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Gay & Bisex

Privilegi di classe - 2


di adad
04.09.2021    |    7.711    |    8 9.6
"” Don Elpidio rimase un pezzo assorto: per quanto il suo animo tumultuasse, dovette riconoscere che Tumminiello aveva ragione: mai e poi mai gli avrebbero..."
Per fortuna in quei boschi non passava mai nessuno: un eventuale viandante sarebbe rimasto prima incuriosito e poi scandalizzato, alla vista di un uomo che, ridendo convulsamente, abbracciava sul prato un ragazzo, che aveva una larga chiazza di bagnato sui calzoni, all’altezza dell’inguine.
Passato il primo momento di imbarazzo e di sbalordimento, Tumminiello si lasciò coinvolgere dalla strana reazione di don Elpidio, scoppiando a ridere pure lui e ricambiando l’abbraccio per come poteva. Furono attimi di pura follia, o forse di entusiasmo, come alla scoperta di qualcosa, che entrambi avevano desiderato, ma di cui ignoravano l’esistenza. Alla fine, si ritrovarono, ansimanti, a fissarsi negli occhi, scintillanti di gioia inespressa.
“Un bacio, Vossignoria… - sospirò Tumminiello, vincendo il tumulto che si sentiva dentro – un bacio, vi prego… è così bello!”
E don Elpidio lo baciò nuovamente e nuovamente le labbra si dischiusero e le lingue scivolarono l’una nella bocca dell’altro a sorbirne la dolcezza.
Ma adesso una nuova frenesia si era impadronita di Tumminiello, di toccare, di sentire sotto le mani il corpo di don Elpidio, quel corpo che aveva già visto e toccato tante volte, ma non così… non come ora.
Agevolato dal fatto di trovarsi sotto, il ragazzo prese a carezzargli dapprima la schiena, sentendo il guizzare dei muscoli sotto il lino sottile della camicia; poi, fattosi ardito, scese a sfiorarsi e quindi a palpargli a tutta mano le natiche sode, elettrizzato dalle sensazioni che stava vivendo e dai fremiti che sentiva nell’altro, i cui baci si facevano via via più focosi.
Finché, attirato dalla pressione che sentiva sulla coscia, Tumminiello insinuò una mano nella stretta dei corpi e toccò quello che non aveva mai toccato e come non lo aveva mai neanche visto. L’uccello duro di don Elpidio gli pulsò nella mano, quando lui lo strinse, mentre l’uomo si staccava da lui stralunato, con un gemito roco, stendendoglisi al fianco.
“Sì…” quasi rantolò, respirando affannosamente ad occhi.
Tumminiello, allora, si sollevò sul gomito, per un po’ strinse e carezzò la dura escrescenza, poi sbottonò la patta, fece scivolare la mano sotto le mutande e strinse la carne viva e nuda del suo padrone.
Sarebbe difficile provare a descrivere le sensazioni che entrambi provarono, l’uno stringendo in mano per la prima volta il cazzo di un uomo, sentendone il calore, la levigatezza della pelle, la morbidezza della guaina, che scorreva sopra un fusto d’acciaio… l’altro, sentendosi per la prima volta toccare e stringere dalla mano ruvida e impudica di un altro uomo. Sarebbe difficile e anche inutile: ognuno di noi, credo che possa attingere dai suoi ricordi, se è così fortunato da averne. Lasciata un momento l’asta, la mano di Tumminiello scivolò più in basso, verso la borsa dei coglioni e gli fece uno strano effetto sentire i grossi ovuli duri dentro quel sacchetto molle e peloso.
Don Elpidio non si contenne più:
“Tiralo fuori, Tumminie’… - sospirò – Tiralo fuori… fammi godere…”
Dopo aver armeggiato con i lacci delle mutande, finalmente Tumminiello riuscì a tirarlo fuori: quant’era grosso… La vista, l’odore e, soprattutto, il contatto di quel cazzo fremente, in cui tutto l’universo in quel momento si concentrava, lo turbarono profondamente e lo entusiasmarono. Impugnandolo saldamente poco sotto la cappella, cominciò a far scorrere su e giù la guaina con esasperante lentezza, strappando ad ogni movimento gemiti di piacere all’estasiato don Elpidio.
