, a detta di molti, la sosia ufficiale di Natalie Imbruglia, la cantante pop italo-australiana, ve la ricordate?
Le due gravidanze non avevano lasciato segni evidenti sul suo corpo.
Acquagym, pilates e spinning avevano contribuito a farle recuperare quella forma fisica invidiabile, che tanto mi aveva colpito anni prima.
Ricordo quando andavamo al mare, prima di sposarci. Valeria aveva un corpo bellissimo. Mi sarebbe piaciuto che lo avesse esibito, che avesse preso il sole in topless. Poteva assolutamente permetterselo.
Ed io mi sarei sentito invidiato.
Glielo chiesi più volte, tra il serio e il faceto.
“Mai!”, mi liquido lei.
Ci provò anche la fidanzata di un mio amico, una volta, mentre eravamo in vacanza a Rimini.
“Dai Valeria, ma di che ti vergogni? Sei bellissima!”, le disse.
“No!”, concluse lei, senza possibilità d’appello.
Niente da fare.
Mia moglie, mora, occhi scuri e viso da eterna ragazzina.
Un bellissimo paio di tette (ma perché non le vuole fare vedere?).
Gambe perfette, nessun segno di cellulite.
Il culo? Forse non la parte migliore di Valeria. Qualche curva in più l’avrebbe resa perfetta.
Non si depilava la patatina. Anche su questo avevamo discusso più volte.
A me sarebbe piaciuta completamente liscia. A lei no. Argomento chiuso, anche questo.
I piedini? Secondo me fantastici!
Sarebbero stati da incorniciare, all’interno di scarpe con tacco altissimo.
Fasciati da sandali che ne esaltassero la forma.
Lei non gradiva assolutamente i tacchi alti.
Anche su questo argomento, nessuna speranza.
Ora, però, Valeria, nello splendore del suo metro e settanta, aveva deciso di rivedere alcune sue ferree convinzioni.
Qualche pensiero impuro si era fatto strada nella sua testolina.
“Battere il ferro finché è caldo”, dicevamo sempre, tra uomini, con riferimento al sesso.
Dovevo sbrigarmi affinché non si raffreddasse troppo, quel ferro.
“Forse ho trovato qualcosa, anzi, qualcuno”, mi disse improvvisamente Valeria una sera, appena rientrato a casa dal lavoro.
Boom, boom, boom!
Il rumore dei battiti del mio cuore…
Finalmente!
“Dai? E chi è?”, le chiesi, cercando di nascondere la mia impazienza.
“Chi sono…”, mi corresse lei.
Come chi sono? Cioè, Valeria, tanto riservata, tanto pudica, tanto contraria ad andare avanti su quel terreno, aveva addirittura trovato due (o anche più) uomini con i quali realizzare la sua/nostra fantasia?
“No, non è come credi. Cioè si. Insomma, sono due uomini, tra i tanti che mi hanno contattata, con i quali ho scambiato qualche messaggio in più. Ci siamo conosciuti un po’. Sono gli unici che mi hanno colpita, in qualche modo. Mi sembrano delle persone a posto”.
“Brava. Sono contento. Dopo me li fai vedere e ne parliamo”, le dissi, cercando di celare la mia ansia.
“Va bene”, mi concesse.
Cenammo.
I nostri figli erano sereni. Dai loro volti erano sparite quelle ombre dei giorni scorsi.
Sistemammo la cucina e ci sedemmo comodamente sul divano.
I ragazzi si rifugiarono nelle loro camere.
Potemmo così parlare tranquillamente.
“Sai cosa pensavo?”, dissi a Valeria.
“Cosa?”, mi chiese, a sua volta.
“Credo che dovremmo iniziare a fare qualche acquisto. Non voglio che tu chieda ancora in prestito le cose a Elena. Voglio che ti compri lingerie sexy, scarpe con il tacco alto ed anche qualche sex toys. Che ne dici?”
“Va bene”, disse ancora lei, remissiva.
