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Demofonte


di adad
02.10.2019    |    6.313    |    8 8.4
"Demofonte giaceva esanime sulla sabbia cristallina ed inutili furono i tentativi del dio di rianimarlo: nessuna sollecitazione riusciva ridestare in lui..."
Il tenue profumo amarognolo degli oleandri fioriti si diffondeva nell’aria, portato dalla lieve brezza dei monti in quella tiepida mattinata estiva. Dall’alto della scogliera, Demofonte osservava il mare sotto di sé, quella distesa azzurra appena increspata, che si allungava fino all’orizzonte, dove solo una leggera sfumatura di colore segnava la separazione fra cielo e mare.
“Cosa ci sarà, dove il mare e il cielo si toccano? - si chiese il giovane, commosso dalla maestà di una simile bellezza – Chissà se qualcuno si è mai spinto fin laggiù?”
Demofonte indossava solo una corta tunica di lino, legata in vita da una cintura e aperta ai fianchi, per cui la brezza gli carezzava leggermente la pelle suscitandogli brividi di piacere. Gli venne voglia di scendere sulla spiaggia e bagnarsi in quelle onde che da lassù sembravano appena accennate.
Prese, allora, a scendere per un sentiero da capre, aggrappandosi alle rade radici e alle rocce sporgenti. Giunse in fondo fradicio di sudore e, senza esitazione, attraversò il breve tratto di sabbia, si tolse i sandali e la tunica, entrando nudo nell’acqua fino ai ginocchi, per rinfrescarsi e togliersi di dosso quel velo di sporco.
L’acqua era limpidissima, invitante, la sabbia appena smossa dal leggero andirivieni della risacca.
Demofonte si bagnò le cosce, accogliendo con brivido di voluttà quella frescura sullo scroto accaldato; poi, chinandosi, prese a raccogliere l’acqua con le mani e a gettarsela sul petto e sulla testa, beandosi di sentirsela ruscellare lungo la schiena.
Tornò, quindi, a riva e, lasciando lì le sue cose, prese a passeggiare lungo la battigia, respirando a pieni polmoni quell’aria che sapeva di salsedine e godendosi il pizzicorino del sole sulla pelle. Il grosso uccello carnoso gli sbatacchiava sulla coscia ad ogni passo, accrescendo la sensazione di piacere che lo pervadeva.
Era bello Demofonte, il suo corpo era agile ed armonioso come un atleta di Olimpia, alle cui gare, in effetti, si stava da lungo tempo preparando.
La solitudine di quella caletta gli piaceva e lui veniva spesso a passarci i pochi momenti liberi dagli allenamenti e dall’addestramento militare.
Ma quel giorno, Demofonte non era solo: da un piccolo anfratto alla base della scogliera due occhi maligni spiavano avidamente i suoi passi. Proteo, il dio mutaforma, nelle vesti di un minuscolo granchio seguiva i suoi passi, leccandosi nervosamente le labbra. Demofonte tornò a girarsi verso il mare e si inoltrò nell’acqua di qualche passo, poi si accosciò per raccoglierla con le mani a coppa e rovesciarsela nuovamente sul viso accaldato. Ma alla vista del grosso scroto che gli penzolava fra le gambe, gli occhi di Proteo brillarono di avida luce e lui si avviò, scivolando fra i granelli di sabbia ed affilando silenziosamente le chele, con cui intendeva recidere quella prelibatezza e farsene un pasto!
Questo, infatti, bisogna sapere del Mutaforma: che acquisisce le caratteristiche e le abitudini dell’essere di cui assume l’aspetto, e cosa poteva appetire di meglio il carnivoro granchio?
Ma era appena giunto a metà strada, quando Demofonte si rialzò in piedi e si
inoltrò nelle acque, con l’intenzione di fare un bagno: fra le sue qualità infatti c’era anche quella di essere un provetto nuotatore.
Celando a stento il suo disappunto, il Granchio tornò a nascondersi fra la sabbia, in attesa di vedere cosa sarebbe successo. Ma quando vide Demofonte tuffarsi e allontanasi dalla riva, un pensiero astuto gli attraversò il piccolo cervello: fece di corsa i pochi metri che lo separavano dal mare, si inoltrò fra le onde e giunto nelle acque profonde si mutò all’istante in una piovra gigantesca!
Si diresse veloce dove in controluce sulla superficie vedeva il ritmico movimento del nuotatore, lo raggiunse, allungò uno dei suoi tentacoli e lo afferrò per una caviglia, tirandolo in basso.
