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Lupo Rosso - 2


di adad
28.09.2019    |    8.154    |    11 9.4
"Facendosi largo a spintoni, Ethwood riuscì ad arrivare tra le prime file e stette lì a spiare tra un corpo e l’altro se vedesse Dagmar da qualche parte: aveva..."
Ethwood pianse quella notte tutte le sue lacrime. Non era solo il dolore dello stupro, che ancora provava, ad angustiarlo, ma anche la terribile certezza che questa era ormai la sua vita. Ma perché non era morto nella strage dell’abazia? Perché il Signore aveva permesso che si salvasse? per condannarlo a questa vita di infamia e di vergogna? a questa vita di peccato? per essere oggetto della lussuria di questo mostro? sera dopo sera dopo sera… Perché non era morto assieme agli altri?
L’alba lo colse sveglio e dolorante. Dagmar dormiva ancora, quando lui si alzò e uscì dalla tenda. Andò alla latrina e poi si diresse verso il mare. Si immerse fino alle ginocchia, si rimboccò in vita la tunica e stavolta non ebbe ritegno a lavarsi anche quelle parti che gli avevano insegnato essere impure.
Perché non continuo a camminare finché l’acqua non mi sommerge? si chiese, e fece effettivamente alcuni passi avanti. Ma l’istinto di vivere è più forte di qualsiasi desolazione dell’anima, per fortuna, e il giovane, giunto con l’acqua a mezza coscia, si fermò con le lacrime agli occhi e si volse a guardare la riva, dove gli uomini cominciavano muoversi, riattizzando i fuochi e tagliando pezzi di carne dalle carcasse ancora appese dei maiali per preparare la colazione a sé e ad altri.
Vide che qualcuno lo stava fissando, ma non distinse chi. Allora, abbassò la testa con rassegnazione e si volse per tornare indietro. Con la morte, anche la speranza si estingue… ma in cosa poteva sperare lui?
Si rese conto, allora, che se quello era il suo destino, tanto valeva renderlo meno amaro: decise così di accettare quello che la vita gli aveva riservato, anche le attenzioni di Dagmar, senza più ribellarsi, onde non dargli motivo di fargli del male. E così, quella sera, quando il norreno rientrò nella tenda, dopo il festino, e gli ordinò di raggiungerlo, Ethwood si affrettò ubbidiente, si tolse la tunica e si distese nudo al suo fianco, sopportandone le carezze lascive, fino al supremo sacrificio di se stesso.
Col passare dei giorni, Ethwood si rese conto che qualcosa stava cambiando: Dagmar si era fatto più… attento, più premuroso nei suoi confronti; certi giorni lo portava con sé a caccia nella vicina foresta, insegnandogli addirittura a tirare con l’arco. Ma era lui stesso, Ethwood, che si sentiva cambiato: quando giaceva con Dagmar non era più insofferente, non accettava più semplicemente con rassegnazione le sue carezze; anzi, in certi momenti, si vergognava ad ammetterlo, ma ne provava perfino un certo piacere. Una delle ultime sere, si era sentito fremere tutto, quando Dagmar aveva sfiorato il suo pene flaccido, come una sferzata di energia che glielo stesse rivitalizzando.
Anche l’atto finale non era più così doloroso e non gli sembrava, poi,così abominevole: certo, era pur sempre un atto innaturale, un atto bestiale, come gli avevano insegnato, ma trovava in un certo qual modo confortante sentirsi stretto fra le braccia di quell’uomo vigoroso, sentirlo muoversi, agitarsi, raggiungere il piacere dentro di lui.
***
Nel frattempo i norreni avevano spostato l’accampamento sulle rive di un fiume più sud, in modo da poter fare incursioni nei territori interni della Northumbria. Così, una mattina Dagmar Rotwulf e una cinquantina dei suoi guerrieri spinsero incontro alla corrente la prora di alcune loro navi e partirono. Gli altri guerrieri rimasero a guardia del campo e delle altre navi rimaste alla fonda, nonché del bottino in schiavi, bestiame e preziosi, frutto delle precedenti rapine.
Anche Ethwood rimase al campo e la cosa gli fu di non poco sollievo: per qualche notte non avrebbe dovuto sottostare alle indegne attenzioni del norreno. Il ragazzo passò il giorno a ripulire e a sistemare con cura la tenda, gironzolò per il campo, fece il bagno nel fiume, sempre sotto l’attenta sorveglianza di Snorri, l’amico a cui Dagmar lo aveva affidato. Scesa infine la notte, dopo aver ricevuto un’abbondante porzione del maiale arrostito su uno dei fuochi, Ethwood si ritirò nella tenda.
