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incesto

Legami Proibiti pt. 1


di Ginger_freckles
20.01.2025    |    347    |    0 6.0
"Mi giravo e rigiravo, il cuscino sembrava troppo duro o troppo morbido a seconda dell'attimo, e la mia mente non smetteva di rievocare ogni istante della..."
Abito ancora sotto lo stesso tetto con la mia famiglia, un contesto all'apparenza normale, quasi banale. Ma sotto questa superficie ordinaria, nel mio cuore si agita un segreto impetuoso, un desiderio inconfessabile che mi fa vibrare di vita e al contempo mi avvolge di colpa, simile a un fuoco selvaggio che divampa senza lasciarmi scampo né respiro.
Ogni giorno, il mio cuore batte più forte quando vedo mio padre. È un uomo che la vita ha reso forte e affascinante, con spalle ampie e mani che raccontano storie di fatica e cura. Non so quando è successo, ma mi ritrovo a osservarlo furtivamente, con lo sguardo di chi cerca qualcosa di proibito. Amo il suo sorriso, quel lieve sollevare delle labbra che sembra svelare segreti nascosti. I suoi occhi penetranti sembrano leggere dentro di me senza dire una parola, lasciandomi esposta.
La mia attrazione è un segreto che custodisco gelosamente, un enigma che mi avvolge e mi scuote. Ogni momento passato insieme è un tormento dolce e amaro, come la melodia struggente di una canzone mai finita. Quando siamo soli in casa, invento ogni scusa possibile per stargli vicino: un gesto distratto per sfiorargli la mano, un abbraccio fugace solo per respirare il suo profumo, un richiamo al calore che mi fa sentire viva. Eppure, il senso di colpa mi avvolge come una coperta pesante, soffocante ma irresistibile.
Non so come gestire questa situazione. Ho paura che qualcuno possa scoprire i miei sentimenti, che questo segreto diventi un peso insostenibile. Ma allo stesso tempo, non riesco a smettere di pensare a lui. Ogni suo sguardo sembra accendere un incendio dentro di me, un desiderio inconfessabile che mi eccita e mi spaventa, lasciandomi sospesa tra la paura e il piacere.
Una sera decisi di spingermi ancora oltre, sfidando quel confine fragile tra la curiosità e il desiderio per scoprire se anche lui sentisse quel legame segreto tra noi, intenso e inconfessabile. Sapevo bene quanto fosse rischioso, ma il battito frenetico del mio cuore mi rendeva impossibile tornare indietro, spingendomi sempre più in avanti verso l'ignoto con una miscela esplosiva di paura e bramosia.
Davanti allo specchio della mia stanza, mi sono fermata un istante a osservare il riflesso: una giovane donna in bilico tra l'innocenza e la trasgressione. Ho scelto una t-shirt sottile, senza reggiseno, il tessuto leggero accarezzava la pelle con una delicatezza quasi seducente. L'aderenza lasciava intuire i contorni dei miei capezzoli, una sfida involontaria al pudore e al controllo. L'idea di apparire così mi travolgeva, una vertigine di audacia e vulnerabilità al tempo stesso. Un fremito sottile mi percorreva, un miscuglio di euforia e paura che rendeva quell'attimo elettrico e indimenticabile.
Quando sono scesa in salotto, lui era lì, seduto sul divano, lo sguardo assente rivolto verso la TV che trasmetteva immagini senza significato. Il riflesso azzurrino dello schermo danzava sulle sue guance e io mi fermai un istante a osservarlo, cercando di contenere il tumulto che mi si agitava dentro. Ho inspirato a fondo, cercando di celare la tempesta sotto un velo di apparente calma, e mi sono seduta accanto a lui con un gesto disinvolto, anche se le mie mani tremavano appena, come foglie al vento.
Fingevo un interesse svogliato per il programma in sottofondo, ma in realtà ogni fibra del mio essere era sintonizzata su di lui: il modo in cui inclinava appena la testa, il respiro regolare ma più profondo, quasi impercettibile. Anche i suoi sguardi fugaci, che a volte sembravano sfiorarmi per poi scivolare via, erano un mistero che mi catturava irrimediabilmente.
Poi, con una lentezza volutamente studiata, mi sono chinata per raccogliere il telecomando scivolato a terra, sapendo che quel gesto avrebbe attirato la sua attenzione. La mia t-shirt si è sollevata leggermente, svelando più di quanto avessi immaginato e lasciando intravedere la pelle nuda, tesa e luminosa sotto la luce soffusa del soggiorno. Ho sentito il suo sguardo su di me, un fuoco liquido che si posava sulla mia schiena come una carezza bruciante, intensa e silenziosa. Il mio respiro è rallentato, ogni secondo sembrava dilatarsi, congelando quell'attimo in una bolla sospesa tra realtà e desiderio.
Mi sono rialzata con calma, cercando di mantenere la naturalezza, ma il calore del suo sguardo sembrava bruciare sulla mia pelle, un contatto invisibile che faceva fremere ogni centimetro del mio corpo. Non so se fosse tutto frutto della mia fantasia, un sogno avvolto dal velluto del desiderio, o se lui avesse davvero percepito la stessa attrazione che mi attraversava come un brivido profondo. Ogni dettaglio di quel momento sembrava amplificato: il crepitio della TV in sottofondo, il battito sordo del mio cuore nelle orecchie, l'elettricità sospesa nell'aria come un filo teso tra noi.
Aiutando la mamma a preparare la cena, parliamo del più e del meno, delle piccole cose quotidiane, ma la mia mente vaga oltre le parole. La osservo mentre si muove in cucina, cercando di capire cosa avesse conquistato mio padre tanto profondamente in lei. Mi soffermo a studiare i dettagli: i suoi capelli castani, morbidi e lisci, e i miei rossi ramati, ribelli e accesi. Lei è alta circa un metro e sessanta, io un metro e settanta, più slanciata, quasi statuaria al suo confronto. Ha un corpo morbido, non magrissimo ma nemmeno grasso, mentre io ho curve più definite, seni pieni che riempiono una terza abbondante, mentre i suoi a stento sfiorano una seconda. I confronti si intrecciano nella mia mente, dipingendo un quadro impietoso che non posso ignorare. Mi sento superiore, un pensiero che mi punge come una spina, perché so quanto sia sbagliato. Eppure, è solo un gioco, mi ripeto. Sto solo fantasticando, mi dico, mentre il profumo del soffritto si mescola al brusio dei miei pensieri proibiti.
Lui si avvicinò con passo lento e prese il guanto da forno, commentando con un sorriso scherzoso: "Speriamo che non sia diventato carbone, sai come mi scoraggio quando mi rovini le ricette segrete!". La sua voce aveva un tono caldo, quasi complice, e portava con sé il profumo familiare di dopobarba, mescolato al calore della sua presenza. Mentre apriva lo sportello del forno, la sua spalla sfiorò la mia, e un brivido mi percorse. Sentii il respiro sfiorare il mio collo, un soffio caldo che fece vibrare la pelle.