“Perfetto. Domani, allora, andiamo a fare shopping”.
Ero impaziente di vedere i profili degli uomini che avevano contattato mia moglie e che l’avevano, in qualche modo, colpita. Tra quei due uomini poteva nascondersi quello che si sarebbe potuto infilare nel nostro letto, quello che avrebbe potuto scoparsi mia moglie davanti a me, quello che mi avrebbe cornificato.
Siamo alle solite. Gelosia ed eccitazione. Ma, ormai, 40/60 in termini di percentuale. Anche 35/65.
Tuttavia andammo a dormire senza che io insistessi per vedere quei profili e senza che lei si ricordasse di farmeli vedere.
Però scopammo. E scopammo molto bene.
Lei partecipò attivamente ai giochi, fin da subito, a differenza delle ultime volte, successive alla serata nella quale mi aveva mostrato per la prima volta Valehot.
Valehot era adesso accanto, sopra, sotto e davanti a me.
La scopai in tutti i modi.
La leccai ovunque. Mi intrattenni tantissimo sulla sua patatina.
“Aspetta, fermati un attimo, vado a chiudere la porta, altrimenti i ragazzi ci sentiranno”, disse improvvisamente lei, alzandosi.
Le guardai il culo mentre chiudeva la porta.
Tornò nel letto e me lo prese in bocca.
Mia moglie, per la prima volta, prese un’iniziativa del genere, senza che fossi stato io a chiederglielo ed a proporglielo. Ad obbligarla.
Mi ha fatto altri pompini in passato, certo. Ma sempre dietro mia richiesta e, soprattutto, dopo aver insistito molto.
Stavolta, invece, ha fatto tutto da sola.
Io ero sdraiato con la testa sul cuscino. Valeria si è messa carponi tra le mie gambe divaricate e me lo ha preso in bocca. Mi leccava il glande, lo succhiava. Con una mano ha afferrato i testicoli. Me li massaggiava e, contemporaneamente, li stringeva. Mi guardava negli occhi mentre lo faceva.
Mi sono immaginato quella stessa scena, ma con me come spettatore.
Mia moglie in ginocchio tra le gambe di uno sconosciuto a fargli un pompino. E mi è venuto di marmo.
“Rimani così”, le ho detto, sfilandoglielo dalla bocca.
Mi sono posizionato dietro di lei, le ho leccato la figa, peraltro già fradicia, e glielo ho infilato dentro senza troppi riguardi.
L’ho afferrata per i fianchi ed ho iniziato a scoparla selvaggiamente.
Lei gemeva, di piacere. Ma anche di dolore.
La mia eccitazione era tale che l’ho presa come non avevo mai fatto in passato. Quasi con violenza.
Lei era alla pecorina.
Ho mollato la presa sui fianchi e le ho poggiato le mani sulle sue spalle.
Spingevo con forza dentro di lei mentre, con le mani sulle sue spalle, la tiravo verso di me.
Lei ha inarcato la schiena.
La sua figa era un lago. Non ricordavo di averla mai trovata così bagnata, in passato.
Mi sentivo eccitato come non mai.
“Mettimelo nel culo”, mi ha detto Valeria.
“Come?”, io.
“Dai Ste, scopami nel culo”.
La consapevolezza che mia moglie fosse cambiata e che si stesse lentamente trasformando nella donna sessualmente spregiudicata che avevo sempre desiderato mi fu confermata anche da quella sua richiesta, mai fattami prima nel corso del quarto di secolo che ci aveva visti uniti.
La accontentai, evidentemente.
Con Valeria, in quel momento, con quella richiesta, era iniziato un percorso che non sapevo bene dove ci avrebbe condotti. Ma era un percorso che volevo (volevamo) assolutamente percorrere. E volevamo farlo insieme.
Quella sera le sborrai nel culo.
Non riuscii a trattenermi. Non l’avvisai del mio imminente orgasmo.
Le schizzai nell’intestino cinque volte.
