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Gay & Bisex

L’ora più buia - 1


di adad
03.12.2022    |    6.787    |    9 9.4
"La fissò con gli occhi sbarrati: “Ma che diavolo…”, esclamò, prima di girarsi verso Ronny..."
Era l’ora più buia della notte e Ronny stava per suicidarsi. E’ quella, infatti, l’ora in cui l’anima cede, l’ora più buia, dopo una notte di tormenti. E Ronny, di preoccupazioni e tormenti, nonostante la giovane età, ne aveva più che a sufficienza: basti dire che nell’arco di qualche mese era stato licenziato dal posto di lavoro, mollato dalla sua ragazza e adesso stava per essere sfrattato dal suo padrone di casa: giusto quella mattina, infatti aveva ricevuto la notifica del tribunale, raccomandata con ricevuta di ritorno, come prescrive la legge, con l’ingiunzione di liberare l’appartamento, una mansarda con travi a vista, all’ultimo piano di un vecchio stabile, entro una settimana… Entro una settimana, e per andare dove? senza la ragazza, senza lavoro, senza soldi… senza prospettive…
Era davvero l’ora più buia e Ronny aveva deciso di farla finita.
Col veleno? Forse avrebbe potuto procurarsi del veleno per topi nel negozio all’angolo, ma… Non bastava quello che aveva sofferto? Doveva anche andarsene fra tormenti atroci? Via anche la varechina e l’acido muriatico… Forse i barbiturici… ma dove li trovava? Non poteva mica andare dal medico e farsene prescrivere una dose da suicidio!
Il gas?... Certo, sarebbe stata una bella vendetta per il padrone di casa che lo aveva sfrattato… e solo perché era in ritardo con l’affitto! Ma avrebbe danneggiato chissà quanta povera gente, che non c’entrava niente.
L’unica era impiccarsi: una corda al collo, un calcio alla sedia, uno strappo al collo e buona notte al secchio: rapido e indolore.
Risolto il problema di come suicidarsi, Ronny si sentì un po’ sollevato. Oltretutto, senza amici, senza legami familiari, lo avrebbero trovato magari un mese dopo, all’arrivo dell’ufficiale giudiziario che avrebbe sfondato la porta: un cadavere appeso al soffitto, formicolante di vermi… anche così poteva essere una bella vendetta contro il padrone di casa e contro la società intera.
In preda ad un’eccitazione febbrile, Ronny andò dal ferramenta e, con gli ultimi soldi che aveva, comprò tre metri di corda; tornò a casa, fece un bel nodo scorsoio, agganciò la corda ad una trave del soffitto in camera da letto, si assicurò che fosse all’altezza giusta e infine ci sistemò sotto la fatidica sedia, su cui avrebbe dovuto salire per poi calciarla via, dopo essersi messo al collo il nodo scorsoio.
Era il caso di lasciare un biglietto? E a chi? e per spiegare cosa? Gliene sarebbe fregato a qualcuno di un morto di fame trovato impiccato in una mansarda?
Ronny salì sulla sedia e fece per mettersi il cappio al collo ma… non era soddisfatto: era troppo frustrato per farla così semplice… Aveva bisogno di un modo più spettacolare, un modo che colpisse chi lo avrebbe trovato. Pensò freneticamente e d’un subito il lampo di genio: si sarebbe suicidato nudo! Così avrebbe significato anche materialmente, visibilmente la sua disgraziata condizione.
Detto fatto, scese dalla sedia, si spogliò nudo, ripiegò con cura i jeans e la maglietta, e li poggiò su un angolo del letto; sotto ci nascose le mutande e i calzini, che non erano proprio freschi di bucato, come lui stesso, del resto… ma a chi sarebbe importato, ormai?
Finalmente pronto a lasciare questa valle di lacrime, Ronny salì sulla sedia, prese la corda e stava per mettersela al collo, quando… CLIN CLON CLIN CLON… il campanello della porta venne a strapparlo dallo stato di trance premorte in cui stava entrando. Ronny si riscosse, si guardò attorno instupidito… Che diavolo?...
CLIN CLON CLIN CLON CLIN CLON: ancora quel maledetto campanello. Chi diavolo era? per l’ufficiale giudiziario era troppo presto… Pensò di ignorarlo e di andare avanti con il suicidio, tanto, chiunque fosse, ormai non gli interessava più niente. Ma al terzo suono del campanello, si disse che forse era qualcuno che poteva aver bisogno di qualcosa…
Senza neanche rendersene conto, si sfilò il cappio dal collo e si avviò alla porta. Stava per aprire, quando si accorse di essere nudo, allora:
“Un momento”, gridò e corse in bagno ad infilarsi l’accappatoio.
