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Prime Esperienze

Mia moglie Valeria - Dopo i 40 anni - Cambiamenti - Capitolo 10 - Le coincidenze


di Marta-trav
18.07.2021    |    15.369    |    9 9.0
"Ora eravamo consapevoli, tutti e due, di quanto sarebbe potuto succedere nel nostro percorso di coppia, piuttosto lineare fino a quel momento..."
E dunque era successo.
Finalmente o purtroppo?
Ma era successo. Mia moglie aveva fatto sesso con un altro uomo. Con la mia benedizione.
Per un’inspiegabile scelta comune, peraltro mai condivisa tra di noi, non avevamo più parlato di quanto fosse successo quel venerdì sera dentro il bar di Tony.
Morivo dalla voglia di conoscere, nel dettaglio, quanto successo.
Cioè, sapevo perfettamente cosa fosse successo dentro quel bar. Ne ero certo. Non poteva essere altrimenti. Ma non conoscevo, appunto, i dettagli. Ed ero assillato dai dettagli.
Mia moglie gli aveva fatto un pompino? Immaginavo di si.
Lo aveva preso nel culo? Speravo di no, ma non ero pronto a scommetterci.
Si erano baciati? Temevo di si.
Le aveva sborrato in bocca? Mi auguravo di no.
Volevo saperlo. Ma, non so dire nemmeno io perché, non osavo chiederglielo. E lei non me ne parlava.
Decisi che non era il caso di rimuginarci sopra più di tanto.
Quello che era successo dentro quel bar era, ormai, alle spalle. Lo sapeva Valeria e, se non avesse deciso lei di dirmelo, non le avrei chiesto niente. Acqua passata.
Quell’incontro ci aveva però permesso di rompere il ghiaccio. Ora eravamo consapevoli, tutti e due, di quanto sarebbe potuto succedere nel nostro percorso di coppia, piuttosto lineare fino a quel momento.
Ora, pertanto, bisognava andare avanti.
Aprii l’app ed andai sul profilo di Valehot.
Valeria continuava a riscuotere un successo enorme.
Ogni giorno centinaia di persone visitavano il suo profilo, lasciandole commenti di ogni genere.
Da quando avevamo deciso di modificare il suo annuncio, comunicando a tutti, inequivocabilmente, la sua disponibilità ad incontrare realmente, mia moglie era diventata una preda piuttosto ambita.
Tra i numerosi commenti lasciati ad alcune foto ed ai tre video di Valehot ce n’erano alcuni di un utente di nome QeenEly.
Incuriosito dal fatto che, probabilmente, fosse una donna ad aver lasciato quei commenti, cliccai sul suo profilo e…boom!
Mi apparve la pagina personale di Elena, l’amica del cuore di mia moglie.
“Eccola, la troia”, pensai.
Elena. Quel gran pezzo di gnocca che, molto probabilmente, aveva introdotto Valeria all’interno di quel mondo, facendomi, inconsapevolmente, un regalo bellissimo.
Vidi tutte le foto e tutti i filmati che erano presenti sulla pagina personale di Elena.
Rimasi colpito, ma neppure più di tanto, da quanto mi scorreva davanti agli occhi.
Elena era veramente una troia. E questo lo avevo sempre sospettato. Anzi, ne ero quasi certo.
Ogni volta che la incontravamo, Elena era sempre perfetta.
Look curatissimo, mai un dettaglio fuori posto e sempre maledettamente sensuale.
Non credo che si impegnasse più di tanto per essere così seducente. Credo che le venisse naturale.
Elena era così e basta.
Tuttavia non potevo non fantasticare su esperienze a sfondo sessuale con lei.
Intravedevo in lei la donna che poteva essere la mia amante perfetta, quella che mi sarebbe piaciuto avere al mio fianco ma che mai mi ero messo realmente a cercare.
Ero certo che a Elena piacesse trasgredire, che fosse una donna aperta e senza inibizioni.
Esattamente il contrario di Valeria.
