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Tris di donne (storia vera)


di Membro VIP di Annunci69.it ToroRm2020
31.07.2021    |    8.950    |    2 9.7
"Anche ora, a cinquant’anni, esibiva un fisico notevole, un po’ appesantito ma piacevole e ben proporzionato, imperniato su una quinta di seno naturale che,..."
Ero alla mia scrivania, riflettendo sulla bonaccia in cui sembrava essersi infilata la mia vita sessuale, quando vidi il badge di Outlook ammiccare dal display del mio telefono, con il suo cerchietto rosso che conteneva un bel numero 1 bianco.
“Ehi, amico”, mi stava dicendo con allegria e probabilmente troppo ottimismo, “dai che ci divertiamo!”
Avevo ricevuto un messaggio all’indirizzo riservato che usavo per gli incontri.
Cercai di non crearmi troppe aspettative visto che di solito si trattava di spam, ma aprii comunque l’app con un po’ di trepidazione. Ricevere un messaggio era sempre una piacevole sorpresa, come trovare un regalo inatteso sotto l’albero di Natale. Ma il tipo in rosso non portava i regali che piacevano a me, che di rosso avevano soprattutto le luci.
Era una risposta all’annuncio che avevo messo su bakeka incontri un paio di giorni prima.
Da tempo avevo voglia di provare la pioggia dorata, ma trovare una donna cui piacesse sembrava una Mission Impossible anche per Ethan Hunt. Le amanti che avevo avuto, tranne una che mi aveva permesso di leccarla dopo aver fatto pipì, non avevano mai voluto concedermi questo piacere, quindi il mio desiderio era rimasto inappagato.
Così avevo provato a mettere un annuncio, con poche speranze di riuscita, che statisticamente erano comunque meglio di nessuna speranza.
Lessi il messaggio.
Una lei (wow!) che mi diceva di adorare la pioggia dorata, scrivendo in buon italiano e non copia/incollando un testo che non c’entrava niente tradotto ad minchiam a partire da chissà quale lingua.
Sognavo o ero desto?
Sembrava la risposta di una persona reale. I Bot in agguato nei siti di annunci ormai li sgamavo al volo.
Il messaggio tipico era: “Io vuole fare sesso con te, mi vergogno di mio corpo quindi mando foto così tu dici me”, con tanto di foto di gnocca est europea in allegato, trucco che non avrebbe tratto in inganno nemmeno un 90enne affetto da priapismo con una demenza senile in stato avanzato. Bastava rispondere per ricevere in automatico una mail contenente una serie di link più tossici di una fogna di Calcutta in piena estate.
La ragazza (Donna? Signora matura?), invece, diceva di adorare i giochi bagnati e indicava anche un contatto Telegram per proseguire la conversazione più comodamente.
Scrissi immediatamente a colei che si firmava con la sola lettera L.
Non puzzava di fregatura, ma era sempre meglio volare basso. Qualche settimana prima mi aveva contattato una tizia che, mentre ero già sotto casa sua, si era rifiutata di aprire il portone affermando che non ero un bravo schiavo perché non le avevo portato le sigarette e il cornetto alla crema che mi aveva chiesto su Whatsapp venti secondi prima.
Schiavo? Io? Ma davvero?
L’avevo mandata a cagare senza passare dal via e me n’ero andato, ripromettendomi di specificare *NO PSICOPATICHE NÉ SEDICENTI MISTRESS DE NOANTRI* nell’annuncio successivo.
L. mi rispose dopo pochi minuti, una specie di record, essendo io abituato alle lunghe attese di A69, i cui utenti, in particolar modo le coppie, sembravano sempre essere alle prese con improcrastinabili Call Conference internazionali di altissimo profilo che rendevano loro impossibile digitare tre parole sulla tastiera del cellulare per giorni e giorni.
L. si dimostrò simpatica e alla mano. Mi disse di avere 31 anni e mi chiese una foto. Le domandai se la voleva esplicita o normale e lei scelse la seconda, ma essendo io un porco praticante non ne avevo nessuna sottomano, quindi ne inviai una in cui i boxer coprivano l’erezione.