Quando aprì, si trovò di fronte un tipo di forse trent’anni, bel volto, bel vestito… un tipo coi soldi a quanto pare.
“Il signor Ronaldo?”, chiese il tipo con aria un po’ impacciata, nel trovarselo davanti in accappatoio.
“Ronny… - rispose lui, esitante – Chi è lei? Cosa desidera?”
“Mi perdoni, se la disturbo, - rispose quello, avvertendo nell’aria qualcosa che non andava – mi chiamo Massimo… Massimo Scottelli.”, e gli tese la mano, che Ronny strinse dopo un attimo di esitazione.
“Posso… esserle utile?”, chiese sperando in cuor suo che l’altro se ne andasse in fretta, visto l’impegno che lo aspettava.
“Sono venuto a vedere l’appartamento… - fece l’altro – So che avrei dovuto telefonare… ma mi trovavo a passare da queste parti e allora ho pensato di salire a dare un’occhiata… E poi avrei scambiato volentieri due parole col vecchio affittuario…”
“Dare un’occhiata all’appartamento? – si stupì Ronny – non capisco.”
“Beh, ho saputo che il proprietario lo ha messo in vendita e volevo darci un’occhiata, prima di fare la mia offerta… Sa, la zona mi piace.”
“Lo ha già messo in vendita, quel porco!”, mormorò Ronny.
“Ma forse non è il momento adatto, le chiedo scusa.”, disse Massimo, che non aveva compreso il borbottio di Ronny e lo aveva preso per una nota di disappunto.
“No, aspetti, - disse Ronny – ormai è qui… si è fatto tre piani di scale… Venga, dia pure un’occhiata… il mio impegno può aspettare.”, e lo fece accomodare in casa.
Massimo diede un’occhiata in giro, alla cucina, al corridoio, al bagno, uscì sul balconcino che dava sulla strada…
“Accidenti, che bella vista. – esclamò, guardandosi attorno; e poi, rientrando – Mi piace. Anche l’arredamento… Senta, se lo lascia, le faccio una buona offerta.”
Ronny si strinse le spalle.
“Se lo tenga pure, se le piace…”, disse con voce sorda.
“Quella è la camera da letto, immagino.”, fece Massimo, dirigendosi verso una porta chiusa.
Ronny fece per fermarlo, ma quando riuscì a raccogliere il fiato per dire “NO!”, l’altro aveva già abbassato la maniglia e aperto la porta. Lo spettacolo che si trovò di fronte, una fune appesa alla trave e una sedia giusto sotto, lo lasciò di stucco. La fissò con gli occhi sbarrati:
“Ma che diavolo…”, esclamò, prima di girarsi verso Ronny.
Il giovane era pallido come un cadavere, si teneva le braccia e tremava visibilmente, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. Lentamente si afflosciò a terra, scivolando con la schiena sulla parete.
Tutta la freddezza con cui aveva pianificato e stava per realizzare il suo terribile proposito si era liquefatta e se ne sentiva soffocare, adesso che altri lo avevano scoperto e quella messinscena gli appariva adesso così tragicamente banale.
“Cosa volevi fare?...”, mormorò Massimo, andando da lui e accosciandoglisi davanti.
Ronny scosse la testa, nuovamente svuotato.
“Ti prego, va via…”, disse.
“E lasciarti da solo, così puoi appenderti a quella fune?”, protestò Massimo, tirandolo a sé, commosso dall’immensa disperazione, che intuiva nell’altro.
A quel punto, Ronny non resse più e, poggiatogli la fronte sopra la spalla, si abbandonò ad un pianto liberatorio, in cui si andavano sciogliendo tutte le tensioni, le paure, le umiliazioni degli ultimi giorni.
Massimo lasciò che si sfogasse, limitandosi a sussurragli ogni tanto:
“Sta tranquillo, ci sono qua io, adesso.”
A dire il vero, mai più si sarebbe immaginato, salendo le scale, di trovarsi di fronte ad una situazione così sconvolgente. Cosa poteva essergli successo, per spingerlo a tanto. Meno male che sono arrivato in tempo, si disse. Quando lo sentì un po’ calmo:
“Ce la fai ad alzarti?”, gli chiese.
