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Il nuovo amico della mamma


di LuogoCaldo
24.12.2021    |    30.401    |    24 9.4
"Metteva la mamma a quattro zampe in ogni angolo dell’abitazione - sul letto, davanti alla tazza del cesso, ai piedi del caminetto – e, in quella posizione, ..."
Il giorno della Vigilia la sveglia suonò alle sette in punto.
Per me e la mamma quella ricorrenza era sacra e, da quando il papà ci aveva lasciati per la segretaria, l’avevamo sempre passata insieme.
Solo noi due.
Buttai un occhio al cellulare.
Lo stronzo mi aveva già mandato un messaggio per chiedermi di sentirci per gli auguri.
Non gli risposi. “Bastardo!”. Pensai. “Devi morire”.
Mi grattai i coglioni e imboccai la strada del bagno.
Ancora assonnato aprii la porta e feci per calarmi le mutande.
“Ops, scusa … avrei dovuto chiudere a chiave”. Uno strano figuro mi sorrise disinvolto continuando a svuotarsi la vescica.
Il marcantonio era davvero imponente, aveva le spalle larghe e due cosce spesse come tronchi.
In un’altra occasione avrei gradito lo spettacolo del suo grosso culo peloso e della minchia gigantesca che penzolava sfinita dal lavorio notturno, ma quella mattina proprio no.
“Chi cazzo è questo?” Mi domandai irritato.
Il troglodita si sgrullò il membro, lo infilò dentro ai boxer e mi allungò la mano che, ovviamente, mi rifiutai di toccare.
“Non mi piace il piscio di tutti”. Lo avvertii piccato.
“Ciao …”. Si presentò lui. “Sono Massimo, lieto di conoscerti”.
Continuava a fissarmi imbarazzato. “Tu devi essere Leonardo, il figlio di Cinzia”.
“Un altro genio!” Commentai e, irritato, sbattei l’uscio dietro di me.
“Amore buongiorno!” Trillò mia madre. “Hai già conosciuto Massimo?” Mi domandò sgranando gli occhi per raccomandarmi di comportarmi bene.
“Quello che sta pisciando nel nostro bagno?”. Chiesi acido.
“Avanti Leo, fai il bravo”. Mi blandì lei accarezzandomi il volto e poi, sorridendo, fece il suo annuncio: “Quest’anno la Vigilia la passeremo in tre!”.

In venti anni avevo avuto modo di capire quanto a mia madre piacesse il cazzo.
Dopo la separazione ne erano passati di stalloni dentro casa!
Quando ancora ero un bambino c’era stato Paolo, l’assicuratore.
Quell’uomo era così preso da noi che il sabato sera, mentre io guardavo i cartoni animati, restava a casa nostra e si scopava la mamma sul divano, sotto al grosso piumone che nascondeva i loro movimenti.
Poi c’era stato Giuliano, il macellaio, un ragazzone molto più giovane di lei, che, calata la serranda della bottega, passava da noi a svuotarsi le palle.
Li spiavo dal buco della serratura e mi tiravo delle gran seghe.
Il maiale era fissato con la pecorina.
Metteva la mamma a quattro zampe in ogni angolo dell’abitazione - sul letto, davanti alla tazza del cesso, ai piedi del caminetto – e, in quella posizione, le spremeva con forza le tette e si godeva la fica bagnata.
Più recentemente avevamo avuto Giampaolo, un camionista di mezza età basso e grasso che tra le cosce brandiva venticinque centimetri di mazza.
“Non ti puoi immaginare! Tutte le volte che me la mette dentro mi fa vedere le stelle. È una droga, da quando mi scopa lui non riesco più a sentire niente con gli altri”. L’avevo sentita confessare ad una amica.

L’avevo sempre lasciata fare ed anzi, per quanto avevo potuto, l’avevo anche assecondata.
“Dopotutto è una bella donna”. Mi dicevo. “Ci sta che voglia divertirsi. E comunque lo fa con la testa! Si fa passare la voglia tra le gambe, ma non è così stupida da trascinarli nelle nostre esistenze”.
La mamma cercava la mia approvazione.
“Tesoro, noi due dobbiamo essere complici”. Mi ammoniva. “Mi raccomando, non dire nulla al papà”.
“Io non ci parlo con quello stronzo …”. Rispondevo con prontezza.
E lei, soddisfatta mi blandiva. “Ti amo tanto piccolo mio. Sei l’unico uomo della mia vita”.
Per tutto quel tempo i suoi segreti erano stati i miei segreti e il SUO piacere era stato il MIO piacere.
Amavo l’intimità che avevamo creato.
Mi sentivo parte di un disegno che coinvolgeva entrambi e nel quale lo stallone di turno altro non era che un figurante, una pedina della NOSTRA storia.

