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Biancaneve ai Sette Nani - 3


di adad
02.11.2020    |    5.311    |    4 9.0
"Il che rendeva il suo letto un vero porto di mare, in cui i sette gagliardi fratelli si avvicendavano allupati tutte le notti..."
3 – Il lieto fine

Giacomone, così si chiamava il saltimbanco, impiegò diversi giorni a raggiungere il castello, non tanto perché aveva un callo sotto il piede, che gli faceva vedere le stelle ad ogni passo, quanto perché se la prese comoda lui: la scoperta che aveva fatto poteva essere preziosa, ma poteva anche rivelarsi una bolla di sapone, e allora che bisogno c’era di affrettarsi, tanto più se hai un callo sotto il piede che ti fa vedere le stelle?
Anni prima era andato da una fattucchiera, che gli aveva dato un unguento a suo dire miracoloso, Giacomone se l’era applicato per una settimana, poi aveva dovuto sospendere perché gli si era ustionata tutta la pelle, ma il callo era rimasto lì.
Ad ogni modo, pur zoppicando vistosamente, il saltimbanco arrivò al castello e chiese di poter parlare con il principe Valfrido. Le guardie volevano arrestarlo e gettarlo nelle segrete, ma per fortuna in quel momento il principe si trovava ad uscire per andare a far visita al figlio giovincello della cuoca; perché, questo bisogna dire e sottolineare: che il lupo in realtà non perde mai né il pelo, né il vizio.
“Vostra Altezza!”, lo chiamò Giacomone, agitando la mano.
“Cosa vuole adesso questo cacacazzi!”, sospirò Valfrido, che finse di non averlo sentito e fece per allontanarsi.
“Vostra Altezza!”, lo chiamò di nuovo Giacomone.
Al che, il principe non poté ignorarlo e gli si volse seccato:
“Cosa vuoi?”
“Una parola, vostra Altezza.”
“Un’altra volta, un’altra volta.”, fece quello, congedandolo con la mano.
In effetti, in quel momento aveva ben altre urgenze nelle mutande da soddisfare, come si è detto.
“Come volete, - fece Giacomone – ma non pigliatevela con me, se poi…”
“E va bene, - disse allora Valfrido, voltandosi e andando verso di lui – sentiamo cos’hai da dirmi. Ma bada che sia importante.”
“In confidenza, vostra Altezza.”
Allora, Valfrido si diresse verso un angolo in disparte e Giacomone gli andò dietro.
“Che c’è, cos’hai da dirmi?”
“Vostra Altezza, - cominciò Giacomone, per nulla intimidito dal tono duro del principe – vostra Altezza, voi avete studiato… sapete leggere…”
“E so anche scrivere! Cosa vuoi?”
“Io invece sono un povero ignorante, vostra Altezza, perdonatemi allora se ve lo chiedo: ma da quand’è che le donne hanno imparato a pisciare all’impiedi?”
“Ma che minchia stai dicendo?”, sbottò il principe che, avendo un maestro d’armi siciliano, aveva imparato da lui certe espressioni.
“Perdonate, Altezza, ma io ho sempre saputo che le donne si acculano a terra per pisciare. E tutte quelle che ho visto, fanno così.”
“E vorrei vedere!”
“E allora, perdonatemi, vostra Altezza, a voi cosa verrebbe da pensare se ne vedeste una che piscia all’impiedi?”
“Ma nessuna donna piscia all’impiedi.”
“Ma se vi fosse fatto di vederne una?”
“Beh, che non è una donna.”
“Che è giusto quello che ho pensato io, quando l’ho vista!”, disse con foga Giacomone.
“Senti, adesso o mi dici chiaramente di cosa diavolo stai parlando o ti faccio cacciare a calci nel sedere.”
“Perdonate, Altezza, ma mi serviva una vostra conferma, prima di…”, e gli raccontò per
filo e per segno quanto gli era capitato di vedere alla Locanda dei Sette Nani.
“Era lui?”, chiese alla fine il principe.
“In coscienza, non posso dirvelo, Altezza, non ho avuto modo di vederla bene.”
“Capisco. Tu. - chiamò Valfrido una delle guardie – Accompagnalo dall’economo, che gli paghi dieci scudi dal mio appannaggio. Quanto a te, - proseguì volgendosi di nuovo al saltimbanco – torna dalla tua compagnia e… fatti curare quel callo!”
