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Il tormento di un padre (Cavalcato) - 8


di LuogoCaldo
07.10.2022    |    14.029    |    9 8.9
"La luce della luna filtrava fioca attraverso le stecche dell’avvolgibile e la penombra intorno a me aveva l’odore del tempo fermo..."
Abbandonai l’ufficio in stato confusionale.
“Ma dove cazzo vai?” Il mio socio provò ad urlare.
“Avvocato …” Udii la voce della cliente dopo che avevo già varcato l’uscio. “Che succede avvocato…?”

Tutto era precipitato in una manciata di minuti.
“Sappiamo che sei riuscito a procurarti del materiale sul conto del mio assistito”. Mi aveva detto Alessandro facendo cadere una cartellina nera sul tavolo di noce. “Prima che tu decida se farne uso voglio però mostrarti una cosa...Avanti, aprila …!”
Avevo obbedito e sfogliato una ad una le foto che mi ero ritrovato tra le mani.
Mi ero rivisto in auto con Iryl, il ragazzino ucraino pagato per soddisfarmi, immortalato con chiarezza perfino nel momento in cui gli passavo i soldi.
“Prostituzione minorile, 609-bis!” Avevo pensato.
Mi ero rivisto mentre affondavo le dita nel culo di mio figlio Annibale, che avevo seguito di notte in uno squallido locale per scambisti.
“Atti sessuali con minorenne, 609-quater!”
Ed infine ero stato fotografato nelle strade più malfamate della città, vicino alla piazza del mercato, tra le baracche che, col favore delle tenebre, diventavano il punto di ritrovo dei prostituti.
“Abbiamo anche dei video”. Aveva precisato Alessandro.
Il labbro aveva cominciato a tremarmi.
“E no”. L’obiezione che stavo per sollevare doveva essere fin troppo ovvia. “Il ragazzo ucraino non è figlio mio”.
L'uomo aveva dunque fatto una piccola pausa, come a voler aumentare la mia curiosità. “È solo un ottimo attore... Annibale invece ci ho messo davvero poco ad agganciarlo …”. Aveva aggiunto con disprezzo. “Hai delle chances, non è uno che si fa pregare!”.
Mi ero sentito come se il mondo mi fosse crollato addosso.
La richiesta era stata chiara.
Avrei dovuto insabbiare quello che avevo scoperto sul parlamentare, altrimenti ogni aspetto della mia vita sarebbe stato reso noto ai miei amici, alle autorità e a mio figlio.

Avrei deluso tutti.
Avrei perso il mio lavoro.
La libertà.
Il mio socio.
La stima di Annibale.

Non avevo scelta.

Mentre guidavo il telefono squillò ininterrottamente.
Mi recai verso la piazza del mercato e parcheggiai accosto al marciapiede, con lo sguardo perso nel vuoto.
Fissai i sampietrini per distogliere l’attenzione dalle macerie della mia vita.
Passò l’ora di pranzo e il pomeriggio divenne sera.
“Ehi …Che ci fai qui?” Iryl sembrava stupito di vedermi. “Ho provato a chiamarti in questi giorni, sei sparito … Ho bisogno di parlarti …”
“Ho avuto da fare …” Risposi.
“Si il lavoro … lo so, lo so … Ma è proprio a proposito di quello che devi starmi a sentire”. Mi disse mentre impegnava il sedile del passeggero. “Ascolta … Allontaniamoci, ho fatto degli errori … ma forse faccio ancora in tempo a riparare …”
Mi guardò con gli occhi colmi di lacrime. “Io ti amo”. Confessò in un sussurro.