Esattamente come io volevo che Valeria fosse.
Ora, davanti ai miei occhi, scorrevano le immagini della gesta di Elena.
Elena non si risparmiava proprio.
Generosa con tutti e con tutte, sempre a suo agio, anche nelle situazioni più estreme e totalmente disinibita.
Ah, quanto mi sarebbe piaciuto scoparmela!
Mi masturbai, guardando i suoi filmati.
E lo avrei fatto tante altre volte in futuro.
In ogni caso la ringraziai, virtualmente, per quanto fatto, per aver preso Valeria per mano ed averla condotta in questo mondo meraviglioso.
Mi ripromisi almeno di chiedere a Valeria come avesse fatto a farsi convincere da Elena a fare quello che, poi, aveva realmente fatto.
Tornai sulla pagina di Valehot.
Mi misi a leggere attentamente tutti i commenti alle sue foto ed ai suoi video.
Tra i tanti, mi colpì quello di un utente di nome Drill.
Drill, che in inglese significa trapano, commentava le foto e i video di Valeria senza scivolare mai nel volgare, a differenza degli altri.
Scriveva bene Drill.
Immaginai che Drill, oltre ad aver lasciato quei commenti visibili da tutti, avesse scritto anche privatamente a mia moglie ed avesse intrattenuto con lei un qualche tipo di rapporto interessato.
Me ne diede conferma lui stesso, poco dopo, quando, incuriosito dal fatto che Valeria non lo avesse inserito nella lista delle sue scelte, insieme a Tony e Vortex, pur avendo un cazzo di tutto rispetto, decisi di inviargli un messaggio dal mio profilo, quello di Nefasto.
Mi rispose dopo cinque minuti.
Mi ero presentato a lui per chi realmente fossi, cioè il marito di Valehot. Nel messaggio, tra le altre cose, gli comunicavo che ero perfettamente al corrente di quanto facesse mia moglie.
Nella sua risposta Drill, che mi disse di chiamarsi Luca, mi confidò che, effettivamente, aveva provato in tutti i modi a convincere Valehot ad incontrarlo e a fare sesso con lui e che, tuttavia, non era riuscito nell’intento. Non per ora, almeno.
Mi disse che ero fortunato ad avere una moglie come quella, bella, sensuale e spregiudicata.
Ah, se avesse saputo come stavano le cose soltanto poco tempo prima…
In ogni caso mi fece una bella impressione. Scriveva molto bene, sempre educato e ironico, mai volgare e, mi parve, sicuro di sé.
Mi disse ancora che conosceva molto bene l’ambiente, che non era uno sprovveduto né uno a cui piaceva perdere o far perdere tempo e che aveva una casa sul lago Maggiore dove, ogni tanto, organizzava feste con amici ed amiche. Mi disse anche che aveva invitato più volte mia moglie a quelle feste ma lei non aveva mai accettato. Non per ora, almeno.
Mi disse, infine, di avere 50 anni, di essere sposato, di vivere a Milano e di essere un libero professionista.
Da parte mia gli dissi che se l’invito ad una delle sue feste fosse ancora valido, avrei potuto parlare io con mia moglie e cercare di convincerla ad accettare quell’invito, a patto che l’invito, ovviamente, fosse esteso anche a me.
Lui accettò subito.
Ci salutammo, ripromettendoci di aggiornarci da lì a qualche giorno, visto che il prossimo party era in previsione per il sabato sera della settimana successiva.
Chiusa anche la conversazione con Luca, andai velocemente a leggere i messaggi ricevuti sul mio profilo.
E, come sempre, provenivano, quasi tutti, da travestiti.
Mi stavo convincendo di scrivere chiaramente, sul mio profilo, di essere assolutamente etero e di essere interessato esclusivamente a donne. A coppie, al limite. Ma non lo feci.
Poi gli occhi mi caddero sul messaggio inviatomi da una di quelle strane femminucce che, nel sito, voleva essere chiamata Valentina.
Valentina era una gnocca da paura!