Sentendosi trascinare a fondo, Demofonte si dibatté, urlando con tutte le sue forze, cercò di liberarsi dalla stretta sulla caviglia; ma fu tutto inutile, la piovra lo teneva saldamente e scendeva verso gli abissi per gustarsi in pace la preda.
Ma le urla del povero giovane erano giunte alle orecchie del possente Poseidone, Signore e Sovrano delle acque, il quale scosse con furia le sue chiome azzurrine, corse ad aggiogare al suo carro gli infaticabili tritoni e, fendendo le acque buie degli abissi, li lanciò a tutta corsa verso dove aveva presentito il pericolo.
Raggiunse la perfida piovra proprio nel momento in cui stava per rintanarsi in un grotta marina, trascinandosi dietro il corpo ormai esanime di Demofonte: riconobbe subito il malvagio Proteo e gli lanciò contro il tridente.
Vedendosi assalito dal Signore dei mari, la Piovra digrignò i denti e mollò la preda, mutandosi all’istante in un esile pesciolino, che andò a nascondersi chissà dove nelle tenebre fonde.
Poseidone prese fra le braccia il corpo esanime del povero Demofonte, ammirandone la grazia e la bellezza, poi spronò i tritoni verso la superficie delle acque e lo depose sulla sabbia tiepida di un’isola corallina. Rimase ad ammirarlo a lungo con dolcezza e commozione: Poseidone, infatti, non era immune al fascino di un bel giovane, come ben sanno i poeti.
Demofonte giaceva esanime sulla sabbia cristallina ed inutili furono i tentativi del dio di rianimarlo: nessuna sollecitazione riusciva ridestare in lui qualche barlume di vita. Allora, Poseidone avvicinò le sue labbra a quelle dischiuse del giovane e lentamente, coprendogli il volto con la sue lunghe chiome azzurrine, insufflò in lui l’alito della vita. Solo che nella foga, il dio poggiò le labbra su quelle del morto, così che, pur senza volerlo, quello che ne risultò fu piuttosto un lungo, profondissimo bacio.
Già allo sfiorare delle labbra divine, però, Demofonte avvertì come una lieve fiammella che si accendeva nel buio della sua anima… una fiammella che si fece via via più forte, fino a diventare più abbagliante del sole a mezzogiorno.
Allora, istintivamente, allargò le braccia e cinse in un forte abbraccio la persona china su di lui. Ma il ritorno alla vita, e forse anche a causa del bacio divino, aveva prodotto in lui anche un altro risultato non meno rilevante: gli aveva procurato una inaspettata, quanto furibonda erezione.
Quando se ne accorse, Poseidone strinse in mano l’uccello redivivo e scoppiò in una roboante risata. Poi si chinò e glielo prese interamente in bocca. Gustò golosamente il sapore salmastro che lo ricopriva, poi prese a succhiarglielo, avvolgendolo e mulinandolo con la sua lingua capace; nel contempo gli carezzava lo scroto molliccio, non senza spingergli ogni tanto un dito nella profondità dello
spacco.
Demofonte si abbandonò estasiato a quelle attenzioni, che in breve finirono col riportarlo del tutto in vita.
Allora si sollevò, puntellandosi sul gomito:
“Chi sei? – chiese all’uomo che lo stava servendo – Dove mi trovo?”
Poseidone interruppe il suo lavoro e lo fissò con gli occhi luccicanti di allegra cupidigia.
“Sei sulla mia isola, giovane mortale. - gli rispose benevolmente – Ricordi cosa ti è successo?”
“Ricordo che stavo nuotando e poi qualcosa mi ha tirato sotto e non riuscivo più a respirare…”
“Una piovra enorme ti aveva attaccato e ti stava trascinando nella sua tana per divorarti. Ma io ho sentito le tue grida di aiuto e sono corso a salvarti. Eri morto, ma ti ho riportato in vita.”, disse Poseidone con un largo sorriso.
“Mi hai riportato in vita?... – esclamò il giovane, sbiancando in volto – sei un dio, allora…”
“Sono Poseidone, Signore dei Mari. E tu sei Demofonte… il più bello dei figli di re Kallìa. Ti ho visto spesso bagnarti nelle mie acque e ti ho desiderato fin dalla prima volta.”
