Prime Esperienze
Schiava di uno sconosciuto pt. 4
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20.01.2025 |
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"Mi alzai lentamente dal letto, con la stanza rischiarata solo dalla tenue luce della lampada sul comodino..."
Il pomeriggio avanzava e la mia attenzione vacillava sempre di più. Il ticchettio dell'orologio scandiva i minuti, lento e inesorabile, come un monito alla mia mente dispersa. Guardai l’orologio: erano quasi le 16. La luce che filtrava dalla finestra illuminava la stanza in modo opaco, accentuando il silenzio che sembrava avvolgere ogni cosa. Avrei dovuto studiare per un’interrogazione, ma non riuscivo a concentrarmi. Ogni parola scritta sui libri sembrava scivolare via, come acqua sulle pietre. Mi passai una mano tra i capelli, cercando invano di scacciare quella sensazione di immobilità. Aprii i libri, sperando che il tempo passasse più in fretta, ma dopo pochi minuti mi sentii sopraffatta dalla noia, come se l’aria stessa fosse divenuta più pesante e stagnante. Mi alzai dal letto e accesi il portatile con un gesto lento, quasi esitante. Il sito di webcam che frequentavo sembrava l’unico rifugio possibile per distrarmi dalla tempesta di emozioni che mi avvolgeva. La luce azzurrina dello schermo illuminava debolmente la stanza, proiettando un bagliore soffuso sulle pareti. Aprii la piattaforma e cominciai a scorrere tra gli utenti, osservando le solite facce anonime: alcuni con sorrisi forzati, altri con sguardi volgari e invadenti.
Il brusio sommesso dei video si mescolava al silenzio ovattato della stanza. Dopo una decina di minuti, però, il mio telefono vibrò all’improvviso, spezzando il ritmo monotono delle immagini sullo schermo. Un messaggio apparve, breve e diretto. Il cuore mi balzò in gola, un battito improvviso e potente che risuonò nelle mie orecchie come un tamburo.
Era lui.
“Vanessa, non mi sembra di averti ordinato di mostrarti in cam. Mi hai disobbedito.”
Il sangue mi si gelò. Mi bloccai, fissando lo schermo senza sapere cosa fare e spensi subito il pc rimettendomi sul letto, come se questo potesse annullare ciò che avevo appena fatto. Non avevo pensato che fosse disobbedienza, non davvero. Avevo solo cercato un modo per passare il tempo. Tremando, scrissi la mia risposta:
“Mi dispiace. Non pensavo di averti disobbedito in questo modo. Stavo solo cercando di distrarmi…”
La sua risposta arrivò subito, tagliente: “Distrarti? Stamattina hai scritto ‘Padrone’ sul tuo ventre. Questo significa che io sono il tuo padrone. Ogni tuo gesto deve essere guidato da me. Ogni azione deve essere per me. Hai infranto quella promessa, Vanessa.”
Le sue parole erano come un coltello. Mi sentii schiacciata dal peso della sua autorità, ma anche incredibilmente eccitata. Sapevo di aver sbagliato, ma dentro di me c’era una parte che desiderava che lui mi rimettesse al mio posto.
Scrissi: “Ti prego, perdonami. Non succederà più. Dimmi cosa devo fare.”
Ci fu una pausa. Ogni secondo che passava sembrava un’eternità. Poi arrivò il suo messaggio: “Perdonarti? No, Vanessa. Non meriti il mio perdono. Meriti una punizione. E ora la riceverai.”
Deglutii, il cuore che batteva all’impazzata. Non risposi. Sapevo che non c’era nulla da dire. Aspettai il suo prossimo comando, pronta a subire qualsiasi cosa avesse deciso per me.
“Vanessa, hai animali domestici?”
La domanda mi colse di sorpresa, ma risposi subito: “Sì, ho un gatto.”
“Bene,” scrisse lui. “Questo gatto ha un collarino, immagino?”
Esitai per un momento, chiedendomi cosa avesse in mente. Poi risposi: “Sì, ne ha uno.”
La sua risposta arrivò immediatamente: “Perfetto. Voglio che tu vada a prendere quel collarino. Subito.”
Mi alzai senza fare domande, attraversando la stanza con il cuore che batteva forte, ogni passo un ritmo sordo e insistente nelle orecchie. Il mio sguardo si posò sul divano dove il mio gatto era raggomitolato, immerso nel tepore delle coperte. Il piccolo collarino rosa spiccava contro il pelo morbido, il campanellino argentato che tintinnava dolcemente al suo minimo movimento. Mi avvicinai lentamente, accarezzando con dolcezza il dorso del gatto per calmarlo mentre sfilavo con attenzione il collarino. La fibbia si aprì con un lieve scatto, e il campanellino tintinnò leggero, come un avvertimento sottile che mi risuonò dentro. Tornai al portatile con il collarino stretto tra le dita, il metallo freddo che sembrava irradiarsi fino alla mia pelle, amplificando la tensione che scorreva in me.