A quella novità, dimentico del piacere che si era prefissato, il principe tornò nelle sue stanze e si vestì in abito da viaggio.
***
Biancaneve si era svegliata quella mattina tutta languida e rilassata: aveva giaciuto l’intera notte fra le braccia di Brufolo, il maggiore dei sette fratelli, un quarantenne fascinoso dal fisico asciutto, il pizzetto alla spagnola e le chiome lievemente inargentate. Era un grande amatore, che aveva saputo sedurre Biancaneve, coinvolgendola nei suoi giochi e innalzandola alle vette del piacere, come dicono i romanzieri.
Nudi, avvinghiati nel letto, tanto Brufolo aveva saputo accendere la sua passione, tanto aveva saputo infiammare la sua libidine, che alla fine lei stessa, sentendosi illanguidire l’ano sotto i suoi baci e le sue leccate:
“Ah, che aspetti? - gli disse, spasimando – fottimi… dammi il tuo cazzo… saziami con la tua carne… riempimi tutt...a… Dai… dai… dai…”, e afferrandogli lei stessa l’uccello teso, se lo guidò nell’orifizio, che lo accolse con un vero sospiro di sollievo.
“Certo che te lo do, puttanella… ”, mugugnò allora Brufolo, immergendoglielo dentro fino alle palle con solo colpo di reni, che li fece rabbrividire entrambi.
Era cambiato in quelle settimane il principe Martino, da giovincello timido e imbranato, oppresso dagli abusi ricevuti, era diventato, oltre che un magnifico giovane sicuro di sé, anche un gran porcellone avido di cazzo e di piacere. Il che rendeva il suo letto un vero porto di mare, in cui i sette gagliardi fratelli si avvicendavano allupati tutte le notti. E Biancaneve ne aveva equanimemente per tutti. Nonostante la complicità che si era creata fra di loro, però, mai Martino aveva rivelato chi era e chiarito il loro equivoco di crederlo un travestito: la prudenza non era mai troppa. Non era un loro tradimento che temeva, quanto la possibilità di essere riconosciuto da qualche avventore di passaggio, se si fosse presentato in vesti maschili.
Brufolo si era da poco alzato per raggiungere l’ufficio, dove curava la contabilità e l’amministrazione della Locanda, quando Biancaneve sentì bussare alla porta di strada.
Era ancora a letto, immersa nel suo languore, per cui non si mosse, sperando che andasse ad aprire qualcun altro. Ma gli altri erano tutti al lavoro e nessuno andò ad aprire. Sentendo bussare di nuovo, Biancaneve si riscosse sbuffando, si avvolse attorno un morbido accappatoio di spugna e scese le scale.
“Cosa cercate?” chiese trovandosi di fronte uno sconosciuto.
“Madamigella Biancaneve?”, rispose quello compitamente, togliendosi il cappello.
“Chi siete?”
“Sono messer Manico del Cavicchio.” fece quello, tendendole la mano.
Biancaneve non gliela strinse, facendo anzi un passo indietro, diffidente.
“Cosa volete?”, disse seccamente, stringendosi addosso l’accappatoio.
“Sono un rappresentante della ditta Fuck & Enjoy, produciamo sexy toys.”, rispose quello, mostrandole una valigetta campionario, che teneva in mano.
“Sexy, cosa?”, fece Biancaneve, che non aveva la minima idea di cosa stesse parlando.
“Giocattoli per… il sesso, madamigella.”
A sentire la parola ‘sesso’, i sensi di Biancaneve si riscossero tutti. Le brillarono gli occhi e il rappresentante colse al balzo l’occasione per sfoderare il suo sorriso più smagliante, facendo l’atto di aprire la valigetta. Si guardò attorno, come a cercare un posto dove poggiarla e Biancaneve cadde nel tranello.
“Accomodatevi”, fece, aprendo la porta e facendosi di lato, per lasciarlo entrare.
Quello avanzò con passo sicuro e si diresse ad un tavolo, su cui poggiò la valigetta, cominciando ad aprirla, dopo essersi assicurato che Biancaneve avesse richiuso la porta.
“E’ in casa il vostro uomo?”, chiese amabilmente.
“No, è fuori al lavoro.”, rispose Biancaneve, diventando tutta rossa.
In realtà, il rappresentante lo sapeva benissimo, avendo spiato che tutti gli occupanti della casa fossero usciti.