Mora, come mia moglie. Occhi scuri, come quelli di mia moglie.
Un culo fantastico, come quello di mia moglie. Anzi, forse meglio.
Un look aggressivo e provocante. Indubbiamente meglio di quello di mia moglie.
Nel messaggio Valentina mi diceva di sentirsi donna da sempre e che però, solo ultimamente, aveva deciso di fare il grande salto, cioè mostrarsi ad un uomo e fare sesso con lui. Mi diceva altresì di essere interessata a me poiché anche io, come lei, ero nuovo del sito e che le piacevano molto le foto pubblicate sulla mia pagina. Mi diceva infine che, se preferivo o volevo, mi avrebbe lasciato il suo numero di telefono per poterci sentire ed approfondire la conoscenza in modo più rapido e diretto.
Le inviai un messaggio di risposta, ringraziandola per l’interesse e confessandole il fatto che la sua categoria di appartenenza (e mi maledissi subito per la scelta di quelle parole) mi spaventava parecchio e che non l’avevo mai considerata come rappresentativa di persone con le quali poter immaginare una relazione di tipo sessuale.
Mi ringraziò, a sua volta, della mia risposta. Mi disse di capire perfettamente le mie perplessità, di non volermi assolutamente convincere a fare cose che non volevo fare o per le quali non mi sentivo ancora pronto e che, tuttavia, sapevo dove trovarla. Nel dubbio, mi inviò anche il suo cellulare.
La ringraziai ancora, non assicurandole nulla. E tornai a sbirciare la sua pagina. Valentina, per quel che si vedeva nelle sue foto e, soprattutto, per quello che, fortunatamente, non si vedeva, era veramente una figa spaziale.
Uscii dall’app e spensi il telefono.
Mia moglie era a cena con le colleghe dell’ufficio.
Avesse voluto o dovuto chiamarmi, avrebbe potuto farlo sul telefono fisso di casa, il cui numero non lo conosceva nessuno a parte me, mia moglie ed i miei figli, che erano in camera loro a fare chissà cosa.
Prima di andare a dormire, andai a recuperare il caricabatteria dello smartphone.
Aprii il cassetto dove normalmente era riposto e non mi sfuggì la presenza di un foglietto di carta.
Sul foglietto c’era un indirizzo ed un nome, scritti a penna.
Riconobbi subito la calligrafia di Valeria.
Tornai in cucina e collegai lo smartphone alla rete elettrica.
Lo riaccesi ed aspettai che fosse utilizzabile.
Andai sul browser e digitai quel nome scritto sul foglietto.
Tra le altre, mi apparve la pagina di un locale di Milano. L’indirizzo del locale era proprio quello scritto sul foglietto.
Il locale, all’insegna “Twist”, era, sostanzialmente, un privé, frequentato da scambisti e con serate a tema.
Proprio quella sera, era stata organizzata la serata “BDSM – no panties”, ad ingresso libero per le signore ed a pagamento per gli uomini.
Mi venne un dubbio.
Composi il numero di Valeria. Spento.
Le inviai un messaggio. Niente, non riceveva.
I dubbi diventarono due.
Ricomposi il numero di mia moglie. Ancora spento.
Conoscevo alcune delle sue colleghe di lavoro. Ma non avevo i loro contatti.
Non sapevo cosa pensare e cosa fare. La mente vagava e strani pensieri prendevano forma nella mia testa.
Andai nello stanzino e mi misi a curiosare nella parte della scaffalatura dove Valeria riponeva le sue scarpe.
Tranne le All Star, che le avevo visto ai piedi quando era uscita di casa, sembrava tutto a posto.
L’istinto, però, mi portò ad aprire le scatole delle scarpe acquistate da Valeria quel famoso sabato in cui andammo a fare shopping e decidemmo di rendere più accattivante ma, soprattutto, più sensuale, l’immagine di mia moglie, rinunciando così alle cortesie di Elena, sempre disponibile a prestare a Valeria quanto necessario per esaltare la sua femminilità.