In passato mi sono sempre preoccupato del piacere di mia moglie.
Quella sera me ne sono fregato.
L’imperativo, il mio, era godere di mia moglie.
E l’ho fatto come non mai in precedenza.
Lei, indubbiamente, avrebbe avuto i suoi spazi per farlo, nell’imminente futuro.
Ci addormentammo nudi.
Ebbi solo l’accortezza, prima di abbandonarci al risposo ristoratore, di tamponarle, con alcuni fazzoletti di carta, la mia crema che fuoriusciva dal suo anellino posteriore.
Appallottolai i fazzoletti sul comodino e, con l’odore forte e pregnante di sesso, ci abbandonammo tra le braccia di Morfeo.
La mattina mi sono alzato prima io, come sempre.
Sono andato in cucina, ho preparato il caffè e sono tornato in camera da letto.
I nostri figli dormivano.
Sul vassoio, oltre alle due tazzine, c’era il suo smartphone.
Mi guardò sorpresa, con aria interrogativa.
“Voglio vedere i due uomini che ti interessano”, dissi.
Arrivai a casa.
Mi sentivo colpevole. Eppure non avevo fatto niente di male.
Nascosi immediatamente la busta di stoffa, che Elena aveva riempito di tante cose, dentro il mio armadio, dietro i maglioni.
Ed aspettai di avere un po’ di tempo libero tutto per me.
L’occasione mi si presentò, anzi, la provocai, qualche giorno dopo.
Finsi un piccolo malessere e me ne rimasi a casa, anziché andare al lavoro.
Mio marito ed i ragazzi uscirono, i primo per andare in ufficio, i secondi per andare a scuola.
Avevo tutta la mattinata per me.
Presi un caffè. Non mangiai niente.
Lo stomaco era chiuso.
Nervosismo, emozione, eccitazione, tutte sensazioni che non contribuivano a farmi stare tranquilla.
Feci una lunga doccia calda.
Misi lo smalto rosso sulle unghie di piedi e mani.
Aspettai che asciugasse.
Mi truccai.
Ero in camera da letto, nuda e truccata. Mi guardai allo specchio. Quello che vidi mi piacque.
Ero orgogliosa di quell’immagine riflessa.
Sapevo di essere ancora in piena forma. Sapevo di poter piacere. Mi chiedevo se lo volevo.
Si, lo volevo.
E quindi presi la busta dal mio armadio.
Rovesciai il contenuto sul letto.
Sapevo cosa aspettarmi. Cioè, non completamente.
Elena aveva infilato dentro il sacchetto una serie di oggettini particolari.
Era stata rapida nel farlo, poiché non me ne ero accorta minimamente.
Oltre alle tre paia di scarpe ed alle confezioni con le autoreggenti, Elena voleva che utilizzassi, per la mia nuova identità, un vibratore, un plug anale (di quelli con gioiello), una mascherina nera in pizzo (che ritenni molto utile), un fallo di dimensioni che, invece, ritenni subito eccessive e uno stimolatore per clitoride (che non avevo mai usato prima di allora).
Ero pronta.
La parte emozionale di me aveva definitivamente scalciato quella razionale.
Non che non avessi ancora dubbi su quanto stessi facendo.
Ma la decisione di andare avanti era, ormai, definitivamente presa.
Andai ad accertarmi che la porta di casa fosse chiusa e, per stare più tranquilla, infilai le chiavi nella toppa, internamente, in modo tale che, se qualcuno avesse provato, da fuori, ad aprire, non ci sarebbe riuscito.
Sempre completamente nuda, andai nel salone e preparai il set.
Abbassai la tapparella e posizionai una sedia che sarebbe servita per il mio show.
Di fronte, sistemai un’altra sedia.
Sulla seduta di quest’ultima poggiai alcuni libri in modo tale da poterci mettere sopra lo smartphone.
Accesi la fotocamera e controllai l’inquadratura. Mi soddisfaceva.
Programmai l’autoscatto e corsi verso la sedia. Mi sedetti al volo. Aspettai lo scatto.