“Te ne invio una soft” scrissi.
“Soft?” lessi poco dopo nella finestra di chat, insieme a tre emoji con la goccina di sudore sulla fronte. “Soft come una clava!”
“Ma almeno è coperto” digitai, aggiungendo un’emoji sorridente. La chiacchierata andò avanti per un po’, poi arrivò la tegola: mi disse di non avere la possibilità di ospitare, il che sollevava un problema, dato che neanch’io potevo e il car sex era ovviamente fuori discussione. Le proposi di vederci in una stanza d’albergo e lei non fece obiezioni.
Impiegai un’ora buona a trovarne una in zona che avesse una vasca in camera e la prenotai.
Era stata chiara sul fatto che avrei potuto leccarle la fica prima e dopo, ma che non avrebbe fatto altro. Non avevo indagato sui motivi di questa scelta nel timore di irritarla in qualche modo. Lo consideravo piuttosto limitante, ma ero disposto a passarci sopra pur di togliermi lo sfizio.
Il giorno successivo il tempo sembrò diventare denso come melassa, gocciolando via con estrema lentezza.
Appena finì il turno contrariamente alle mie abitudini schizzai via senza aspettare un secondo di più. Impiegai pochi minuti per raggiungere l’hotel. Controllai febbrilmente Messenger e vidi che L. era in arrivo. Quando finalmente la vidi rimasi piacevolmente sorpreso.
Sembrava quasi una ragazzina. Aveva un bel sorriso, aperto e lascivo allo stesso tempo, e forme piacevolmente arrotondate ma molto sode, come scoprii pochi minuti dopo abbracciandola.
Avevo visto un paio di sue foto, ok, ma quelle non sempre erano veritiere, come avevo imparato a mie spese in passato. Portava due anellini alla narice destra e aveva i capelli biondi e corti.
«Ero sicura di perdermi» esordì. «Noi donne siamo impedite con le indicazioni stradali.»
«Be’, mica tutte.»
«Io sì.»
«Vieni» la invitai, mentre mi avvicinavo al bancone dietro cui si trovava un sessantenne calvo che rivolse un’occhiata molto interessata a L..
«Non speravo di trovare una donna amante della pioggia dorata» dissi mentre salivamo in stanza, tanto per rompere il ghiaccio, anche se in realtà con lei mi sentivo molto a mio agio. Istintivamente mi era risultata subito simpatica. Scoprii che L. stava per Loredana, un nome che mi era sempre piaciuto molto.
«Io la adoro. Con il mio ex ce la facevamo addosso nel letto.»
«Un bel casino da ripulire, dopo.»
«Sì, ma era divertente. Me la facevo fare anche dentro.»
«Wow…»
«È difficile perché quando urini si perde l’erezione, ma è divertentissimo.»
Quelle parole mi provocarono un effetto immediato all’altezza patta dei pantaloni.
La stanza aveva un arredamento ridotto all’essenziale, ma il bagno era spazioso. Era quasi nascosta in un angolo riparato dell’albergo, in fondo a un lungo corridoio a forma di L, e supponevo che la cosa non fosse casuale. Di certo non avevamo dato l’idea di una coppia regolare in cerca di un posto per dormire ed eventuali urla e gemiti potevano disturbare le famiglie ospiti.
Presi la sedia che corredava il tavolino su cui era poggiato un televisore da 24 pollici di una marca che non avevo mai sentito nominare e la portai nel bagno, poi mi spogliai e lo stesso fece lei. Il pube era liscio, le piccole labbra ancora chiuse. La pelle del monte di venere era serica e perlacea.
La vidi aprire un termos e versare quello che sembrava tè caldo nella tazza di plastica bianca che fungeva da coperchio.
«Con questo la vescica si riempirà subito» spiegò, rispondendo alla domanda inespressa sottintesa nel mio sguardo. Mando giù in fretta tre tazze, poi posò il contenitore termico sul tavolo e si spostò nel bagno. Capii subito cosa voleva. La raggiunsi e mi misi in ginocchio di fronte a lei, la bocca a pochi centimetri dalla fica.