Quando, aprendo la terza ed ultima scatola, mi accorsi che era vuota e che, nello stanzino, non c’era traccia delle scarpe rosse con tacco altissimo che avrebbero dovuto essere dentro quella scatola, i dubbi diventarono tre, cinque, cento, mille.
Riprovai a chiamare Valeria. Niente da fare.
Passarono meno di dieci minuti da quando provai a chiamare mia moglie per l’ultima volta a quando accesi il motore della macchina ed impostai, sul navigatore, l’indirizzo di quel locale di Milano.
Secondo Google Maps, entro 58 minuti sarei dovuto arrivare a destinazione.
Ai miei figli avevo semplicemente detto che andavo a fare un giro.

Poi, un giorno, commise un errore.
Almeno secondo le mie valutazioni.
Ah, mi presento, scusatemi.
Cioè, mi conoscete già.
Valeria e Stefano vi hanno parlato molto di me.
Mi chiamo Elena, ho quarantacinque anni e sono un’amica, una cara amica, di Valeria.
Come dicevo, commise un errore.
Almeno così giudicai quella proposta di Matteo.
Matteo era entrato come un treno in corsa nella mia vita. E, nello stesso modo, era entrato dentro di me, in tutti i miei buchi, facendone scempio.
Fare sesso con lui era, ogni volta, un’esperienza nuova, un crescendo di situazioni e di sensazioni che mi hanno permesso di scoprire orizzonti inesplorati e superare quelli che la morale comune classifica come limiti.
Con Matteo avevo fatto sesso ovunque. Mi aveva esibita ovunque.
Ed ogni volta uscivo da quegli incontri sessualmente appagata e con la figa ed il culo sempre un po’ più capienti.
Non gli dissi no neppure quando mi chiese di potermi inserire la sua mano, completamente, nella passerina. O quando mi propose di provare una doppia penetrazione anale.
Non mi rifiutai di fare sesso con donne, mogli o amanti dei suoi amici.
Mi piacque quando volle sperimentare con me il mondo del BDSM.
Matteo era feticista, molto feticista. Soprattutto dei piedi.
Adorava i miei piedini, me li leccava sempre, mi chiedeva di masturbarlo con i piedini. Fin quando mi ha chiesto di sperimentare il CBT, la tortura del cazzo e dei testicoli con i piedi e, soprattutto, con i tacchi.
Io gli torturavo il cazzo ed i testicoli con i miei piedini, chiedendomi anche come facesse a sopportare quello che io ritenevo essere un dolore lancinante e lui mi metteva le pinzette ai capezzoli e ci appendeva alcuni pesi.
Uscivamo da quelle sedute di sesso estremo doloranti in più punti. Che poi, erano sempre gli stessi. Per me e per lui.
Mi scopò nei bagni di un autogrill, su una piazzola dell’autostrada, nei parchi e nelle vie della città (e non solo di sera).
Una volta facemmo un viaggio in treno fino a Torino. Gli feci un pompino lungo il tragitto, ingollando tutto il suo nettare.
Lui proponeva ed io accettavo. Sempre. E talvolta ero io a sorprenderlo prendendo l’iniziativa. Come quando una sera, a cena, gli dissi che mi sarebbe piaciuto farmi scopare dal ragazzo che, in veste di cameriere, ci stava servendo al tavolo.
“Vai in bagno”, mi disse.
Ci andai. Dopo cinque minuti arrivò il cameriere. Mi spinse dentro un gabinetto, chiuse la porta a chiave, mi sollevò la gonna, si accorse che non indossavo le mutandine, si abbassò pantaloni e boxer e mi scopò violentemente, fino a sborrare e sporcarmi la gonna con qualche goccia di sperma. Il tutto in meno di dieci minuti e senza dirci una sola parola.
“Grazie”, dissi a Matteo tornando al tavolo, un po’ in disordine.
Insomma, nessuno dei due si risparmiava in fantasia e trasgressione.
