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Gay & Bisex

Nei panni di mia madre - 6


di LuogoCaldo
18.01.2022    |    8.144    |    7 8.9
"“No, aspetta, aspetta …” “Mà, Pà … lei è Lea …” Mi introdusse gongolando..."
Gerardo si rivestì frettolosamente e tornò alla reception.
“Perché mi hai fatto questo?” Sbottai. “Fabrizio non mi perdonerà mai quando saprà che sono stato con suo padre … MAI …”
“Era necessario piccolo”. Rispose Timoteo.” E comunque sii realista: quel bamboccio non è alla tua altezza, sei troppo speciale per lui”.
Mi guardò fisso.
Aveva le labbra contratte in un ghigno malvagio e si compiaceva di avermi tirato quello scherzo.
“Ad ogni modo” Proseguì. “Calmati e troviamo una soluzione”. Mi disse.
“Il tuo fidanzato non deve sapere per forza quello che è successo questa notte. Possiamo mantenere il segreto, a patto che …”
“A patto che …?”
“A patto che tu faccia quello che ti chiedo”. Concluse.
“Ti ho visto l’altra notte, sai … Hai idea di quanti soldi mi hai fatto guadagnare? Sei una bomba, cazzo …! Lo fai intostare pure ai morti …”.
“Ma io non voglio … non voglio che diventi un lavoro …”.
“Oh no … tu lo vuoi Leo …" Disse.
"Tu desideri questo più di ogni altra cosa .. Rifletti: saresti ancora più simile a Manila ..."
“Ascolta”. Incalzò. “Non essere precipitoso. Non devi decidere ora. Vediamo come va!” Propose.
“Solo per oggi!” Aggiunse. “Tu resterai qui al motel ed io ti manderò qualche cliente. Per provare … Alla fine della giornata ne riparleremo … e magari avrai cambiato idea … eh?”
“Ti prego non costringermi …” Supplicai.
“Non ti sto costringendo piccolo”. Mi corresse lui.
“È solo un tentativo. Se sarai bravo ti prometto che Fabrizio non verrà mai a sapere nulla ... ”

Mi vidi obbligato a cedere al ricatto.
Non potevo rischiare che Fabrizio venisse a sapere la verità da qualcun altro.
Timoteo mi scattò alcune fotografie e mi fornì un cambio.
Indossai un babydoll di seta rosa e dell’intimo in pizzo nero: avevano un profumo inebriante!
Per tutta la giornata fu una processione di camionisti e conducenti di autobus.
Inizialmente li aspettai con desiderio, pensando che avrei potuto godermi la monta.
Poi, però, capii che erano tutti volgari e disgustosamente sudati.
Avevano i minuti contati.
Mi scopavano con urgenza e mi trattavano come un buco nel quale svuotarsi.
“Sta salendo uno”. Mi avvisava il protettore. “Vuole che lasci la porta aperta e che ti faccia trovare a pecora”.
Io obbedivo e, in una manciata di secondi, mi ritrovavo con la lingua dell’omone tra le natiche, la sua barba ispida che mi graffiava la pelle e, subito dopo, il grosso uccello che mi percuoteva lo sfintere con l’obiettivo dichiarato di farlo sanguinare.
“Ti spacco”. Urlavano. “Puttana”.
Alcuni mi mettevano riversa sul lenzuolo, si appoggiavano le cosce sulle spalle e, leccandomi le caviglie, mi scopavano in quella posizione, assestandomi forti sberle e sputandomi in faccia.
Facevano scorrere le grandi mani callose sulla pelle del busto, sotto al reggiseno vuoto e, quando erano sul punto di scaricare, tiravano fuori il pesce, mi montavano sul busto e mi schizzavano in faccia.