È per questo che quell’annuncio mi ferì.
Per la prima volta un uomo entrava veramente nelle nostre vite.
“Ciao Massimo, piacere di conoscerti”. Mentii accontentandola. “Scusami per prima, sai … la situazione era piuttosto imbarazzate. Ad ogni modo sei il benvenuto. Fai come se fossi a casa tua”. Dissi, sforzandomi di non mordermi la lingua.
Lui si limitò a sorridermi.
“Grazie tesoro”. Mi sussurrò mia madre, stampandomi un bacio entusiasta sulla guancia.
Trascorsi la mattinata al piano di sopra, in camera mia, con le cuffie nelle orecchie, mentre loro in cucina consumavano il NOSTRO rito prenatalizio.
“Questa troia mi lascerà”. Pensavo. “Esattamente come ha fatto papà”.
Lei salì più volte a chiedermi di unirmi. “Ti prego tesoro”. Mi diceva. “Dagli almeno una chance … non reagire così. È una brava persona …”. Mi implorò.
Ci pensai su e, alla fine, decisi di forzarmi. “Dopotutto è solo una cena”. Conclusi. “Domani avrò il tempo di parlarle, di farle capire che questo porco non è l’uomo per lei”.
Imboccai le scale per scendere in cucina.

“Aspetta amore, accendo la telecamera così, quando non ci sei, mi sparo delle gran seghe sulla mia maiala. MMMH …”. Disse la voce di Massimo. “Eccomi, sono tuo.”
“Che porco che sei”. Mugolò mia madre. “E quanto ce l’hai grosso! Aaaaah …”
Spinsi la testa oltre la balaustra.
Vidi che l’animale se la stava chiavando davanti al lavandino.
Le sollevava il grembiule, le spremeva i grossi seni come fossero mammelle di una mucca e, da dietro, le buttava l’uccello nella fica.
I colpi erano così violenti che lei era costretta a reggersi al piano della cucina.
Ero disgustato. “Ma che schifezza! Ma proprio a Natale!”. Mi dissi.
“È bellissimo … continua ti prego, mi fai sentire una troia”. Gemeva lei con gli occhi fuori dalle orbite.
Stavo per tornarmene indietro, riproponendomi di raggiungerli a fine monta quando sentii il bastardo implorare.
“Lo posso fare? Ti prego”. Chiedeva lui leccandole il collo. “MMMMMH! Ti prego l’idea mi sta facendo impazzire.
La sua insistenza mi incuriosì. Che voleva quel verme da mia madre? Non gli bastava quello che le stava facendo.
“No dai non è il caso …”. Rispondeva lei. “Continua a fottermi così. Aaaaah … aaaah …”.
“Dai amore, ti prego. Sei tutta un lago. Ti si stanno bagnando pure le ginocchia. Lasciami sborrare nella fica dai … solo stavolta … MMMMH”
“Che merda!”. Mi dissi sconvolto.
“Ti prego … Ti prego”. Ripeteva fuori controllo.
Le sue cosce si serrarono intorno alle natiche come tronchi dentro alla terra e, con un colpo del bacino, il viscido spinse la nerchia ancora più in fondo alla passera.
Mia madre gemette come una prostituta, mentre lui premeva le labbra sulla sua schiena e le affondava i denti nella carne.
“Sto per metterti incinta vacca”. Le disse soffocando i gemiti. “Ti riempio di sborra la notte di Natale”.
Ero fuori di me.
Lanciai un urlo disumano e, attento a parare i colpi, mi lasciai rotolare giù per le scale.
“Ahia … aiuto”.
Mia madre si scrollò di dosso il toro che la stava possedendo.
“Leonardo!” Gridò, mentre, ancora discinta, si piegava sopra di me.
“Tranquilla mamma, tranquilla …”. La rassicurai con voce sofferente. “Non mi sono fatto niente, ho solo battuto la gamba …” Mentii.
“Ma … che è successo? Come hai fatto a scivolare?” Chiese lei preoccupata. “Aiutalo, Massimo, ti prego. Aiutalo!” Proseguì rivolgendosi al bastardo. “Non riesce ad alzarsi”.
Lui aveva ancora la camicia fuori dai calzoni.
Si avvicinò e mi prese in braccio.
La nerchia insoddisfatta premette dura contro le mie natiche.
“Aspetta … tienilo così, fammi vedere che si è fatto …” Disse mia madre mentre mi sfilava i pantaloni della tuta.
La minchia di Massimo svettò.
Fu allora che capii quello che dovevo fare.
“Ahia”. Dissi. “Mi fa male ... ho bisogno di un antinfiammatorio”.
“Certo tesoro, certo …”. Concordò lei in apprensione. “Non ne abbiamo in casa …”. Disse.
“Vado subito in farmacia”. E, infilatasi in furia il cappotto, si precipitò fuori di casa.