Sollevato dal fatto di trovarsi da solo, senza l’assillo di dover soddisfare le voglie del suo padrone, il ragazzo si sdraiò sul giaciglio di pelli, pregustando il piacere di una lunga notte di sonno.
Ma, ahimé, il sonno tardava ad arrivare, i suoi occhi rimanevano aperti, la sua mente vigile. Una strana inquietudine cominciò a serpeggiargli nelle membra. Il pensiero gli corse a Dagmar: senz’altro a quell’ora era seduto attorno ad un fuoco a mangiare, bere e schiamazzare con i suoi uomini… come stavano facendo quelli rimasti al campo. Avrebbe pensato a lui più tardi, si chiese, lo avrebbe desiderato? E all’improvviso si sentì invadere da un grande senso di malinconia: sentì la mancanza della sua presenza accanto a lui, sentì la mancanza del suo respiro profondo mentre dormiva, dopo l’amore; sentì la mancanza di quelle forti braccia che lo stringevano, del calore del suo corpo, il solletico dei peli del suo petto sulla schiena…
All’improvviso ebbe freddo, si avvolse in una pelle d’orso, ma non ci fu sollievo: il gelo era dentro il suo cuore. E si sentì solo, Ethwood, terribilmente solo e infelice.
I due giorni successivi e le successive due notti furono forse i momenti più lunghi e tristi della sua vita.
Alla mancanza di Dagmar si era aggiunta la preoccupazione che potesse essergli successo qualcosa. Da un lato cercava di convincersi che nulla poteva succedere ad un guerriero come lui, dall’altro era consapevole che in guerra si vive e si muore: basta un attimo di distrazione, una scivolata nel fango, perché la spada del nemico ti raggiunga e ti tolga la vita.
La trepidazione era al colmo, quando, sul finire del terzo giorno, Ethwood sentì un lungo suono di corno, a cui seguirono le urla entusiastiche dei guerrieri sparsi per il campo. Il ragazzo saltò su col cuore in gola e corse fuori dalla tenda.
Snorri gli gridò qualcosa, correndo verso il fiume. Tornano, si disse Ethwood e lo seguì sulla riva, dove già si erano radunati tutti gli altri. Questi esultavano e quelli sulle navi rispondevano con pari clamore.
Facendosi largo a spintoni, Ethwood riuscì ad arrivare tra le prime file e stette lì a spiare tra un corpo e l’altro se vedesse Dagmar da qualche parte: aveva bisogno di sapere che c’era, che nulla di male gli era successo. Ma nessuna testa fulva compariva alla vista. Con la morte nel cuore, Ethwood cercò fra i guerrieri che saltavano in acqua e afferravano le cime delle navi per assicurarle agli alberi sulla riva. Dagmar non si vedeva da nessuna parte. Fece per ritirarsi e dare sfogo in solitudine alle lacrime, che si sentiva premere sugli occhi, quando ci fu un grido ancora più forte e dalla svolta del fiume Ethwood vide sbucare un’altra nave… e sulla prua con le braccia sollevate in segno di esultanza, una figura lontana ma inconfondibile dalla fulva capigliatura.
Ethwood si sentì quasi mancare per il sollievo: Dagmar era vivo e stava tornando.
Avrebbe voluto restare lì, partecipare all’esultanza generale, ma lo prese una sorta di ritegno: che c’entrava lui? non faceva parte della sua gente. Allora si tirò indietro e tornò nella tenda ad aspettarlo.
Dagmar intanto scrutava coi suoi occhi di lince tra la folla ancora indistinta per scoprire se Ethwood era lì ad aspettarlo e per un istante gli parve di scorgerlo e il cuore ebbe un balzo di pura felicità. Ma quando, sceso a terra, lo cercò, non lo vide da nessuna parte. Forte fu la delusione e avrebbe voluto correre alla tenda, i suoi compagni però lo accerchiarono e lo trascinarono festosi verso l’accampamento.
Era già notte fonda, quando riuscì a liberarsi dai festeggiamenti e raggiunse la tenda. Ethwood scattò in piedi, appena lo vide entrare… avrebbe voluto corrergli incontro, abbracciarlo…
“Dagmar…”, mormorò, mentre il guerriero attraversava in pochi passi lo spazio della tenda e lo stringeva a sé con foga.
“Speravo di trovarti sul fiume, ad aspettarmi.”, disse.
“Ho preferito restare qui, mio signore… - rispose Ethwood – quando saresti venuto a riposarti.”, e si inginocchiò, per slacciargli i calzari.
Dagmar lo lasciò fare, poi, sdraiatosi sul giaciglio di pelli:
“Spogliati”, gli disse.
Il ragazzo non esitò: si sfilò la tunica e si tolse la fascia del pudore. Tremava, ma più per l’emozione di essere nudo davanti al suo padrone, che per il freddo della notte. Dagmar lo fissò ammirato, quasi lo vedesse per la prima volta.