Tornai indietro e controllai la foto.
Perfetta!
Si vedeva il corpo di una donna completamente nuda, a gambe strette.
Si vedevano le tette. E mi piaceva quello che si vedeva.
Non si vedeva il viso. Ed era quello che volevo.
Il set era pronto.
Misi lo smartphone in modalità aerea per non essere disturbata.
Tornai in camera da letto e mi preparai.
Aprii una confezione di autoreggenti. Nere e velate. 15 denari.
Non mi sfuggì che non avevano il rinforzo sulla punta.
Le dita dei miei piedi, smaltate di rosso fuoco, rimanevano perfettamente visibili.
Le indossai entrambe.
Guardai sul letto. Non trovai più niente che potesse completare il mio abbigliamento, scelto per l’occasione da Elena.
Elena aveva deciso che non mi servisse né un reggiseno, né le mutandine.
Ero quindi praticamente già pronta.
Mi tornò in mente la battuta sul cazzo di Rocco Siffredi.
Convenni con Elena. Non mi serviva altro.
Se dovevo esibirmi, per gioco, ma anche per vedere se fossi stata in grado di eccitare, di stimolare fantasie, di sentirmi desiderata, beh, allora aveva ragione Elena. Non mi serviva altro.
Indossai le scarpe. Le stesse che avevo provato nella camera da letto di Elena.
Allacciai il doppio cinturino a ciascuna caviglia e mi alzai.
Mi sentii subito in equilibrio precario.
Già non ero abituata a portare scarpe con i tacchi. Figuriamoci scarpe con un tacco di 15 centimetri!
Rimasi in piedi per abituarmi.
Camminai fino allo specchio e mi guardai.
Mi piacque, mi piacque molto quello che vidi.
Ripensai a Rocco Siffredi.
“Caro Rocco, te lo farò venire duro, molto duro”, dissi tra me e me. Sorrisi.
Svestita così, me ne tornai in salone.
Il rumore dei tacchi sul parquet della zona notte e sul marmo della zona giorno era tanto inconfondibile quanto eccitante.
Cercai di capire se la mia andatura fosse sciolta, naturale.
Non credo lo fosse.
Mi sarei dovuta allenare di più, mi ripromisi.
Eccomi qui, a riempire di contenuti quella che sarebbe diventata la mia seconda personalità.
Presi lo smartphone ed iniziai a farmi una serie di foto.
Fotografai il mio culo, la mia passerina, le mie tette, la mia bocca, i miei piedi, le mie mani.
Solo primi piani, nessuna foto a corpo intero.
Mi sedetti sulla sedia. Con due dita aprii le labbra della mia passerina. E fotografai l’interno.
Avevo ancora in mente la figa di Elena e quel rosa vivo e pulsante che mi aveva offerto e del quale, mi maledissi ancora, non ero stata capace di approfittare.
Poggiai nuovamente lo smartphone sui libri sulla sedia e mi misi di spalle verso l’obiettivo.
Mi piegai a novanta gradi e, con la mani, spalancai il sedere mostrando all’obiettivo il mio culo spudoratamente aperto e, soprattutto il mio forellino, la parte più intima e nascosta di me.
Mentre mi facevo quelle foto mi sentivo particolarmente audace.
I sensi di colpa erano spariti. Mi sentivo forte e determinata.
La mia passerina rispondeva a tono.
La sentivo fradicia di umori. La sentivo pulsare. La sentivo desiderosa di godere.
Le sensazioni che partivano da quella parte del mio corpo, si irradiavano ovunque ed arrivavano dritte, potenti e violente al cervello e mi stavano stordendo.
Mi immaginai in un luogo diverso.
Non nel salone di casa mia, da sola. Ma in un locale, in mezzo ad altra gente, offerta alla vista di tanti uomini, eccitati e vogliosi.
Magari, in futuro, sarebbe anche successo, chissà.