Scrissi: “L’ho preso. Cosa devo fare ora?”
“Accendi la webcam e collegati a Skype. Voglio vederti.”
Non c’era esitazione nelle sue parole, né ne avevo io nel seguirle. Aprii Skype e lo trovai già in linea, come se mi stesse aspettando. Risposi alla chiamata e la sua immagine apparve sullo schermo: il solito cappuccio, il sorriso enigmatico che sembrava scavare dentro di me.
“Spogliati completamente,” disse con la sua voce calma e autoritaria. “E indossa solo il collarino.”
Deglutii, il cuore che batteva forte mentre eseguivo il suo comando. Mi alzai lentamente, ogni gesto sembrava dilatarsi nel tempo, come se ogni secondo fosse un'eternità. Le mani tremanti scivolarono lungo i fianchi, afferrando l’orlo della maglietta con un respiro spezzato prima di sollevarla sopra la testa. I brividi correvano lungo la schiena quando la stoffa abbandonava la pelle, lasciandola esposta al freddo pungente della stanza. Tolsi ogni capo d'abbigliamento con movimenti lenti e ponderati, quasi rituali, fino a sentire l'aria fredda che avvolgeva ogni centimetro del mio corpo nudo.
La pelle si accese di una leggera pelle d'oca mentre rimanevo ferma davanti alla webcam, le luci dello schermo che creavano riflessi pallidi sul mio petto e sulle spalle, sfiorando la curva dei seni e disegnando ombre delicate sulla pelle tesa. Con le dita delicate e incerte, sollevai il collarino, il metallo freddo che mi sfiorava i palmi, stringendolo tra le mani come se fosse un simbolo di qualcosa di più grande e definitivo.
“Mettilo,” ordinò lui. “Voglio che tu lo indossi come simbolo di chi sei. Sei mia, Vanessa. Ogni tuo gesto deve ricordartelo.”
Lo guardai, incerta. “Non riesco a metterlo. È troppo stretto,” dissi, la mia voce un sussurro.
“Allargalo il più possibile,” rispose senza perdere la calma. “E indossalo. Non voglio sentire storie. Trova il modo.”
Obbedii, cercando di allentare il collarino. Non era progettato per me, ma feci del mio meglio, tirando la fibbia fino all’ultimo foro disponibile. Lo infilai intorno al collo, e con qualche difficoltà riuscii a chiuderlo. Era stretto, mi stringeva forte la gola, e ogni movimento faceva tintinnare il piccolo campanellino.
“Fatto,” dissi, la voce più flebile a causa della pressione.
Il suo sorriso si allargò. “Perfetto. Ora sei pronta per la tua punizione. Voglio che rimanga addosso finché non te lo dirò io.
La sua voce, calma e autoritaria, attraversò lo schermo. “Adesso, inginocchiati davanti alla webcam. Voglio che tu assuma una posizione da cagnolina. Solleva le mani come se fossero zampe e tira fuori la lingua. Voglio che resti così finché non ti dirò di fermarti.”
Deglutii, sentendo il collare stringersi inesorabilmente contro la mia gola, ogni respiro reso più difficile, più intenso. Il campanellino tintinnava dolcemente, un suono che sembrava eco del mio battito cardiaco accelerato, mentre mi inginocchiavo davanti al portatile, le mani alzate come zampe obbedienti. La sensazione del tessuto della moquette sotto le ginocchia nude aggiungeva un tocco di ruvidezza che contrastava con la morbidezza della mia pelle, facendomi sentire ogni centimetro della mia vulnerabilità. Sentivo la pelle calda per l’umiliazione, un rossore che si diffondeva dalle guance fino al petto, ma allo stesso tempo, ogni suo comando accresceva il desiderio di compiacerlo, un desiderio che si mescolava con il pulsare tra le mie cosce, un richiamo al bisogno di essere dominata.
Tirai fuori la lingua, sentendo il sapore dell'aria fredda che contrastava con il calore della mia bocca, cercando di mantenerla ferma, esposta come un segno di sottomissione. Le labbra si schiusero leggermente, invitando un'aria di vulnerabilità e desiderio. Ogni muscolo del mio viso si tendeva, creando piccole tensioni che si irradiavano lungo il collo, dove il collarino mordeva la mia pelle, facendomi sentire ogni brivido, ogni fremito. Mentre cercavo di restare immobile, notavo come il movimento sottile del mio petto con ogni respiro facesse tintinnare ulteriormente il campanellino, un suono che sembrava amplificare l'intimità del momento, rendendo ogni secondo un'eternità di eccitazione e attesa. La mia pelle, ora sensibile e reattiva, sembrava avvolta da un velo di sudore leggero, che brillava sotto la luce della webcam, ogni goccia un segno del mio desiderio e della mia obbedienza.