Fino a quel giorno, però.
Un suo amico, mi disse quel pomeriggio, organizzava, a casa sua, sedute di sesso “un po’ particolari”. Così le definì.
Io, ovviamente incuriosita, lo incitai a spiegarmi meglio.
Venni così a sapere che questo amico di Matteo era proprietario di due cani, due boxer per l’esattezza, ed impiegava quei due simpatici amici a quattro zampe in sedute di sesso con amici e, soprattutto, con amiche. Facendogli svolgere un ruolo assolutamente attivo durante quelle sedute.
In un modo neppure molto elegante, Matteo mi aveva appena chiesto, in sostanza, di farmi scopare da due cani.
Lo mandai a stendere e gli dissi di non cercarmi più.
Lo fece, per un po’.
Poi, qualche tempo dopo, mi ha ricontattata e mi ha chiesto di potermi rivedere, per scusarsi.
Mi ha proposto di vederci per un aperitivo e poi andare in un locale a Milano, dove eravamo già stati insieme più volte, per parlarci, chiarirci e, con l’occasione, magari giocare un po’ come ai vecchi tempi, specie in considerazione del tema della serata organizzata dal locale proprio quel giorno.
Accettai il suo invito.
Venne a prendermi sotto casa e raggiungemmo il “Twist”, che, per quel giorno, puntava sul BDSM e sul “no panties look” per le signore. Nulla di nuovo, per me.

Un uomo e una donna, entrambi vestiti elegantemente, ci vennero incontro.
“Benvenute”, ci disse la donna che, oltre ad essere in abito lungo, era anche tremendamente sexy.
“Grazie”, risposi io per tutte e due, domandandomi se anche le non indossasse le mutandine.
“Conoscete già il locale?”, ci chiese l’uomo.
“No, è la prima volta che veniamo”, sempre io.
“Bene. In realtà non c’è molto da dire, comunque vi do qualche informazione utile. Il bar è a vostra completa disposizione, qualunque cosa desideriate. Qui, al piano terra, come vedete, ci sono gli spazi comuni, dove si può incontrare e conoscere persone nuove, socializzare, prendere accordi, ballare e bere qualcosa. Poi ci sono un piano inferiore ed uno superiore. Nel piano inferiore ci sono una serie di locali attrezzati, molto utili per il tema della serata di oggi. E nel piano superiore ci sono invece le stanze dove poter creare, per quanto possibile in questi casi, un minimo di intimità. Potrete entrare liberamente in qualunque area del locale desideriate. Non esistono zone vietate. Solo qualora dovreste percepire o vi venisse detto esplicitamente che la vostra presenza non fosse gradita all’interno di qualche area, vi chiediamo di rispettare la volontà degli altri clienti. Nessuno potrà impedirvi di assistere alle prestazioni, ma per partecipare attivamente attendete sempre l’ok degli altri. Funziona così, è il regolamento del locale. Tuttavia sono sicuro che non sarà il caso vostro. Siete due bellissime donne e, tra l’altro, indossate il braccialetto nero”, ci disse l’uomo, facendomi tornare in mente il braccialetto di colore rosso indossato dalle due donne incrociate poco prima negli spogliatoi. “Girate pure liberamente ovunque e divertitevi. E, soprattutto, non preoccupatevi. La nostra clientela, specie quella maschile, è selezionata e costantemente controllata dal nostro personale di servizio. Non abbiamo mai avuto problemi in tal senso”, ci disse ancora l’uomo, con un bellissimo sorriso ed un’espressione malandrina.
Mentre la coppia si congedò da noi, pronta ad accogliere altri clienti che stavano entrando proprio in quel momento, mi guardai intorno e vidi che le donne presenti, alcune in compagnia dei loro mariti/compagni/amanti/amici e, la maggior parte, da sole, indossavano braccialetti di colore diverso. Nero (come il nostro), rosso, giallo e verde erano i vari colori sui polsi delle donne.