Demofonte non riusciva a capacitarsi di quanto gli stava succedendo: una piovra aveva cercato di divorarlo… e Poseidone in persona era corso a salvarlo e adesso era lì che gli stava confessando la sua passione… Poseidone in persona che gli aveva ridato la vita e poco prima glielo aveva succhiato…
“Possente dio, - iniziò con voce esitante – la mia riconoscenza non ha confini per il favore che mi concedi. Mi hai ridato la vita, mi offri il tuo amore… Sono davvero degno di tutto questo? Dimmi, ti prego, dimmi come posso ricambiarti.”
“Concediti a me… - rispose il dio, tornando a chinarsi per baciarlo di nuovo – concediti a me e siimi fedele senza riserve.”
Le labbra si sfiorarono, si dischiusero, le lingue si unirono suggellando la promessa. Poi il dio si alzò ergendosi in tutta la sua possanza, con mosse lente si tolse l’azzurro mantello, il corsetto e la tunica, mostrandosi in tutta la sua trionfante virilità. La verga svettava turgida, impaziente di cogliere il suo piacere. Poseidone si distese sopra l’agognato oggetto del suo desiderio e furono nuovamente abbracci, baci, carezze impudiche. Le mani del dio percorsero ogni centimetro del corpo di Demofonte, esplorandone ogni piega, le sue labbra baciarono ogni lembo di pelle, indugiando sui capezzoli, duri come noccioli, sulla pozzetta dell’ombelico; il suo naso affondò nel morbido cespuglio del pube, respirandone la delicata fragranza; poi tornò ad ingoiarne il sesso fino alla radice, mentre il giovane si abbandonava sospirando a quell’inesprimibile piacere.
A lungo Poseidone succhiò quella verga, più sugosa ad ogni istante di una pesca matura, poi spostò la sua attenzione sullo scroto, leccandolo da ogni parte e risucchiandone in bocca un ovulo alla volta. Infine, gli sollevò le gambe, rovesciandogliele sul petto, onde accedere senza impaccio al frutto fin’allora inviolato.
Con un grugnito di genuina soddisfazione, Poseidone prese a leccare famelicamente la morbida fessura, affondandoci ogni tanto la lingua, quasi a volerne cogliere i più riposti sapori.
Demofonte era perso ormai in questa marea di piaceri insospettati, che lo travolgeva e nemmeno si accorse quando il dio gli poggiò sul pertugio la verga bagnata e lo penetrò. Se ne avvide, quando si sentì sfregare sull’ano stirato i crespi peli del pube di Poseidone: allora capì che il dio gli era dentro e gli si offrì con tutta la sua giovanile esuberanza: gli avvinghiò le caviglie dietro la schiena, onde tenerlo legato a sé ancora più strettamente, sollevò il bacino per agevolargli lo scorrimento e contrasse i muscoli anali per aumentargli il piacere. Intanto, con le mani carezzava freneticamente il corpo poderoso che lo sovrastava, le spalle larghe, i bicipiti d’acciaio, i forti pettorali; e il dio apprezzava, incrementando il ritmo e la falcata della monta.
Poi giunse la fine: con un lungo sospiro, Poseidone gli premette contro il bacino e Demofonte sentì il sugo divino scorrere a scatti il suo grosso uccello sussultante per riversarglisi dentro. Allora, avvertì un grosso calore all’inguine, una pressione incontrollabile e subito dopo, con una fitta di piacere, che lo fece urlare, dal suo cazzo teso scaturirono lunghi fiotti di seme biancastro, che gli dilagarono sulla pancia. Poseidone rise mentre pian piano usciva da lui, lasciandogli nel culo e nell’anima un enorme senso di vuoto.
Stettero ancora a giocare e ad amarsi, finché giunse il tramonto.
“Vorrei che questo momento non finisse mai…”, sospirò Poseidone.
“Dopo questo, - disse Demofonte – odio dover tornare alla mia vita di sempre. - e c’era vero rammarico nella sua voce – Vorrei tanto rimanere per sempre con te.”
Il dio lo guardò con occhio intento e uno strano sorriso gli si dipinse sulle labbra.
“Vieni”, gli disse, alzandosi e prendendolo per mano.
Si inoltrarono per un pezzo fra le onde che gli sciabordavano attorno alle gambe.
“Da questo momento, - gli disse il dio - sarai sempre al mio fianco, come la più fedele e gioiosa delle creature marine. Va.”
E con un grido di pura felicità, un argenteo delfino si tuffò nelle acque profonde, riemergendo poco dopo per accompagnare con sua danza il carro di Poseidone, Signore dei Mari.
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