“Così… - lo guidava l’uomo – così… mi fai morire…”, e muoveva la testa, piano, ad occhi chiusi, assaporando ogni goccia di quel nuovo, straordinario piacere.
Don Elpidio era poco uso alla masturbazione, ritenendola una cosa da ragazzini, possiamo immaginare allora l’effetto che gli faceva adesso sentirselo manipolare da una solida mano maschile, carico com’era di eccitazione e venendo, per di più, da un periodo abbastanza lungo di astinenza: gli umori maschili non ci misero molto a maturare e cominciarono dapprima a sgorgare in copiose colate che andavano a infradiciare la mano e le dita di Tumminiello; poi si accumularono nei grossi coglioni, finché la pressione divenne eccessiva e con uno scatto che gli si ripercosse in tutto il corpo, l’uomo si lasciò andare con un lamento ferino, mentre un getto corposo di liquido biancastro, seguito immediatamente da un altro e da un altro, schizzava fuori dal taglietto e andava a spiaccicarglisi sul petto, inzuppandogli la camicia.
Tumminiello fissava estasiato lo spettacolo, continuando il lento saliscendi lungo la mazza, che andava via via perdendo il proprio turgore, finché don Elpidio gli afferrò il polso e lo bloccò.
“Basta adesso.”, gli disse, sorridendogli con aria ancora stravolta.
E Tumminiello si fermò, ma senza mollare quel cazzo superbo, che gli si andava afflosciando nella mano.
“Perdonate, Vossignoria, - disse, allora – vi ho sporcato tutto.”
“E che c’entri tu? – ansimò don Elpidio, carezzandogli la guancia col dorso delle dita – Ma non fa niente, adesso ci laviamo… Vieni qui.”, e tiratoselo addosso, lo abbracciò stretto, mentre pian piano andavano placandosi i battiti furibondi del suo cuore.
Stettero così un pezzo; poi Tumminiello si riscosse:
“Datemi la camicia, Vossignoria, - disse – vado a lavarvela.”
Don Elpidio si tirò a sedere e si tolse la camicia e gliela diede. Allora Tumminiello si diresse verso il torrente, quasi stordito dal forte odore di sperma e sudore che emanava. Si accosciò vicino alla riva e con quattro strofinate gliela lavò. La distese poi su un cespuglio ad asciugarsi al sole e, quando si voltò, vide don Elpidio che si era spogliato nudo e veniva verso di lui.
Rimase incantato alla vista di quel magnifico personale, la spalle larghe, la vita stretta, le cosce possenti e il pendaglio che dondolava carnoso ad ogni passo.
“Spogliati, Tumminie’, - gli disse l’uomo – così ci laviamo pure noi.”
Ma l’idea di denudarsi davanti al suo padrone lo terrorizzò: si vide brutto, inadeguato, di fronte a quella maestosa bellezza.
“Vos… signoria…”, balbettò, indietreggiando.
“Che c’è, Tumminie’?”
“Vossignoria…”
“Ti vergogni di spogliarti davanti a me? E va bene, chiudo gli occhi, non ti guardo…”, e si girò effettivamente dandogli le spalle.
Tumminiello sul momento non si mosse; poi, quando vide che l’altro continuava ad aspettare, abbassò la testa e in fretta si tolse tutto. Quando rialzò gli occhi, vide che don Elpidio lo stava guardando. Arrossì e si coprì davanti con le mani.
L’altro lo rimirò a lungo.
“Togli quelle mani, Tumminie’.”, gli disse poi con ammirazione.
E visto che l’altro non si muoveva, don Elpidio gli si avvicinò, gli prese delicatamente le mani e gliele scostò dall’inguine.
“Non hai niente da nascondere. - disse con tono serio, dopo aver valutato quanto prima vi era nascosto sotto – Sei… ma che te lo dico a fare, tanto non mi crederesti. Vieni.”, e presolo per mano, entrarono nel torrente, attenti a non scivolare sulle pietre viscide.
Raggiunsero il centro, dove l’acqua arrivava ai polpacci. Lì si accosciarono l’uno di fronte all’altro e don Elpidio cominciò a lavare i genitali di Tumminiello. Il ragazzo diede un sobbalzo e non solo per il freddo dell’acqua, ma soprattutto per il gesto di don Elpidio: gli apparve inaudito che il padrone si abbassasse… Ma quello sollevò la testa e, fissandolo con un sorriso:
“Su, - gli disse – cosa aspetti?”, e allargò le cosce, in chiaro segno di invito.
