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Quell' Angelo di mio figlio


di LuogoCaldo
20.12.2021    |    31.076    |    29 9.2
"Mi lasciai coinvolgere, impugnai la mazza di pietra e cominciai ad affondargliela tra le chiappe..."
Il mestiere del padre è il più difficile che ci sia.
Devi mostrarti sicuro, dare l’idea di saper fronteggiare qualsiasi situazione, anche quando i dubbi e la paura di sbagliare ti attanagliano.
Io ero sempre stato un padre fortunato.
Mio figlio Giacomo era un ragazzo serio.
Ottimi voti a scuola, amicizie selezionate, mai un problema rilevante.
Da qualche mese, però, si comportava in modo strano.
“A sedici anni è normale”. Mi ripetevo. “È l’età del cambiamento. Ha bisogno di spazio”.
“Magari ha una fidanzata”. Provavo a minimizzare con mia moglie Carla. “È un bel ragazzo. Alto, magro, fa palestra. Sai quante glie la sbattono in faccia? … un po' come al papà …”. Concludevo sornione.
Tuttavia ero spaventato.
Giacomo usciva quasi ogni sera e si ritirava a notte inoltrata, anche quando l’indomani aveva la scuola.
Prima non l’aveva mai fatto.
“Non rompere pà …” Mi rispondeva quando provavo ad intavolare l’argomento.
Non sapevo proprio come comportarmi.

Decisi che quella sera l’avrei seguito.
Dovevo capire che cosa gli passava per la testa.
Un giro di droga? Delle amicizie sbagliate? Non c’era nulla che non avremmo potuto affrontare insieme.
“Tesoro, torno tardi”. Mentii a mia moglie per non farla preoccupare. “Ho il calcetto coi ragazzi”.
“Alessandro!”. Rispose lei. “Lo sai che non mi piace se ti organizzi all’ultimo minuto”. Si lamentò.
“Lo so … lo so. Ma hanno deciso adesso …” Mi scusai, dandole un bacio appassionato per calmarla.
“Va bene amore ...Però la doccia la fai a casa …”. Si raccomandò. E, fattasi vicina, posò la mano sul rigonfiamento dei pantaloncini e mi fece pregustare il trattamento che m’avrebbe riservato più tardi.
La nostra era una famiglia felice.
Io e Carla eravamo molto uniti e anche l’intesa sessuale, dopo vent’anni, era ancora forte.
Certo, con un metro e novanta d’altezza e ventitrè centimetri di pesce tra le cosce una femmina te la tieni!
Le promisi che sarei rientrato tutto sudato come piaceva a lei e, sceso in strada, mi infilai in macchina e rimasi in attesa che mio figlio uscisse.
Erano quasi le dieci quando vidi che il cancello di casa si apriva.
Giacomo avanzò lungo il marciapiede e montò su un’Audi scura che lo stava aspettando poco oltre.
“Ma che cazzo sta combinando?” Mi domandai allarmato.
Seguii l’auto lungo le vie affollate della città, mentre si allontanava sempre di più dal centro urbano.

L’Audi si fermò in vicoletto di periferia, davanti ad una porta rossa.
L’insegna “Angeli & Demoni” era appena leggibile sopra il cornicione.
Giacomo e il suo compagno scesero dal veicolo e presero l’ingresso del locale.
“Devo capire”. Dissi a me stesso e, facendomi coraggio, mi avvicinai all’uscio per suonare il campanello.
Mi accolse un ragazzo simpatico con i capelli ossigenati.
“Angelo o demone?” Mi chiese squadrandomi dall’alto in basso …
Non sapevo cosa rispondere. “Demone direi …” Concluse lui passandosi la lingua sulle labbra mentre mi staccava il biglietto.
Lo guardai interrogativo.
“Sono venti stallone …” Sbottò. “Ti spogli nella cabina centodieci. Ecco il cappuccio”.
Gli allungai i venti euro senza capire cosa stesse accadendo e imboccai la strada degli spogliatoi.
Lo scenario che mi si prospettò davanti era davvero singolare.
Nel chiarore delle luci blu, di fronte alle cabine, una decina di uomini di mezza età sostavano seminudi.
I più indossavano degli strani cappucci sul volto, identici a quello che il ragazzo mi aveva fornito all’ingresso e, in mezzo alle gambe, esibivano delle grosse dotazioni.
“Cristo santo!” Pensai. “Giacomo …! Che stai combinando?”
Provai ad attaccare bottone con uno di quegli avventori mentre, a mia volta mi levavo i vestiti. “Ehi …”. Esordii. “Alessandro … piacere di conoscerti”.
“Ciao”. Mi rispose lui disinvolto. “Davide”.
“Bel posto”. Proseguii guardandomi intorno. “Ci sei già stato prima?”
“Si, certo che si”. Disse. “In realtà ci vengo molto spesso! … sai com’è … ci si diverte! Io faccio sempre il demone”. Precisò, indicando con lo sguardo il grosso membro che gli penzolava tra le cosce.
Poi aggiunse: “Questi ragazzini hanno il culo che manco la fica di mia moglie ai tempi d’oro … Fidati, Ale”. Mi disse. “Ti metti nudo, indossi il cappuccio e ti fai certe svuotate di palle … angeli veri! Ti mandano dritto in paradiso …”
“Ah … quindi anche tu sei sposato?” Chiesi incuriosito.
“Eh si …” Ammise lui. “Ogni tanto un po' di trasgressione ci vuole! Mia moglie è una gran cagacazzi … vede solo problemi!” Mi confessò. “Prima, quando me la sono presa, passava le giornate a cosce aperte: una ninfomane che non ti puoi immaginare. Poi, da quando abbiamo avuto il nostro primo figlio, è diventata tutta il-bambino-la-scuola-il dottore-il- corso-d’inglese”.
Fece una piccola pausa. “Se me la dà una volta al mese è grasso che cola! Invece questi qua …”. Aggiunse. “Gli angeli, dico, Ale … PUTTANE VE-RE”. Concluse sillabando. “I coglioni te li prosciugano … vedrai”.