Avviai il motore e diressi l’automobile verso la periferia della città.
Il ragazzo cominciò a raccontarmi la sua storia.
Di come era stato contattato da Alessandro successivamente al nostro primo incontro.
Dell’offerta economica che non aveva potuto rifiutare.
“Vogliono tenderti una trappola”. Mi disse. “Ma io non posso … non posso farti così male …”.
Annuii in silenzio e ogni tanto gli rivolsi qualche sguardo di sorpresa.
Quando accostai il veicolo il piccolo scoppiò in lacrime. “Ti prego perdonami …” Mi implorò. “Non riesco a vivere senza di te”.
Lo baciai raccogliendo il sale delle sue lacrime.
“Tranquillo”. Sussurrai.
“Ti prego …" Continuò. "Ti prego”.
Vederlo così fragile risvegliò una poderosa erezione.
Mi avvicinai e scivolai pesante sopra di lui, reclinando il sedile del passeggero.
Iniziai a dimenarmi fino a che, con furia, tolsi i miei e i suoi vestiti.
Gli allargai le cosce con la smania che la vittima ha di possedere il carnefice e piantai il cazzo di ferro in fondo alle sue viscere, cominciando a sbatterlo contro la tappezzeria.
Ad ogni colpo ero sempre più violento e ad ogni affondo sentivo le ossa del suo bacino incrinarsi.
“Aaaaah …. Aaaah”. Urlava la puttana sotto l’impeto del mio ariete. “Mi stai spaccando …. Aaaaaah”
“Ho perso tutto” Pensai. “Ho perso tutto per questa maledettissima cagna”.
Senza rallentare il ritmo della scopata serrai la mano sulla gola del ragazzo e iniziai a schiaffeggiarlo con disprezzo.
Un rivolo di sangue sgorgò dalla bocca mentre le pupille rimasero rivolte in alto per il piacere.
“Che cazzo stai facendo?” Sussurrò Iryl continuando a spalancare le cosce per accogliere il peso delle mie reni. “Mi fai male”.
“MI HAI ROVINATO LA VITA ,CAGNA!” Urlai e, stringendo con forza il pugno sul pomo d’Adamo, presi a fottermelo ancora più pesantemente.
Lessi la paura in fondo ai suoi occhi e il suo sguardo disarmato mi eccitò da morire.
Gli sputai in faccia enormi quantità di saliva e scorsi, dietro al velo di terrore che gli aveva coperto lo sguardo, un inestinguibile barlume di piacere.
“Puttana!!!”. Imprecai con tutto il fiato che avevo in corpo. “Puttana … Puttana …”
E mentre ripetevo quel mantra continuai a sputare, gli riempii il viso di schiaffi e scaricai in fondo al culo tutta la disperazione che avevo accumulato quel giorno.

Lo abbandonai sul ciglio della strada, col volto tumefatto e le vesti completamente strappate.
“Ringrazia se non ti ammazzo”. Sussurrai.
Ma lui non si mosse e rimase lì, con lo sguardo immobile.

Mi allontanai verso il centro della città, stupito di quello che ero diventato.

Quando fui a casa, mi misi a frugare nell’armadietto del bagno e ne estrassi il flacone di tranquillanti a cui ricorrevo raramente e solo dopo aver accumulato troppe notti insonni.
Levai il viso verso il soffitto, spalancai la bocca e, guardandomi allo specchio, cominciai a versare.
5,10,15, 20.
“E se è morto?” Mi domandai in un lampo di lucidità.
25, 30, 35, 40.
“Cazzo, dopo che già mi aveva distrutto è riuscito a portarmi ad un punto ancora più basso …”
45, 50, 55, persi il conto.
Il cuore mi batteva forte nel petto.
Mi trascinai sul letto e attesi vestito che il sonno giungesse.
Non riuscivo a tenere gli occhi aperti e quando era ormai troppo tardi compresi che mi trovavo nella stanza di Annibale e che il giaciglio sul quale stavo per dire addio alla vita era quello di mio figlio.
“Il padre è peggiore dell’uomo …” Pensai.
E, improvvisamente, persi conoscenza.

Mi svegliai che era notte fonda. “Cazzo, allora non sono morto …!” Mi dissi.
La luce della luna filtrava fioca attraverso le stecche dell’avvolgibile e la penombra intorno a me aveva l’odore del tempo fermo.
Ebbi improvvisamente caldo.
Feci per togliermi la giacca quando m’imbattei nel corpo di Annibale disteso accanto al mio.
“No …” Pensai. “Come mi sono fatto trovare …!”
I miei movimenti dovettero svegliarlo.
“Pà …” Sussurrò tra il sonno e la veglia. “Ma che diavolo hai fatto?”
“Ehi …” Replicai, non sapendo come giustificarmi.
“Ma perché?” Proseguì lui, cominciando a singhiozzare. “Ma non ci pensi a me?”
Quella domanda mi colpì come un pugno nello stomaco.
“Dopo la mamma anche tu …”. Aggiunse tra le lacrime. “Che ne sarebbe stato di me?”
Non riuscii a trattenermi.
L’ansia di quella giornata si sciolse come miele e scoppiai a piangere a mia volta.