“Brava,” disse lui, il suo tono che mi colpiva come una carezza e un colpo allo stesso tempo. “Tu sei il mio animale domestico. E come tale, devi imparare a obbedire. Questo ti servirà da esempio.”
Non so quanto tempo rimasi in quella posizione; ogni momento sembrava dilatarsi in un'eternità di attesa e desiderio. La saliva cominciava a raccogliersi alla punta della mia lingua, densa e calda, prima di scivolare via, lasciando una scia lucida che bagnava il mio mento. La sensazione della saliva che gocciolava lentamente, seguendo la linea del mio collo, era stranamente erotica, ogni goccia che cadeva sembrava un bacio umido sulla mia pelle.
Scese sul mio petto, tracciando un percorso bagnato tra i miei seni, enfatizzando ogni curva, ogni sollievo della mia pelle, rendendo i miei capezzoli più duri e sensibili al freddo dell'aria. Alcune gocce, più avventurose, si avventurarono oltre, scendendo fino al ventre e poi ancora più in basso, raggiungendo il pavimento con un leggero schiocco, creando piccole pozze lucide. Ogni goccia che cadeva era come un segno della mia sottomissione, un'offerta di me stessa al suo sguardo, rendendomi consapevole di ogni centimetro del mio corpo, trasformando la semplice azione di stare in posa in un atto di seduzione bagnata e proibita.
Sentivo la pressione sulle mandibole crescere, un dolore sottile che si irradiava fino alle guance. Ogni secondo sembrava allungarsi, ogni movimento del collare stringeva un po’ di più la gola, rendendo il respiro più corto.
Non dissi nulla. Non c’era spazio per il dubbio o la protesta. Era tutto per lui.
“Non abbassare le mani. Non tirare indietro la lingua,” continuò, la sua voce bassa ma inesorabile. “Voglio che ricordi questo momento ogni volta che penserai di disobbedire. Sei mia, Vanessa. Ogni tuo gesto, ogni tuo respiro, appartiene a me.”
La tensione nelle braccia iniziava a diventare insopportabile, e il collare sembrava stringere sempre di più, ma non mi mossi. Ogni fibra del mio corpo voleva dimostrargli che ero all’altezza.
Finalmente, dopo un tempo che sembrava infinito, la sua voce tornò: “Ora puoi fermarti. Sei stata brava. Pulisciti e siediti.”
Mi lasciai andare lentamente, il corpo che tremava mentre abbassavo le braccia e tiravo indietro la lingua. La saliva era scivolata lungo il mio petto, lasciando una scia lucida che sentivo fredda sulla pelle. Mi asciugai con la mano, il respiro ancora pesante, e mi sedetti davanti alla webcam, il campanellino che tintinnava leggermente.
Voglio che questo ti serva da lezione, Vanessa," disse lui, la sua voce che assumeva un tono più morbido, ma non meno fermo, quasi come una carezza di seta che nascondeva un pugno di ferro. "Tu sei la mia schiava. Ogni respiro che fai, ogni battito del tuo cuore, ogni goccia di sudore sulla tua pelle, è mio. E come tale, farai sempre, senza esitazioni, ciò che ti ordinerò. Ogni tuo gesto, ogni movimento, ogni sospiro deve essere un tributo a me. Hai capito?"
La sua voce penetrava attraverso lo schermo, avvolgendo ogni parola con un senso di inevitabilità e desiderio, come se ogni sillaba fosse un collare invisibile che si stringeva attorno alla mia volontà, rendendomi più consapevole del mio ruolo, del mio desiderio di obbedire e servire.
Annuii, la voce un sussurro strozzato: “Sì, ho capito.”
Il suo sorriso si allargò. “Brava. Questo è solo l’inizio. Ora puoi rimettere i tuoi vestiti. Ma il collare rimane. Voglio che lo indossi finché non te lo dirò io. Il tintinnio del campanellino ti ricorderà chi sei e chi comanda.”
Chiuse la chiamata senza aggiungere altro.
Mi trovai lì, nuda, con solo il collarino che stringeva la mia gola, il campanellino che tintinnava ogni volta che mi muovevo. Rimasi immobile per qualche minuto, il silenzio della stanza che sembrava amplificare ogni minimo suono, il mio respiro ancora affannato per l'adrenalina della sottomissione.
Ma poi, un'ondata di eccitazione incontrollabile iniziò a salire dentro di me, il ricordo dei suoi comandi, delle sue parole autoritarie che ancora riecheggiavano nella mia mente, accendendo un fuoco che non potevo ignorare. Mi alzai lentamente, sentendo il collarino che mi ricordava la mia obbedienza, il suo peso e la sua presenza una costante provocazione sulla mia pelle.
