Prime Esperienze
Schiava di uno sconosciuto pt. 3
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20.01.2025 |
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"Ora voglio che l’evidenziatore diventi uno strumento nelle mie mani..."
Mi svegliai con un misto di eccitazione e stanchezza. La luce fioca del mattino filtrava attraverso le tende, creando un gioco di ombre morbide sul soffitto. Avevo dormito poco, ma non mi importava. Ogni volta che chiudevo gli occhi, la sua immagine ritornava, nitida come un'istantanea impressa nella mia mente: il sorriso sicuro, le sue parole che si ripetevano come un eco, avvolgendomi. Il leggero fruscio delle coperte sotto le mie mani mi riportava al presente, ma la tensione era ancora lì, pulsante. L’idea che mi avrebbe contattata di nuovo quella mattina era come una corrente elettrica che mi attraversava, tenendomi sveglia e carica di aspettative. Entrai in classe come ogni mattina, ma questa volta era diverso. La luce del sole filtrava attraverso le grandi finestre, disegnando ombre mutevoli sui banchi e sul pavimento. Il brusio costante delle voci dei miei compagni riempiva l’aria, un sottofondo di risate e chiacchiere che sembrava lontano, distante. Era come se ci fosse una barriera invisibile tra me e tutto il resto. Mentre mi muovevo verso il mio banco, sentivo la texture fredda del legno contro le dita quando lo sfiorai, quasi cercando un punto di ancoraggio. I miei compagni ridevano, chiacchieravano tra loro, ma io non riuscivo a partecipare. Il peso del cellulare nella tasca mi dava una strana sensazione di sicurezza e tensione al tempo stesso. La mia mente era altrove, completamente immersa in ciò che era successo e in ciò che sarebbe potuto accadere. Anche il profumo di gesso e carta che solitamente trovavo confortante sembrava stonato rispetto al vortice di pensieri che mi attraversavano.
Mi sedetti al mio banco e tirai fuori il telefono, accendendolo di nascosto. Aprii l'app per controllare se ci fossero nuovi messaggi, ma lo schermo era ancora vuoto. L’attesa era snervante, eppure mi piaceva. Ogni minuto che passava mi faceva desiderare sempre di più il suo contatto.
“Vanessa, ci sei?” La voce della mia amica Giulia mi fece sobbalzare. La guardai, cercando di nascondere il telefono sotto il banco.
“Sì, scusa. Pensavo a una cosa,” risposi, abbozzando un sorriso.
“Ti sei comportata in modo strano stamattina. Tutto bene?”
Annuii, cercando di sembrare convincente. “Sì, tutto a posto. Solo stanca.”
Lei mi fissò per un attimo, come se volesse dire qualcosa, ma poi scrollò le spalle e tornò a parlare con gli altri. Mi sentii sollevata. Non avevo voglia di spiegare nulla, soprattutto perché nemmeno io riuscivo a dare un senso a tutto quello che stavo provando.
Durante la lezione, il mio sguardo continuava a scivolare verso il telefono. Ogni vibrazione, ogni notifica, mi faceva venire il batticuore. Quando finalmente arrivò un messaggio, il respiro mi si bloccò.
Aprii l'app di nascosto, con le mani che tremavano leggermente. Era lui.
“Buongiorno, Vanessa. Sei stata una brava ragazza ieri sera. Oggi voglio che tu dimostri di nuovo quanto sei pronta a seguirmi. Sei pronta a fare ciò che ti chiederò, anche se sei a scuola?”
Sentii il cuore accelerare. Non sapevo cosa avesse in mente, ma la sola idea mi faceva venire i brividi. Scrissi rapidamente:
“Sì, sono pronta. Dimmi cosa devo fare.”
La sua risposta arrivò immediatamente, e il batticuore aumentò quando lessi le sue parole:
“Bene. Inizia scattando qualche foto della tua classe. Voglio vedere cosa c’è intorno a te. Fallo con discrezione. Non voglio che ti faccia notare.”