“Oh, peccato… sarebbe stato interessante anche per lui.”, e aprì la valigetta, mostrandone il contenuto ad una stupefatta Biancaneve, che per la prima volta si trovava di fronte ad articoli di quel genere.
Mentre ascoltava stupefatta le spiegazioni sui vari articoli che il rappresentante le mostrava, l’occhio le cadde su un dildo a grandezza naturale.
“Cos’è quello?”, chiese sgranando gli occhi, impressionata dalla straordinaria verosimiglianza dell’oggetto.
“Impressionante, vero? - disse con un sogghigno il rappresentante, prendendolo e mostrandoglielo – Voi siete una vera intenditrice, madamigella!”
Biancaneve diventò tutta rossa, vincendo a stento l’impulso di allungare la mano.
“Prendetelo pure, - disse allora l’uomo, porgendoglielo – toccatelo, non è realistico? Non vi sembra di tenere in mano un membro vero in carne e ossa? Sentite la sofficità della pelle… Si tratta di un materiale di nuova invenzione, brevetto della Fuck & Enjoy. Guardate il realismo della venatura… ha il prepuzio scorrevole… tiratelo giù, non abbiate paura…”
E Biancaneve fece scorrere in giù il prepuzio, scoprendo un glande svasato, il cui realismo le diede i brividi, ricordandole quello di Brufolo con cui aveva giocato tutta la notte.
“E non è tutto: - riprese il rappresentante – vedete i testicoli? All’interno c’è un serbatoio che potete riempire di un apposito liquido e, al momento giusto, simulare una eiaculazione! Guardate.”, e preso in mano il dildo, diede una vigorosa strizzata ai testicoli, provocando un lungo getto di liquido denso e biancastro.
“Anche il liquido è un nostro brevetto e ne forniamo una confezione di dieci litri in omaggio con l’acquisto. Volete provarlo?”, fece insinuante.
“N… no…”, si schermì Biancaneve.
“Su, madamigella, non siate timida… provatelo. Senza impegno… non siete obbligata a comprarlo. Noi della Fuck & Enjoy ci teniamo a far provare i nostri prodotti. Andate pure in camera, provatelo e mi saprete dire.”
Sia pure con una certa riluttanza, Biancaneve prese il dildo e salì in camera. Tenere fra le mani quella cosa così realisticamente viva la metteva tutta in subbuglio. Raggiunta la camera, chiuse la porta, si tolse l’accappatoio, sistemò il dildo dritto su una sedia e ci si sedette sopra. Si aspettava un minimo di resistenza, invece il dildo le scivolò dentro agevolmente come nel burro.
Ma era appena arrivata a sedersi sopra il realistico ciuffo di peli sintetici del pube, quando sentì un fuoco dilaniante risalirle dall’ano alle viscere, al petto, alla testa. Il cuore prese a batterle all’impazzata, mentre al fuoco subentrava un gelo mortale. Fece per gridare, ma solo un rauco guaito le uscì dalla gola contratta. Volse, allora, alla porta lo sguardo disperato e l’ultima cosa che vide fu il volto ghignante del rappresentante… il volto ghignante di Valfrido, senza più il suo travestimento.
E Biancaneve cadde a terra esanime.
“Stavolta sei morto davvero, figlio di puttana!”, disse Valfrido e se ne andò, lasciandolo a terra, morto, con il dildo avvelenato infisso profondamente nel suo culo.
***
A una certa ora, Fottolo e Bigolo tornarono alla locanda, per avviare i lavori della giornata. Bigolo, il più piccolo della cucciolata, un diciassettenne ben sviluppato e tutto pepe, portava un fascio di frasche per accendere il fuoco nel grande camino, mentre Fottolo si era caricato sulle spalle un quarto di bue da trasformare in bistecche e spezzatino per i prossimi avventori. Entrarono e trovarono la sala deserta.
“Dove si sarà cacciata Biancaneve?”, chiese Fottolo, guardandosi attorno, dopo aver deposto il suo carico sul tavolo massiccio.
“Con chi ha dormito stanotte?”
“Con Brufolo, credo.”
“Hi hi hi hi – ghignò Bigolo – allora mi sa che deve ancora riprendersi…”
“Smettila, sciocco, - lo rimbrottò il fratello maggiore – valla a cercare, piuttosto.”, e cominciò ad armeggiare attorno al camino, per accendere il fuoco.
Bigolo andò verso le scale.
