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Il tormento di un padre (Papà gli fa il culo ...!) - 7


di LuogoCaldo
16.09.2022    |    15.790    |    6 9.0
"“Ti chiamavo per dirti che stasera tarderò molto..."
Avevo affondato le dita nel culo di mio figlio.
Quella memoria segnava un punto di non ritorno.
Ovunque mi trovassi avvicinavo i polpastrelli alle narici, sperando d'incontrare, sotto le unghie, ancora nascosto l’odore di quella cavità.
L’attrazione si era trasformata in brama.
Fame.
La mattina mi attardavo in casa e, dopo che Annibale era uscito per andare a scuola, mi infilavo nudo tra le lenzuola nelle quali aveva dormito, mi avvicinavo al viso gli slip usati che avevo raccolto dal cesto della biancheria e lasciavo che quell’odore sortisse il suo effetto.
A pancia in giù chiudevo gli occhi, sentivo l’uccello indurirsi e spingevo il bacino con forza contro il cuscino sul quale il mio bambino aveva chiuso gli occhi.
“Papà ti desidera da morire”. Sussurravo in estasi.
E intanto usavo amore nei riguardi di quella federa, che, come i fiori fanno con l’ossigeno, avrebbe assorbito i miei umori e li avrebbe liberati di notte sotto forma di smania dentro ai sogni agitati di mio figlio.

Mi dimenavo convulsamente con gli occhi socchiusi e la lingua scomposta sul tessuto denso degli olezzi di Annibale quando lo squillo del telefono mi riportò alla realtà.
Era lo studio.
“Cristo! È tardissimo”. Pensai.
“Arturo, lo so! Dovrei già essere lì … Ho avuto un imprevisto, Annibale …”
“Che cazzo stai combinando?”. La voce del mio socio mi colpì con la violenza di chi ha sopportato anche troppo. “Sei un coglione. Abbiamo per le mani il divorzio del secolo. Sei tu che hai deciso di seguire questo diavolo di caso!”
“Ma …”
“Ma un corno, Maurizio! Mancano due ore alla riunione con la controparte e tu invece di essere qui a concordare la linea difensiva accampi scuse su scuse. Non me ne fotte un cazzo di tuo figlio! Se non è morto sbrigati a venire porca puttana!”
E mi attaccò il telefono in faccia.

Conoscevo Arturo da tutta la vita.
Eravamo stati compagni di banco alle elementari, avevamo frequentato il catechismo insieme e giocato a calcetto nella stessa squadra delle scuole medie.
Sapevamo tutto l’uno dell’altro.
Quanto il lavoro contava per ciascuno di noi.
Quanto avevamo faticato per accumulare i nostri pochi averi.
Quante volte avevamo tradito le nostre mogli.
Quanto dolore c’era toccato in sorte.
Mi rendevo conto che con il mio comportamento stavo compromettendo non solo la mia carriera ma anche la sua.
Eppure, il desiderio mi scorreva nelle vene come una febbre.
Mi travolgeva come un’onda inattesa che, ritraendosi, mi trascinava via dalla riva, lontano dalla famiglia, dagli amici, dai clienti che contavano su di me e dai colleghi ai quali dovevo lealtà.