Deglutii, sentendo la gola stringersi leggermente mentre mi guardavo intorno con attenzione, cercando di accertarmi che nessuno stesse facendo caso a me. La classe era immersa in un brusio di sottofondo, risate soffuse e il graffio delle penne sulla carta. Posizionai il telefono sul bordo del banco, inclinando con cura la fotocamera verso la classe. La superficie del banco era fredda sotto le mie dita, un contatto che mi dava una sorta di conforto nel momento di tensione. Con un tocco rapido e deciso sullo schermo, scattai una foto, poi un’altra. Il suono soffocato dell’otturatore digitale mi fece sobbalzare per un istante, ma nessuno sembrava essersene accorto.
Il cuore mi martellava nel petto, ma quella scarica di adrenalina mi faceva sentire stranamente viva.
Aprii l’app e gli inviai le immagini, sentendo una strana emozione crescere dentro di me. Ogni piccola azione era un passo ulteriore verso qualcosa che desideravo sempre di più.
Dopo pochi istanti, arrivò la sua risposta: “Molto bene. Sei stata brava. Ora, vediamo… interessante.”
Il tempo sembrava rallentare mentre aspettavo il suo prossimo messaggio. Quando arrivò, il cuore mi mancò un battito.
“C’è un evidenziatore giallo sul banco del tuo compagno, quello davanti a te. Prendilo senza farti vedere e vai in bagno. Non farmi aspettare.”
Mi girai lentamente, cercando di non attirare attenzione, e vidi l’evidenziatore sul banco di Luca, il ragazzo che sedeva davanti a me. Era distratto, intento a parlare con un amico, e non sembrava far caso a nulla intorno a sé.
Mi sentivo le mani sudate mentre mi inclinavo in avanti, le dita che scivolavano silenziosamente verso l’evidenziatore. Lo presi in un movimento fluido, cercando di non fare rumore. Il cuore mi batteva così forte che temevo potessero sentirlo, ma nessuno si accorse di nulla.
Infilai l’evidenziatore nella tasca della felpa e mi alzai. “Vado in bagno,” dissi alzando appena la mano verso la professoressa. Lei annuì senza alzare lo sguardo dal registro, immersa nei suoi appunti. Mi diressi verso la porta con passo deciso, ma il cuore mi batteva forte. Il corridoio era avvolto da un silenzio irreale, spezzato solo dal ronzio lontano delle altre classi. Quando spinsi la porta del bagno, il suono del chiavistello sembrò più forte del solito, quasi amplificato dal vuoto dell’ambiente.
I bagni erano illuminati da una luce fredda al neon che rivelava ogni piccolo dettaglio delle piastrelle bianche leggermente screpolate. Un odore vago di detergente mischiato a quello più pungente dell’umidità si mescolava nell’aria, creando un’atmosfera sterile ma al contempo claustrofobica. Il suono dei miei passi riecheggiava nel silenzio, facendo sembrare il luogo ancora più vuoto. Mi avvicinai al lavandino, le mani che tremavano leggermente, e sentii il contatto liscio e freddo della ceramica sotto i polpastrelli. Ogni gesto sembrava più lento, carico di una tensione che non riuscivo a scrollarmi di dosso.
Una volta chiusa la porta del bagno dietro di me, aprii l'app. Digitai con le mani che tremavano:
“Ce l’ho. Sono in bagno. Cosa devo fare adesso?”
La sua risposta non si fece attendere: “Brava, Vanessa. Voglio che ora mi mostri che lo hai davvero. Mandami una foto.”
Presi l’evidenziatore dalla tasca e lo appoggiai sul lavandino. Scattai una foto e gliela inviai, il cuore ancora accelerato. Non riuscivo a credere che stessi facendo tutto questo, ma la sensazione era elettrizzante. Mi stavo lasciando guidare, e lo adoravo.
La sua risposta arrivò subito dopo: “Perfetto. Hai fatto un ottimo lavoro. Ora, voglio che usi quell’evidenziatore per fare qualcosa per me. Scrivi il mio nome sulla tua pelle. Ovunque tu voglia.”