Ronny fece di sì con la testa e lui lo aiutò a tirarsi in piedi.
“Scusami…”, mormorò Ronny, guardandolo con il volto devastato dal pianto.
“Non dire sciocchezze, - gli sorrise Massimo con tono rassicurante – adesso, sai che facciamo? Adesso, prendiamo un caffè e poi mi racconti tutto, d’accordo? Ce l’hai il caffè?”
Ronny rispose con un cenno della testa. Raggiunta la cucina:
“Siediti, - disse Massimo – ci penso, ok? Così comincio anche a familiarizzare…”
Aprì qualche pensile, rovistò in qualche cassetto, ché in fondo le cucine sono tutte uguali, trovò il necessario e mise su la moka. Poi andò nel bagno, prese un asciugamano, ne bagnò una parte con l’acqua fredda e tornò in cucina. Non aveva la minima idea di cosa stesse facendo, ma gli sembrava la cosa giusta da fare. Sollevò il volto di Ronny con due dita sotto il mento e glielo tamponò delicatamente con la parte bagnata, e intanto lo guardava negli occhi, cercando di trasmettergli un messaggio di fiducia.
“Andrà tutto a posto, vedrai. Non vale mai la pena…”
Ronny lo lasciava fare, come un bambino: lo ascoltava senza rispondere, a malapena gli rimaneva la forza per respirare.
“Adesso va meglio.”, disse Massimo, asciugandolo altrettanto delicatamente.
Intanto era venuto fuori il caffè.
Gliene versò una tazza abbondante, mettendoci una doppia dose di zucchero, ne versò anche per sé, poi gli tirò una sedia accanto e si sedette. Aspettò che Ronny avesse bevuto una buona sorsata di caffè, poi gli mise una mano sulla spalla:
“Ti va di raccontarmi cosa è successo?”, gli chiese.
Al gelo subentrò un’ondata di calore, e non era solo quello del caffè, Ronny capì che Massimo non era come gli altri, che di lui poteva fidarsi… e si fidò, raccontandogli tutto quello che era successo nelle settimane precedenti e che lo aveva portato a prendere la drammatica decisione di farla finita. Fu una vera liberazione.
“Mi dispiace, - disse Massimo, quando ebbe finito – queste cose non dovrebbero mai succedere. Ma credo che il peggio sia passato. La tua ragazza… bah, mettici una pietra sopra, il mondo è pieno di donne e tu sei un bel ragazzo… non resterai da solo a lungo, credimi. Quanto al resto, si sistemerà tutto, vedrai.”
Ronny fece cenno di sì con la testa, voleva crederci… doveva crederci.
“E’ quasi mezzogiorno, - disse Massimo, guardando l’orologio – che ne dici se andiamo a mangiare un boccone fuori? Offro io, naturalmente… devo pure ripagarti dei mobili che mi lasci, ti pare? Dai, vestiti.”
Ronny si avviò verso la camera da letto, ma giunto davanti alla porta si bloccò.
“Aspetta, ci penso io.”, fece Massimo ed entrò, chiudendosi la porta alle spalle.
Salì sulla sedia e riuscì a staccare la fune dalla trave, arrotolandola poi in una borsa di plastica, che gettò sotto il letto; rimise a posto la sedia e:
“Vieni”, disse, riaprendo la porta.
Ronny lanciò un’occhiata là dove in precedenza pendeva la fune col cappio: non c’era più. Allora, si voltò a Massimo e:
“Grazie…”, mormorò finalmente con un sorriso.
Poi, incurante della presenza alle sue spalle, si avvicinò ai vestiti che una vita prima aveva ripiegato ad un angolo del letto, e si tolse l’accappatoio, restando nudo. A quella vista, Massimo ebbe un tuffo al cuore, del resto abbiamo già intuito da che parte pendeva. Non riuscì a trattenersi: gli si avvicinò e, ponendogli le mani ai fianchi:
“Sei bellissimo…”, mormorò.
Ronny si irrigidì.
“Era questo, allora, che volevi?”, disse amaramente.
Massimo si ritrasse di scatto, sentendosi morire.