Mi avvicinai al letto, sentendo il tessuto delle lenzuola fresche contro la pelle calda, e mi sedetti, le gambe divaricate in modo naturale, invitante. Le mie mani tremavano leggermente per il desiderio quando le portai verso il mio corpo. Cominciai a esplorare me stessa, le dita che tracciavano linee sensuali lungo le cosce, avvicinandomi sempre di più al centro del mio piacere.
Chiusi gli occhi, e il volto dello sconosciuto apparve nella mia mente, il suo sorriso enigmatico, il suo tono di voce che sembrava penetrare attraverso il ricordo. Con una mano, iniziai a stimolare il mio clitoride, movimenti circolari che accendevano scintille di piacere, ogni tocco più deciso, più esigente. Gemiti bassi e soffocati mi sfuggivano dalle labbra, ogni suono un atto di liberazione.
L'altra mano scivolò tra le mie gambe, un dito che si insinuava dentro di me, incontrando il calore e l'umidità del mio desiderio. Muovevo il dito in modo ritmico, trovando il punto che mi faceva sentire come se il mondo stesse per svanire in un vortice di piacere. Il collarino, che stringeva delicatamente il mio collo, sembrava accentuare ogni sensazione, rendendo ogni respiro un atto di sottomissione e dominio su me stessa.
Il ritmo delle mie mani si intensificò, il piacere che cresceva come un'onda che si preparava a frangersi. Mi sentivo come se fossi sul filo di un rasoio tra il controllo e l'abbandono totale. I gemiti divennero più forti, più liberi, mentre mi avvicinavo all'apice del piacere, il corpo che tremava per il bisogno di liberazione.
Quando finalmente raggiunsi l'orgasmo, fu un'esplosione di sensazioni, il mio corpo che si arrendeva completamente, i muscoli che si contraevano in spasmi di pura estasi. Il campanellino del collarino tintinnava con ogni movimento, un suono che sembrava celebrare il mio piacere, il mio controllo, la mia liberazione.
Rimasi lì per un momento, il respiro lento che tornava alla normalità, il corpo che ancora vibrava con l'eco del mio orgasmo. Il collarino, testimone della mia sottomissione, ora sembrava un simbolo del mio potere su me stessa, del mio piacere, della mia capacità di trovare e dare piacere.
Il campanellino tintinnava leggermente a ogni minimo movimento, un suono discreto ma insistente, che mi rimbombava nelle orecchie come un eco. Le dita scivolarono con cautela sul laccio rosa, sfiorando la fibbia fredda. Una fitta di consapevolezza mi attraversò la mente: non potevo lasciarlo al collo troppo a lungo. I miei genitori erano in casa, e bastava un solo sguardo per scatenare domande alle quali non avrei saputo rispondere.
Deglutii, sentendo il nodo alla gola reso ancora più stretto dalla pressione del collarino. Con un gesto lento, quasi esitante, lo slacciai. Il campanellino emise un ultimo tintinnio mentre scivolava tra le mie mani. Rimasi a fissarlo per un istante, come se trattenessi un frammento di quel momento segreto. Togliere quel laccio dal collo mi sembrava una piccola ribellione, ma anche una necessità. Le dita si chiusero attorno al collarino, stringendolo con delicatezza, e decisi che l’avrei indossato solo quando lui me lo avesse chiesto. Sarebbe stato il nostro segreto, custodito con cura.
Mi alzai lentamente e riposi il collarino in un cassetto della scrivania, assicurandomi di nasconderlo sotto un piccolo astuccio di stoffa. Mi presi un attimo per respirare profondamente e osservare il mio riflesso nello specchio. I segni del momento vissuto erano ancora lì: le guance arrossate, i capelli un po’ spettinati, e quel lieve rossore che mi circondava il collo come un’impronta invisibile. Con un gesto rapido, sistemai i capelli per coprire ogni traccia e mi vestii di nuovo, cercando di ristabilire un’apparente normalità.
Quando uscii dalla stanza, la casa era silenziosa, immersa in una calma domestica interrotta solo dal tintinnio delle stoviglie proveniente dalla cucina. Mi appoggiai allo stipite della porta, osservando mia madre per un istante mentre preparava la cena, circondata da ingredienti e pentole. Il profumo delle verdure che iniziavano a soffriggere si mescolava all'aroma delle spezie, creando un'atmosfera familiare e accogliente. Il ritmo dei gesti di mia madre, che disponeva con cura gli utensili e accendeva i fornelli, mi riportava a un senso di normalità quasi surreale, come un rifugio temporaneo dalle emozioni che ancora mi travolgevano.
"Tutto bene?" chiese mia madre senza voltarsi, con un tono dolce e distratto.