“Sei sicuro che è tutto a posto Leo?” Chiese Massimo mentre mi portava in cucina.
“Si non ti preoccupare … Una pasticca e starò meglio”. Risposi e, dondolando il sedere, mi strusciai contro il suo uccello.
La fronte del viscido si imperlò di sudore.
“Anzi ti devo chiedere scusa”. Sussurrai ripetendo il movimento.
“Perché?” Chiese lui in forte imbarazzo.
“Credo di aver interrotto qualcosa …”
“No, ma che dici stavamo solo …”.
Feci scivolare la mano dentro ai calzoni e strinsi le dita attorno alla mazza.
“Ehi …”. Massimo provò ad opporsi, ma il pesce gli si gonfiò dentro al mio palmo.
Balzai in terra, gli sbottonai la patta e mi infilai tutto il bastone nella gola.
"Ma la gamba ...?"
“La gamba sta bene. Dai”. Gli dissi per vincere la sua blanda resistenza. “Lo so che sei rimasto a bocca asciutta”.
Lo succhiai come un’idrovora mentre gli massaggiavo i polpacci muscolosi e facevo scorrere le dita tra i peli spessi, dietro alle cosce, fino ai grossi glutei contratti.
Il maiale si godette la succhiata senza emettere un gemito.
Mi stringeva la nuca tra le mani e accompagnava il movimento della testa lungo l’asta.
“Così vengo …”. Mi avvisò.
“No, aspetta”. Risposi. Ero intenzionato a distruggerlo. “Sbattimi vicino al lavandino”. Gli suggerii lascivo e mi disposi nella stessa posizione in cui s’era messa mia madre poco prima.
Spinsi il culo in fuori, mi abbassai le mutande e gli offrii lo spettacolo delle natiche spalancate.
“Avanti. Lo so che non hai finito”. Gli dissi, prendendogli la mano e appoggiandola sopra al mio sedere.
Lui deglutì rumorosamente.
“Voglio che mi scopi come scopavi la mamma”. Sussurrai.
Massimo si avvicinò, si sputò sulla mano e cominciò a massaggiarmi il buco.
Fece aderire il suo enorme corpo al mio e, baciandomi il collo, mi premette la nerchia sulla rosetta.
Sentii che esitava, spennellandomi i suoi umori tra le natiche.
“Se lo metti dentro puoi fare quello che lei non voleva farti fare”. Gli dissi per convincerlo.
“MMMMMH …”. Mugolò e, rosso in viso, finalmente si decise a spingermi la mazza dentro al canale.
“Hai la fica più bagnata di quella di tua madre”. Si complimentò. “Sei una gran puttana”.
“Lo so”. Risposi mentre la trave mi lacerava le mucose e i coglioni sbattevano rumorosamente contro le chiappe. “Ho imparato dalla migliore”. Aggiunsi. “Solo che con me le palle te le puoi svuotare”.
“Se fai così scoppio. Aspetta … aspetta”. Mi disse rallentando la pompa.
L’idea di tenermi quel viscido dentro al culo per altri dieci minuti mi faceva vomitare.
Decisi di fargli vedere la stella cometa prima di mezzanotte.
Strinsi fortissimo lo sfintere e regalai al cinghiale il miglior risucchio anale che avesse mai avuto in vita sua, dopo di che cominciai a sbattermi il suo cazzo come un indemoniato, spingendo le chiappe avanti e indietro sopra alla mazza.
“Cristo è fantastico”. Gemette. “Dove l’hai imparato? Mi stai facendo perdere la ragione. MMMMMH!”
Il verme cercò di recuperare il controllo della scopata, mi afferrò i fianchi e allargò le cosce, per piantarsi tutto il sedere sopra ai coglioni, ma, prima che potesse ricominciare a dettare il ritmo della monta, le palle gli si gonfiarono a dismisura e il suo ariete cedette.
“Cazzo … cazzo sei proprio una troia… AAAAAHHH … AAAAAAH ….”.
Sentii che l’uccello diventava durissimo per lo sforzo di trattenere il seme, dopo di che il porco si accasciò su di me e passandomi la lingua scomposta sopra alla schiena gemette con un filo di voce: “Ti sto sborrando in culo, cagna”.