Per un attimo, restammo vicini, immersi in quel momento sospeso tra la quotidianità e un'intimità nascosta, velata e profonda. L'aria tra noi sembrava vibrare sotto il peso di parole non dette. Lui rimase immobile, e io sentii il calore irradiarsi dalla sua presenza. Con un gesto lieve, appena percepibile, finsi di perdere l'equilibrio e mi appoggiai al suo fianco, lasciando che il mio corpo sfiorasse il suo con una leggerezza quasi impercettibile. Il contatto, pur breve, sembrava prolungarsi nell'eternità di un respiro trattenuto, mentre il mio sedere si appoggiava contro di lui per un istante appena troppo lungo, scandendo un confine invisibile che sapevo di oltrepassare.
Sentii il suo corpo irrigidirsi per un istante, un tremito quasi impercettibile lo attraversò. Non sapevo se avesse capito che fosse intenzionale, ma il contatto fece esplodere una scarica di eccitazione dentro di me. Mi voltai leggermente, mantenendo un'espressione innocente e accennando un sorriso timido per celare il mio turbamento. "Scusa", mormorai con un filo di voce, come se davvero fosse stato solo un incidente.
Lui sorrise, ma era un sorriso teso, come se celasse una tempesta di pensieri. I suoi occhi si soffermarono su di me più a lungo del necessario, scrutandomi con un'intensità che fece vibrare l'aria tra noi, rendendola densa e carica di qualcosa che non osavo definire. Eppure, un dubbio si insinuò nella mia mente: forse tutto questo non era altro che frutto della mia immaginazione, un quadro dipinto dai miei desideri e non dalla realtà.
Passano settimane in cui la mia vita scorre monotona, intrappolata nella solita routine fatta di lavoro, incontri con gli amici e qualche uscita con ragazzi che non lasciano alcuna traccia. Sorrido, chiacchiero, indosso la maschera della spensieratezza, ma dentro sento un vuoto sottile, quasi una crepa invisibile che attraversa ogni mia certezza. È come se nulla riuscisse a toccare davvero la parte più profonda di me, quella che brama qualcosa di più, qualcosa di inafferrabile e vero.
Ho sempre amato l'idea di essere sedotta con le parole, con i pensieri, rapita e travolta da emozioni autentiche, quelle che ti tolgono il respiro. Ma nessuno riesce a farlo del tutto. Nessuno, tranne lui. Lui, l'unico che, anche nella distanza, è capace di far vibrare corde nascoste, di accendere in me scintille che gli altri nemmeno immaginano.
Un pomeriggio, convinta di essere sola in casa, decisi di concedermi una lunga doccia rigenerante, quasi un rituale di abbandono e piacere. Spogliandomi lentamente davanti allo specchio, osservai il mio corpo avvolto dalla luce calda del bagno, come se la stanza stessa mi abbracciasse. Ogni centimetro della mia pelle sembrava prendere vita sotto il mio sguardo. Entrando sotto il getto tiepido, lasciai che l'acqua scorresse lungo il collo e le spalle, tracciando sentieri scintillanti lungo i miei seni e sui fianchi.
Con le mani insaponate, percorsi ogni curva con gesti lenti, lasciando che la schiuma profumata di vaniglia e fiori bianchi scivolasse sensualmente lungo la pelle. Le dita seguirono il contorno del collo, delle braccia, dei fianchi, indugiando in un'autoconsapevolezza intensa e totale. Chiusi gli occhi, lasciando che il calore e il vapore mi avvolgessero completamente, rendendo ovattati i rumori e limpidi i pensieri.
L'acqua scorreva come un abbraccio liquido, mentre io assaporavo ogni istante con una lentezza che sfiorava la devozione.
Terminata la doccia, afferrai un morbido asciugamano e tamponai la pelle, lasciando i capelli ancora umidi che cadevano come una cascata sui miei seni e lungo la schiena. Indossai dei pantaloni comodi ma lasciai la parte superiore del corpo scoperta per permettere alla pelle di respirare ancora un po'. Con i capelli bagnati che aderivano alla mia pelle, uscii dal bagno e attraversai il corridoio diretta verso la mia stanza.
Non appena aprii la porta, mi trovai faccia a faccia con mio padre, che nel frattempo era rientrato in casa senza che me ne accorgessi. Il suo volto tradiva una sorpresa sincera, e il respiro gli si fermò per un istante. Restammo entrambi impietriti, come statue sorprese dal tempo. I suoi occhi vagarono su di me con un misto di imbarazzo e sgomento, ma anche di un'emozione che non sapevo definire. Un silenzio carico di significati si distese tra di noi, facendo sembrare ogni secondo eterno.
Forse l'ultima volta che mi aveva vista così vulnerabile e scoperta ero solo una bambina, con ginocchia sbucciate e capelli arruffati. Ma ora ero una donna, con curve morbide e forme definite, una sensualità che non poteva più essere ignorata. Il suo sguardo si smarrì per un istante, come se faticasse a riconciliarsi con questa nuova immagine di me, lasciandomi sospesa tra il desiderio di fuggire e la strana consapevolezza di essere vista davvero.
Il suo volto si tinse di un rossore immediato e con voce spezzata dalla vergogna mormorò: «Mi dispiace, davvero...» sembrava quasi cercare le parole giuste, ma ogni frase moriva sulle sue labbra. Mi coprii d'istinto il petto con le braccia, sentendo il contatto freddo della mia pelle ancora umida contro le mani tremanti. «No, scusa tu...», risposi, con un sorriso incerto che celava il tumulto dentro di me. «Pensavo di essere sola.»
Lui abbassò lo sguardo con un'espressione tormentata e passò una mano tra i capelli, un gesto nervoso che lo rendeva vulnerabile. «Non volevo... non avrei mai...» balbettò, lasciando la frase in sospeso.
Il mio cuore batteva all'impazzata mentre cercavo di respirare a fondo per riprendermi. «Va tutto bene,» sussurrai, più per convincere me stessa che per lui. Mi sforzai di mantenere la calma, ma i miei passi tradivano la fretta con cui cercavo di fuggire. In un battito di ciglia, mi voltai e mi diressi verso la mia stanza. Sentivo ancora i suoi occhi seguirmi, carichi di emozioni incomprensibili.
Chiusi la porta dietro di me con un tonfo lieve e mi appoggiai contro di essa, le mani che scivolavano lungo la superficie fredda mentre il respiro si faceva pesante. Mi sentivo scossa, come se un uragano fosse passato attraverso il mio petto, lasciando dietro di sé frammenti di sensazioni che non riuscivo a raccogliere.
Mi buttai sul letto, sentendo i capelli umidi spargersi sulle coperte, inzuppandole leggermente. Le ciocche fredde si appiccicavano alla mia pelle, amplificando la sensazione di vulnerabilità. Il mio cuore batteva così forte che sembrava sul punto di scoppiare, e ogni respiro era un affanno sottile. Dentro di me si combattevano due voci: una che cercava di rassicurarmi, ripetendo che non era successo nulla di irreparabile, che dovevo calmarmi e dimenticare tutto; l'altra, insistente e insinuante, alimentava pensieri proibiti che non avrei mai dovuto fare. Mi ricordava i suoi occhi che avevano indugiato su di me, lo sguardo disarmato e confuso.
La mia mente corse a quell’immagine che avevo cercato di allontanare: il dettaglio imbarazzante del rigonfiamento nei suoi pantaloni, che forse era solo un’illusione... oppure no. Chiusi gli occhi e affondai la faccia nel cuscino, cercando disperatamente di respingere quelle sensazioni che mi lasciavano scossa e confusa, come se l'uragano che avevo dentro avesse appena iniziato a farsi sentire.