“Forse dovrei andarmene ...” Pensai.
Ero turbato, ma in parte mi sentivo sollevato.
Non c’entrava la droga. Giacomo stava solo sperimentando la sua sessualità.
Certo, quello non era il modo migliore. Ma avremmo potuto parlarne. Avrei potuto fargli capire che correva dei rischi in questi locali.
Feci per rivestirmi.
“Avanti pescioloni!” Urlò il ragazzino della reception. “Gli angeli sono pronti per spiccare il volo!” Poi venne proprio vicino a me e, stringendo la mano sull’uccello che mi pendeva lungo tra le cosce aggiunse: “Complimenti tesoro, ci si vede dentro …”.
“Hai fatto bingo”. Mi disse Davide.
“Quello è Nicola, ha solo diciassette anni ma è già una vacca, cazzo! Ti succhia la mazza manco c’avesse una ventosa nella bocca. E il culo … porca puttana Ale …TE LO ASPIRA COL CULO … lo sa fare solo lui … ti scarica lo scroto talmente tanto che resti senza sborra per giorni”.
“Cristo santo!” Pensai. “Che pervertiti. Se fanno qualcosa a Giacomo giuro che li ammazzo …” Mi dissi, mentre indossavo il cappuccio deciso a proteggere mio figlio.

Ci incamminammo in fila indiana fuori dagli spogliatoi e, quando fummo in una seconda stanza, ci disponemmo in cerchio intorno ad un enorme divano rotondo.
Le luci erano ancora più basse e la macchina del fumo rendeva l’atmosfera realmente infernale.
“Stasera il gioco è che si ruota”. Disse l’ospite. “Ciascun demone ha dieci minuti per ogni angelo. Il demone che per ultimo resiste senza sborrare sceglie l’angelo per il resto della notte”.
Sul divano i ragazzi erano nudi.
Avranno avuto tutti tra i quindici e i diciassette anni.
La pelle diafana cosparsa d’olio brillava sotto i raggi delle lampade stroboscopiche.
“Ciao amore”. Disse Nicola. “Non ho bisogno di guardarti in faccia per riconoscerti”. Aggiunse afferrando il mio grosso uccello molle.
“Nello spogliatoio ti ho notato subito sai? Hai il bananone più grosso di tutti … MMMMH …”. Gemette prima di aprire la bocca e far sparire tutta la cappella dentro alla gola.
Era la prima volta che un uomo mi pompava il cazzo.
Me l’avevano chiesto in tanti ma non mi ero mai sentito a mio agio.
Pensai che, in fondo, m’ero perso una gran cosa.
Davide aveva ragione, quel ragazzo ci sapeva proprio fare. Anzitutto appoggiava le labbra sulla punta e l’insalivava per bene e poi, come se stesse tirando da una cannuccia, risucchiava tutta l’asta, centimetro dopo centimetro.
Il pesce mi si indurì già dopo le prime succhiate.
Quando ebbe tutta la mia erezione piantata nella bocca Nicola cominciò a lavorarsela come un indemoniato. “È bellissimo amore …” Continuava a ripetere. “Sa ancora di fica. Quante te ne sfondi…? Sei impegnato? Magari hai anche qualche figlio della mia età …. Mmmmh …. Cazzo che maschione meraviglioso, mi devi scegliere alla fine ti prego, ti voglio in culo tutta la notte … mmmh … mmmh … mi faccio proprio ingravidare da te!”