In quel momento l’eccitazione era tale che, se mi fossi trovata in quell’ipotetico locale, mi sarei fatta anche toccare da quegli uomini. Arrossivo a pensare con quale parte del loro corpo mi avrebbero toccata…
Intanto il mio corpo era scosso da brividi, di piacere.
I sensi di colpa erano spariti. Scivolati via. Colati insieme a quel miele caldo che fuoriusciva senza controllo dalla mia patatina.
Non mi fermai lì. Continuai.
Il languore che risaliva dalla mia vagina e che avvolgeva il mio ventre, facendo inturgidire i capezzoli, mi spinse a toccarmi. Dovevo godere.
Lo feci. Ma decisi di farlo davanti alla telecamera.
Posizionai nuovamente lo smartphone sui libri sulla sedia e, stavolta, premetti il pulsante per avviare la registrazione video.
Entrai in scena, mi sedetti sulla sedia, con le gambe impudicamente aperte e con la passerina a favore della telecamera. Mi toccai. E mi infilai quattro dita nella figa. Mi scopai con la mia mano.
Le pareti interne della mia patatina avvolsero la mia mano come un guanto. Era tutto così bagnato e vischioso che venni dopo pochi istanti.
Il movimento sussultorio e ondulatorio delle mie tette sotto le possenti spinte della mia mano, con il cuore che pompava all’impazzata dentro di me, mi fecero provare sensazioni assolutamente nuove, rendendomi consapevole del nuovo ruolo che mi stavo ritagliando.
Tutto il mio corpo vibrava ritmicamente. Tremiti di piacere mi annebbiavano le idee.
In quel momento avrei fatto tutto e mi sarei fatta fare tutto, se solo ci fosse stato qualcuno lì con me.
Magari Elena.
Il cuore, lentamente, riprese a battere regolarmente, il respiro tornò normale.
Mi alzai e fermai la registrazione.
Ma non ero ancora soddisfatta.
Sentivo di avere ancora fame. Fame di me.
Tornai di corsa in camera da letto. Afferrai il plug argentato con il gioiello color rosso rubino.
Istintivamente me lo portai alla bocca. Lo bagnai con la mia saliva.
Lo poggiai sul mio sfintere ed iniziai a spingere. Non era particolarmente largo, né lungo.
Entrò, seppur strappandomi un piccolo grido, quando venne fagocitato dalla mia cavità. Un grido di sorpresa più che di dolore. Di piacere, avrei detto.
Con quella presenza ingombrante nel culo, tornai in salone, con andatura ancora più incerta.
Riaccesi la telecamera dello smartphone e tornai in scena.
Entrai nell’inquadratura di lato ed offrii il mio culo all’obiettivo.
Lo lasciai lì, in mostra, con quel brillante ben piantato dentro di me.
Poi lo sfilai.
Solo dopo, rivedendo il filmato, mi resi conto, con ammirazione ed una punta di orgoglio, che il mio ano rimase aperto, offrendo allo spettatore il nero della mia profondità. Quel plug aveva sufficientemente dilatato il mio buchino ed il buio del mio retto era lì, concesso a chiunque avesse voluto vederlo.
Stop! gridò l’ipotetico regista.
Fermai la registrazione.
Tornai di corsa in camera da letto, quasi correndo su quei tacchi vertiginosi.
Presi il vibratore.
Tornai ancora in salone. Mi sedetti sulla sedia. Volevo cambiare qualcosa nella scenografia.
Decisi di sfilarmi le autoreggenti.
Rimisi i sandali.
Ora ero veramente nuda, solo con i tacchi.
Andai a premere “rec”.
Mi sedetti sulla sedia.
Spalancai nuovamente le gambe.
La mia figa era rossa, già fin troppo torturata da quello che le avevo fatto provare fino a quel momento.
Presi il vibratore. Me lo portai alla bocca, lo leccai e insalivai per bene e me lo infilai nella figa.
Lo accesi ed iniziai subito a godere.