Tumminiello, allora, raccolse dell’acqua con le mani a coppa e cominciò a lavare l’uccello viscido di sborra di don Elpidio, che:
“Ah! – fece con un sobbalzo – E’ fredda!” e scoppiarono a ridere tutti e due, mentre continuavano i delicati lavacri l’uno sulle parti sconvenienti dell’altro.
Ma mentre Tumminiello si limitava al cazzo e ai coglioni, le mani ben più impudiche di don Elpidio si spinsero oltre, e mentre una gli sciacquettava l’uccello, che per il freddo si era ritirato ai minimi storici, l’altra si spingeva più indietro, risaliva il perineo, arrivando a sfiorare con la punta delle dita il tenero buchetto. Quando si sentì toccare proprio lì, Tumminiello diventò tutto rosso e si irrigidì, ma l’altro gli sorrise con aria rassicurante e continuò a massaggiargli delicatamente lo sfintere con le dita gelate, mentre il suo cazzo iniziava a riprendere consistenza, a dispetto dell’acqua fredda, specialmente allorché Tumminiello glielo riprese in mano, scappellandolo, per lavarlo anche dentro. Il che la dice lunga. Ormai, il lavacro si era trasformato in gioco, un gioco che li accendeva ogni momento di più.
Quando si rialzarono, per uscire dall’acqua, ce l’avevano entrambi duro e fremente. Tornarono a stendersi al sole per asciugarsi, ma ben presto don Elpidio si curvò su Tumminiello e dopo un lungo bacio appassionato, prese a carezzargli il petto con lenta dolcezza, contornando con la punta delle dita i pettorali appena accennati, sfregando i capezzoli, che si inturgidirono all’istante come noccioli di ciliegia, sfiorando l’addome levigato, fino ai limiti del cespuglio, dove sostò con la mano, mentre si chinava a leccargli i capezzoli, mordicchiandoli poi teneramente e tornando a leccarli. Era un’esplorazione nuova per lui, quella di una corpo maschile, nuova ma terribilmente affascinante… affascinante e terribilmente eccitante. Ma anche per Tumminiello era una scoperta nuova, la scoperta di piaceri mai provati… la scoperta di essere lui stesso oggetto di un così ardente desiderio.
Don Elpidio indugiò a lungo a baciare e leccare il petto del ragazzo, mentre le sue dita si inoltravano nel folto dei peli cespugliosi, fino a sfiorare la base del cazzo. allora lo impugnò, assaporandone i fremiti, che si sentiva scorrere sotto le dita.
Con le labbra del padrone che gli succhiavano i capezzoli, mordicchiandoli fino a farlo spasimare, e l’uccello stretto nel suo pugno, Tumminiello ansimava in preda ad un estasi che non era il puro piacere fisico, era qualcosa in più, qualcosa che lo estraniava dalla realtà circostante.
Poi anche questo non gli bastò più, sentì che gli mancava qualcosa per completare quello stato di grazia. Allora, pian piano riuscì a ribaltare don Elpidio e stavolta fu lui a carezzare il petto ben più solido dell’amante, a svegliare il piacere nei grossi capezzoli, non solo leccandoli con ingordigia, ma poppandoli con foga, quasi volesse suggerne il latte di una nuova vita. E intanto impugnava il suo cazzo, assorbendone quasi nuova energia. Fu la volta di don Elpidio di abbandonarsi a quel piacere inaspettato, totalizzante…straziante.
Ma l’urgenza di scaricare la tensione animalesca, che gli si era accumulata nel sangue, divenne insostenibile:
“Ti voglio, Tumminie’!”, disse con voce roca e lo ribaltò, andandogli sopra e infilandogli l’uccello tra le gambe, giusto sotto lo scroto.
Lo strinse a sé e, mentre tornava a baciarlo, prese a pompare fra le cosce strette del ragazzo, come se stesse scopando una donna. Del resto, era l’unica esperienza che finora conosceva. Il suo cazzo, viscido di umori scivolava senza intoppi nello spacco di Tumminiello, procurandogli un brivido, ogni volta che il glande strusciava sul buco del culo.