“Scusami. – disse col gelo nel cuore – Non volevo offenderti… Scusami… ti aspetto fuori…”
E uscì precipitosamente, rifugiandosi in cucina e maledicendosi mille per la cavolata che aveva commesso. Temeva di aver rovinato tutto, anche la possibilità di una semplice amicizia fra loro due… E se Ronny fosse rimasto da solo? Se fosse ricaduto in una nuova crisi? Rivide nella mente l’immagine terrificante della fune appesa al soffitto e la sedia posizionata sotto… E non ci sarebbe stato lui a fermarlo.
“Maledizione a me!”, si stava dicendo per l’ennesima volta, quando sentì una presenza alle sue spalle.
Si voltò: era Ronny, aveva rimesso l’accappatoio e lo guardava con un’espressione d’ansia e d’angoscia insieme dipinta sul volto.
“Parlavi sul serio?”, chiese.
“Non volevo offenderti, scusami… Mi sono comportato da vero idiota…”
“No… - lo interruppe Ronny - che mi trovi… bello”.
“Mentirei se dicessi di no…”, rispose l’altro evasivamente, incerto su come comportarsi.
“Sei il primo che me lo dice…”, scosse la testa Ronny, con un amaro sorriso sulle labbra.
“Mi dispiace…”
“Sei il primo… e l’unico che ha fatto qualcosa per me… Sei sceso nella mia disperazione, mi hai rialzato da terra, mi hai tolto la fune dal collo… Perché? Se vuoi portarmi a letto, ti sembro la compagnia ideale?”
Massimo lo guardava, senza capire dove andassero a parare quei ragionamenti, e ad ogni momento la disperazione e la tristezza lo rendevano più bello… più seducente.
“Scusami, - ripeté Massimo – ti ho visto così bello, che il desiderio ha avuto il sopravvento… Mi dispiace, perdonami… Facciamo che non sia successo niente, per favore, e vestiti: l’invito a pranzo è sempre valido.”
Ronny non si mosse, sempre con gli occhi fissi nei suoi; poi gli andò più vicino e inaspettatamente:
“Abbracciami…”, gli disse.
Massimo rimase basito.
“Abbracciami, per favore…”, ripeté Ronny.
Massimo allargò le braccia; quanto più lo aveva desiderato, tanto più si sentiva adesso a disagio, quasi imbranato.
“Non mi devi niente.”, mormorò.
“Sei tu che lo devi a me. – disse Ronny – Mi hai salvato la vita, ma adesso mi sento solo un grande vuoto nel petto. Aiutami a riempirlo… solo tu puoi farlo, adesso.”
A quelle parole Massimo si lasciò sfuggire come un gemito e d’impulso lo strinse fra le braccia.
“Non temere… - gli disse – ci penserò io a te… non ti lascerò… non ti tradirò mai… mai…”, e cercò le labbra, sfiorandole in un bacio a cui Ronny, pur riluttante, non si sottrasse.
Ma fu un bacio breve: fu lo stesso Massimo a staccarsene, quasi vergognoso.
“Scusami, Ronny… - disse – ma è maledettamente difficile per me… sei così… così…”, e tornò ad abbracciarlo.
E stavolta fu Ronny a cercare le sue labbra, a insistere perché le aprisse, perché lo lasciasse entrare. Ogni riluttanza sembrava scomparsa in lui, sostituita non da un semplice desiderio di compiacerlo, ma da un reale bisogno di essere partecipe dei suoi desideri.
“Che mi sta succedendo? - mormorò ad un tratto, mentre le mani di Massimo si insinuavano sotto l’accappatoio a carezzargli la schiena – Non ho mai desiderato farlo con un uomo… se ci pensavo, mi faceva schifo anche l’idea… Adesso invece, vorrei che non la smettessi mai… di baciarmi… di carezzarmi…”
Quelle parole, come possiamo immaginare, furono benzina sul fuoco della passione di Massimo, che, fattogli scivolare a terra l’accappatoio, si diede a baciarlo sul collo e sul petto, a mordicchiargli i capezzoli, strappandogli gemiti di puro godimento. Poi si accorse del cazzo, che, nonostante tutto, svettava turgido e volle prenderlo in bocca, ma chinandosi qualcosa lo bloccò e deviò a mordicchiargli l’ombelico.
“Ehi, - fece allora con tono allegro – che ne dici se andiamo a toglierti di dosso un po’ del lerciume della tua vecchia vita?”
“Puzzo lì sotto, vero?”, sorrise Ronny.
“Avevi altro per la testa… Dai, andiamo in doccia…”
“La fai con me, vero?”
“Non me la perderei per nulla al mondo!”

(continua)
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