Rimasi immobile per un istante, il respiro che si bloccava mentre fissavo il telefono. Non sapevo nemmeno il suo nome.
Scrissi rapidamente: “Non conosco il tuo nome. Come dovrei fare?”
“Scrivi ‘Padrone’,” rispose. “È tutto ciò che devi sapere per ora.”
Presi l’evidenziatore con mani tremanti, la plastica fredda e liscia che sembrava quasi scivolare sotto la mia presa incerta. Mi guardai allo specchio, osservando il riflesso del mio volto teso e la leggera foschia che il mio respiro aveva lasciato sulla superficie lucida. Lentamente, con gesti misurati, aprii il tappo dell’evidenziatore, il suono del clic che ruppe il silenzio come un colpo secco. Avvicinai la punta al mio ventre, sentendo la leggera pressione contro la pelle morbida mentre scrivevo la parola “Padrone” con movimenti lenti e deliberati. Il giallo vivido risaltava sulla mia carnagione, come un marchio che sembrava pulsare di significato sotto la luce fredda del bagno.
Mi fermai un momento, il cuore che batteva forte, e scattai una foto, l’immagine che catturava la mia pelle segnata e la scritta audace. Gliela inviai con un respiro profondo, sentendo una strana combinazione di eccitazione e vulnerabilità.
La sua risposta arrivò pochi istanti dopo che gli avevo inviato la foto della parola “Padrone” scritta sul mio ventre.
“Brava, Vanessa. Sei stata perfetta. Ora voglio che l’evidenziatore diventi uno strumento nelle mie mani. Tocca il tuo corpo con esso. Lentamente. Seguendo le mie istruzioni. Voglio che tu lo faccia come se fossi io a farlo.”
Il respiro si fece più profondo. Guardai l’evidenziatore tra le dita, le mani che tremavano leggermente per l’emozione. Il bagno era silenzioso, ogni suono sembrava amplificato, ma ero troppo immersa nella situazione per preoccuparmi di essere scoperta.
Scrissi rapidamente: “Va bene. Dimmi cosa devo fare.”
La sua risposta arrivò subito: “Inizia dalle cosce. Traccia una linea leggera sulla pelle, come una carezza. Voglio che tu lo faccia con calma, sentendo ogni movimento.”
Obbedii senza esitazione, appoggiando l’evidenziatore sulla pelle e tracciando una linea delicata sulla coscia destra, poi sulla sinistra. Ogni gesto sembrava amplificato, ogni centimetro di pelle che toccavo mi faceva sentire più connessa a lui.
Digitai con dita tremanti: “Sto seguendo le tue istruzioni. Ogni movimento mi fa pensare a te.”
“Bene. Ora risali. Lentamente. Traccia una linea lungo il fianco, fino al ventre. Segui la scritta che hai fatto. Voglio che tu senta ogni centimetro di pelle rispondere al mio comando.”
Portai l’evidenziatore verso l’alto, seguendo il contorno del fianco e poi sfiorando la scritta sul ventre. Le parole che avevo tracciato sembravano risaltare ancora di più sotto la luce fredda del bagno, come se avessero un peso maggiore di quanto avessi immaginato.
Scrissi ancora: “Sto facendo tutto quello che mi dici. Mi sento come se fossi qui con me.”
La sua risposta arrivò immediatamente: “Perché lo sono, Vanessa. Ora, lascia che l’evidenziatore scivoli più in alto. Disegna un cerchio intorno ai tuoi seni. Lentamente. Voglio che ti fermi solo quando te lo dirò io.”
Deglutii, il cuore che batteva forte mentre spostavo l’evidenziatore sul mio petto. Tracciai un cerchio intorno al seno sinistro, poi al destro, con movimenti lenti e precisi. Ogni gesto mi faceva sentire ancora più esposta, più vulnerabile, ma allo stesso tempo completamente sua.
