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Gay & Bisex

MyFans - 3


di adad
27.04.2024    |    299    |    5 9.5
"Comunque, dopo aver visto le riprese, è stato lui a chiedermi di contattarti..."
La mia vita riprese il solito tran-tran. Mi mancava Fulvio, sarei sciocco a non ammetterlo, come mi mancavano le riprese; ci fantasticavo spesso, rammaricandomi di non aver mai neanche provato a infilare la mano nella patta tanto ben fornita di Renzo… almeno apparentemente.
Ma così va il mondo, mi dicevo, prendendomi in giro per quella promettente carriera artistica finita ancor prima di cominciare.
Erano passate diverse settimane, quando squillò il cellulare. Era un numero che non conoscevo. Stavo per ignorarlo, come faccio di solito con i numeri che non ho in rubrica, quando inavvertitamente sfiorai il bollino verde.
“Pronto?”, feci a mezza voce, preparandomi a rifiutare qualsivoglia offerta, commerciale, o non, lo sconosciuto stesse per farmi.
“Ciao, sei Tony?”, disse una voce che in qualche modo mi risultò nota.
“Chi lo cerca?”, feci prudentemente, per timore di incappare in una di quelle deprecabili truffe ai danni di anziani.
“Sono Renzo… l’operatore… ricordi?”
Altroché, se ricordavo!
“Certo, - risposi, mentre mi sentivo invadere da una vampata di libidine – come va?”
“Bene. Volevo chiederti una cosa…”, cominciò con una certa titubanza.
“Dimmi…”, lo incoraggiai, sperando che volesse chiedermi un appuntamento, per quanto la cosa mi sembrasse improbabile.
“Ecco… mi è capitato di sentire un gruppo di ragazzi… premetto che sono etero e si sono messi in testa di fare una gang bang con un gay … sai di cosa parlo?”
“Beh, sì, la gente a volte è strana. Allora?”
“E niente, stanno cercando un mulo…”
“Un mulo?”, chiesi.
“Sì, un passivo da mettere al centro…Mi hanno chiesto se conoscevo qualcuno e mi sei venuto in mente tu… Scusa se mi sono permesso…”
“Nessun problema. – lo rassicurai, sentendomi schizzare il cuore a mille – Detto così sembra un invito a nozze. Quanti sono?”
“Ho parlato con uno del gruppo, che conosco, uno a posto, e mi ha detto che sono in cinque. Me li ha nominati: sono ragazzi a posto - ripeté - coetanei, fra i trenta e i quaranta. Li conosco e li ho ripresi altre volte, con donne, ma stavolta hanno voglia di scatenarsi con un passivo che non faccia storie.”
“Ma non sono troppo vecchio per loro?”, obiettai.
“Non fanno questione di età: cercano solo un mulo con cui divertirsi, a loro interessa solo che sia abbastanza aperto, non so se mi spiego. Allora, ho pensato a te, gli ho fatto vedere alcune delle riprese che hai fatto con Fulvio… A proposito, ho saputo che avete smesso di frequentarvi… mi dispiace.”
“Ehi, non ci frequentavamo affatto: ci siamo solo trovati per quelle riprese. Non credo proprio che fosse interessato a me più di tanto…”
“Già… scusami. Comunque, dopo aver visto le riprese, è stato lui a chiedermi di contattarti. Pensi che ti possa interessare? “
Beh, non credo che alla mia età potessi permettermi di rifiutare un’offerta così allettante, vi pare?
“Perché no? Fammi sapere quando.”, risposi
Restammo d’accordo che mi avrebbe richiamato e così, la settimana successiva, verso le due del pomeriggio, suonavo alla porta del capannone. Ci salutammo con calore e devo dire che lo trovai ancora più affascinante.
“Partecipi anche tu?”, gli chiesi scherzosamente.
Scoppiò a ridere, aveva capito di piacermi e, consapevolmente o meno, continuava a toccarsi il pacco.
“Di’ un po’. – gli chiesi – ma tu non ti ecciti mai, durante le riprese?”
“Altroché!”, fece lui, con gli occhi che per un attimo gli brillarono-
“E non ti viene mai voglia di buttarti nella mischia?”
“Io sono l’operatore, faccio le riprese, - rispose lui, tornato serio – per voi non esisto, sono invisibile: è per questo che vi fidate di me.”
Altro che invisibile, pensai, allungandogli uno sguardo allusivo al basso addome.
“Gli altri sono già qui?”, chiesi tanto per cambiare discorso.
“Sono lì, ti aspettano.”, fece lui indicandomi la solita camera da letta, stavolta, però, chiusa da un pesante tendone.
“Bene”, dissi, avviandomi.
“Aspetta, - disse Renzo – devo bendarti: è una delle loro condizioni. Tu non devi vederli, non devi sapere chi sono.”
“Ah! - feci io, sentendomi un brivido insieme di paura e di eccitazione -Perché non me l’hai detto prima?”