Mi alzai lentamente dal letto e mi avvicinai allo specchio, con i capelli ancora umidi che aderivano alla pelle e si appoggiavano sulle spalle come onde ramate. Osservai il mio corpo riflesso, il modo in cui la luce morbida tracciava le curve del mio profilo. Lentamente, passai una mano lungo il petto, scendendo tra i seni, esplorando la sensazione di quel tocco. Mi venne in mente ciò che aveva visto lui, quella frazione di secondo che sembrava dilatarsi nella mia memoria.
Mi domandai, quasi con timore, se anche per lui quel momento fosse stato così indelebile. Gli sarà piaciuto? Un brivido contrastante mi attraversò: vergogna e un sottile piacere perverso che non osavo confessare nemmeno a me stessa. I miei occhi si soffermarono sul riflesso per qualche istante ancora, prima di distogliere lo sguardo, come se cercassi di sfuggire ai pensieri che minacciavano di sopraffarmi.
Una sera, mentre chiacchieravo con le mie amiche al tavolino di un bar affacciato su una piccola piazza illuminata dalle luci calde dei lampioni, sorseggiavamo calici di vino bianco che scintillavano al sole al tramonto. Le risate echeggiavano mentre le voci si intrecciavano tra racconti e confidenze. Marta, con gli occhi che brillavano di complicità, si avvicinò al tavolo e sussurrò con un sorriso furbo: «Ragazze, non potete immaginare cosa ho fatto con il mio ragazzo...».
«Sentiamo!» esclamò Anna, incuriosita, mentre io sorridevo alzando un sopracciglio.
Marta si guardò intorno, quasi fosse un segreto da custodire gelosamente. «Ho creato un profilo Instagram con un nome falso per metterlo alla prova.» Le sue parole ci lasciarono a bocca aperta, seguite da una serie di risate sorprese.
«Sul serio? E come ha reagito?» chiesi, divertita ma con una nota di incredulità.
«Ci è cascato in pieno,» confessò lei, ridendo. «E io gli ho scritto cose assurde per vedere fino a dove sarebbe arrivato.»
Le risate riempirono l'aria, ma dentro di me quella storia lasciò un segno più profondo. Mentre le altre continuavano a commentare, io rimasi pensierosa, osservando il riflesso tremolante del vino nel bicchiere. L’idea di poter essere qualcun altro, di scoprire segreti nascosti, mi incuriosiva più di quanto volessi ammettere.
Quella notte, tornata a casa, non riuscii a togliermi quell'idea dalla testa. Decisi di fare lo stesso. Creai un profilo finto, fingendomi un'altra ragazza con un nome inventato e una mia foto scattata in penombra, in cui si vedevano solo i miei capelli rossi che ricadevano morbidi sulle spalle e una scollatura appena accennata. Iniziai a seguirlo e a mettere like ai suoi post, cercando di attirare la sua attenzione. Dopo qualche giorno, rispose e iniziò a seguirmi.
All'inizio, le conversazioni erano leggere, fatte di banalità e sorrisi virtuali. Parlavamo delle nostre giornate, dei suoi progetti al lavoro e del mio amore per i libri. Mi raccontava spesso della moglie, mia madre, quasi come se volesse ricordarmi continuamente che era sposato, e questo mi faceva riflettere. "Quanto è fedele," pensavo tra me e me, ammirando la sua onestà.
Ma poi, spinta da una curiosità inquieta, iniziai a provocarlo con messaggi allusivi, intrecciando parole che sembravano giostrare tra innocenza e seduzione. Una sera, con il cuore che batteva forte, gli scrissi: «Chissà come sarebbe sorseggiare un bicchiere insieme sotto le stelle, lontano da tutto...» con un tono scherzoso ma che lasciava trasparire qualcosa di più. Lui rispondeva, a volte con un'inaspettata timidezza, altre con un entusiasmo che sembrava spezzare la sua compostezza. «Non dovrei risponderti così,» scrisse una volta, «ma è come se non riuscissi a farne a meno.»
I nostri dialoghi si fecero sempre più intrecciati, ricchi di sottintesi e di piccoli spazi da riempire con immaginazione e desiderio.
Una sera, dopo un gioco di messaggi sempre più audaci, continuammo a scriverci con parole che sembravano incendiare la distanza tra noi.
"Sei lì a scrivere con il sorriso o con gli occhi chiusi?" gli scrissi, giocando sulla sua complicità.
"Con gli occhi che immaginano... e tu?" rispose lui, aumentando il palpito del mio cuore.
"Con i capelli ancora umidi e la pelle fremente," digitai, sentendo l'elettricità tra di noi.
Seguì una pausa, poi arrivò il suo messaggio: "Non dovrei pensare a te così, ma è impossibile."
Le sue parole mi attraversarono come una scossa. Continuammo, intrecciando immagini e sussurri scritti, fino a spingerci oltre le semplici battute.
"Mostrami quanto mi desideri... dimostramelo," gli scrissi con un brivido, sapendo che stavo spingendo i limiti in un modo seducente e pericoloso.
Dopo un momento di esitazione, arrivò una foto. Era scattata in penombra, dove si intravedeva appena un'erezione nascosta, con i pantaloni e i boxer leggermente abbassati fino a lasciare visibile l'inizio del suo membro. L'immagine era discreta e carica di tensione, tanto da provocarmi un'ondata di eccitazione e stranezza insieme. Era surreale vedere una parte così privata di lui, una rivelazione che mi fece trattenere il respiro, come se il confine tra realtà e immaginazione fosse stato violato.
"È perfetto... mi fai impazzire," scrissi, lasciando che le dita scorressero sulla tastiera come un riflesso del mio respiro accelerato.
Lui non rispose subito. Poi arrivò: "E tu? Dimostrami quanto mi desideri... voglio sentire le tue emozioni." Quelle parole si insinuarono nella mia mente come un sussurro caldo e travolgente.
Mi fermai un istante, le labbra socchiuse mentre cercavo il coraggio. Alla fine, scelsi di rispondere con una foto scattata ad arte: i miei capelli ricadevano in morbide onde sul mio seno nudo, mentre la penombra accarezzava la scollatura. Nulla di riconoscibile, ma tutto lasciava intendere.
"Sei divina... sei in ogni mio pensiero," rispose, e quelle parole mi scivolarono dentro come un fuoco dolce e pericoloso.
"Mi eccita sapere che mi vuoi," scrissi, immaginando le sue mani sfiorarmi. La conversazione si trasformò in un vortice di parole intense e sussurrate, dove ogni frase sembrava fatta per accendere l'altra.
"Vorrei che le mie mani esplorassero ogni centimetro di te..." continuò lui, e io chiusi gli occhi, immaginando il calore della sua pelle.
"Immagina di essere qui," digitai con un tremito, "il mio respiro sulla tua bocca, le mie dita che scorrono lungo la tua schiena."
La sua risposta era colma di desiderio: "Non riesco a pensare ad altro che a come sarebbe averti." Quelle parole mi fecero vibrare.
"Riempimi di te... voglio sentire ogni emozione," conclusi, lasciando che il nostro scambio raggiungesse un crescendo di desiderio raffinato e sensuale, dove la realtà e la fantasia si confondevano in una danza travolgente.