«Posso?» chiesi. Per tutta risposta lei mi sorrise e sollevò una gamba poggiandola sulla sedia di formica e metallo che sembrava provenire da un’aula scolastica, in modo da permettermi di arrivare comodamente in mezzo alle sue cosce.
«È tutta tua» mi invitò, come se ce ne fosse bisogno.
Cominciai con ampie leccate lungo tutta la fessura, ancora chiusa, passando dal clitoride al perineo in pennellate lente e umide. Loredana reagì immediatamente con un sospiro, mentre la vulva si schiudeva e si bagnava.
«Bravo, così… continua…» mormorò. Dopo un minuto le piccole labbra si erano aperte e apparivano scure e turgide, segno che gradiva il trattamento che le stavo riservando. Gliele mordicchiai piano strappandole gemiti soddisfatti, accompagnati da movimenti ritmici del bacino.
«Invidio quelle donne che si bagnano tanto» confessò, «certe dopo due leccate colano come fontane, io invece rimango sempre un po’ asciutta...»
Non lo era, ma in effetti non era neanche fradicia come tante altre donne cui avevo riservato le stesse attenzioni.
L’attesa per il clou dello spettacolo cresceva, gli attimi si allungavano come cera fusa mentre leccavo e la guardavo godere. Vidi una luce accendersi nei suoi occhi e capii che il momento tanto atteso era finalmente arrivato.
«Sei pronto?» mi chiese infatti, con un sorriso.
«Prontissimo.»
«Sdraiati e apri bene la bocca…»
La vasca non era particolarmente ampia ma riuscii comunque a sistemarmi. Loredana si accosciò a gambe aperte portando la fica, che teneva aperta con le dita, a una decina di centimetri dalla mia faccia. Aveva un’espressione tra il lascivo e il sognante che mi confermò di avere davvero trovato quello che cercavo.
Stavo per prendere la mia prima pioggia dorata: era questione di secondi.
L’inconfondibile suono che accompagnava lo svuotamento della vescica suonò come musica alle mie orecchie.
L’idea del tè caldo si dimostrò efficace, perché all’improvviso mi trovai la bocca piena di liquido caldissimo e leggermente acre, un bel getto che Loredana indirizzò con abilità per non farmene perdere neanche una goccia. Avevo un’erezione clamorosa, ma sapevo che non avrei potuto scoparla, quindi mi masturbai mentre lei mi affogava. Fu un connubio spettacolare, che culminò in un orgasmo incredibile, i cui frutti arrivarono fino al torace, mentre Loredana si infilava le dita nella fica e mi regalava gli ultimi due schizzi in bocca.
«Che bravo che sei» disse. «Hai bevuto tantissimo. Ora puliscila bene con la lingua…»
Gocciolava ancora urina quando iniziai a leccarla. Era ancora meglio di quanto avessi immaginato, grazie soprattutto all’incredibile carica erotica di Loredana, il cui evidente piacere rifletteva il mio in un infinito gioco di specchi.
La slinguai come se non ci fosse un domani, ripulendola a fondo. Continuai per parecchi minuti.
«Vorrei farti venire con la lingua» le proposi.
«Ci riesco solo se mi sdraio comoda, e impiego comunque un sacco di tempo» spiegò. «Va bene così, è stato bellissimo. Per me pisciarti in bocca è un godimento cerebrale fortissimo, anche senza orgasmo.»
Si rialzò, mentre io rimasi ancora un po’ sdraiato a godermi la sensazione di essere immerso nel liquido che mi aveva scaricato addosso, ancora non del tutto assorbito dallo scarico che avevo ostruito con la schiena.
Quando mi tirai su a mia volta Loredana mi guardò con un sorriso.
«Sei il primo che se la fa fare tutta in bocca» mi confessò. «È così che mi piace.»
«Era quello che volevo.»
Loredana si avvicinò e si alzò in punta dei piedi. Mi infilò la lingua in bocca, ancora satura del suo sapore. Non me lo aspettavo e risposi con entusiasmo, mentre il cazzo tornava immediatamente di marmo.