Non mi era ancora completamente chiaro il significato di quei colori diversi, ma qualche dubbio iniziò ad insinuarsi nella mia mente. Marta, invece, sembrava totalmente disinteressata ai braccialetti ed attratta dalle luci e dalle persone già presenti dentro il locale.
La maggior parte delle donne, tuttavia, indossava il braccialetto di colore nero.
“Vieni, andiamo al bar”, mi disse Marta, strappandomi ai miei pensieri.
Mi prese per mano e la seguii fino al bancone.
“Cosa posso servirvi?”, ci chiese l’uomo dietro al bancone, un ragazzo giovane, mulatto, con un fisico palestrato, che indossava un paio di pantaloni neri attillatissimi e una canottiera a rete, anch’essa nera, che esaltava la forma dei suoi muscoli. Un po’ pacchiana per i miei gusti.
“Per me un mojito, grazie”, rispose Marta, allegra.
“Anche per me, grazie”, mi affrettai a dire io.
“Ecco a voi”, ci disse il ragazzo, porgendoci due bicchieroni di vetro.
“Per il pagamento?”, chiese Marta. “Abbiamo depositato tutto negli armadietti, portafogli compresi”.
“Con il braccialetto nero, tutto compreso. Offre la casa.”, ci disse il ragazzo, sorridendo.
Ringraziammo e ci allontanammo, in direzione dei divani.
Appena ci sedemmo, fummo avvicinate da una coppia.
Lui, un uomo di una cinquantina di anni o forse più, portati benissimo, magro, brizzolato, vestito elegantemente.
Lei, molto più giovane di lui (e, di conseguenza, di me), mora, capelli corti, con un bel fisico, un vestito rosso molto corto, molto scollato e molto sexy e con un atteggiamento eccessivamente remissivo.
“Ciao”, disse l’uomo. “Sole?”, continuò.
“Si, sole”, si affrettò a dire Marta.
“Non più, a quanto pare”, dissi invece io, forse un po’ troppo scontrosa.
L’uomo sorrise, soprattutto quando si accorse del colore del nostro braccialetto.
La donna, invece, rimase immobile, senza dare segno di alcuna emozione.
Lui si sedette sullo stesso nostro divano, accanto a me, alla mia destra. Alla mia sinistra c’era Marta. In piedi, davanti a lei, c’era la compagna dell’uomo che era seduto accanto a me.
“Siediti pure”, disse Marta alla donna, indicando il posto libero sul divano accanto a lei.
La donna non si mosse.
“Lei fa solo quello che le dico io”, disse l’uomo, con naturalezza.
“E’ molto ubbidiente. Certo, c’è voluto un po’ per addestrarla. Ma ora è totalmente sottomessa. Molto brava, peraltro”, continuò lui.
Io e Marta ci guardammo con aria sbalordita. Marta sorrise.
“Scusatemi un attimo”, dissi al gruppetto dei tre, mentre mi allontanavo in direzione del bancone del bar.
“Prego”, disse l’uomo.
“Dove vai?”, mi chiese Marta.
“Torno subito, tranquilla”, le risposi.
Mentre mi allontanavo, non mi sfuggì che quell’uomo andò subito ad occupare il posto dove ero seduta io fino a un attimo prima. E, di conseguenza, si avvicinò pericolosamente a Marta.
Superai il bancone del bar e raggiunsi quello che mi parve uno degli addetti alla sicurezza del locale. Decisi di bluffare.
“Ciao. Scusami, sono talmente distratta che non ricordo più il significato esatto del colore dei braccialetti. Puoi aiutarmi, per caso?”, chiesi.
“Certo. Anche se sicuramente il colore del braccialetto che hai tu lascia poco spazio ai dubbi”.
“Si, certo”, mentii. “Infatti sono proprio gli altri colori che non ricordo bene”.
“Aspettami qui”, mi disse.
Tornò dopo trenta secondi. In mano aveva un foglio. Me lo porse. Lo afferrai.
“Dov’è il bagno?”, gli chiesi.