Durò poco, troppa era l’eccitazione che aveva maturato: bastò qualche minuto, perché con un lungo guaito e un affondo della lingua nella bocca di Tumminiello, don Elpidio desse fuoco alle polveri e con una raffica di getti gli farcisse l’infrachiappo di sugo denso e colloso. Ma Tumminiello non fu da meno: con il cazzo fregato tra gli addomi e le palle martellate dal va e vieni di don Elpidio, fu travolto da un tale delirio erotico, che prese ad artigliargli, sguaiolando, la schiena e le chiappe con foga selvaggia, sborrando poi nel medesimo istante e imbrattando entrambe le pance di sperma appiccicoso. Ma quello messo peggio era senz’altro lui, sbrodato com’era davanti e di dietro. E infatti, quando si separarono, don Elpidio lo guardò e scoppiò a ridere:
“Gesù, come sei ridotto, Tumminiello mio!”
Rimasero un po’ distesi fianco a fianco, tenendosi per mano, ansimando e girando ogni tanto il volto a guardarsi con una luce nuova negli occhi di entrambi. Poi tornarono a lavarsi e si ridistesero al sole; era pomeriggio inoltrato, quando si rivestirono e ripresero la via di casa, cavalcando fianco a fianco.
“Stasera, ti trasferirai nelle mie stanze. – disse ad un tratto don Elpidio – Non voglio più separarmi da te. Vivremo come marito e moglie.”
Tumminiello abbassò la testa a quelle parole.
“Non lo fate, Vossignoria, - disse con voce grave – non lo fate.”
“Perché? Non mi vuoi bene, allora…”
Tumminiello fermò il cavallo e si volse verso di lui.
“Vossignoria, - disse e aveva una luce indefinibile negli occhi – se esiste il paradiso pure per la povera gente, io ci sono stato stamattina, ogni volta che…”
“Ogni volta che?…”
“Ogni volta che m’avete dato un bacio, Vossignoria… ogni volta che m’avete sfiorato con le vostre belle mani. Ma non fatevi accorgere dagli altri, se mi volete bene, non fatelo capire a nessuno. Trattatemi come sempre, anzi ogni tanto sgridatemi e datemi un calcio in culo… per finta e io lo saprò. Non fate capire a nessuno che… che mi volete bene. Già parlano male di voi adesso, se poi sapessero…”
“Tumminie’, io sono il padrone, se qualcuno s’azzarda, faccio uno sfracello!”
“Potete fare quello che volete, Vossignoria, ma non potete entrare nelle loro teste e farle ragionare a modo vostro. Davanti vi diranno di sì e poi dietro rideranno e vi faranno le linguacce. Io li conosco, Vossignoria, io ci sono cresciuto… ci vivo in mezzo. Voi siete ricco, siete Vossignoria, potete comprarvi mezzo mondo, se volete, ma davanti all’invidia e alla maldicenza della gente siete come gli altri… e forse pure peggio. Non avete privilegi per questo. Lasciate le cose come stanno, datemi retta.”
Don Elpidio rimase un pezzo assorto: per quanto il suo animo tumultuasse, dovette riconoscere che Tumminiello aveva ragione: mai e poi mai gli avrebbero permesso di amarlo.
“Hai ragione, Tumminie’, - disse alla fine – oltre che bello, sei pure saggio. Mai mi sarei sognato una fortuna come questa. Ma se possono impedirmi di viverti alla luce del sole, non possono impedirmi di volerti bene ora e per sempre.”, e con queste parole, scese da cavallo e gli tese la mano.
E quando anche Tumminiello fu smontato, don Elpidio lo prese per le braccia e, fissandolo negli occhi:
“Tumminie’, - disse con voce commossa – io giuro davanti a Dio che tu sei la vita mia.”
“E voi siete la luce del cuore mio…”, rispose l’altro con un groppo alla gola.
“Per sempre, Tumminie’!”
“Per sempre, Vossignoria!”
Poi si abbracciarono a suggellare il voto.
Risaliti a cavallo, proseguirono fianco a fianco; ma non appena il bosco cominciò a diradarsi, Tumminiello rallentò l’andatura e si pose due passi indietro al padrone, come la prudenza consigliava e le regole sociali prescrivevano.

FINE
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