Col cazzo rigido ben piantato tra le cosce composi il numero di Annibale.
“Pà?” Mi rispose lui annoiato.
Doveva essere ancora per strada, il rumore del traffico sovrastava la sua voce.
Mi sputai nel palmo della mano e cominciai a far scorrere il pugno lungo l’asta con delicatezza.
“Sei già a scuola?” Domandai con un filo di voce.
“Quasi”. Rispose lui insofferente. “Che è?”
“C’è che ti amo più della mia stessa vita e vorrei entrarti dentro”. Avrei voluto rispondere senza rallentare il ritmo della masturbazione.
“Niente”. Dissi. “M’ero dimenticato che oggi ho l’incontro per il divorzio di quell’ attrice che piace a te, quella che ha sposato il fascista che sta in parlamento”.
“Ah si … Fatti fare un autografo mi raccomando”.
“Macché!”. Risposi col fiato corto. “Sarà stressatissima”.
“Vabbè …”. Il ragazzo aveva voglia di chiudere, ma non potevo permetterglielo.
Il mio cazzo non era mai stato così teso e la cappella tra i polpastrelli delle dita fremeva sul punto di eruttare.
“Aspetta …Ti dico una cosa ma acqua in bocca!” Proseguii mentre rivolgevo gli occhi al soffitto per l’intensità del piacere che stavo provando.
“Il marito l’ha tradita con una trans”. Continuai. “Quella famosa con le bocce enormi che fa la valletta nei programmi in seconda serata”.
“Noooo …”
“E invece si! Siamo riusciti a procurarci le foto”. Dissi. “E la cliente le vedrà per la prima volta questa mattina. Abbiamo una riunione col bastardo e con il suo legale. Il porco pensa che si parlerà solo di soldi. Neppure immagina quello che lo aspetta … ”. Conclusi compiaciuto.
“Che pezzo di merda!” Sbottò Annibale. “Poverina!”
“Poverina un corno! Quel depravato dovrà scucire milioni se non vuole che la cosa diventi di dominio pubblico”.
“Ma sei sicuro? Quel viscido fa veramente schifo. Tu le hai viste ste foto?”.
“E certo”. Risposi. “Il caso lo seguo io. Me le ha portate giusto ieri sera l’investigatore che collabora con me. Ad essere preciso quelle foto per il momento le ho viste solo io”.
“Cazzo!” Esclamò lui. “Grande pà, sei un mito”.
Quel complimento inaspettato mi scaldò il cuore.
Cominciai a contorcermi come un serpente tra quelle lenzuola.
Mi portai nuovamente le mutande di mio figlio alle narici e avviai una masturbazione convulsa.
“Senti”. Dissi con voce affaticata. “Ti chiamavo per dirti che stasera tarderò molto. Va bene? Il frigo è pieno e se vuoi puoi ordinarti una pizza”.
Ero sul punto di esplodere.
“Va bene, pà”. Disse lui. “Ti aspetto sveglio. Mi raccomando, fagli il culo a quelli!”.
Uno schizzo potentissimo di lava sgorgò dal mio uccello. L’orgasmo mi costrinse ad inarcare la schiena e mi ritrovai a contrarre ogni parte del corpo, fino alle dita dei piedi.
Allontanai il telefono dall’orecchio, per il timore di non riuscire a soffocare i gemiti.
“Pà? Ci sei? Pà?”
“Si”. Risposi cercando di riprendere il controllo di me stesso. “Ci puoi giurare …”. Dissi ancora in preda all’estasi. “Papà gli fa il culo a quelli …”.
Ed interruppi la conversazione.

Tirai un sospiro profondo e mi trascinai nella doccia.
Non credevo che sarei potuto arrivare a quel punto.
Avevo infilato le dita nel culo di mio figlio e mi ero masturbato mentre parlavo con lui al telefono.
Avevo addirittura violato il segreto professionale per essere sicuro di riuscire ad arrivare all’orgasmo.
Per non parlare di quello che avevo fatto ad Iryl.
Il piccolo ucraino era completamente succube e si era lasciato convincere a seguirmi in un club per scambisti dove, con la complicità dell’anonimato, l’avevo fatto scopare dal suo stesso padre.
Ero un mostro!
Ripensai al modo in cui Alessandro, l’uomo che era stato anche l’amante di Annibale, aveva montato il sedere del suo bambino.
Avrei dovuto vergognarmi dei sentimenti che provavo.
E invece non riuscivo a sopprimere, dentro di me, un moto di ammirazione per la carica sessuale di quel maschio.
E avvertivo una profonda invida per l’occasione che la vita aveva lasciato cogliere a lui invece che me.