Lui confessò di essersi abbandonato al piacere fino a raggiungere l'orgasmo. Io, invece, non ci riuscii: ero troppo sopraffatta dalle emozioni, un vortice di eccitazione e ansia che mi lasciava il cuore in gola, battente e irregolare. Il desiderio mi avvolgeva come una fiamma, ma la tensione rendeva impossibile lasciarmi andare completamente, come se ogni respiro amplificasse quel confine sottile tra desiderio e autocontrollo.
Poso il telefono sul comodino con un gesto lento, quasi esitante, come se chiudere la conversazione fosse una resa. La luce dello schermo si affievolisce, lasciandomi immersa nella penombra della stanza. Mi sdraio sul letto e fisso il soffitto, mentre il mio respiro cerca di ritrovare un ritmo regolare, ma il cuore non vuole rallentare.
Il cuscino è fresco sotto la guancia, ma la mia pelle è ancora calda, attraversata da scosse sottili come braci sotto la cenere. Chiudo gli occhi, e le sue parole risuonano nella mia mente come un'eco seducente, ripetendosi in un ciclo ipnotico. Mi sembra di sentire ancora il calore del suo desiderio, il peso delle sue mani immaginarie che mi sfiorano, e la dolcezza proibita di ciò che non può esistere davvero.
"Perché mi travolge così tanto?" mi chiedo, mordendomi il labbro. Cerco di distrarmi, ma ogni pensiero ritorna a lui, a quello scambio che mi ha fatta sentire viva e vulnerabile al tempo stesso. Il confine tra fantasia e realtà si assottiglia, lasciando una scia di brividi sulla mia pelle.
Il mio corpo è esausto, ma la mente è in subbuglio. Immagino i suoi occhi su di me, immagino le sue dita che mi cercano. Eppure, sotto la coltre del desiderio, sento anche un’ombra di timore: quanto a lungo posso restare sospesa in questo limbo senza bruciarmi?
Mi stringo tra le lenzuola, cercando conforto, ma il vuoto accanto a me amplifica l'assenza. Sospiro e sento le palpebre farsi pesanti, mentre il respiro rallenta lentamente. Con un ultimo pensiero dolce-amaro, le immagini sfumano in un intreccio di sogni confusi, e crollo in un sonno profondo e irregolare, colmo di ombre e sussurri che si dissolvono come rugiada all'alba.

Il mattino seguente, la sveglia suonò con il suo solito rintocco insistente, strappandomi dai residui di sogni indistinti che ancora mi avvolgevano. Socchiusi gli occhi, lasciando che la luce del giorno filtrasse lentamente nella stanza. Il mondo reale tornava a reclamarmi, con i suoi impegni e le sue abitudini rassicuranti. Dopo un lungo respiro, mi alzai e preparai la mia giornata lavorativa.
Dopo una rapida colazione, infilai la divisa da lavoro: un paio di jeans comodi e una maglia nera che riportava il nome del salone in caratteri dorati. I miei capelli, ancora leggermente mossi dal sonno, furono raccolti in una coda alta. L'aroma del caffè ancora mi seguiva mentre uscivo di casa e montavo sullo scooter, diretta verso il salone di bellezza.
Il salone era già avvolto da un’energia frizzante quando arrivai. L’insegna brillava al sole e il suono delle forbici e dei phon si mescolava con la musica leggera di sottofondo. Appena entrai, Laura, la mia collega, mi accolse con un sorriso caloroso.
«Ciao! Sei pronta per la giornata piena di appuntamenti?» mi chiese, mentre armeggiava con le spazzole.
«Pronta più che mai», risposi, restituendole il sorriso.
Il primo cliente della mattinata era una donna elegante sulla cinquantina, con lunghi capelli castani che necessitavano di una piega perfetta. «Voglio essere impeccabile per una cena speciale», disse con occhi sognanti. Mi concentrai sui movimenti delle mani, sentendo il familiare piacere del creare qualcosa di bello attraverso piccoli gesti precisi.
Tra una piega e un taglio, il pensiero della notte precedente ogni tanto riaffiorava. Era come una scintilla nascosta tra i riccioli di capelli che lisciavo. Ogni volta che il ricordo si insinuava nella mia mente, sentivo un lieve calore risalire dal collo alle guance. Cercai di scrollarmi di dosso quelle sensazioni, focalizzandomi sui sorrisi delle clienti e sulla conversazione leggera con le colleghe.
Verso metà mattinata, mentre spazzolavo con cura i capelli lucenti di una ragazza per la sua prova acconciatura da matrimonio, Laura si avvicinò e mi sussurrò con complicità: «Hai uno sguardo distratto stamattina... notte insonne?». Sorrisi, cercando di mascherare l'imbarazzo. «Solo pensieri sparsi», risposi.
Il salone si riempiva di risate e frammenti di storie raccontate dalle clienti. Mentre rifinivo le ultime ciocche di una nuova acconciatura, un senso di stabilità e routine mi abbracciava, come una musica che riportava l'armonia. Eppure, sotto quella superficie di normalità, il ricordo delle sue parole continuava a scivolare tra i miei pensieri come un sussurro mai del tutto sopito.
Il lavoro, le chiacchiere e le onde profumate di shampoo e balsami continuarono a riempire la giornata. Durante una breve pausa, mentre sorseggiavo un bicchiere d'acqua accanto al bancone, il ragazzo del bar poco distante entrò con un sorriso e un piccolo vassoio. Sul vassoio c'era una tazza di caffè fumante e una rosa rossa. «È per te,» disse con un cenno gentile. Sgranai gli occhi sorpresa, e lui aggiunse: «Da parte di Marco, quello dell'agenzia assicurativa...»
Mi sentii arrossire mentre prendevo la rosa e notavo un bigliettino legato al gambo con un nastro sottile. Lo aprii con delicatezza e lessi: «Stasera, niente scuse. Voglio vederti. Una sola risposta: sì.»
Laura mi osservava con un sorrisetto divertito e alzò un sopracciglio. «Wow, è deciso questo Marco,» commentò.
Non potei fare a meno di sorridere. Marco era sulla trentina, un uomo affascinante e gentile. Mi aveva chiesto di uscire più volte, ma avevo sempre declinato per via delle mie storie passate. Non perché non mi piacesse, ma perché non volevo sentirmi con il piede in due scarpe. Ma ora, con il profumo della rosa e quel messaggio audace, la sua insistenza mi sembrava dolce e irresistibile.
Mi sedetti un istante e presi il telefono tra le mani, il cuore che batteva ancora leggermente più veloce. Scrissi un messaggio a Marco per ringraziarlo della rosa e del caffè, aggiungendo una faccina sorridente per alleggerire il tono: «Grazie davvero, è stata una sorpresa bellissima.» La risposta arrivò quasi immediata: «Stasera alle 20:30 passo a prenderti io. Mandami la posizione su WhatsApp, e stavolta non accetto scuse.»
Sorrisi tra me, colpita dal tono deciso e affettuoso. Le sue parole sembravano avvolgermi, lasciandomi con una leggera trepidazione che rendeva l'attesa ancora più elettrizzante.
Terminato il turno lavorativo, tornai a casa con passo svelto, cercando di assaporare ogni momento della serata che stava per iniziare. Entrando, trovai mia madre in cucina che preparava la cena. «Non ceno a casa stasera», dissi con un tono mentre mi dirigevo verso la mia stanza con un sorriso sulle labbra.
«Con chi esci?» chiese con un sorriso curioso.