"Sì, tutto a posto," risposi, cercando di mantenere la voce ferma, nascondendo l’agitazione che ancora mi pulsava dentro.
Mentre lei girava il cucchiaio di legno nella padella, mio padre entrò nella cucina con un giornale piegato sotto il braccio. "Come va la scuola? Stai studiando per l’interrogazione di domani?" mi chiese, sedendosi al tavolo con un sorriso tranquillo.
Esitai per un istante, consapevole che i miei pensieri fossero tutt’altro che rivolti allo studio. "Sì, sto cercando di mettermi al passo," risposi, accennando un mezzo sorriso.
Mia madre si voltò per un momento, asciugandosi le mani con uno strofinaccio. "Bene. Se hai bisogno di aiuto, fammelo sapere. Sai che non voglio che ti stressi troppo."
Annuii, cercando di apparire rassicurante. "Va tutto bene, davvero."
Il tintinnio delle posate che mia madre sistemava nei piatti mi riportò alla realtà, insieme al profumo intenso del sugo che sobbolliva piano. Mi sedetti al tavolo e guardai il piatto di fronte a me, ma la mia mente vagava altrove, tornava all’immagine di me con quel collarino al collo, alla promessa che le mie mani avevano stretto attorno al laccio: lo avrei rimesso solo per lui, nei momenti in cui me lo avesse chiesto. In quei momenti sarei stata completamente sua, senza esitazioni.
Persi lo sguardo nei miei pensieri, finché la voce di mio padre non spezzò il silenzio. "Vanessa, tutto a posto? Hai mangiato pochissimo."
Mi riscosse come uno schiaffo gentile. "Sì, sto bene," dissi, infilzando un boccone con la forchetta e portandolo alla bocca per rassicurarlo. Il cibo aveva un sapore familiare e confortante, ma ogni morso sembrava faticoso. Mi ritrovai di nuovo a sfiorare con le dita il collo, preoccupata costantemente che il lieve rossore fosse visibile. Ogni tanto, spostavo i capelli per coprirlo meglio, temendo che anche il più piccolo segno potesse destare sospetti.
La cena continuò con le chiacchiere leggere dei miei genitori sul lavoro, sul notiziario che avevano visto e sulle prossime spese da fare. Io annuivo distrattamente, immergendomi nei dettagli del loro discorso per mascherare la mia tensione. Ma dentro di me, l’attesa cresceva. Il desiderio di ricevere un nuovo messaggio, di sentire la sua voce, di obbedire al prossimo comando, era una promessa che bruciava sotto la pelle. E con essa, la consapevolezza che presto avrei stretto di nuovo quel simbolo attorno al collo, lasciando che mi ricordasse chi ero davvero.
Rimasi seduta al tavolo, cercando di mantenere la calma mentre la cena si svolgeva tra chiacchiere leggere e domande di rito. Le voci dei miei genitori riempivano la stanza, ma la mia attenzione era altrove, persa in un vortice di pensieri e ricordi recenti.
Ad un tratto, il mio telefono vibrò leggermente sul tavolo. L’avevo posato accanto al bicchiere d’acqua e ora lo schermo illuminato mostrava un messaggio. Era lui.
“Che fai, schiava?”
Il cuore mi saltò in gola. Cercai di non tradire emozione e presi il telefono con disinvoltura, sperando che i miei non ci facessero caso. Digitai una risposta veloce:
“Sono a cena, sto mangiando.”
La sua risposta arrivò subito, come una freccia.
“Non ricordo di averti ordinato di mangiare.”
Mi bloccai. Sentii le dita stringere il telefono più del necessario, e un brivido di tensione mi percorse la schiena. Non ricorda di avermelo ordinato? La mia mente cercava freneticamente una risposta. Cercai di sdrammatizzare, anche se il respiro mi era rimasto sospeso.
“Ma come? Non posso neanche cenare?” risposi, cercando di mantenere un tono leggero, ma sentendo la voce tremare dentro di me.
Sul display comparve una risata. Una piccola, rassicurante parentesi.
“Rilassati. Stavo solo scherzando.”
La tensione scivolò via come neve al sole. Sentii una risata nervosa sfuggirmi dalle labbra, e i miei genitori mi lanciarono uno sguardo curioso. Abbassai subito lo sguardo sul piatto, prendendo una forchettata per mascherare l'agitazione.
“Buona cena, Vanessa.” aggiunse lui.
“Mi hai fatto prendere un colpo...” risposi senza pensarci, le mani ancora lievemente sudate.
“Non volevo spaventarti.” scrisse. “Non ti chiederò mai nulla che non vuoi fare. E ricorda che puoi interrompere tutto quando vuoi.”