“Vieni…” disse poi con voce roca, e Ethwood andò a sdraiarsi accanto a lui. Immediatamente, il calore e l’odore ferino dell’amante gli diedero un senso di gratificazione e di sicurezza. Per la prima volta, allargò le braccia e gliele cinse attorno al petto. Incredulo per quanto stava avvenendo, Dagmar ricambiò l’abbraccio e d’impulso ne cercò le labbra. E le labbra di Ethwood lo accolsero,si schiusero, lo lasciarono entrare… Nemmeno lo disgustò il primo contatto con la lingua di un altro, come spesso succede: sembrava che non aspettasse altro da tutta la vita. Fu un bacio lungo, avido, liberatorio, un bacio di cui entrambi avevano bisogno.
Ma intanto l’eccitazione cresceva nel sangue del guerriero, il suo cazzo turgido scalpitava nel chiuso delle braghe di pelle. Ethwood, se ne accorse.
“Aspetta”, gli disse e, sciolti i lacci, lo aiutò a sfilarsele.
Dagmar rimase nudo, con l’uccello spudoratamente dritto e bagnato di umori.
Stavolta, Ethwood non distolse lo sguardo, anzi se ne sentì stranamente ammaliato… come si sentì ammaliato dalle grosse borse pelose che ci pendevano sotto, fra le cosce larghe di Dagmar. Ma fu l’odore a sedurlo, un odore pungente di alghe e di salsedine: lo inspirò profondamente e guardò Dagmar negli occhi con un sorriso incerto sulle labbra.
“Toccalo, prendilo in mano…”, gli suggerì dolcemente l’uomo.
E lui lo prese in mano, turgido e appiccicoso, e rispondendo ad un istinto primordiale, cominciò lentamente a muovere la mano su e giù. Dagmar rispose con un lamento di puro piacere, rovesciandosi sul giaciglio.
“Continua, piccolo, continua…”
E lui continuò, meravigliandosi dei lamenti e degli spasimi che la sua azione gli provocava; continuò, mentre gli umori colavano ancora più copiosi e gli bagnavano la mano. D’un tratto, si accorse che Dagmar lo stava toccando in quei posti e sentì un brivido percorrergli il basso ventre, mentre il suo pene prendeva vita e cominciava a pretendere la sua giusta porzione di piacere. Che Dagmar non gli fece mancare: intanto che si torceva e spasimava in preda alla frenesia preorgasmica, infatti, aveva impugnato a tutta mano l’uccello turgido del giovane e lo stava segando vigorosamente. Ethwood si sentì dentro tutto un rimescolio, sentì come un coltello affilato trapassargli il basso ventre e con un urlo si lasciò andare all’orgasmo, il primo orgasmo della sua vita, inondandosi il petto e la pancia di liquido colloso. Ma non per questo mollò la presa sul cazzo di Dagmar, che anzi, pur tremante e boccheggiante, continuò a segare con foga, finché se lo sentì come esplodere nella mano, mentre una sventagliata di sperma fiottava in aria, ricadendo addosso a tutti e due, subito seguita da una seconda e da una terza…
Stravolti, bagnati e ansimanti, i due si abbracciarono e Dagmar inondò di baci il volto di Ethwood, incurante di bagnarsi le labbra del suo stesso sperma.
Più tardi fecero ancora l’amore e poi lo rifecero una terza e una quarta volta…
“Ho avuto paura che tu non tornassi…”, mormorò Ethwood durante una pausa.
“Io tornerò sempre per te…”, rispose Dagmar abbracciandolo e baciandolo sugli occhi.
“Non voglio più aspettarti al campo… Non voglio più soffrire l’angoscia di non sapere cosa ti succede… Insegnami a combattere, Dagmar: voglio essere al tuo fianco… sempre…”
“Lo farò…”, promise l’uomo, tornando a rotolarsi con lui sulle pelli ormai fradicie del giaciglio.
Era quasi l’alba, quando, stanchi ma non saziati, uscirono dalla tenda, nudi, tenendosi per mano. Raggiunsero la riva del fiume e si tuffarono nelle acque, giocando e togliendosi di dosso la stanchezza e le lordure della notte appena trascorsa.
Chi li avesse visti, li avrebbe pensati due fulgenti divinità marine risalite dagli abissi profondi a godersi per un momento la pura bellezza del sole nascente.

FINE

[Nota, che forse avrei dovuto mettere all'inizio: l’abazia di Lindisfarne venne fondata da sant’Aidano verso la metà del VII sec. L’8 giugno del 793 venne razziata dai vichinghi e abbandonata per oltre due secoli. Questi sono gli unici elementi storici del racconto: tutto il resto è frutto della mia perversa fantasia].
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