«Con Marco!» risposi di sfuggita, cercando di mascherare l'eccitazione.
Salita in bagno, mi spogliai lentamente, lasciando cadere i vestiti in un angolo. Aprii l’acqua della doccia, lasciando che il getto caldo riempisse la stanza di vapore. Entrando sotto il flusso d’acqua, chiusi gli occhi e lasciai che ogni goccia scivolasse sulla mia pelle, sciogliendo la tensione e accarezzando ogni centimetro. Le mani insaponate seguirono le linee del mio corpo, percorrendo le spalle, i fianchi e il collo con una lentezza studiata, quasi rituale. Il profumo dolce del bagnoschiuma si diffondeva nell’aria, mentre il calore mi avvolgeva come un abbraccio intimo e confortante.
Uscita dalla doccia, mi avvolsi in un morbido asciugamano e rimasi un istante davanti allo specchio, osservando i miei capelli rossi che cadevano umidi sulle spalle. Scelsi con cura cosa indossare: optai per un vestito nero, semplice ma elegante, con una leggera scollatura che accarezzava il décolleté senza essere eccessiva. Le spalline sottili lasciavano intravedere la mia pelle chiara, luminosa sotto la luce soffusa del bagno. Aggiunsi un paio di orecchini argentati per un tocco di luce. Indossai un paio di tacchi bassi, comodi ma raffinati, e completai il look con un filo di trucco leggero, giusto per illuminare lo sguardo e mettere in risalto le labbra.
Prima di uscire, diedi un ultimo sguardo allo specchio e respirai profondamente. Mi sentivo bella, ma anche leggermente nervosa. Le farfalle nello stomaco non si erano ancora placate, ma quella sensazione rendeva tutto ancora più speciale. Le lancette dell'orologio segnavano già le 20:30: ero riuscita a prepararmi giusto in tempo. Il telefono vibrò con un messaggio di Marco: «Sono sotto casa. Ti aspetto.» Sorrisi e raccolsi la borsa, pronta a vivere la serata.
Durante il viaggio in auto, parlai con Marco del più e del meno mentre la radio suonava una canzone leggera e rilassante. Mi voltai verso di lui, osservando il suo profilo deciso, la mascella ombreggiata da una barba curata e lo sguardo attento rivolto alla strada. La luce dei lampioni scivolava sul suo volto, creando giochi di ombre che lo rendevano ancora più affascinante.
«Hai sempre questa playlist?» gli chiesi con un sorriso curioso.
Marco si voltò un istante verso di me, con un’espressione divertita. «Solo quando voglio impressionare qualcuno.»
«Oh, quindi sono un caso speciale,» scherzai, sentendo il mio sorriso farsi ancora più largo.
«Assolutamente sì,» rispose Marco, facendo una leggera accelerata come a sottolineare le sue parole.
Ridacchiai e abbassai leggermente il finestrino, lasciando entrare una brezza fresca. In quell’istante, l'auto sembrava un microcosmo isolato dal mondo, un luogo in cui il tempo scorreva più lentamente e ogni scambio di sguardi aveva un peso speciale.
Arrivammo al ristorante, un piccolo locale con luci soffuse e pareti rivestite di legno chiaro, che creavano un'atmosfera calda e accogliente. Nell'aria si avvertiva un leggero aroma di spezie, forse cannella e agrumi, che si mescolava al profumo del vino servito ai tavoli vicini. Ci accompagnarono a un tavolo vicino alla vetrata che dava su un giardino illuminato da fili di luci scintillanti. Marco mi fece accomodare con un gesto galante e prese posto di fronte a me, il sorriso rilassato e gli occhi che brillavano.
«Questo posto è bellissimo,» dissi, osservando l'ambiente intorno. Non ero abituata a locali così eleganti e curati. Di solito frequentavo pub, pizzerie o al massimo un sushi con le amiche. Mi sentivo piacevolmente fuori dal mio solito contesto, come se quella serata fosse una piccola parentesi speciale.
«L'ho scelto perché sapevo che ti sarebbe piaciuto,» rispose lui, inclinando leggermente la testa.
Il cameriere arrivò con i menù e una bottiglia di vino bianco frizzante. Ci prendemmo il tempo per scegliere i piatti, tra sguardi rubati e commenti scherzosi. Alla fine ordinammo un antipasto misto e due piatti principali di pesce.
Dopo il primo brindisi, Marco mi guardò con un'aria seria, ma non troppo formale. «Sai... me lo sono sempre chiesto. Perché non hai mai accettato di uscire con me prima?»
Posai il calice e lo guardai negli occhi, consapevole che era il momento di essere sincera. «La verità? Perché ero sempre impegnata. Non perché non mi piacesse l'idea, ma non me la sentivo di avere il piede in due scarpe.» Gli sorrisi per stemperare la risposta. «Ma ora... sono libera. E mi sono detta: perché no? Magari sei davvero irresistibile come credi.»
Lui scoppiò a ridere e scosse la testa. «Così mi lusinghi e mi prendi in giro allo stesso tempo.»
«È il mio superpotere,» scherzai, alzando le spalle.
La cena proseguì tra risate e discorsi leggeri, mescolati a momenti di sguardi più intensi. L'atmosfera era così spontanea che mi sembrava di conoscerlo da sempre. Ogni minuto passato insieme aggiungeva un tassello a quella nuova emozione che stava prendendo forma tra di noi.
Mentre sorseggiavo il vino e ascoltavo Marco che raccontava un aneddoto divertente sul suo lavoro, mi persi per un istante nei miei pensieri. Mi chiesi cosa fosse quell'elemento che trovavo così rassicurante in lui e che mi attirava così tanto. Le sue attenzioni, i suoi gesti misurati e gentili mi riportavano a qualcosa di familiare.
Mi venne in mente mio padre: quel modo di piegare leggermente la testa quando ascoltava, quel sorriso pacato che trasmetteva sicurezza. Involontariamente comparavo i due, cercando somiglianze nei dettagli. Marco non era mio padre, certo, ma c'era qualcosa in lui che richiamava quella stessa sensazione di protezione, come se con la sua presenza riuscisse a farmi sentire vista, senza il bisogno di troppe parole.
Mi sorpresi a chiedermi se cercassi inconsapevolmente quelle stesse qualità: la stabilità, la forza silenziosa, l'attenzione che sa leggere oltre i gesti. Eppure, Marco aveva un'ironia leggera e una spensieratezza che sapevano sciogliere ogni mia esitazione. Mi accorsi che quella cena non era solo un'uscita: era un momento in cui i miei desideri e le mie paure si scontravano, creando un equilibrio perfetto tra ciò che conoscevo e ciò che stavo iniziando a scoprire.
La serata continuò tra risate e sguardi complici mentre finivamo l'ultima portata e il dessert. Le nostre voci si mescolavano al lieve brusio del ristorante, creando un'atmosfera sospesa. Dopo aver pagato il conto, Marco mi aprì la porta con un gesto galante, e appena uscimmo nella frescura della sera, mi sentii leggera e serena.
Durante il tragitto verso casa, ridemmo e scherzammo come due vecchi amici. Parlammo di tutto, persino di una coppia un po' goffa che avevamo notato al tavolo accanto e che aveva cercato di scattare un selfie senza riuscirci. «Hai visto come cercavano l'angolazione perfetta?» commentai ridendo.