Davide era accanto a me, col cazzo già piantato dentro al culo del suo partner.
Sbatteva rumorosamente i coglioni contro il buco della puttana.
“Quel ragazzo ha veramente un gran baule”. Pensai. Tondo, cosce grosse. Un sedere da maschio! La rosetta doveva essere particolarmente stretta perché serrava la nerchia e lasciava fuori abbondanti rotoli del prepuzio.
Col viso premuto tra le pieghe del divano il maiale si godeva gli affondi del suo stallone.
“Zoccola”. Gli urlava Davide. “Te lo scarico tutto dentro stanotte …AAAAH …”.
Poi il mio nuovo amico si rivolse a me. “Che chiavata Ale!” Mi disse. “Questo è LA troia”. E mi fece l’occhiolino.
“Toccagli le chiappe. Guarda quant’è sodo”. Mi incitò.
Mi lasciai trascinare dal clima cameratesco e, col pesce ben piantato dentro alla gola di Nicola, sferrai uno schiaffo forte sulla natica del ragazzo, serrando la mano intorno alle forme burrose.
Lui fu colto di sorpresa.
Si girò per toccare il petto nudo del suo amante e accarezzò il mio braccio in segno di approvazione.
Aveva gli occhi fuori dalle orbite. La lingua scomposta penzolava fuori dalla bocca ad ogni affondo. “Siiii ...”.
Ebbi un tonfo al cuore.
La troia che mi incitava a stringere le dita sulle sue mele era mio figlio.
Provai a sfilarmi mentre Nicola continuava ad aspirare come un’idrovora.
“No”. Disse Giacomo, afferrandomi la mano e riportandosela sopra alle natiche.
“Continua ad accarezzarmi ti prego … Aaaah … ce l’hai proprio enorme … Sei il prossimo lo sai? Voglio che mi scopi come una puttana quando tocca a te … Mmmmh …”.
Non sapevo cosa fare.
Ero spaventato. Temevo che m’avrebbe riconosciuto.
“Prendigli a schiaffi il culo”. Mi incitò Davide.
Quello era il mio bambino. Non potevo farlo. Non dovevo farlo.
In preda a un forte stato di agitazione cercai nuovamente di congedarmi. “Senti io non ci riesc …”

“Fine round …”. Urlò l’ospite per indicare che i dieci minuti erano trascorsi. “Si cambia”.
“Vai prosciugalo”. Disse Nicola a Giacomo passandogli il mio cazzo.
“Finalmente … finalmente … è da quando l’ho adocchiato che non vedevo l’ora”. Giacomo si fiondò sul mio uccellone prima che potessi rendermi conto di quello che stava succedendo, prese a segarlo e, guardandomi con occhi da troia, mi confessò: “Mi piace di più se sei tu a buttarmelo in gola”.
Quindi spalancò le labbra e mi invitò ad avviare lo stantuffo.
Mi vennero in mente i pannolini che gli avevo cambiato, le volte in cui lo avevo portato a letto già addormentato, le mattine che lo avevo accompagnato a scuola.
Stavo morendo dal senso di colpa.
“Dai sbattilo …” Insistette lui, afferrandomi i glutei e spingendo il bacino verso la sua bocca.
Il mio cazzo non era mai stato così duro.
“Hai due coglioni enormi” Mi disse lascivo. “Avanti, usami …”.
Sentii la sborra montare dentro alle palle.
Gli afferrai la nuca tra le mani, mi piantai la sua faccia tra le cosce e liberai una potenza tale che avrei potuto spaccargli le tonsille.
“MMMHHH … MMMMH … MMMMH …” Lo sentivo mugolare per lo sforzo di trattenere il respiro mentre una cascata di saliva gli traboccava dalle labbra.
Lo chiavavo con forza, riversandogli in gola una grossa quantità di umori.
Mi stavo proprio godendo quella succhiata quando lui, stremato, picchiò i pugni contro i quadricipiti tesi e mi fece il segno di fermarmi.
“Cazzo se n’è accorto!”. Pensai.
Ed invece il porcello s’asciugò il mento e, girandosi a pecora, mi offrì lo spettacolo delle natiche spalancate. “Sei davvero resistente” Mi disse. “Ora però capiamo quanto duri qua dentro”.
Non ci vidi più dall’eccitazione.
“Faccia a terra”. Ordinai. “Non la voglio guardare quell’espressione da bagascia”.
E, mentre lui sprofondava il viso tra i cuscini, montai sul divano, gli serrai il sedere tra le cosce e appoggiai la cappellona sul buco del culo.
“Non entrerà mai”. Dissi dopo qualche tentativo.
“No, spingi!”. Mi implorò lui. “Sono elastico”. E, sputandosi nel palmo una grossa quantità di saliva, si infilò prima due, poi tre e infine ben quattro dita dietro.
“Ti prego … lo voglio sentire”.
Mi lasciai coinvolgere, impugnai la mazza di pietra e cominciai ad affondargliela tra le chiappe.
“AAAAH … AAAAAAAAH …” Urlò lui.
Il resto della sala ci guardava.
Avevo gli occhi di tutti gli angeli fissi su di me.
Quelle troie non vedevano l’ora di farsi riservare lo stesso trattamento.
“È enorme … è enorme … neppure mio padre c’ha la minchia così grossa …” Mugolò Giacomo.
“E tu che ne sai del pesce di tuo padre?”. Chiese Davide mentre il suo ragazzo gli succhiava la banana. “Hai provato pure quello vacca?”
“L’ho visto pisciare un sacco di volte … MMMMH … C’ha il cazzone che gli scende fino quasi alla tazza … AAAAAH … ma non è così”. Disse sfiancato mentre, sorpreso da quella confessione, continuavo a inserirglielo.