“Molto bene. Ora, fermati un momento. Voglio che ti guardi nello specchio o qualsiasi strumento tu abbia per vederti. Voglio che io veda quello che stai facendo.”
Mi fermai e guardai il mio riflesso nella fotocamera del telefono. La mia immagine riflessa sembrava diversa, come se fossi diventata qualcun’altra. Qualcuno che finalmente aveva trovato ciò che cercava.
Scattai una foto e gliela inviai, accompagnata da un messaggio: “Ecco. Sono tutta per te.”
“Sei stata brava, Vanessa. Hai eseguito ogni ordine alla perfezione. Ora, voglio che ti spinga oltre. Voglio che tu simuli una penetrazione con l’evidenziatore. Lentamente. Ogni gesto deve essere controllato. Voglio che lo faccia come se fossi io a farlo. Mi descriverai tutto.”
Il cuore mi batteva forte, ma non c’era paura. Solo un desiderio crescente di obbedire, di mostrargli che ero disposta a fare tutto ciò che mi chiedeva. Scrissi con mani tremanti:
“Va bene. Lo farò.”
Portai l’evidenziatore verso le mie parti intime, la plastica fredda che premeva leggermente contro le dita, amplificando la mia consapevolezza di ogni gesto. Ogni movimento era lento, deliberato, come se stessi seguendo un copione invisibile che lui aveva scritto per me. Il suono della mia respirazione, più profonda e irregolare, riempiva il silenzio asettico del bagno, mentre la punta liscia sfiorava con cautela le labbra della mia vagina. Un brivido mi attraversò, un misto di nervosismo ed eccitazione. Il contatto sembrava accendere una scintilla sulla pelle, costringendomi a chiudere gli occhi per un istante e lasciarmi trasportare dalla sensazione.
Scrissi: “Ho iniziato. Lo sto facendo lentamente, come mi hai chiesto.”
La sua risposta arrivò immediatamente: “Brava. Voglio che ora ti spinga un po’ più in profondità. Fallo con calma, godendo di ogni istante. Voglio che tu senta ogni centimetro, come se fosse la mia presenza a riempirti.”
Obbedii, lasciando che l’evidenziatore scivolasse lentamente dentro di me. La plastica fredda, liscia al tatto, sembrava accarezzare la pelle con una delicatezza innaturale, provocando un contrasto intenso con il calore crescente dentro di me. Ogni millimetro percorso era un vortice di sensazioni: una scintilla di nervosismo misto a un'eccitazione pungente, un brivido che correva lungo la schiena e una pulsazione profonda che si diffondeva nel ventre. Sentivo i muscoli contrarsi in risposta, mentre le mie mani tremavano leggermente nel mantenere il controllo del gesto. La consapevolezza che lo stavo facendo per lui, seguendo le sue istruzioni con una precisione quasi religiosa, rendeva ogni percezione amplificata, più vivida. Ogni movimento sembrava un’offerta sacra, un atto deliberato per dichiarare apertamente la mia appartenenza a lui. Inspirai profondamente, il suono del mio respiro che riempiva il silenzio del bagno, un silenzio quasi vibrante che sembrava pulsare insieme al mio corpo. Il contatto con la plastica sembrava persino enfatizzato dalla luce fredda al neon, che illuminava ogni sfumatura della mia pelle, ogni emozione riflessa nello specchio.
Scrissi, le mani che tremavano per l’intensità del momento: “Lo sento. È come se fossi qui con me. Ogni movimento è per te.”
“Continua. Ora voglio che ti concentri sul tuo clitoride. Usa l’evidenziatore per stimolarti delicatamente. Descrivimi come ti fa sentire. Voglio che ogni sensazione diventi mia.”