“Biancaneve? - chiamò, volgendosi verso l’alto – Biancaneve, dove sei?”
Nessuno rispose.
“Ehi, Biancaneve, dove ti sei cacciata?”, insistette Bigolo.
“Valla a cercare, - gli disse allora Fottolo – magari sta facendo qualcosa e non ha sentito.”
Il ragazzo si avviò verso le scale.
“Biancaneve? Biancanevuccia? - la chiamava, cantilenando – Dove sei? Non ti nascondere, ho qui la mia bertuccia…”
Ma poco dopo si precipitò giù dalle scale, correndo, livido in volto, tremante…
“Fottolo… - balbettò senza fiato, indicando verso l’alto col braccio teso – Biancaneve… vieni… corri…”
Fottolo si rese conto all’istante che doveva essere successo qualcosa di grave: si lanciò verso le scale e, scostato il fratello, prese a salire gli scalini a quattro a quattro. Si precipitò nella camera di Biancaneve e si arrestò di botto sulla soglia, davanti al cadavere, che giaceva per terra nudo e scomposto.
“Corri a chiamare gli altri.”, disse al fratello appena riuscì a ritrovare il fiato, mentre lui le si avvicinava esitante, con le lacrime agli occhi.
E poco dopo erano tutti e sette affollati attorno al corpo della povera Biancaneve, che piangevano, chiedendosi cosa le fosse capitato, folgorati dalla disgrazia e incapaci di articolare pensiero.

In quel momento, un viandante lacero e sporco entrava nella locanda, con la speranza di un piatto di minestra per amor di Dio, perché nelle tasche gli era rimasta solo la polvere della strada. Avanzò nella sala, meravigliandosi di trovarla deserta e col camino ancora spento; stava per chiamare, quando sentì i pianti provenienti dal piano di sopra. Incuriosito, si avvicinò alla tromba delle scale, chiedendosi se era il caso di salire a vedere. Temeva di poter essere indiscreto, immischiandosi in una faccenda privata, ma i pianti che sentiva provenire dall’alto erano così sconsolati, che forse avrebbe potuto essere d’aiuto.
Allora prese a salire, un gradino dopo l’altro, esitante; giunto in cima, percorse il corridoio, raggiunse la camera e , affacciatosi alla soglia, sbarrò gli occhi, sentendosi schiacciare il cuore come in una morsa.
“No… no… no…”, gemette e corse a gettarsi addosso al corpo di Biancaneve, stringendolo forsennatamente a sé.
Gli altri si guardarono in faccia stupefatti: chi era quello sconosciuto e perché stava abbracciando il cadavere del loro amico?
“No… - gemeva intanto il nuovo arrivato – no, non era questo il destino che speravo per voi… non era questo… Avevo giurato di salvarvi e invece vi ho perduto… Pazzo, pazzo, pazzo che sono stato… non dovevo lasciarvi… non dovevo permettere che vi facessero del male… - e voltosi ai presenti – Cosa gli avete fatto?”, chiese con tono accusatorio.
Brufolo, allora, gli si avvicinò:
“Conoscete questo ragazzo?”, gli chiese.
“Questo ragazzo... – rispose quello che ormai abbiamo riconosciuto essere Carlotto, che da tempo vagava alla sua ricerca, dopo essere fuggito dal castello – questo ragazzo era il mio signore… avevo giurato di salvarlo dai suoi nemici, ma non sono stato capace… Dovevo morire io al posto vostro, mio dolce principe…”, gemette, tornando a stringere fra le braccia il corpo ormai freddo di Martino.
“Principe?…”, si meravigliarono gli altri.
Allora Carlotto raccontò loro tutta la storia, per filo e per segno: raccontò le angherie e gli abusi del fratellastro; raccontò come lui lo avesse aiutato a fuggire e come gli avesse consigliato di vestirsi da donna per non farsi riconoscere. E non nascose nessuna delle sue responsabilità, chiedendone perdono fra amarissime lacrime di pentimento.
Alla fine i sette fratelli gli si strinsero attorno commossi, uniti da quell’immenso dolore.
“Cosa può essergli successo?”, chiese Bigolo più che altro a se stesso.