Abbracciai il mio bimbo e lo strinsi più forte che potevo contro di me.
La sua pelle era nuda e liscia come la seta. Gli slip bianchi rilucevano nell’oscurità.
Le nostre guance non erano mai state così vicine e non riuscii più a capire se stessi assaggiando le mie o le sue lacrime.
Quello che accadde mi sembrò incredibilmente naturale.
Appoggiai le labbra su quelle di mio figlio, con l’intenzione di risucchiarne la tristezza e farmene carico e fu lui a cominciare a baciarmi.
Mi sbottonò la camicia con mano tremante, mi slacciò la cintura ed abbassò la zip dei pantaloni.
“Sono morto e sto sognando...." Pensai.
Il tocco della mano sul rigonfiamento dei boxer mi fece vibrare e l’erezione tra le cosce divenne marmorea.
Feci scivolare i polpastrelli lungo la curva della schiena e, finalmente, infilai le dita sotto l’elastico delle mutande.
Quel culo era talmente burroso che a stento riuscii a contenerlo.
Sfilai gli slip e, senza smettere di baciarlo, montai tra le sue cosce.
“È il paradiso”. Pensai, mentre, con il medio, lavoravo la fica già umida.
Appoggiai il glande su quella fessura cremosa. Avvertii come una guaina intorno alla cappella.
I gemiti di Annibale rimbombarono dentro alla mia gola.
Con un colpo deciso della lingua gli tappai la bocca ed affondai il cazzo nel retto fino all’attaccatura delle palle.
“AAAAAAAAAH!”
Il ragazzo non riuscì più a trattenersi e con foga fece scorrere le mani sulla nuca, sulle guance ed infine intorno alle mie spalle. “Scopami. Ti prego, scopami. Più forte! Aaaaah …Più forte!”.
“Che malato di minchia …”. Pensai.
Provai a chiudere gli occhi per impedire che l’eccitazione mi conducesse alla fine ed iniziai a spingere con metodo.
“Ti amo”. Sussurrai in imbarazzo.
Lui mi guardò in estasi, allargò le cosce per raccogliere appieno la furia dei miei lombi, ed assunse un’espressione seria.
“Lo so”. Rispose. “L’ho sempre saputo. Non mi lasciare mai però. Io ci sono. Ci sono come vuoi, papà”.
Avvertii un tuffo al cuore.
“Papà …” Continuò a ripetere. “Papà …” E, afferratosi l’uccello, prese a segarselo come un indemoniato.
Compresi che sarebbe venuto a breve e, a mia volta, accelerai il ritmo.
L’aria era piena di sospiri e il tonfo sordo dei coglioni contro il buco segnava il crescendo della nostra eccitazione.
“Aaaaaah, sto venendo …”. Urlò mentre stringeva forte lo sfintere per compensare la tensione delle pelvi.
Mi risucchiò completamente e, come in una morsa, mi intrappolò in fondo al suo sedere.
Non riuscii più a muovermi.
Restai rigido, fasciato nelle pareti anali di mio figlio, e quando i suoi muscoli si decontrassero mi sentii finalmente mungere e mi abbandonai all’orgasmo senza controllarmi.
“Troia!” Gridai. “Ti amo, troiaaaa!”
La tensione di quella giornata zampillo' fuori in fiotti violenti e, dopo che mi fui completamente svuotato, mi sentii libero, saldamente ancorato dentro al corpo del mio bambino.
E perdutamente innamorato.

Rimanemmo in silenzio per un tempo che non so quantificare.
Il sudore della pelle ci univa come colla.
“È questa la felicità?” Mi domandai, mentre Annibale dormiva con la guancia appoggiata sul mio petto.
“Vorrei che questo momento non terminasse mai …”.
Quasi mi illusi di meritare quell’assaggio di infinito e presi a fantasticare su ciò che avremmo potuto fare insieme.
Cene.
Viaggi.
Mare.
Estati lontani da occhi indiscreti.
Solo noi due.
Io e il mio piccolo amore.
Poi, d’un tratto, il rumore delle sirene mi avvertì che il nuovo giorno stava per cominciare e che avrebbe portato alla luce l’orrore di quello precedente.
Una sensazione di panico mi sgorgò dal petto e salì fino alla gola.
Posai la mano sulla nuca del mio bimbo e, disperato, cominciai a singhiozzare.

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