Avevo avuto il primo orgasmo solo qualche minuto prima ed ero già pronta per il secondo.
Che non tardò ad arrivare.
Il vibratore fece egregiamente il suo lavoro.
La mia mano sul clitoride anche.
Le sensazioni di godimento sessuale, dense di desiderio e di piacere, concentrate nella vagina e diffuse nell’utero e nelle ovaie, risalirono nella bocca e nel cervello ed esplosero di colpo. Mi travolsero e mi portarono a gridare. Un grido liberatorio, potente e sincero.
Ero esausta. Ubriaca di piacere e stordita di peccato.
Tremavo tutta.
Ci misi un bel po’ a recuperare. Volevo assaporare ogni attimo di quel turbamento psichico e fisico che mi aveva stravolta. Volevo che durasse ancora.
Volevo toccarmi ancora, regalarmi altri cinque, cinquanta, mille orgasmi come quelli appena provati.
Il mio corpo era imperlato di sudore.
L’odore di sesso mi avvolgeva. Il mio odore.
La mia patatina era un vulcano in eruzione. Eruttava umori caldi che mi colavano nell’interno coscia.
Il mio culetto era ancora indolenzito dalla precedente dilatazione.
I capezzoli turgidi, la bocca secca, la mente offuscata.
Riuscii tuttavia a recuperare la lucidità necessaria.
Mi alzai ed interruppi la registrazione.
Ero soddisfatta.
Ero sicura di avere materiale a sufficienza per creare la mia pagina personale, per renderla accattivante.
Per il timore di non trovare la giusta posa, mi ero fatta decine di scatti.
Ma avevo registrato solo tre filmati. O andavano bene quelli, o niente.
Mi ricomposi. E mi venne in mente che, nel profilo che avrei creato, mi sarebbe servita una foto di presentazione, di copertina. Quella che avrebbe indirizzato le ricerche di chi navigava nel sito, sbirciando i vari profili. Quella che doveva indurre qualcuno a cliccare sul mio profilo piuttosto che su un altro. Insomma, il mio biglietto da visita.
Non volevo che la mia identità virtuale si riducesse ad un paio di tette, ad un culo, ad una bocca o ad una figa spalancata. Quelle erano parti di me, che mi rappresentavano. Ma Valehot doveva comunque dare un messaggio di seduzione, di classe e di bramosia.
Perciò andai nello studio di mio marito e presi il suo sgabello.
Scelsi quello perché, comunque mi fossi seduta, non avrebbe interposto alcun ostacolo tra il mio corpo e l’obiettivo. Che so, un bracciolo o uno schienale a nascondere una parte di me.
Riposizionai lo smartphone nel solito posto. Programmai l’autoscatto con un intervallo piuttosto lungo. Corsi in camera da letto a recuperare la mascherina in pizzo. Tornai in salone e la indossai sugli occhi. Premetti il pulsante e mi sedetti sullo sgabello, dando le spalle alla fotocamera. Mi voltai, cercando di avere l’espressione più sexy e vanitosa che riuscissi a fare. Si sentì il clic della foto.
Fatto.
Andai a vedere il risultato. Mi piacque.
Quello sarebbe stato il biglietto da visita di Valehot.
Decisi che bastava così.
Inviai subito un messaggio a Elena.
“Ho fatto tutto”, diceva, semplicemente, il messaggio.
“Ti aspetto, quando vuoi”, la sua risposta immediata.
Mi spogliai. Cioè, tolsi le scarpe.
Riposi tutto quel tesoro che mi aveva prestato la mia amica all’interno della borsa di tessuto. E la rimisi nell’armadio, sempre dietro i maglioni.
Andai in bagno, mi tolsi lo smalto e mi feci una doccia bollente, cercando di lavare anche quegli ultimi residui di dignità.
Ormai avevo deciso di offrirmi completamente, di entrare sul mercato. La prossima volta che fossi andata a trovare Elena (e non vedevo l’ora di farlo) sarebbe ufficialmente nata Valehot.
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