“Stava bene, stamattina, - disse Brufolo – era così felice…”
“Ero nella foresta a fare legna… - esordì ad un tratto Segolo, come ricordando all’improvviso – è successo un paio di mattine fa… stavo tornando, quando mi è sembrato di vedere qualcuno che si aggirava da queste parti… non ci ho fatto caso, pensavo che fosse un cacciatore… Ma forse non c’entra niente…”
“Valfrido! - esclamò Carlotto con gli occhi spiritati – non può essere stato che lui. Lo ucciderò!”
“Lo uccideremo!”, disse Brufolo con truce fermezza.
“Lo uccideremo!”, confermarono tutti gli altri.
“Mettiamolo sul letto.”, disse allora Carlotto e lo prese fra le braccia, sollevandolo da terra.
Nel tirarlo su, però, qualcosa si intravide in mezzo alle chiappe del cadavere.
“Cos’è quello?”, fece Minchiolo, rivolgendosi a Brufolo.
Brufolo scosse la testa. Intanto Carlotto aveva deposto sul letto il corpo di Martino e lo rigirò: effettivamente aveva qualcosa conficcato profondamente nell’ano.
Tutti i fratelli si voltarono verso Brufolo, che scosse nuovamente la testa e allargò le braccia, significando di non saperne nulla. Carlotto, che sembrava non essersi accorto di niente, si chinò e lentamente, quasi temesse di fargli male, estrasse l’arnese, che tenne poi in mano, con tutti che lo fissavano, chi con curiosità, chi con orrore, prima di gettarlo via.
Ma appena il dildo avvelenato fu fuori dal suo culo, Martino riprese colore, il suo cuore riprese a battere, il sangue a circolare e ben presto, fra la sorpresa generale, sbatté le palpebre, aprì gli occhi e la prima cosa che vide fu il volto del fedele stalliere.
“Carlotto!… - esclamò, gettandogli le braccia al collo – mi hai trovato…”
“Sì, mio principe, e stavolta non vi lascerò più.”
Tutti, allora, gli si fecero attorno, esprimendo come potevano la loro soddisfazione.
“Fratelli miei.”, diceva il principe, stringendo le loro mani e ricambiando i loro sorrisi.
E se prima le loro lacrime erano state di dolore, adesso erano di gioia, la più genuina e profonda. Appena gli animi si furono un po’ placati, Martino raccontò quanto era successo quella mattina, confermando che il maleficio era opera di Valfrido.
“Devo tornare al castello.”, esclamò allora.
“Non certo da solo.”, disse Brufolo.
“Sì, - esclamarono gli altri all’unisono – verremo tutti con voi e puniremo quel malvagio.”
Cercarono, allora, degli abiti maschili per Martino e per fortuna ne avevano alcuni nel deposito, lasciati tempo addietro da avventori che non erano stati in grado di pagare il conto e li avevano lasciati in pegno Una volta pronti, si armarono di bastoni e coltelli, e si misero in marcia verso il castello.

Quando spuntarono in fondo al viale che conduceva al ponte levatoio, Valfrido diede
ordine alle guardie di sparargli addosso; ma quelli gettarono via gli archibugi e corsero loro incontro: si issarono Martino sulle spalle e inneggiando lo portarono al castello.
Vista la malaparata, Valfrido corse a cercare riparo nelle stanze della madre, la regina Arabella, che cercò di nasconderlo, ma furono entrambi arrestati dai corazzieri reali e rinchiusi nelle segrete.
Il principe fu, allora, accompagnato dal padre che giaceva a letto malato e che abdicò subito, nominandolo suo successore. Re Martino, quindicesimo con quel nome, venne incoronato solennemente il giorno successivo e la prima cosa che fece fu nominare Carlotto duca di Chissadove e suo Consigliere Segreto, mentre i sette fratelli Nani vennero promossi a sua Guardia d’Onore, con privilegio di prestare servizio nella camera da letto di Sua Maestà.
Portati in giudizio, la regina Arabella fu condannata a fare l’inserviente in un centro massaggi cinese; mentre il principe Valfrido, riconosciuto colpevole di alto tradimento, fu condannato a cinquant’anni di lavori forzati nelle miniere d’argento della lontana Colchide.
E la Locanda ai Sette Nani? La locanda fu chiusa e trasformata in Casino di Caccia, dove re Martino e il duca Carlotto, scortati dalla fedele Guardia d’Onore, si recavano periodicamente per cacciare uccelli e farsene delle belle, quanto goduriose scorpacciate.
E fu così che, dopo tante ambasce, vissero per sempre insieme felici e contenti.

FINE
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