Marco scosse la testa divertito. «Sì, sembrava un'impresa epica! Almeno noi due avremmo fatto un capolavoro al primo scatto.»
«Ah, sicuro! Tu poi con la tua precisione...» replicai scherzosa.
Lui mi guardò con un sorriso malizioso. «Mi prendi in giro?»
«Forse solo un po',» risposi, ridendo.
In quell'auto sembrava non esistere altro se non le nostre voci e la leggerezza del momento. Ogni battuta e ogni sorriso rinforzavano quel filo invisibile di complicità che ci legava, rendendo ogni minuto insieme indimenticabile. Eppure, ogni tanto, i miei pensieri scivolavano verso mio padre, senza volerlo. Ricordavo il suo modo rassicurante di guidare con calma e parlare di tutto, quella presenza silenziosa che mi aveva insegnato a riconoscere la sicurezza e l'affetto in gesti semplici. Mi chiesi se stavo cercando in Marco una versione diversa di quella protezione familiare o se era solo una coincidenza, ma ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano, sentivo che c'era anche qualcosa di nuovo, qualcosa che apparteneva solo a lui e a questo momento.
Arrivammo sotto casa mia, e l'orologio dell'auto segnava quasi mezzanotte. L'aria era calma, interrotta solo dal fruscio lontano delle foglie mosse dal vento. Spensi il motore, ma restammo lì, immersi in quel silenzio intimo. Ci guardammo per un istante che sembrò dilatarsi: i suoi occhi mi scrutavano con una dolcezza e un'intensità che mi lasciarono senza fiato.
«È stata una serata perfetta,» sussurrai, rompendo il silenzio con un filo di voce.
Lui sorrise e inclinò leggermente la testa. «Sì, ma potrebbe migliorare.»
«Ah sì?» chiesi, cercando di mantenere un tono leggero, ma sentendo il cuore che batteva forte.
Si avvicinò lentamente, sfiorandomi con lo sguardo prima ancora che con le labbra. Il mondo sembrò fermarsi quando le nostre bocche si incontrarono. Fu un bacio lento e profondo, che iniziò con una delicatezza che si trasformò presto in qualcosa di più intenso. Le sue mani si posarono leggere sulle mie guance, mentre le mie dita scivolarono lungo il suo braccio fino a intrecciarsi alla sua camicia.
Il tempo perse significato: esistevano solo il calore delle sue labbra, il profumo della sua pelle e quel battito sordo che riecheggiava tra di noi. Quando ci staccammo, i nostri sguardi rimasero sospesi, incapaci di interrompere quella connessione.
«Sì, decisamente perfetto,» dissi con un sorriso appena accennato, lasciandomi cullare dall'euforia del momento.
I nostri corpi si cercarono ancora una volta, con un'intensità che bruciava ogni resistenza. Le sue labbra tornarono a posarsi sulle mie, ma stavolta il bacio era più affamato, carico di un desiderio così tangibile da far vibrare l'aria intorno. Sentii il suo respiro farsi più profondo, caldo e avvolgente mentre scivolava lungo il mio collo, seguendo ogni linea con una dolcezza che sembrava quasi venerazione.
Quando raggiunse l'incavo dietro l'orecchio, un sussurro di piacere mi sfuggì involontariamente. Chiusi gli occhi, lasciando che la testa si inclinasse da sola per offrirgli più spazio, completamente abbandonata a quel momento. Le sue mani, calde e sicure, scesero lungo i miei fianchi con una lentezza che amplificava ogni sensazione. Sentii le sue dita tracciarmi con una cura quasi devota, posarsi con fermezza sui punti dove la pelle sembrava più sensibile.
Le mie mani si aggrapparono alla sua camicia, stringendola come se temessi di lasciarlo andare. Sotto il tessuto sottile percepivo il battito frenetico del suo cuore, un ritmo che si fondeva con il mio, accelerato e sincero. Non potevo ignorare la pressione del suo corpo contro di me, quella tensione evidente che parlava più di qualsiasi parola.
Ogni suo respiro, ogni lieve movimento, era un messaggio silenzioso, un racconto di desiderio che le parole non sarebbero mai riuscite a spiegare. Sentii la sua presenza farsi più intensa, e mentre mi stringeva dolcemente, il suo corpo tradiva un desiderio tangibile. La mia mano, timida ma curiosa, scivolò lungo il suo fianco fino a sfiorare con leggerezza l'evidente erezione sotto i pantaloni. Il contatto, seppur lieve, lo fece rabbrividire per un istante.
Le sue mani salirono lentamente verso le mie spalle e poi, con una dolcezza quasi inverosimile, scesero a sfiorare i miei seni con delicatezza. Era un tocco che non chiedeva ma donava, che parlava di attesa e di voglia senza fretta. Sentii le mie guance ardere, il battito diventare sordo nelle orecchie. Il tempo intorno a noi si dissolse, lasciando solo il calore delle nostre presenze intrecciate e quella scarica di energia pulsante che ci teneva legati, sospesi in un equilibrio sottile tra controllo e abbandono totale.
Il momento venne interrotto dal suono inaspettato di una notifica sul mio telefono. Lo sguardo mi scivolò automaticamente sullo smartwatch, dove lampeggiava un messaggio: "Che fai?". Era mio padre che aveva scritto all'account finto che avevo creato. Era l'ora abituale in cui ci scrivevamo, probabilmente aspettava che mia madre fosse andata a dormire per restare solo in salotto e immergersi in quelle conversazioni segrete.
Un sussulto mi percorse, un misto di sorpresa e confusione. Marco se ne accorse subito e mi osservò con uno sguardo dolce e curioso. «Va tutto bene?» chiese con voce bassa, come se volesse evitare di rompere la magia che ci circondava.
Esitai, combattuta. Sentivo il calore del suo corpo vicino al mio, le sue mani ancora posate con dolcezza. Il mio cuore era diviso: da una parte c'era lui, reale e presente, con il suo respiro che ancora sfiorava la mia pelle; dall'altra c'era la tentazione di abbandonarmi a quei messaggi intensi, al richiamo di qualcosa di oscuro e proibito.
Presi un respiro profondo, cercando di capire quale parte di me volessi ascoltare davvero: restare lì e vivere fino in fondo quell'istante o lasciarmi attrarre da quell'universo di parole sussurrate dietro uno schermo. Alla fine, decisi di tornare a casa. Con un sorriso un po' tirato, mi scostai leggermente e dissi: «Va tutto bene, ma si sta facendo tardi... domani devo lavorare presto.»
Marco inclinò la testa, studiandomi con un misto di dolcezza e lieve delusione. «Ah, quindi vuoi dirmi che rischiamo di far tardi e tu non vuoi fare scena muta davanti alle clienti domani?» scherzò, cercando di mantenere la leggerezza.
Ridacchiai e annuii. «Esatto. Immagina se fossi così assonnata da tagliare storto i capelli a qualcuno!»
Lui rise e fece un cenno di resa. «Ok, hai vinto. Ma la prossima volta ti faccio fare tardi senza rimorsi.»
Mi baciò un'ultima volta, dolcemente, prima che aprissi la portiera. «Buonanotte,» disse con un tono così tenero da farmi venire voglia di rimanere ancora.
«Buonanotte,» risposi, lasciando che quella parola si sciogliesse sulle labbra come un segreto, prima di scendere dall'auto e dirigermi verso casa.
