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Gay & Bisex

Ritorno al noccioleto - Parte 1


di LuogoCaldo
01.12.2021    |    13.647    |    7 9.6
"Mi sentivo solo, seppur circondato di persone ostili..."
“Paolo, vieni a raccogliere le nocciole quest’ anno?”
Zio Gaetano mi fissava immobile sull’uscio della camera da letto.
Lo sguardo, ad un tempo contrariato e compassionevole, tradiva la convinzione che un ragazzo di vent’anni non avrebbe dovuto trascorrere l’inizio di agosto chino sui libri.
Sollevai il capo dal testo universitario e, ancora sovrappensiero, indugiai sulla sagoma alta e robusta di quell’uomo.
L’abbronzatura dei campi risaltava sulla polo bianca e i calzoni corti lasciavano intravedere le gambe taurine coperte di peluria.
Il viso segnato dimostrava i cinquant’anni appena compiuti, ma la chioma folta e leggermente incanutita, il metro e novanta e le spalle enormi rendevano lo zio ancora un maschio piacente.
“Va bene” risposi, preoccupandomi del tempo che quell’occupazione avrebbe sottratto ai mei studi di legge.
“Passo a prenderti domattina alle cinque, fatti trovare vestito” borbottò mentre era già lontano.

Mi buttai sul letto e presi a riflettere sul significato che la raccolta delle nocciole aveva avuto nella mia vita.
Durante gli anni del liceo quel rituale estivo aveva rappresentato, per me, una fuga dalla realtà ed una finestra su me stesso.
Già allora, infatti, i miei enormi problemi relazionali erano legati all’ omosessualità, della quale, ingenuamente, non ero neppure consapevole.
I miei compagni di classe, invece, decisamente più precoci, ne erano perfettamente consci e schernivano in continuazione i miei lineamenti delicati, la barba rada, il corpo liscio e le movenze gentili.
Mi sentivo solo, seppur circondato di persone ostili.
Ecco perché, anche la scorsa estate, a giugno, terminati gli esami di maturità, preferii interrompere ogni rapporto con i miei coetanei e seguii zio Gaetano e zia Marzia al noccioleto, per aiutarli a radunare le tonnellate di frutti negli enormi sacchi di iuta che loro avrebbero poi rivenduto alle fabbriche dolciarie del circondario.

Durante quelle giornate in campagna presi coscienza dei miei desideri.
La vicinanza di zio Gaetano, la sua spavalderia, il modo diretto e insieme delicato di rivolgersi a me e alla zia mi avevano sempre fatto sentire protetto, sin da quando ero un bambino.
Durante quell’estate, però, dovetti ammettere a me stesso lo che slancio che provavo nei suoi confronti altro non era che pulsione sessuale.
L’episodio che accese la mia consapevolezza è ancora oggi impresso nella mia mente.
Stavo cercando di raccogliere dei frutti di gelso da un ramo troppo alto quando sentii le sue mani cingermi i fianchi sottili e sollevarmi.
“Devi mangiare di più” disse “Non pesi quasi nulla”.
Rimasi impietrito.
La barba ruvida graffiava contro la pelle lasciata scoperta dai calzoni corti e il fiato caldo soffiava tra le mie gambe come un vento indiscreto, fino al punto in cui il desiderio di essere preso esplose, improvviso ma inequivocabile.
Un’ erezione incontrollabile mi costrinse a scappare lontano da lui senza dare spiegazioni e, nel fitto del bosco, dietro l’albero più grande di cui riuscii a farmi scudo, dedicai a quell’uomo la prima di una lunga serie di masturbazioni, richiamando alla memoria il percorso del suo respiro e accarezzandomi la zona in cui quel vento caldo aveva scatenato la mia libidine, tra le palle e il buco del culo, dove sognavo di sentire la sua bocca affamata.