“Laggiù, dietro quelle tende”, mi rispose.
“Grazie”, io.
“Prego”, lui.
Raggiunsi il bagno delle donne. Fortunatamente era deserto. Entrai in un gabinetto e chiusi la porta.
Mi poggiai alla porta con la schiena e lessi il foglio che mi aveva dato l’addetto alla vigilanza.
Si trattava della locandina della serata a tema di quella sera.
Il titolo diceva “Serata BDSM al Twist, non mancate!”. E poi “Ingresso libero per le donne in versione no panties (obbligatorio)”. Ed infine “Scegli il tuo colore, scegli la tua trasgressione, fallo sapere agli altri!”.
In fondo al foglio, scritta in caratteri minuscoli, c’era al legenda, con la spiegazione di ciascun colore.
Rabbrividii quando lessi il significato del colore nero del braccialetto.
Uscii di corsa dal bagno e tornai al divano dove avevo lasciato Marta con quella strana coppia.
La situazione era evoluta.
La donna non era più in piedi. No, era a quattro zampe, con il vestitino arrotolato fin sopra la vita, con il culo e la figa oscenamente in mostra e con il cazzo del suo compagno in bocca.
Il suo compagno, ancora seduto accanto a Marta, aveva una mano tra le cosce della mia amica e la lingua nella sua bocca.
Il calore improvviso della mia patatina mi ricordò che anche io ero senza mutandine.
Quella scena diede inizio alla mia eccitazione.
Ero uscita dal bagno infuriata, convinta a spiegare tutto a Marta ed a convincerla a tornarcene a casa.
Ma Marta era, evidentemente, di tutt’altro avviso.
In ogni caso interruppi quel momento di erotismo allo stato puro.
Mi guardarono tutti e tre come se venissi da Marte.
“Scusatemi tanto, dovrei parlare un attimo con la mia amica”, dissi.
“E non possiamo farlo più tardi?”, rispose Marta, come suo solito, con una domanda.
“No, dobbiamo farlo adesso”, insistetti.
“Ok”, disse lei, alzandosi dal divano e risistemandosi il vestito.
“Scusateci un attimo”, disse alla coppia. “Torno subito”, proseguì.
Ci accomodammo su due sedie, a qualche metro di distanza dalla coppia.
L’uomo ci guardava con aria interrogativa. La sua donna continuava a fargli il pompino.
“E basta!”, le gridò l’uomo.
La donna si interruppe. Ma rimase ai suoi piedi, come un fedele cagnolino, con il culo e la figa esposte e con la testa in mezzo alle gambe del suo padrone.
Spiegai velocemente a Marta il tema della serata, il significato del colore dei braccialetti ed il fatto che eravamo state noi, seppur inconsapevolmente, ma senza dubbio superficialmente, a sceglierci il colore del braccialetto, barrando tutte quelle caselle sul foglio che ci era stato fornito appena entrate nel locale.
Altro che privacy!
La “x” su “acconsento” significava, sostanzialmente, l’accettazione, o meno, delle trasgressioni e delle possibili situazioni che si potevano creare durante quella serata. Ovviamente, situazioni di sesso. Ovviamente, situazioni di sesso estremo.
Il colore nero stava a significare, molto semplicemente, l’accettazione di tutto.
Tranne, recitava ancora la locandina, le pratiche poco igieniche (scat e pissing, a titolo di esempio) e quelle che potessero provocare “troppo” dolore, che potevano comunque essere interrotte in qualsiasi momento pronunciando la safe word “twist”.
Marta rimase a guardarmi con espressione interdetta.
“Ho capito. Però ormai sono qui e non voglio tornarmene a casa. Non prima di essermi divertita, almeno. Tu, ovviamente, fai come preferisci. Se vuoi, ti lascio le chiavi della mia macchina. Poi, però, non saprei come fare per tornare a casa”, mi disse subito dopo.
“Fammi sapere cosa decidi”, mi disse ancora, proprio mentre si alzava dalla sedia per tornare a sedersi accanto all’uomo che la stava aspettando sul divano, con il cazzo di fuori, ancora in tiro.