Salii in casa con un sospiro profondo, cercando di scacciare il turbinio di emozioni che ancora mi avvolgeva. Mi diressi subito verso la mia stanza, lasciando cadere la borsa sulla sedia e spogliandomi con gesti rapidi. Indossai il pigiama, un morbido completo di cotone che mi regalava una sensazione di conforto. La stanza era immersa in una penombra rassicurante, appena rischiarata dalla luce del telefono che vibrava con le notifiche di Instagram.
Mi sedetti sul letto, con le ginocchia piegate sotto di me, e aprii l'app, pronta a immergermi nei messaggi. Le dita scorrevano sullo schermo, mentre il cuore batteva ancora veloce. Le parole si susseguivano sul display, quasi come un riflesso delle emozioni che continuavano a pulsare dentro di me. La stanza sembrava ovattata, separata dal mondo esterno, e in quell'istante mi resi conto di quanto una semplice conversazione potesse accendere la mente e trattenere il respiro.
Mi distesi sul letto, con il telefono tra le mani e il cuore che batteva ancora forte per le emozioni della serata. La schermata si illuminò con i messaggi e aprii quello di mio padre. «Cosa hai fatto oggi?» mi aveva scritto. Rimasi un attimo a fissare le sue parole, sapendo che non potevo dire la verità.
«Sono rimasta tranquilla, ho lavorato molto e poi ho guardato una serie per rilassarmi,» risposi cercando di sembrare spensierata.
La risposta arrivò quasi subito: «Ti ho pensata.» Quelle tre parole mi colpirono più di quanto avrei immaginato.
«Anche io,» scrissi, sentendo un lieve groppo in gola. Cercai di cambiare argomento: «E tu? Come è andata la tua giornata?»
Lui rispose con una descrizione semplice ma dettagliata, raccontando di piccoli momenti della sua serata e aggiungendo battute per sdrammatizzare. Continuammo a scriverci per un po', con scambi di messaggi che alternavano leggerezza e una dolcezza che sapeva di intimità e nostalgia.
Mi accorsi di sorridere tra me e me, mentre il resto della casa restava immerso nel silenzio della notte. Eppure, quel sorriso portava con sé un senso di colpa sottile che mi serrava il petto. Sapevo che era sbagliato ciò che stavo facendo: intrattenere queste conversazioni segrete con mio padre, celate dietro un velo di mistero e complicità, mi lasciava combattuta. Ogni messaggio scambiato era un pendolo che oscillava tra il conforto di essere vicina a lui e la paura di oltrepassare un confine invisibile ma reale. Mi chiesi per un istante quanto fosse fragile quell'equilibrio e se stessi cercando qualcosa di irraggiungibile, sospirando mentre le parole sullo schermo continuavano a illuminarsi, rivelando la trama intricata di un legame che sfuggiva alle definizioni.
È passato un mese da quella serata, e la mia vita aveva assunto un ritmo diverso. Marco era diventato una presenza costante e rassicurante. Ci vedevamo spesso: serate al ristorante, lunghe passeggiate al tramonto e momenti semplici passati sul divano a guardare film. C'era un'intesa naturale tra noi che rendeva tutto più facile e spontaneo.
Eppure, nonostante la mia mente cercasse di concentrarsi su di lui, ogni tanto il pensiero tornava inevitabilmente a mio padre. Era come un'ombra silenziosa che si insinuava nei momenti più inaspettati: quando Marco mi accarezzava i capelli con la stessa delicatezza con cui mio padre mi sistemava una ciocca dietro l'orecchio da bambina, o quando rideva con quella risata profonda che sembrava riempire la stanza. In quei momenti, mi sorprendevo a fare paragoni involontari.
"Sei distante," mi disse una sera Marco, mentre eravamo seduti sul divano a guardare la TV, con la luce soffusa che creava un'atmosfera intima.
Abbassai lo sguardo verso il pavimento, scossa dalla sua osservazione. "Scusa... è solo la stanchezza," mentii, cercando di mascherare l'inquietudine che mi afferrava.
Lui allungò una mano verso di me e intrecciò le sue dita alle mie. "Sono qui. Con me puoi essere te stessa."
Quelle parole mi toccarono più di quanto avrei voluto ammettere. Sentivo un senso di protezione e dolcezza in Marco, e senza che me ne rendessi conto, lui si avvicinò e mi sfiorò con un bacio dolce, un contatto lieve che accarezzava le mie insicurezze. Le sue labbra si posarono con una tenerezza disarmante, come a rassicurarmi senza bisogno di parole. Ma quel bacio, nato con dolcezza, si trasformò lentamente in qualcosa di più intenso. Le sue mani scivolarono lungo i miei fianchi mentre il respiro si faceva più profondo, e le sue labbra iniziarono a esplorare con passione, raggiungendo il collo e i contorni del viso.
Sentii un'ondata di calore travolgermi, mentre i nostri corpi si cercavano con una foga crescente, le mani che esploravano ogni centimetro con un'intensità che toglieva il respiro. Le sue labbra, prima dolci e delicate, si fecero più insistenti, scendendo lungo il mio collo e sfiorando con una precisione magnetica i punti che mi facevano rabbrividire. Mi abbandonai al momento, mentre i suoi baci scivolavano dietro l'orecchio e si trasformavano in carezze ardenti. Le sue mani scesero lungo la mia schiena, spingendomi verso di lui con una dolcezza che nascondeva una passione irrefrenabile.
Le mie dita si insinuarono tra i bottoni della sua camicia, sentendo il calore della sua pelle sotto i polpastrelli, mentre i respiri si intrecciavano in un ritmo segreto. Mi persi nei nostri movimenti, lasciando che ogni tocco raccontasse un desiderio che cresceva, un fuoco che divampava senza controllo, consumando ogni distanza.
Marco mi aiutò a sfilare la camicia, scoprendo il suo petto muscoloso e leggermente abbronzato. Le mie mani, affamate di contatto, esplorarono ogni muscolo, ogni linea del suo corpo, mentre lui mi sollevava la maglia, lasciando che le sue dita tracciassero un percorso sensuale lungo la mia schiena. Il bacio si fece più profondo, le nostre lingue danzavano con una passione che sembrava non avere fine.
Con un movimento fluido, Marco mi fece distendere sul divano, il mio corpo sotto il suo. Sentivo il peso del suo desiderio premere contro di me, la sua erezione evidente attraverso i pantaloni. Le sue mani si mossero con urgenza, slacciando il mio reggiseno, liberando i miei seni. Le sue labbra si mossero verso di essi, succhiando delicatamente i capezzoli, mandando scintille di piacere lungo tutto il mio corpo. Ma mentre mi abbandonavo al tocco di Marco, immagini fugaci di mio padre si insinuavano nei miei pensieri, rendendo ogni sensazione ancora più intensa.
Le mie dita trovarono la cintura dei suoi pantaloni, slacciandola con impazienza, mentre lui mi toglieva i jeans, lasciando solo la biancheria. Sentivo il calore della sua pelle contro la mia, il suo respiro affannoso che mi sussurrava parole di desiderio nell'orecchio. "Sei così bella," disse con voce roca, mentre le sue mani scivolavano sotto le mie mutandine, trovando la mia intimità già bagnata di desiderio. E in quel momento, un flash di mio padre mi attraversò la mente, immaginandolo al posto di Marco, ciò mi fece eccitare ancora di più.