“Sei una merda!”. Esordì Arturo non appena varcai l’uscio dello studio legale. “Dopo questa mattina considera finita la nostra società e pure la nostra amicizia!”.
Era scuro in viso e le sue parole suonavano incredibilmente serie.
“Stai tranquillo”. Lo rassicurai. “Ho una bomba per le mani”. E indicai la cartella in cui il mio collaboratore mi aveva consegnato le immagini del tradimento.
“Lo spenniamo, il fascista, e ci facciamo dare una marea di soldi”.
“Imbecille …”. Sussurrò lui tremante.
“L’onorevole comunque è già arrivato”. Proseguì cercando di trattenersi. “È in sala riunioni con un legale che non ho mai incontrato prima. Dovresti vederlo!”. Disse alzando gli occhi al cielo. “Ha la faccia di uno che potrebbe fare il sicario di mestiere”.
“E da quando sei così lombrosiano?” Risposi sornione.
“Facciamo così”. Continuai cercando di prendere in mano la situazione. “Entro prima io e gli faccio vedere le foto. Lo metto dinanzi al fatto compiuto. O si mostra ragionevole o perde la reputazione. Così, quando arriverà la cliente parleremo solo dei termini economici. Sarà meglio anche per lei. Vedrai, a quel punto cederà su tutto”.
Arturo m’indirizzo uno sguardo complice. Sembrava improvvisamente rasserenato
“Va bene”. Annuì. “Facciamo così.” Convenne. “Ma bada! Se fai cazzate giuro che ti ammazzo!”
“Fidati di me”. Replicai.
Ed imboccai euforico il corridoio verso la stanza delle riunioni.

Mentre mi avvicinavo all’uscio mi portai nuovamente le dita alle narici.
Circondato da un profumo che ormai esisteva solo nella mia testa pensai che, tutto sommato, la vita non mi stava andando così male.
Tutto stava per tornare a posto.
Stavo per vincere il caso che qualunque avvocato avrebbe ucciso pur di avere per le mani.
Ed inoltre mi ero avvicinato ad Annibale fino a un punto che non avrei mai immaginato di riuscire a raggiungere.
Era un segreto inconfessabile che per ora non avrei potuto condividere con lui.
Ma, in fondo, avevo già sperimentato la consistenza umida del suo sfintere e assorbito l’odore fruttato della sua cavità.
“Magari, un giorno, quando sarà più grande, potrò raccontarglielo”. Pensai. “Ed allora anche lui capirà che siamo destinati a stare insieme e che l’incastro perfetto tra noi è tutto ciò di cui abbiamo bisogno”.
Avrei potuto finalmente rivelargli l’amore immenso che provo nei suoi confronti.
E forse – perché no? – lui mi avrebbe corrisposto …
Spinsi la porta della sala con le labbra contratte in una smorfia di esaltazione.
“Buongiorno, scusate il ritardo …”. Esordii.
Ma la realtà mi colpì con una violenza tale che mi fece barcollare.
Il fascista mi stava attendendo seduto sulla poltroncina di velluto blù.
Le cosce paffute spalancate sotto al tavolo di noce e i gomiti saldamente posati sulla superfice lignea.
Il suo volto tradiva la soddisfazione di chi sa di aver schiacciato il nemico.
In piedi, accanto a lui, il suo avvocato lo sovrastava.
Quell’uomo dalla stazza imponente posava la mano sulla spalla del cliente e mi fissava con uno sguardo violento e la bocca appena dischiusa per il digrignare dei denti.

Per un attimo pregai di essere impazzito e di soffrire di allucinazioni.
Chiusi e riaprii gli occhi più volte nella speranza che quello spettro tornasse dentro agli incubi dai quali era scappato.
Poi lui parlò.
“Buongiorno collega, ti stavamo aspettando”. Disse.
E la spavalderia con cui pronunciò quelle poche parole fu sufficiente a fugare ogni dubbio.
Quella figura era reale e rispondeva al nome di Alessandro.
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