“Non lo sapevo neanch’io. Vogliono che resti bendato fino alla fine. Mi dispiace. Puoi rinunciare, se non te la senti.”
Rimasi un momento indeciso: trovarmi bendato fra sconosciuti non era la prospettiva migliore. Andare via? E rinunciare…
“Ci sarai anche tu, vero?”, chiesi a Renzo.
“Certo, - rispose lui – devo riprendere. Senti, se fanno qualcosa che non ti va, basta che mi fai un cenno e io intervengo. Ok?”
“Ok. Che devo fare?”
“Adesso ti bendo e poi uno di loro ti viene a prendere.”
Mi bendò e mi lasciò lì da solo. Lo sentii entrare sul set e dire a qualcuno:
“E’ pronto.”
Poco dopo, qualcuno mi prese per un braccio e mi tirò, dicendomi:
“Vieni, troia, ché adesso ti facciamo la festa!”
Quelle parole, unite al calore e all’afrore del suo corpo evidentemente già nudo, mi rimescolarono tutto, e mi lasciai guidare, sia pure con un certo impaccio, dovuto al fatto che non ci vedevo.
Dopo pochi passi, ero sul set, annunciato da un:
“Ecco la troia!”, a cui seguì un lungo applauso.
“Che ci fa ancora vestito?”, disse qualcuno e immediatamente cento braccia mi afferrarono, strappandomi letteralmente i vestiti di dosso. E mi ritrovai nudo.
Mi palparono da tutte le parti, accompagnando ogni pastrugnata con i commenti più osceni; mi ficcarono le dita nel culo, nella bocca, nelle orecchie… mi strusciarono i loro cazzi sul corpo, sulla faccia… qualcuno cercò di infilarmelo in bocca e io non esitai a dischiudere le labbra…
Non so come, mi ritrovai in ginocchio con tutti loro attorno, che mi prendevano la testa, guidandomela verso il loro inguine: mi premevano le palle sulla bocca, mi sbattevano il cazzo sulla faccia: non facevo in tempo a dare due tiri al cazzo di uno, che subito un altro me lo strappava dalla bocca per infilarci il suo.
Il fatto di essere bendato amplificava le mie sensazioni e senza che me ne rendessi conto, continuavo a brancolare attorno, afferrando cazzi, strizzando palle, pastrugnando chiappe, quali glabre e quali pelose.
Non saprei dire chi fosse più infoiato, se loro che si stavano sfogando su di me senza alcun freno, o io che stavo realizzando il sogno della mia vita: essere al centro di gang bang, alle prese con maschi cazzuti e arrapati, che mi usavano nella maniera più lurida e perversa.
Udivo le loro sghignazzate, i loro commenti salaci ed osceni, ed era tutta benzina sul fuoco della mia libidine. Capii che si masturbavano, quando qualcuno
non resse e mi sborrò in faccia, altri raccolsero la sborra con le dita e me le spinsero fra le labbra per farsele leccare e succhiare.
Dopo un certo tempo, mi presero per le braccia, mi fecero alzare e mi gettarono sul letto a pancia in giù; sentii cento mani pastrugnarmi le natiche, impastarmi dappertutto, cento mani scivolarmi nello spacco del culo, cento dita cercarmi il buco e forzarlo… Trovavo tutto straordinariamente eccitante.
“Che aspettiamo a incularcela, sta troia?”, disse uno.
“Tiriamolo su”
Mi afferrarono per i fianchi e mi sollevarono il bacino; mettendomi a quattro zampe, e mentre due, uno per lato, mi tenevano aperte le chiappe, un terzo mi sputò nel buco già aperto, ci poggiò sopra la cappella e spinse dentro tutto d’un colpo. Per fortuna, io ero ampiamente sfondato e lui aveva il cazzo viscido di saliva, così entrò senza eccessivi problemi per il mio sfintere; ma ciò non toglie che ebbi un sobbalzo e urlai a tutta gola… sia pure più che altro per scena.
“Fatelo stare zitto”, anfanò quello che mi stava già cavalcando con tutto il suo vigore.
Al che, qualcuno mi venne davanti e me lo infilò in bocca, prendendo a fottermi pure lui. Gli altri, intorno, si masturbavano e mi smanacciavano dappertutto, allungando le mani a strizzarmi i capezzoli o a torcermi le palle. Era tutto un gemere e sospirare, il manzo grugniva mentre mi spingeva il cazzo nel fondo del culo, l’altro mugolava, sentendoselo avvolgere dalla mia lingua…
“Guardala come gode…”
“Vedrai come la faremo godere noi…”
“La manderemo a casa rimpinzata di sborra davanti e di dietro…”
“Cagherà sborra per tutta la settimana…!”
“Oh… intanto sta per beccarsi la mia… eccola che arriva…”
“Sborragli in culo!”
Perso com’ero nel mio delirio, sentii vagamento il manzo che mi afferrava per i fianchi e zangolava più velocemente col suo pistone, finché dette un ultimo formidabile colpo e premette forte, scaricandomi nelle budella tutto il suo pieno di sborra.