Portai l’evidenziatore verso il mio clitoride, le dita che lo stringevano tremanti per l’emozione. La punta liscia e fredda sfiorò la pelle sensibile, tracciando movimenti leggeri e circolari, ogni gesto un richiamo al desiderio che cresceva dentro di me. La tensione pulsava, irradiandosi in ogni fibra del mio corpo. Un calore avvolgente sembrava invadermi, mentre il mio respiro diventava irregolare, scandendo i secondi in una melodia di piacere crescente. Ogni movimento dell’evidenziatore era carico di intenzione, come se trasmettesse un messaggio segreto al mio corpo, amplificando ogni senso.
“Sei perfetta. Ora voglio che tu faccia una cosa per me. Scatta una foto. Voglio vedere l’evidenziatore ancora dentro di te. Mostrami quanto ti stai spingendo oltre per me.”
Il cuore mi martellava nel petto. Ogni comando che mi dava era un passo oltre il confine, eppure non sentivo paura. C’era solo desiderio, un’irrefrenabile voglia di compiacerlo, di dimostrargli che ero pronta a tutto.
Scrissi rapidamente: “Va bene.”
Ogni tuo gesto dimostra quanto sei mia. Voglio che guardi questa foto e ti ricordi chi sei e a chi appartieni.”
Mi morsi il labbro, il respiro ancora affannoso. Ogni sua parola era un sigillo, un marchio che sentivo sempre più profondo dentro di me.
“Ora, fermati. Pulisciti con calma, sistema tutto e torna in classe. Ogni volta che obbedisci, rafforzi il tuo legame con me. Sei stata perfetta oggi.”
Mi fermai, il respiro che si faceva più lento mentre seguivo le sue istruzioni. Pulii la pelle con attenzione, facendo sparire ogni traccia, ma dentro di me sapevo che nulla avrebbe cancellato ciò che provavo. Rimisi l’evidenziatore in tasca, sistemai i vestiti e mi guardai un’ultima volta nello specchio. Mi sentivo diversa, trasformata.
Tornai in classe cercando di non attirare l’attenzione. Il brusio delle voci mi sfiorava appena, come onde lontane, mentre le luci al neon sopra di me sembravano troppo intense, quasi abbaglianti. Sentivo i battiti del mio cuore ancora martellare nelle orecchie, e ogni respiro era un promemoria del confine che avevo appena oltrepassato. Mi passai una mano sulla fronte, tentando di placare il calore che avvampava sotto la pelle. Nessuno sapeva nulla, ma io non riuscivo a smettere di sentire il peso di quel momento: le mie dita, sembravano voler trattenere l'eco di ciò che avevo appena fatto. La consapevolezza di quanto mi stessi spingendo lontano per lui mi avvolgeva come una seconda pelle. E mi piaceva, con un’intensità che mi faceva mancare il fiato.
La mattinata trascorse in modo quasi insopportabile. Ogni ora che passava senza un suo messaggio era un tormento. Mi sentivo vuota, come se una parte di me fosse rimasta bloccata in quella conversazione interrotta. Ero presente in classe solo fisicamente; la mia mente vagava altrove, ripensando a ciò che era accaduto quella mattina nel bagno della scuola, alle sue parole, al modo in cui avevo obbedito senza esitazione.
Quando finalmente suonò la campanella, tornai a casa con i pensieri che si accavallavano. Entrai in cucina e il profumo del sugo sobbollente mi avvolse, il tepore domestico sembrava quasi in contrasto con il caos nella mia mente. Mi sedetti a tavola, osservando mia madre che serviva i piatti con un sorriso affettuoso. "Tutto bene?", chiese mentre mi porgeva un bicchiere d'acqua. Annuii, rispondendo distrattamente alle domande sui compiti e sulla giornata scolastica, cercando di mascherare l’irrequietezza. I suoni delle posate che tintinnavano e le chiacchiere di mio padre facevano da sottofondo, ma la mia mente era altrove, completamente assorbita da un unico pensiero: lui. Mi chiedevo perché non si fosse fatto sentire. Era arrabbiato? Mi stava mettendo alla prova? Avevo fallito? Ogni ipotesi aumentava il battito del mio cuore, facendomi scivolare in un silenzio che sembrava quasi irreale.
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