Le chiesi se potevo metterglielo dentro e lei scosse la testa sorridendo, poi cominciò una sega molto dolce, perfettamente ritmata, cosa che non tutte le donne erano in grado di fare. Molte erano troppo irruente o incapaci di muoversi in modo regolare, sia con le mani che con la bocca, cosa che mi rendeva a volte difficile arrivare all’orgasmo in quel modo.
Io ero in piedi e lei seduta: ci guardavamo negli occhi e lei aveva un leggero sorriso sulle labbra. Sentii arrivare il piacere come un carrello dell’ottovolante lungo una discesa ripida. Impiegai pochi minuti per venire, schizzandole lo sperma sul seno generoso. Usai la cappella per carezzarle i capezzoli, e vidi che apprezzava.
Ci separammo dopo un po’ di coccole poi, a turno, ci lavammo. Io feci anche lo shampoo, dato che avevo i capelli bagnati, lei si limitò a sciacquarsi la fica senza mettersi direttamente sotto il getto. Sentivo ancora in bocca il sapore della sua pipì, che non era affatto sgradevole.
Una volta asciugati e rivestiti ci baciammo ancora, con passione e dolcezza.
Ci lasciammo con un ultimo bacio e la promessa di ripetere l’esperienza al più presto.
Avevo ancora oltre due ore di hotel pagate, per cui mi stesi sul letto, soddisfatto e rilassato. In quel momento arrivò un messaggio Whatsapp. Diceva semplicemente: “Ehi!”
Era Linda, una mia collega con cui, tempo prima, avevo avuto una relazione che non era finita benissimo. A letto andavamo alla grande, ma fuori dalle lenzuola le liti erano all’ordine del giorno perché il ruolo di amante le andava stretto, pur essendo a sua volta sposata.
Per mesi non ci eravamo sentiti, poi avevo tentato un riavvicinamento nel tentativo di recuperare l’amicizia che c’era stata prima che diventassimo amanti, anche se sapevo che quel genere di cose funzionava raramente.
“Ehi a te” risposi.
“Che fai?“
“Niente di che” mentii spudoratamente. “Mi rilasso un po’.”
“È tanto che non ci vediamo” riprese lei.
“Eh già.” Erano alcuni mesi che ci limitavamo a incontrarci per caso e a scambiare chiacchiere di circostanza.
“Io sono ancora al lavoro” mi informò. “Tu sei uscito?”
“Sì, ma sono ancora in zona.”
“Perché non vieni? Mi serve una mano a prendere delle risme di carta in magazzino.”
Era una richiesta in codice. Avevo perso il conto delle volte in cui avevamo fatto sesso nel magazzino della ditta, pratica piuttosto rischiosa ma proprio per questo molto eccitante.
Ci pensai un po’ su poi risposi.
“Arrivo” digitai, anche se, col senno di poi, forse avrei fatto meglio a rispondere “vengo”.
Lasciai l’hotel e tornai in ufficio.
A vent’anni Linda era stata una modella dilettante. Una volta, mentre eravamo a letto dopo aver fatto l’amore, mi aveva raccontato che, ai tempi in cui preparava il suo book, per fare alcuni scatti con il mare sullo sfondo aveva provocato il blocco del traffico sul lungomare del paese in cui all’epoca viveva.
Anche ora, a cinquant’anni, esibiva un fisico notevole, un po’ appesantito ma piacevole e ben proporzionato, imperniato su una quinta di seno naturale che, diceva, aveva sempre avuto anche quando indossava la taglia 40. Le labbra erano carnose senza bisogno di ritocchi estetici.
«Ciao» la salutai al mio arrivo, non senza un’ombra di sospetto. Conoscendola, non mi avrebbe sorpreso sapere che mi aveva chiamato davvero solo per aiutarla con le risme di carta. Sapeva essere molto stronza quando voleva.
Avevamo ripreso a sentirci, ma visti i nostri trascorsi non sapevo bene cosa aspettarmi. Indossava una camicetta di seta bianca sbottonata ad arte che metteva in evidenza il seno.