La vidi sedersi, la vidi spalancare le gambe, vidi l’uomo infilarle nuovamente la mano sotto la gonna, lo sentii ringhiare alla donna ai suoi piedi “dai, succhiamelo!” e lo vidi, subito dopo, infilare la lingua nella bocca di Marta.
Mi alzai e mi sfilai il braccialetto.
Mi avviai verso il bancone del bar, con le idee confuse.
“Mi scusi signora, ma dovrebbe indossare il suo braccialetto”, mi sentii dire, pochi istanti dopo, da un uomo, molto probabilmente un altro dipendente del locale o un addetto alla sicurezza.
“Mi scusi?”, gli domandai.
“Il braccialetto. Il regolamento della serata è chiaro. Le donne devono indossare il braccialetto colorato. L’ha letto il regolamento, no? Immagino che lo abbia anche firmato. Se non lo indossa mi vedo costretto a farla uscire dal locale”, mi disse con tono garbato e professionale.
No, non l’avevo letto il regolamento. Marta, presa dall’entusiasmo, mi aveva fatto firmare subito, senza leggere niente. Ma non glielo dissi, ovviamente.
Mi rimisi il braccialetto al polso, solo per togliermelo di torno.
“Mi scusi ancora”, mi disse l’uomo, congedandosi da me con una specie di inchino.
Non gli risposi.
Mi sedetti allo sgabello del bar.
“Prego, mi dica”, disse il solito ragazzo mulatto.
“Una coca cola, grazie”, risposi.
Me la diede, non senza guardarmi con espressione interrogativa.
Sorseggiai la coca cola.
Mi guadavo intorno. La temperatura, e non quella atmosferica, del locale era decisamente aumentata.
Il numero di clienti, donne e uomini, era lievitato improvvisamente.
Vedevo uomini e donne salire o scendere le scale del locale. Coppie appartate impegnate nei preliminari. Donne mezze nude che si facevano toccare o che toccavano. Qualcuna era già con il cazzo del compagno, o chiunque fosse, in bocca.
E meno male che quella doveva essere la zona per socializzare.
Iniziai a chiedermi cosa potesse succedere negli altri piani. Non faticai ad immaginarlo. Iniziai a bagnarmi in mezzo alle gambe, senza tuttavia correre il rischio di bagnare le mutandine, visto che non le indossavo.
Un principio di eccitazione si stava impadronendo di me.
Successero, poi, due cose che mi stupirono e che avrebbero cambiato il corso della serata. E non solo della serata.
La prima, successe alla mia destra.
Marta, con un collare al collo ed un guinzaglio, comparsi chissà da dove, veniva letteralmente tirata dall’uomo che, poco prima, le aveva infilato la mano sotto la gonna. Lei lo seguiva docilmente, con passo incerto, su quei tacchi vertiginosi che indossava, praticamente nuda e con le mani legate dietro la schiena, mi sembrava di vedere bloccate in un paio di manette. Il suo vestitino era rimasto chissà dove. Le sue mutandine erano, insieme alle mie, dentro gli armadietti, nei pressi dell’entrata. Il reggiseno? Boh. Li vidi dirigersi verso le scale che portavano al piano di sotto. Non potei non notare lo splendore delle tette della mia amica, impunemente proiettate verso l’alto, sode e più grandi delle mie. Cinque metri dietro di loro c’era la compagna dell’uomo, anche lei completamente nuda, in tacchi ed autoreggenti, con in bocca, tenuto dai denti, quello che doveva essere il reggiseno di Marta.
La seconda cosa, successe alla mia sinistra.
Sentii una voce di donna. La sentivo sorridere. Mi voltai da quella parte.
Elena, insieme ad un ragazzo molto più giovane di lei, stava facendo il suo trionfale ingresso all’interno del locale.
Non potei non notare che, al suo polso destro, era infilato un braccialetto di colore nero.
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