Quelle parole mi rassicurarono più di quanto avrei immaginato. Le lessi più volte, lasciandole scivolare dentro di me come una promessa sussurrata. Il controllo era mio. Lui me lo stava dicendo chiaramente, eppure non potevo negare la sensazione che, in fondo, quel legame fosse ormai qualcosa di più grande di me.
Sorrisi appena, cercando di tornare al ritmo della cena. Guardai mia madre mentre aggiungeva altra pasta al piatto di mio padre e risposi a qualche domanda di routine. La serata proseguì tranquilla, ma una parte di me rimase sospesa a quelle parole scritte sullo schermo: “Puoi interrompere tutto quando vuoi.” Eppure, l’unica cosa che desideravo era continuare.
Terminai di aiutare a sparecchiare la tavola, asciugai le mani e con un leggero sospiro mi diressi verso la mia stanza. La casa era immersa in una quiete familiare: la tv in soggiorno mandava in sottofondo voci ovattate di un programma serale, mentre dalla cucina arrivava il rumore dei piatti riposti ordinatamente negli scaffali.
Entrata nella mia camera, chiusi la porta alle spalle e lasciai che la tranquillità del mio rifugio mi avvolgesse. Con un gesto stanco ma rilassato, mi buttai sul letto, lasciandomi andare sopra le coperte senza curarmi di sistemarle. I peluche che occupavano parte del materasso caddero qua e là, e con un rapido movimento delle mani feci spazio, creando un piccolo angolo per sdraiarmi comodamente.
Afferrai il telefono e, con un tocco sullo schermo, mi ritrovai immersa nelle notifiche. Il gruppo WhatsApp delle mie compagne di classe era in fermento. I messaggi si susseguivano con un ritmo quasi frenetico: chi si lamentava dei professori troppo esigenti, chi raccontava con enfasi dei propri drammi sentimentali, e chi comunicava esclusivamente con gif e meme spiritosi. Ogni messaggio aveva un'energia unica, una piccola finestra su vite diverse ma incredibilmente intrecciate.
Sorrisi, lasciandomi trascinare dalla leggerezza di quel chiacchiericcio. Mentre scorrevano i messaggi, un nuovo intervento interruppe bruscamente lo sfogo di un'amica sulle sue sventure amorose.
Claudia: “NOOOO VABBE', RAGA!”
Seguì la notifica di una foto. Sgranai gli occhi per un istante e poi scoppiai a ridere. Nella chat comparve un’immagine imprevista: era la foto di un membro maschile. In calce al messaggio, Claudia aggiunse con entusiasmo: “Me l'ha appena mandato Marco!”
La chat esplose in un susseguirsi di messaggi:
“Ma è serio!?”
“Claudia, giuro che sto morendo dal ridere!”
“Ragazze, ma questo ragazzo è un pazzo!”
Le emoji di risate riempirono la schermata, mentre alcune amiche lasciavano commenti ironici e altre si lanciavano in battute un po' più audaci.
Mi lasciai trasportare da quel vortice di divertimento. Sorrisi e digitai un messaggio scherzoso, aggiungendo qualche emoji per enfatizzare. In quel momento, ogni pensiero esterno svanì. Era solo un momento di pura complicità e risate condivise, lontano da ogni preoccupazione.
La chat continuava a riempirsi di messaggi e reazioni, creando una sinfonia di risate digitali che sentivo risuonare anche nel cuore. Ridacchiai da sola, stringendo il cuscino contro di me. In quei momenti, la connessione con le mie amiche sembrava l'unica cosa importante, un rifugio spensierato dove potevo essere me stessa e dimenticare tutto il resto.
Proprio mentre digitavo un altro messaggio, arrivò una notifica privata. Era Federico.
Federico era un mio coetaneo, un ragazzo che conoscevo da tempo. Non era il classico belloccio da copertina, ma aveva qualcosa di irresistibile: un sorriso genuino, occhi verdi pieni di vitalità e un ciuffo di capelli castani che gli ricadeva spesso sulla fronte. Aveva uno stile semplice ma curato, ed era quel tipo di ragazzo che non ostentava mai ma che attirava per la sua spontaneità.
Federico: "Ehi, hai visto anche tu quella foto?"
Sorrisi e decisi di fare la gnorri.
Io: "Quale foto? Di cosa parli?"
Federico non cadde nella trappola e mandò un'emoji divertita.
Federico: "Dai, lo sai! Parlo della foto che ha fatto girare Claudia. È arrivata anche a me. Marco dovrebbe stare più attento con certe cose!"
Scoppiai a ridere davanti al telefono.
Io: "Oh cielo... sì, l'ho vista. È stato troppo divertente!"
Federico: "Già... comunque, volevo sentire come stavi. È da un po' che non parliamo."
Sentii un lieve calore salire sulle guance. Nonostante fossimo sempre stati in buoni rapporti, non eravamo mai stati davvero amici stretti, ma sentire quelle parole mi fece sentire speciale.