«Ciao» ricambiò, poi sorrise e aprì le porta del magazzino, facendomi segno di entrare.
Il locale era piccolo e molto stipato, con tre pareti su quattro rivestite da scaffalature metalliche ingombre di scatole di cartone, e il pavimento occupato per metà da grosse casse di legno.
«Devi prendere qualche scatolone pesante?» domandai.
«Devo prendere qualcosa, esatto, ma non si tratta di una scatola» rispose, con una strana luce negli occhi.
Chiuse la porta, a chiave, e mi gettò le braccia al collo, incollando le labbra sulle mie.
Rimasi stupito per un istante, poi mi abbandonai alla morbida pressione del suo seno contro il mio torace. Fu un bacio violento, quasi una lotta per il predominio condotta da due bocche affamate, mentre le mani giocavano una partita tutta loro infilandosi sotto i vestiti alla ricerca spasmodica della pelle nuda.
La spinsi contro una delle casse e la feci sdraiare sulla schiena, poi le sfilai le scarpe e i pantaloni. Portava un perizoma di pizzo nero. Lo scostai scoprendo il pelo nero e ricciuto del pube. Non le piaceva rasarla e si limitava a regolare il boschetto con sedute frequenti dall’estetista.
Mi inginocchiai, pronto a leccare la seconda fica di quell’incredibile serata. Feci scivolare le mutandine verso l’alto e gliele tolsi, poi affondai il volto tra le sue cosce aperte.
Leccai prima la zona del perineo, cosa che le piaceva da morire, poi infilai la lingua nella vulva che andava bagnandosi sempre di più. Mi piaceva guardarla per vedere come reagiva, godevo nel sentirla contorcersi e gemere. Sapevo anche come portarla all’orgasmo. Avevo leccato un discreto numero di fiche e avevo realizzato che ogni donna aveva le sue preferenze. A Linda piacevano piccoli tocchi di lingua direttamente sul clitoride, a un ritmo costante e non troppo affrettato, inframmezzato da parole e incitamenti. La eccitava da pazzi essere chiamata troia.
«Così mi fai venire» mormorò infatti, ma non interruppi il lavoro di lingua. Sapevo che poteva avere più orgasmi consecutivi, e stasera li avrebbe avuti. Sentiii la tensione dei suoi muscoli crescere mentre la portavo all’estasi, finché le si mozzò il respiro e inarcò la schiena, premendomi con forza la fica contro il viso.
«Vengo vengo vengo vengoooohhhh» gemette, contorcendosi tutta mentre mi godeva in bocca.
Non le diedi neanche un attimo di respiro. Mi alzai e tirai fuori la mazza, che saltò su con prepotenza pronta a sbranare la passera che l’aveva provocata.
Strofinai la cappella sulla fessura fradicia e glielo infilai dentro fino all’elsa, facendo sbattere le palle contro il culo.
«Ohhhhhhh» fu la reazione, «sì, non sai da quanto lo volevo, dammelo tutto…»
Cominciai a pompare con forza, accompagnato dallo sciacquio delle secrezioni che ormai erano un fiume in piena. Guardavo con immenso godimento l’asta entrare e uscire dalla fica aperta. Le slacciai la camicetta, scoprendo il seno. Spostai le coppe in basso per esporre i capezzoli, grandi, scuri ed eretti. Cominciai a succhiarli a turno, mettendo in bocca più carne possibile, mordendo senza affondare troppo i denti ma facendoglieli sentire chiaramente, appena sotto il limite del dolore, senza interrompere mai gli affondi dentro di lei. Pompai per parecchi minuti, alternando capezzoli e bocca, insalivandola tutta come se volessi ingoiarla intera e farla totalmente mia. La portai molto vicino al secondo orgasmo, ma sapevo come lei voleva finire. Mi sfilai, il cazzo lucido di secrezioni.
«Mettiti a pecora…» ordinai, e lei obbedì docile come un agnellino.
Si piegò sulla cassa offrendomi il culo morbido e sodo, pronta a prendere e a darmi piacere.
Con le dita trovai l’ingresso della vagina, viscido di umori, e guidai la cappella fino a farmi strada nel canale già abbondantemente aperto.