“Togliti, voglio scoparlo nella tua sborra!”
Subito il manzo si tirò fuori e venni tappato da un cazzo ancora più grosso, che impedì al seme precedente di scolare fuori. Nello stesso momento, anche quello che mi stava scopando la bocca, lo tirò fuori di colpo e avvertii che stava concludendo a mano.
“Spalanca quella fogna di bocca!”, ordinò.
E io spalancai le mascelle indolenzite, giusto in tempo perché un fiotto denso mi si spalmasse sulla lingua protesa in fuori. Aspettai che finisse, mentre gli altri sghignazzavano eccitati, poi ritrassi la lingua e ingoiai. Continuarono a scoparmi davanti e dietro, mentre quelli in attesa si smanettavano per tenersi il cazzo duro. Ma qualcuno non ce la fece:
“Cazzo, sborro!”, gemette.
“Sborrami sul buco del culo, così me lo faccio ripulire dal frocio!”
E poco dopo sentii infatti un buco untuoso strusciarmi sulle labbra.
“Lecca troia!”
E io leccai a piena lingua, infilandogli ogni tanto la lingua nel pertugio grinzoso.
“Uhiuiiii! Mi ci ha ficcato pure la lingua nel buco del culo! - squittì il fortunato. – Questo frocio è un vero maiale!”
Quello fu solo l’inizio, altri mi spiaccicarono sulla bocca i loro culi sborrati, facendoseli ripulire dalla mia lingua instancabile. Mi fotterono ancora a lungo, farcendomi di sborra le budella e la gola. Ero pieno, come se mi avessero scopato in cinquanta. Mi chiedo ancora dove lo prendessero tutto quello sperma, è umanamente impossibile che le loro palle ne producessero così tanto e in così breve tempo… A meno che non ne fossero arrivati altri nel frattempo.
Poi, tutto d’un tratto, mi si fece il silenzio intorno e mi sentii solo, stanco e infreddolito.
“Togliti pure la benda, se ne sono andati.”, mi sentii dire dalla voce familiare di Renzo.
Boccheggiando, mi afflosciai sul letto bagnato e graveolente di sperma, sudore e chissà cos’altro; mi tolsi la benda e mi guardai attorno: ero solo, cioè con Renzo che mi osservava con uno sguardo ironico, mentre metteva a posto le sue cose.
“Devo farti i complimenti, - disse – non credevo che ce l’avresti fatta. Li ho già ripresi in altre occasioni, quei tipi, ma non li ho mai visti così scatenati.”
Cercai di fare una battuta:
“La classe non mente. Ho una lunga esperienza alle spalle.”
“Non ne dubito!”, ghignò lui.
Mi tirai su a sedere e sentii i grumi di sborra cominciare a colarmi fuori dal buco ancora ancora frollo.
“Se vuoi darti una ripulita, c’è il bagno di là.”, disse ancora Renzo.
Lo sapevo e ne approfittai per liberarmi gli intestini e farmi una doccia.
Poi, tornai di là e mi rivestii.
“Devi firmare la liberatoria.”, mi disse Renzo, porgendomi il solito modulo.
“Dove posso vedere il video?”
“Non so chi di loro lo metterà in rete, - mi rispose – e in ogni caso non sarei autorizzato a dirtelo: avresti dovuto chiederglielo tu.”
Feci spallucce: in fondo non me ne fregava niente e neanche dell’eventuale compenso: la mia parte di divertimento l’avevo avuta.
Tornai a casa e ripiombai nella mia triste routine quotidiana, aggrappandomi alla speranza di una telefonata con una nuova proposta di lavoro. Ma passarono diverse settimane, senza che Renzo non si facesse vivo. Amen. Sic transit gloria mundi: dovetti ammettere che la mia carriera artistica era arrivata al capolinea.
Un giorno, saranno state le tre del pomeriggio e io dormicchiavo in poltrona con un libro fra le mani, mi giunse il suono del campanello.
Scuotendo la testa per liberarmi dai fumi del sonno, andai ad aprire, senza neanche guardare dallo spioncino, e rimasi a bocca aperta: era Fulvio!
“Vieni, dai!”, mi disse, entrando e dirigendosi difilato in soggiorno.
Quando lo raggiunsi, si era già calato pantaloni e mutande a mezza coscia, si era sdraiato sulla mia poltrona e, rovesciatosi le gambe sul petto:
“Per favore…”, mi implorò con una nota d’urgenza nella voce.
Che dovevo fare? Come potevo rimanere insensibile al suo grido di aiuto. Non ho l’animo così crudele o vendicativo. Mi avvicinai, col cuore che mi pulsava per l’emozione, mi inginocchiai davanti alla poltrona, poggiai le labbra sull’orifizio palpitante e gli sparai dentro la lingua, pascendomi senza ritegno della sua calda intimità.


FINE
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