Io: "Sì, in effetti è passato un po' di tempo. Io sto bene, e tu?"
Federico: "Tutto bene, dai. Solite cose. Domani sera cosa fai?"
Aggrottai leggermente la fronte, sorpresa dalla domanda.
Io: "Uhm... nulla di particolare, credo. Perché?"
Federico ci mise qualche secondo prima di rispondere, poi inviò un messaggio:
Federico: "Perché... volevo chiederti se ti andava di uscire. Che ne dici?"
Sgranai leggermente gli occhi, sorpresa ma piacevolmente colpita.
Io: "Davvero?"
Federico: "Sì, certo. Magari possiamo prendere qualcosa da bere o fare un giro in centro. Niente di complicato."
Ci pensai un attimo, poi scrissi:
Io: "Mi piacerebbe. D’accordo, usciamo."
Federico rispose con un’emoji felice seguita da: "Perfetto, allora ci sentiamo domani per i dettagli. Buona notte, Vane."
Io: "Buona notte anche a te, Fede."
Chiusi la chat con un sorriso stampato sul volto. Non mi aspettavo che Federico mi chiedesse di uscire, e quel pensiero mi scaldò il cuore. Per un attimo, tutto il resto passò in secondo piano. Riposi il telefono sul cuscino accanto a me e mi lasciai andare a un lungo respiro, immaginando come sarebbe stata la serata del giorno dopo.
Mi alzai lentamente dal letto, con la stanza rischiarata solo dalla tenue luce della lampada sul comodino. Mi fermai davanti allo specchio, osservando il mio riflesso con un misto di curiosità e timidezza. Con gesti lenti e misurati, sfilai la maglietta, lasciando che il tessuto mi scivolasse dalle spalle fino a cadere a terra. Rimasi immobile per un istante, con le braccia rilassate lungo i fianchi, mentre i miei capelli sfioravano il collo.
Passai una mano sull'addome, seguendo con le dita il profilo morbido della mia pelle. Un lieve sorriso mi incurvò le labbra quando ricordai la scritta 'PADRONE' sbiadita dell'evidenziatore, ormai sparita, ma ancora viva nella mia memoria. La parola 'padrone' rimbalzava nella mia mente con un peso inatteso: era un termine forte, denso di significato, che portava con sé un senso di abbandono e appartenenza. Socchiusi gli occhi per un attimo, chiedendomi come potessi sentirmi al contempo vulnerabile e protetta al richiamo di quella parola. Assaporai la freschezza del contatto delle mie stesse dita, come se potessi rievocare quel legame solo sfiorandomi. Il tocco mi riportò a quella sensazione di appartenenza e leggerezza che avevo provato al mattino.
Abbassai lo sguardo verso il mio collo e lo accarezzai delicatamente, avvertendo sotto le dita il lieve rossore lasciato dal collarino. La pelle era ancora sensibile, e quel ricordo mi trasmise un brivido che percorse tutta la schiena.
Sospirai e sganciai i pantaloni, lasciandoli scivolare lungo le gambe. L'aria fresca sfiorava la mia pelle, creando un contrasto piacevole con il calore che sentivo dentro. Mi piegai per raccogliere i pantaloni e li posai ordinatamente sulla sedia. Prima di indossare il pigiama, le mie dita si mossero quasi di loro volontà verso il mio sesso, sfiorandolo delicatamente sopra le mutandine. Il tessuto morbido sembrava amplificare ogni sensazione, riportandomi alla mente la scena del bagno scolastico di quella mattina.
Ricordai vividamente il momento in cui avevo preso l'evidenziatore giallo, il colore acceso che contrastava con la pelle. Il ricordo di come l’avevo lentamente introdotto dentro di me, imitando una penetrazione delicata, mi fece rabbrividire di nuovo. Le sensazioni erano state intense, con la consapevolezza che stavo facendo tutto per lui, seguendo il suo comando. Ogni spinta era stata un atto di sottomissione, ogni ritirata un momento di attesa per la prossima istruzione.
Ora, con le dita che accarezzavano sopra le mutandine, un brivido mi attraversò, risalendo lungo la schiena, e un respiro più profondo sfuggì dalle mie labbra. Cercai di scacciare quei pensieri, ma il calore persistente mi avvolgeva, come se quella scena fosse appena accaduta, lasciandomi con un desiderio che non potevo ignorare.
Con il calore che non accennava a diminuire, mi avvicinai alla scrivania. Il mio sguardo si posò sulla mia spazzola per capelli, il suo manico liscio e arrotondato che brillava sotto la debole luce della lampada. La presi in mano, sentendo il peso familiare, ma questa volta con un'intenzione completamente diversa.