Affondai dentro di lei, che dopo essersi leccata le dita cominciò a farsi un ditalino per incrementare il piacere.
«Godi, troia» le dissi, sapendo che quelle parole l’avrebbero spinta verso un orgasmo senza freni.
«Sono… la tua… troia…» rispose al ritmo dei miei affondi, poi ebbe un orgasmo talmente forte che cominciò a mugolare coprendosi la bocca con le mani per non urlare.
Non smisi di scoparla. Sapevo che le piaceva. Ma non saremmo arrivati al terzo orgasmo perché sentivo di essere vicino anch’io.
Il piacere cresceva come un’onda di marea che presto sarebbe diventata incontrollabile. Gli ultimi secondi prima dell’orgasmo mi avevano sempre fatto pensare a una folle corsa in discesa su un mezzo senza freni. Era sublime perdere il controllo e lasciarsi trasportare dal piacere.
Pompai ancora una decina di volte, poi tirai fuori il cazzo e le coprii culo e schiena con una quantità inaspettata di sperma caldo e cremoso.
Era già venuto due volte quel giorno, ma probabilmente avevo ancora parecchi arretrati da smaltire. Quando mi sentivo stimolato e a mio agio davo il meglio di me, al contrario di quanto accadeva le fortunatamente rare volte in cui non si creava la giusta sintonia.
Rimanemmo in silenzio per quasi un minuto minuto, assaporando la dolce sensazione post coitale. Linda muoveva piano il culo, come a chiedere di essere penetrata ancora.
«Ti ho allagato» le dissi.
«Me ne sono accorta. Ne hai fatta un litro. Si vede che eri bello carico.»
Non la contraddissi, limitandomi a fare un vago cenno con la testa.
«Hai qualcosa per pulirti?» le chiesi. Aveva sborra ovunque.
«No, non ho pensato a portare dei fazzolettini.»
Era ancora piegata a 90º sulla cassa, con la camicetta tirata su fin quasi alle spalle. Qualche schizzo l’aveva raggiunta comunque, e avrebbe dovuto lavarla una volta arrivata a casa.
«Sai che c’è?» disse. «Me la tengo.»
Si tirò su e lasciò che la camicetta le ricadesse addosso, appiccicandosi alla pelle coperta di sperma. Poi, rapida, indossò di nuovo perizoma, pantaloni e scarpe. La imitai, e appena si fu rivestita mi abbracciò e mi baciò.
«Come farai adesso?» le chiesi, tenendola stretta a me. «Si vede che è sporca.»
«Non importa, tanto in ufficio non c’è rimasto quasi nessuno. Esco subito e a casa la lavo.»
«E se tuo marito se ne accorge?»
«Gli dirò che è crème de peau de taureau e che fa miracoli per la pelle.»
«E sarebbe?»
«Crema di coglioni di toro, conosciuta anche come crème de sborre» ridacchiò.
«Scema…»
«La prossima volta la voglio in faccia.»
«Come la signora comanda.»
«Mi piace l’idea di portarti addosso fino a casa.»
L’idea in effetti piaceva molto anche a me. La baciai ancora, tenendole una mano sulla nuca per poter andare in profondità con la lingua. Mi chiesi come sarebbe stato il nostro rapporto da quel momento in poi, se lei avrebbe considerato l’accaduto un nuovo inizio oppure una piacevole parentesi senza conseguenze.
Non avrei davvero saputo quale delle due scegliere.
Ci separammo in modo da non uscire insieme e non dar luogo a chiacchiere, che in ditta non mancavano mai.
Appena salito in macchina, per pura abitudine feci un giro di ricognizione su Annunci69 e trovai un messaggio di RobertaTX, una splendida trans che avevo conosciuto qualche tempo prima, una vera femmina da letto. Mi chiedeva se mi andava di passare da lei.
“Tre in una sera?” mi dissi, ripensando alla bonaccia in cui pensavo di essermi imbattuto il giorno precedente. “E daje...”
Era uno sporco lavoro, ma qualcuno doveva pur farlo
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