“È fatta”. Pensai.
Senonchè il bastardo, senza staccarsi, mi fece scivolare una mano tra le gambe e la serrò sopra al mio membro.
“Vieni anche tu”. Mi disse.
Mi sentii percorre da una strana scarica elettrica.
Ero eccitato e disgustato allo stesso tempo.
Quel pervertito si era avvicinato a mia madre ma era chiaro che gli piaceva il cazzo.
“Ora ti rovino”. Pensai. E, togliendomelo dal culo, mi voltai verso di lui e gli piantai la mazza in gola.
“Aaaah …”. Gemeva la bagascia. E succhiava così forte che, ai lati della bocca, si erano formate delle fossette. “Che buono … che buono …”.
“Sei una cagna”. Mi lasciai scappare quando mi fece scivolare la lingua nella piega tra il glande ed il prepuzio.
Lo afferrai per i capelli, lo sbattei a novanta sul tavolo della cucina e affondai la faccia in mezzo alle grosse natiche pelose.
Mi trovai difronte un culo enorme.
Duro e muscoloso. Molto diverso da quello dei miei compagni di università.
Le chiappe erano straordinariamente strette e, al centro del solco, il buco palpitava dentro al cespuglio ispido.
Allontanai le due metà con le mani e cominciai a scorrere la lingua dentro al canale del porco, godendomi il sapore dei coglioni sudati.
La troia gemeva ogni volta che scavallavo lo sfintere e gli spingevo la punta dentro.
“Leccami la fica … siiii …. Che bravo che sei …”.
Non ce la feci più.
Gli affondai le unghia dentro ai fianchi, mi piantai dietro a quel sedere e appoggiai la nerchia viola in mezzo alle chiappe.
“Allargale”. Gli ordinai.
Lui si afferrò le mele e le aprì, offrendomi la vista della sua passera pelosa.
Così spalancato quel culo doppiava in larghezza il mio bacino.
Ci buttai il pesce e cominciai a scoparmelo con forza, guardando compiaciuto nella direzione della telecamera.
Rilasciavo degli affondi potentissimi ed urlavo in modo esagerato. “Prenditi tutta la banana, scrofa”.
Il porco doveva essere abituato alle reazioni scomposte suscitate dal suo didietro e capì che mi stava facendo perdere il senno.
Mollò la presa delle natiche, le richiuse sopra al bastone e lo aspirò con una potenza incredibile.
Accadde tutto in un attimo.
Mi ritrovai a gemere come un indemoniato.
Il cazzo mi si fece gonfissimo e, risucchiato da quella ventosa, esplose dentro al buco di Massimo, scaricando litri di sborra.
“Cristo!” Commentò lui. “Che bel Natale ...”.

La mamma rientrò dopo pochi minuti.
Mandai giù l’antinfiammatorio e, dato che eravamo tutti più rilassati, mi mostrai straordinariamente socievole, prendendo parte ai preparativi e godendomi le occhiate da troia che Massimo continuava a riservarmi.
Fu una serata piacevole.
Mangiammo bene e bevemmo del buon vino.
Alla mezzanotte mia madre si alzò dalla sedia, levò il calice in aria e, con sguardo commosso, mi disse: “Quest’anno mi hai fatto il più bel regalo di Natale cucciolo mio, ti amo moltissimo”.
“Anche io ti amo, mamma”. Le risposi con dolcezza. “Ma ho ancora una sorpresa per te”.
E, mentre rifiutavo la telefonata del papà augurandogli la morte, guardai il bastardo dall’altra parte del tavolo, premetti il tasto play del telecomando e avviai il lettore dvd.
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