Mi sedetti sul bordo del letto, la spazzola tra le dita, e chiusi gli occhi, immaginando che fosse lui a guidare le mie azioni. Con un respiro profondo, cominciai a muovere il manico della spazzola lungo la mia gamba, tracciando lentamente lo stesso percorso che avevo fatto con l'evidenziatore. La sensazione era diversa, più pesante, ma il ricordo delle sue parole mi spingeva avanti.
Portai il manico verso il mio sesso, sfiorando delicatamente sopra le mutandine, sentendo come la pelle reagiva a ogni tocco. L'eccitazione aveva già reso il tessuto umido, un segno inequivocabile del desiderio che mi attraversava. Sfilai le mutandine con una mano, lasciando che cadessero ai miei piedi, e con l'altra guidai il manico della spazzola tra le mie gambe.
Il mio sesso era bagnato, il calore e l'eccitazione creando una scia di umidità che rendeva ogni movimento del manico più fluido, quasi senza attrito. Lo sentivo scivolare dentro di me, la sua superficie liscia che contrastava con la calda, umida accoglienza della mia vagina. Ogni centimetro che avanzava era come un promemoria del controllo che avevo ceduto, del legame che si stava forgiando tra noi.
Con il manico dentro di me, portai l'altra mano al clitoride. Le dita iniziarono a muoversi con leggeri, circolari movimenti, stimolando quella parte sensibile che pulsava di desiderio. Ogni tocco faceva aumentare l'intensità del piacere, il mio respiro che si faceva più corto e rapido. Sentivo il contrasto tra la durezza del manico dentro di me e la delicatezza delle mie dita sul clitoride, una combinazione che sembrava amplificare ogni sensazione.
Il mio corpo rispondeva con fremiti e brividi, il piacere che si diffondeva come onde calde attraverso di me. Era come se stessi rivivendo la mattina, ma con un'intensità nuova, come se ogni gesto fosse una promessa di obbedienza e desiderio. La sensazione di essere bagnata, di sentire il mio corpo rispondere così visceralmente alle mie azioni, era una conferma del mio desiderio di compiacerlo, anche nell'assenza fisica, attraverso il ricordo delle sue parole e dei suoi comandi.
Con il manico della spazzola dentro di me, le mie dita continuarono a danzare sul clitoride, ogni gesto un richiamo alla memoria di quella mattina, alle sue parole che mi avevano guidato. L'eccitazione cresceva, un fuoco che si alimentava con ogni respiro affannoso, ogni movimento delle mie mani. Sentivo il piacere accumularsi, un'energia intensa che mi attraversava, rendendo ogni sensazione più acuta, più intensa.
Il contrasto tra la sensazione fredda e liscia del manico e il calore, la morbidezza della mia carne, creava un'armonia di piacere che mi spingeva sempre più vicino al limite. Le mie dita si muovevano con maggiore urgenza ora, rispondendo al bisogno crescente dentro di me, mentre il manico della spazzola si muoveva in un ritmo sempre più rapido, spinto dalla mia mano che tremava per l'eccitazione.
Sentii il mio corpo tendersi, il piacere che si concentrava in un punto incandescente. Ogni muscolo si irrigidì, ogni respiro divenne un gemito soffocato mentre il culmine si avvicinava. Era come se ogni comando che mi aveva dato, ogni parola sussurrata attraverso lo schermo, mi conducesse inesorabilmente verso questo momento.
Poi, con un ultimo, deciso movimento delle dita e un affondo del manico, raggiunsi l'apice. L'orgasmo mi travolse come un'onda, facendomi tremare dalla testa ai piedi. Un grido silenzioso mi sfuggì dalle labbra, il piacere che esplodeva in una miriade di sensazioni, calde, intense, liberatorie. La mia vagina si contrasse intorno al manico, ogni spasmo un'eco delle sue parole, del controllo che aveva su di me, anche a distanza.
Caddi all'indietro sul letto, il respiro irregolare, il corpo ancora scosso da fremiti di piacere residuo. L'umidità tra le mie gambe era ora più evidente, il segno del mio abbandono totale a quelle sensazioni. Rimasi lì, con gli occhi chiusi, a godere dei resti di quell'orgasmo, sentendo ancora il legame con lui, come se ogni secondo di piacere fosse stato un omaggio al suo dominio su di me.
Quando finalmente riaprii gli occhi, la stanza sembrava diversa, come se il mondo fosse cambiato, almeno per me. Indossai infine il pigiama con movimenti morbidi, quasi come se stessi eseguendo un piccolo rituale di fine giornata. Mi infilai a letto, tirando su le coperte fino al mento. Chiusi gli occhi e lasciai che il respiro si calmasse, sentendo il battito lento e costante accompagnarmi nel silenzio.
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Commenti per Schiava di uno sconosciuto pt. 4:
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