Non c’era niente di eccitante in quello che facevo.
Non ero tenuto in alcuna considerazione e venivo trattato alla stregua di una bambola gonfiabile.
A fine giornata cominciai anche a sentirmi poco bene.
Il retto mi bruciava e provavo delle dolorose fitte all’inguine.
Chiamai Timoteo per chiedergli di non mandarmi più nessuno, ma lui non rispose.
“Sei stato eccezionale”. Mi scrisse in un messaggio. “Riposa ora. A domani”.
Lanciai il telefono contro la parete e mi buttai sul letto, piangendo disperatamente.
Com’era possibile che la mia vita avesse preso quella piega? Che cosa avevo sbagliato?
Pensai che tutto quello che era accaduto si fosse verificato a causa mia.
Se fossi stato sincero con Fabrizio forse avrei potuto declinare la proposta di Timoteo e non mi sarei ritrovato in quella situazione.
“Devo parlargli” Mi dissi. “Manila ha ragione … non posso continuare a mentire”.
Mi vestii in fretta e, fuori dalla stanza, imboccai il corridoio nella direzione della reception.
Nella hall c’era una festa.
Gli invitati impegnavano l’ingresso e sembravano felici mentre sculettavano al ritmo di una musica caraibica.
Mi guardai intorno alla ricerca di qualche volto noto e, alzando lo sguardo, posai gli occhi sullo striscione argentato che campeggiava proprio sopra al bancone.
“Buon compleanno Gerardo”. Diceva.
“Ehi che ci fai qui?”
Fabrizio era davanti a me. Indossava una camicia di flanella a quadri e dei jeans larghi. Aveva gli occhi smarriti ed emanava un forte odore di alcool.
“Ciao …”. Risposi. “Niente, in realtà … ero passata a cercarti …”.
“È il compleanno di mio padre”. Mi disse sorridendo. “Fa cinquant’anni il vecchio!”.
I suoi denti erano bianchissimi. “Perché non ti fermi? Dai, ti faccio conoscere i miei …”.
“Dev’essere veramente ubriaco”. Pensai.
“No, aspetta, aspetta …”
“Mà, Pà … lei è Lea …” Mi introdusse gongolando. “È un’amica … per ora”.
“Ciao Lea”. Salutò cortesemente la madre. “Io sono Elvira, è un piacere conoscerti”.
“Ciao …. Lea”. Disse Gerardo scuro in volto.
Notai che la fronte gli si era imperlata di sudore. “Benvenuta alla mia festa…”.
Risposi con un cenno. L’imbarazzo era palpabile.
“Non è bella?” Lo interruppe Fabrizio completamente ignaro. “Io la trovo bellissima …”. Concluse traballando.
“Va bene ragazzi …” Borbottò l’uomo mentre trascinava la signora Elvira lontano da noi. “Godetevi pure la festa … andiamo tesoro, andiamo”.
E, mentre si allontanava, si voltò spesso nella nostra direzione.
“Scusali”. Proseguì Fabrizio. “Sono un po' vecchio stampo … Ascolta, vuoi bere qualcosa?”
“No grazie …Ma tu non ne hai già presi troppi …?" Lo punzecchiai.
"Non è neppure il nostro primo appuntamento e già m’hai presentato i tuoi …”
“Eh-eh … forse hai ragione …” Ammise. “Ma sai com’è … Mi diverto di più quando sto così …”. E facendosi più vicino mi infilò la lingua in bocca.
La musica riempiva la stanza e le coppie intorno a noi danzavano in preda ai fumi dell’alcool.
Fabrizio fece aderire il suo corpo al mio e, guardandomi con occhi spiritati, m’appoggiò la sua grossa erezione sulla coscia.
“Non sei qui per divertirti!”. Ricordai a me stesso. “Se continui ad aspettare non sarà mai il momento giusto”.
Mi decisi e, guardandolo fisso gli presi le mani e esordii: “Senti …” Dissi. “Non possiamo andare avanti così … ho bisogno di parlarti … sul serio, ci sono delle cose che tu devi sapere …”.
Non riuscii a proseguire.
“Sono serio anche io Lea … Tu mi piaci … Io ti piaccio …”. Biascicò. “Cos’altro abbiamo da dirci? Dai … rilassati”.
“È completamene sbronzo”. Pensai.
Capii che era impossibile cercare un confronto in quel momento.
“Va bene”. Conclusi. “Mi sa che è meglio se ne parliamo domani … non mi sembri in grado …”
Mentre cercavo di farlo ragionare avvertii una forte fitta al pube.
“Tutto ok?” Chiese lui decifrando la mia espressione di sofferenza.
Cercai di ricompormi ma il dolore non accennava a scemare.
“Si … si ….” Risposi.
“Ho solo bisogno del bagno … scusami … torno subito …”.
E corsi verso la toilette.

Ero debole, non avevo mangiato nulla e mi sentivo la vista appannata.
“Devo passarmi dell’acqua sul viso”. Pensai.
Feci per chiudere la porta dietro di me ma incontrai una resistenza inattesa.
“Che cazzo sei venuto a fare?” Gerardo era fermo sull’uscio, col piede piantato tra l’anta e il telaio.
Lo guardai spaventato.
“Allora … ?”
“Ehi … non sapevo che fosse la tua festa … Ero passato solo per parlare con Fabrizio … “.
Mi spinse all’indietro, scivolò dentro all’abitacolo e sbattè la porta.
Mi serrava il mento con una mano e mi guardava con occhi di bragia.
“Devi lasciare in pace la mia famiglia hai capito … se ti scopro ancora una volta intorno a mio figlio ti ammazzo!”.
Il suo alito emanava un forte odore di alcool misto a fumo.
Era completamente fuori di sè.
Si fece più vicino e, mentre continuava a gridare, cominciò a toccarmi il culo.
“Guarda come vai in giro … Ma non ti vergogni? Sei più zoccola di tua madre”. Sussurrò. “Ci credo che lo hai trasformato in un finocchio … Sta fermo … fermo ora mi fai festeggiare e resti in silenzio …”
“No ti prego …”
“In silenzio, hai capito?”. Ero terrorizzato, avevo le sue dita già piantate dentro al buco e provavo solo un forte dolore.
Mi limitai ad annuire, con gli occhi colmi di lacrime.
L’uomo mi girò, mi spinse a terra, mi piegò in avanti e mi infilò la testa nella tazza del cesso.
“Resta così”. Mi ordinò. “Se fiati sei morto”.
Si tolse i calzoni, scostò il filo del perizoma e, con un colpo, affondò il suo uccello duro nel retto.
Mi montò a lungo in quella posizione, piantandosi le mie natiche tra le cosce.
“AAAAH … VACCA … solo stavolta e poi devi sparire, hai capito? Non ti voglio vedere mai più …”
La nerchia era di marmo e i coglioni sbattevano contro lo sfintere tumefatto gonfi come palle da tennis.