“Forse è colpa mia …” Mi dissi. “Avrei dovuto essere più attento ... Se fossi stato un padre migliore magari non ci saremmo ritrovati in quella situazione”.
Giacomo era fuori controllo. “Spaccami la fica ti prego … fammi uscire il sangue … non ne ho mai preso uno così grosso …”
Le mie responsabilità si materializzavano davanti ai miei occhi.
“Sbattimi … sono pronto… voglio che mi violenti …”.
Cercai di mantenere lucidità, feci un lungo sospiro e accettai quello che stava accadendo.
La vita mette un genitore dinanzi alle prove più impensabili ma, in ogni caso, quello che conta è avere il polso fermo.
Mi resi conto che non provavo alcuna forma di repulsione.
Quella troia era comunque il mio bambino. L’avevo visto crescere. Ne avevo fatto un uomo. Lo amavo molto.
“Distruggimi … non devo camminare domani …”.
Le sue richieste si facevano sempre più insistenti e, dentro di me, decisi di agire come un padre deve agire quando sa che può accontentare il suo piccolo.
Appoggiai un ginocchio sul divano e, mantenendo flessa l’altra gamba, gli afferrai il culo e cominciai a sdrumarglielo come voleva lui.
Lo montavo con metodo, estraevo il pesce fino alla base della cappella e, poi, di colpo, glie lo buttavo tutto dentro.
Giacomo gridava ad ogni botta e non ci provava neppure a contenersi.
Stava facendo arrapare tutti i demoni intorno.
“Guarda quella mignotta”. Dicevano ai loro ragazzi. “Prendi esempio, quella si che è una puttana!”
Le mucose del retto erano sul punto di scoppiare.
Pensai che se non mi fossi dato una regolata avrei mandato mio figlio all’ospedale.
“Continua … continua …” Urlava. “Mi stai facendo impazzire”.
Provai una grande tenerezza. Io quel cucciolo l’avevo allevato. Avevo vegliato su di lui.
L’avevo protetto dal mondo quando non era in grado di proteggersi da solo. E avrei continuato a farlo. Sempre.
“Meglio io che uno di questi porci”. Conclusi. “Dopo tutto è uscito dalle mie palle”.
Fu in quel momento che, col cuore più leggero, cominciai davvero a godermi la chiavata.
Guardavo la minchia scomparire dentro alle viscere di mio figlio ed ogni affondo mi sembrava un grande gesto d’amore.
“Non lo saprà mai nessuno …”. Dissi a me stesso. “NEMMENO LUI” E, preso coraggio, decisi di farlo contento. “Ti voglio proprio sborrare in culo!”. Urlai spingendoglielo forte dentro la pancia.

La voce dell’ospite rimbombò nella stanza. “Fine round, si cambiaaaa”.
“No … no … no …” Mi implorò Giacomo in stato febbrile. “Finisci, ti prego, non mi lasciare così”.
“Tranquillo”. Gli risposi assestandogli un forte schiaffo sul sedere. “Tranquillo. Papà finisce il giro e ti sbatte per tutta la notte”.
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