Prime Esperienze

La lettera


di Membro VIP di Annunci69.it LumenNoctis
11.04.2025    |    14    |    1 8.0
"Feci cenno di no, ma dentro avevo già iniziato a tremare..."

La busta nera arrivò in silenzio.

Non c’era stato il suono del campanello, né alcun segno di passaggio. Eppure, quando rientrammo, era lì: poggiata sul tavolo del soggiorno come se l’avesse lasciata qualcuno che conosceva ogni angolo della nostra casa. Una presenza discreta ma intensa. Ci fermammo entrambi, quasi trattenendo il respiro. Lei fu la prima ad avvicinarsi, lo sguardo teso, le dita esitanti.

Il sigillo in ceralacca nera riportava un simbolo arcano — qualcosa che sembrava a metà tra una stella e un occhio. Sul retro, a mano, due parole soltanto: Per voi.

Aprì lentamente, come si apre un diario trovato per caso in una soffitta dimenticata. Dentro, la calligrafia era precisa, obliqua, elegante.

“Se state leggendo, è perché il vostro desiderio ha già risposto.
Sabato, ore 22.00.
Il luogo vi sarà rivelato la mattina stessa.
Il dress code: nero, essenziale. Con un dettaglio di luce.
Lasciate a casa i ruoli. Portate con voi solo ciò che siete disposti a condividere.
Nessuna pretesa.
Solo inviti.

Lumen Noctis”


Lei abbassò la lettera e per un lungo istante rimase immobile. Guardava un punto oltre la finestra, ma non vedeva il giardino. Dentro di sé, qualcosa si era aperto. Lo conoscevo quello sguardo: era il confine tra la paura e il desiderio.

“Tu lo conosci questo nome?” mi chiese, la voce più bassa del solito.

Feci cenno di no, ma dentro avevo già iniziato a tremare.
Non di freddo, ma di attesa.



Passarono due giorni.
La lettera rimase sul tavolo, in bella vista. Nessuno la spostò, nessuno la ignorò. Ci giravamo intorno come si fa con qualcosa di sacro, o pericoloso.

Lei cambiò più volte idea. Una sera la guardai fissamente e le chiesi cosa temesse davvero.

“Temo di perdermi,” disse. “Temo che se vado... non sarò più la stessa.”

Poi aggiunse, quasi sottovoce: “Ma voglio andarci. Non so perché. Non so per cosa. Ma sento che devo.”

Quella notte fece l’amore con me come non succedeva da tempo. Non per intensità, ma per presenza. Aveva la pelle tesa come una corda pronta a vibrare, lo sguardo acceso da qualcosa che andava oltre me. Non era solo desiderio, era fame d’anima.
Di possibilità.




Sabato arrivò e con lui, puntuale alle 9:06, il secondo messaggio:

“Coordinate attive dalle 21.00.
Parcheggiate al cancello di ferro.
Seguite il sentiero tra gli ulivi. Quando il respiro si farà lento, saprete di essere arrivati.”

Non ci fu bisogno di parlare.

Preparammo le cose in silenzio. Lei scelse un abito semplice, nero come richiesto. Una scollatura appena accennata, un incrocio di nastri sulla schiena. Ai lobi, due piccoli pendenti in cristallo iridescente. Il suo dettaglio di luce.

Mentre ci specchiavamo prima di uscire, vidi che le mani le tremavano.

“Se vuoi possiamo non andare,” le dissi, pur sapendo che non sarebbe tornata indietro.

“No,” rispose subito. “Ho paura, sì. Ma è una paura buona. Di quelle che ti cambiano.”

Il viaggio fu silenzioso. La strada, stretta e serpeggiante, saliva lenta tra i colli. Il sole era ormai calato, ma un chiarore pallido restava sospeso sul profilo degli ulivi.

Seguimmo le indicazioni con attenzione. Quando il cancello apparve — ferro battuto, scolorito, completamente aperto — lei trattenne il fiato.



Parcheggiammo lì.
Il resto doveva accadere a piedi.

Camminammo lungo il comodo sentiero di ghiaia che si inoltrava tra ulivi secolari. Piccole luci tremolanti indicavano la via: candele protette da vetri ambrati. Ogni passo sembrava allontanarci da ciò che eravamo stati, e avvicinarci a qualcosa che ancora non conoscevamo.

Lei camminava con passi lenti ma decisi, lo sguardo dritto davanti a sé. A un certo punto, senza dire nulla, mi prese la mano. La sua pelle era calda, pulsante. Il cuore le batteva forte. Non avevo bisogno di guardarla per sapere che era sull’orlo delle lacrime — non di tristezza, ma di emozione pura.

All’ultima curva, tra gli alberi si aprì una radura. Lì, avvolta da tende leggere mosse dal vento, si stagliava la villa. Antica, con luci basse alle finestre, lanterne sospese, musica appena percettibile nell’aria.

Ci fermammo.
Guardammo in silenzio.


Il respiro si fece più lento. Il tempo sembrava trattenere il fiato con noi.

E lì, proprio in quel momento, capimmo entrambi che la soglia era reale.

Lei si voltò verso di me. Nessun sorriso. Solo uno sguardo limpido, come se fosse già dentro.



“Ci sei?” chiese.

“Sì,” risposi. “Ci sono.”
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