“Lea … sei lì? Lea …”. Fabrizio percosse la porta del bagno.
“Cazzo …” Esclamò Gerardo senza smettere di scoparmi. “Rispondi …”
Non sapevo cosa dire.
“Rispondi, fallo andare via!”.
“Si … si sono qui …” Mi limitai a replicare.
“Stai bene …?” Chiese. “Ho bevuto un po' troppo, ma … se hai bisogno …”
“Sto bene … sto bene …”. Dissi. “Ancora qualche minuto e torno di là …”.
“Ti prego Lea … posso entrare?”. Insistette lui. “Ho voglia di stare con te …”.
Gerardo appoggiò la nuca sulla mia schiena.
Stava facendo uno sforzo sovraumano per trattenersi.
“Hai capito il maiale …” Mugolò in maniera appena percettibile. “Te lo sfonda pure lui il culo eh?”
L’idea di scoparsi la donna del figlio lo stava facendo impazzire. “Chi ce l’ha più grosso? … chi?”.
“Dai, per favore … è da quando ti ho vista che non penso ad altro …” Incalzò Fabrizio.
“Insisti …fallo andare via”. Mi intimò il porco.
Le sue cosce cominciarono a tremare.
Capii che mi avrebbe sborrato in culo da un momento all’altro.
Ansimò rumorosamente e tirò nuovamente lo sciacquone per coprire i gemiti.
“Ascolta Fa … non è il momento”. Ribadii. “Ti prego lasciami sola adesso …”. Implorai col tono più persuasivo di cui ero capace.
Riuscii a convincerlo.
“Va bene …” Cantilenò. “Però promettimi che dopo stiamo insieme … per favore … non ce la faccio più così …”.
“Promesso”. Risposi sfinito. “Promesso …” E mentre Gerardo mi pompava l’uccello nel sedere sentii che lui si allontanava.
Quando rimanemmo soli il maiale si liberò da ogni freno.
“Ti stai divertendo?” Mi chiese. “Chissà quanto godi a svuotare padre e figlio”. Aggiunse.
“Sei una poco di buono … una rovina famiglie …”
Mentre lo diceva ansimava e il suo fiato diventava sempre più corto.
Mi afferrò il collo e mi spinse la nuca ancora più dentro alla tazza del cesso.
“No ti prego … ti prego”.
“Ti prego un cazzo …” Urlò sbattendomi l’uccello nel culo. “Un cazzo proprio! Lascia stare mio figlio o ti ammazzo … lui non è come te … frocio … hai capito? Aaaah …. aaaah”.
Mi mise la mano sul petto, alla ricerca di un seno che non avevo e, ripiegato su di me, ansimò rumorosamente: “Frocio … frocio …”.
E mentre ripeteva quella parola la sua resistenza cedette, il cazzo si gonfiò all’inverosimile ed esplose copiosamente dentro alle viscere.

Rimasi in quella posizione per un tempo che non saprei quantificare.
La sborra mi colava lungo le gambe mentre lui si rivestiva e tornava alla festa.
Mi sentii violato.
Con estrema lentezza cercai di ricompormi e a mia volta imboccai la strada della hall.
Fabrizio e Gerardo stavano parlando animatamente, ritirati in un angolo a distanza rispetto agli altri ospiti.
“Ma che cazzo combini?” Gridava l’uomo visibilmente alterato. “Cosa sei diventato adesso? Un frocio? Ma non ti vergogni?”.
“No”. Pensai. “Non può averlo scoperto così ...!”.
Si voltarono verso di me e guardarono fisso nella mia direzione, pallidi in volto come se avessero visto un fantasma.
Provai un profondo senso di vergogna.
"Glie lo ha detto!". Pensai. "Glie lo ha detto davvero ...!".
Non sapevo cosa fare.
Scoppiai in lacrime e, in preda a dolori lancinanti, uscii nel parcheggio e corsi verso la roulotte di Manila.
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