Quell’estate non saltai neppure un giorno della raccolta.
In campagna non facevo che fissare il corpo gigantesco dello zio, memorizzando il percorso delle gocce di sudore sui suoi muscoli, tra i suoi peli, lungo le sue vene.
La sera, poi, mi davo il tormento prima di addormentarmi, in preda al desiderio violento di sentirlo sopra di me.
La mia condizione peggiorò una mattina di fine agosto.
Non si poteva lavorare a causa di un forte temporale che non accennava ad esaurirsi.
“Riparati in macchina” mi disse “Io e la zia andiamo nel capanno a controllare che i sacchi non prendano acqua”.
In auto sedetti al posto del conducente, che tante volte gli avevo visto occupare, e abbassai i calzoni, perché il mio sedere premesse dove le sue cosce si erano posate, immaginando di averle intorno ai fianchi, strusciando il buco del culo sulla pelle del sedile.
La mia erezione era già al culmine quando, oltre il muro di pioggia, dall’interno del capanno, udii provenire dei gemiti.
Non capii subito cosa stesse accadendo, mi avvicinai al fabbricato e mi accostai all’uscio socchiuso.
Gli occhi ci misero un po' ad abituarsi alla penombra della stanza ma l’immagine che mi si presentò dinanzi era chiarissima.
La zia giaceva supina su dei sacchi di nocciole, le gambe aperte e i seni scoperti e su di lei zio Gaetano, completamente nudo, si muoveva come un tornado.
Il suo corpo nudo era ancora più imponente di come lo avevo immaginato, le cosce enormi ed il pelo spesso e ispido.
Le spalle larghe sovrastavano la zia, le sue mani cercavano febbrili i seni e il suo bacino duro dondolava con metodo su di lei, rilasciando affondi potenti che la facevano gemere.
Riuscivo a vedere le palle enormi sbattere contro la vagina e le dita di lei aggrapparsi ai sacchi delle nocciole per opporre resistenza alla furia di quell’uomo che la montava come una bestia.
Non capii più nulla.
Cominciai a masturbarmi come un folle, prima accarezzandomi il cazzo senza abbassarmi i calzoni e poi facendolo uscire all’aria, immaginando di essere IO LEI, di essere IO sotto di LUI e di ricevere IO quei colpi volenti tra le MIE gambe.
Cercai di frenare l’eccitazione, rallentando il ritmo della masturbazione, appoggiando lo stipite della porta tra le natiche desiderose di aprirsi e quando mi accorsi che i gemiti della zia si facevano più forti e vidi il bacino di zio Gaetano spingere con foga dentro di lei, realizzai che quell’animale stava venendo. Così, mentre lui, ansimando rumorosamente, esplodeva tra le sue cosce anche io esplosi, mordendomi il labbro per soffocare il piacere e non farmi scoprire.

Durante l’estate, al noccioleto, prestai attenzione alle cure che lo zio dedicava a sua moglie.
Mi resi conto che, anche durante il lavoro, appena possibile, le sue mani si insinuavano sotto la gonna di lei, facendola fremere.
Molte volte, con una scusa, finsi di allontanarmi, lasciandoli soli e molte volte assistetti di nascosto alla foga insaziabile di quell’uomo, che prendeva la sua donna ovunque, sulla terra, contro gli alberi, dentro il trattore e tra i mucchi di foglie.
In tutte quelle occasioni non riuscii mai a vedere il suo cazzo.
La zia giaceva sempre supina e lui la dominava, con la schiena enorme solcata dalle unghie di lei e il bacino robusto che martellava con veemenza.
I gemiti di zia Marzia mi facevano immaginare che la dotazione di quello stallone dovesse essere notevole e, nella mia mente sconvolta, assegnavo un cazzo ciclopico ai coglioni gonfi che intravedevo durante i loro amplessi.
Di notte, tra il sonno e la veglia, allargavo le gambe nel letto e fino all’alba non facevo che accarezzarmi l’uccello durissimo, immaginando il peso del suo corpo spingere ossessivamente contro di me.

L’estate trascorse in questo stato confusionale.
Alla fine di settembre mi trasferii in città per frequentare l’università e per l’intero anno non vidi mai più lo zio.
Il pensiero di lui, però, mi ossessionò.
Lontano dal paese non facevo che cercare maschi desiderosi di compagnia.
Scoprii che i tratti delicati che i miei compagni di liceo avevano così selvaggiamente schernito rappresentavano per molti oggetto di forte desiderio.
Cominciai a prendere consapevolezza del mio corpo e, finalmente, a piacermi.
La notte, nella mia camera di studente fuorisede, ospitavo gli uomini di mezza età conosciuti al bar poche ore prima.
Dormii con operai, medici, avvocati, tassisti. Uomini soli bisognosi di piacere ed uomini sposati in cerca di compagnia. Corpi segnati dall’età e corpi ancora prestanti.
Non mi curavo né del loro ruolo sociale né della loro storia personale.
Quello che volevo era solo nutrirmi del loro desiderio.
Li lasciavo sfogare tra le mie gambe, accarezzare la mia pelle liscia, leccarmi il collo e i lobi delle orecchie mentre, in preda alla febbre della passione, mi dicevano che ero una troia nata per farmi scopare e, quando conficcavo le unghie nelle loro schiene nude, come avevo visto fare a zia Marzia, urlando loro di scoparmi più forte e di venirmi dentro, fissavo il soffitto con gli occhi sbarrati dal piacere, immaginando che il corpo che accoglievo tra le mie cosce fosse quello di zio Gaetano.

Quella sera, dopo essermi segato, andai a dormire in preda a questi pensieri, contento che il giorno seguente avrei fatto ritorno nel luogo dove la mia nuova vita era di fatto incominciata.
Il noccioleto.
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