Le sue dita iniziarono a muoversi con maestria, accarezzando e penetrando dolcemente, mentre le nostre bocche si divoravano in baci profondi. Mi inarcai contro di lui, cercando di sentire di più, di essere più vicina, e ogni volta che quei pensieri proibiti mi sfioravano, il piacere si amplificava. Sentii il suo membro, duro e insistente, che premeva contro di me, e con un movimento deciso, lo liberai dai suoi boxer.
La vista del suo membro, così vicino e desideroso, mi fece girare la testa. Lo presi tra le mani, sentendo la sua pulsazione, la sua calda presenza, ma mentre lo guidavo verso di me, la mia mente traditrice immaginava mio padre al suo posto, rendendo ogni tocco più carico di desiderio. Lui mi guardava negli occhi con un'intensità che mi fece sentire come se fossi l'unica cosa al mondo che desiderava.
Con una spinta gentile ma decisa, entrò in me, riempiendomi con una lentezza che amplificava ogni sensazione. Un gemito mi sfuggì dalle labbra mentre lo accoglievo dentro di me, sentendo ogni centimetro di lui che mi esplorava. Ogni volta che immaginavo mio padre, l'eccitazione cresceva, rendendo il piacere quasi insostenibile. I nostri corpi si mossero in sincronia, in un ritmo che era allo stesso tempo disperato e perfetto. Ogni spinta era un'onda di piacere che cresceva, portandomi verso l'apice.
Le sue mani erano ovunque, sui miei seni, sulla mia vita, sostenendomi mentre aumentava il ritmo, i nostri respiri diventavano singhiozzi di piacere. Sentivo il mio orgasmo avvicinarsi, un vortice di sensazioni che mi avvolgeva, e con un ultimo movimento profondo e l'immagine di mio padre che si sovrapponeva a quella di Marco, lo raggiunsi, gridando il suo nome mentre il mondo intorno a noi si dissolveva in un bianco accecante di estasi.
Marco seguì poco dopo, il suo corpo tremava mentre si liberava dentro di me, i suoi gemiti un'eco del mio piacere. Ci stringemmo forte, respiri affannosi che si mescolavano, cuori che battevano all'unisono. In quel momento, esiste solo noi, ma l'ombra dei miei pensieri segreti non era del tutto scomparsa. Tuttavia, in quel momento, decisi di godermi la pace che avevo trovato tra le braccia di Marco, sospendendo per un attimo ogni dubbio e ogni segreto, anche se la complessità del mio desiderio aveva aggiunto un ulteriore strato di intensità a quell'incontro.
Ma alla fine, un velo di tristezza mi avvolse; il ricordo dei miei pensieri verso mio padre, quei desideri proibiti che non potevo confessare, mi lasciò con un senso di amarezza e di nostalgia, un'eco di un amore impossibile che non poteva essere celebrato alla luce del giorno.
L'indomani mi svegliai con una lieve stanchezza addosso, residuo delle emozioni contrastanti della notte precedente. Mi preparai per affrontare la giornata lavorativa con la solita routine: una rapida doccia, un caffè caldo e il tragitto verso il salone avvolto nella luce tenue del mattino.
Il salone era già animato dal brusio delle chiacchiere e dal suono delle forbici che scivolavano sui capelli. Mi immersi nel lavoro, ascoltando le storie delle clienti mentre le mie mani scorrevano tra le ciocche come se seguissero un ritmo naturale e rassicurante. Tagliai, pettinai e scherzai con le colleghe, ma sotto quella superficie di normalità, i miei pensieri continuavano a vagare.
Mi tornavano in mente frammenti della serata precedente: il calore delle mani di Marco, i suoi occhi carichi di desiderio, e poi quei lampi fugaci di un pensiero proibito che mi riportavano sempre lì, in quel limbo tra realtà e immaginazione. Mi chiesi più volte se fosse giusto, se stessi vivendo una doppia vita senza volerlo.
«Tutto ok?» mi chiese Laura, la collega, sorprendendomi mentre riflettevo.
«Sì, sì, solo un po' di testa fra le nuvole,» risposi con un sorriso.
Il resto della giornata passò così, tra risate, piccoli momenti di leggerezza e attimi di silenzio in cui cercavo di rimettere ordine nei miei pensieri. Finalmente arrivò l'orario di chiusura. Il silenzio calò nel salone vuoto mentre raccoglievo gli ultimi strumenti e spegnevo le luci. Mi fermai un istante davanti alla vetrina, osservando il riflesso del mio viso illuminato dalle insegne della strada.
Tornai a casa con un misto di sollievo e un'ombra di inquietudine, consapevole che, nonostante la routine, alcune domande dentro di me rimanevano ancora senza risposta.
Dopo cena decido di guardare un film insieme a mio padre sul divano. La stanza era avvolta da una luce soffusa, e l'atmosfera era tranquilla e intima. Indossavo una canotta leggera che accarezzava la mia pelle, lasciando intravedere le curve morbide del mio corpo. Lui era seduto accanto a me, rilassato nella sua tenuta da casa: una maglietta semplice e dei pantaloncini corti che mettevano in risalto le sue gambe muscolose e accennavano qualcosa di più.
Durante il film ogni tanto scambiavamo qualche battuta, lui commentava con ironia alcune scene assurde: «Ma davvero hanno girato questa scena così?» disse con un sorriso. «Sembra una parodia.»
«Sì, ormai i film esagerano su tutto!» risposi con un mezzo sorriso, cercando di sembrare rilassata.
Le sue risate erano calde e avvolgenti, mi facevano sentire protetta, ma al tempo stesso accentuavano la mia vulnerabilità. Ho finto di addormentarmi, lasciando che il mio corpo si adagiasse lentamente contro il suo, come una piuma che cerca un rifugio. Sentivo il battito del suo cuore lento, ma poi accelerato, e il respiro che diventava più profondo. Mi ritrovai a seguirne il ritmo come una melodia ipnotica, finché non mi lasciai scivolare in quello stato di finta sonnolenza, cercando una tregua dai pensieri che mi affollavano la mente. Alla fine, la mia testa si poggiò delicatamente tra le sue gambe.
Dopo un po', notai qualcosa di inequivocabile: un'erezione. Il rigonfiamento sotto il tessuto leggero dei suoi pantaloncini era evidente, e il cuore mi batteva all'impazzata, come un tamburo incessante. Mentre fingevo di dormire, il mio corpo, quasi guidato da una volontà propria, si spinse sempre più vicino al suo membro, in cerca di quel calore proibito.
Le mie labbra, socchiuse in un respiro appena percettibile, sfiorarono quel tessuto sottile, mentre una scossa di emozione mista a timore attraversava il mio corpo. La sensazione era surreale: un confine pericoloso tra eccitazione e paura. Sentivo il calore che irradiava dal suo corpo, percepivo la tensione nei suoi muscoli, come se stesse lottando contro un impulso irresistibile.
Restai così per qualche minuto, combattuta tra il desiderio e la ragione, cercando di mantenere la calma e sembrare ancora addormentata, mentre dentro di me sentivo un fuoco che bruciava. Lui rimase immobile, forse per non rompere quel fragile momento. Poi decisi di svegliarmi lentamente, come se fosse stato un semplice stiracchiarsi.
Mi mossi piano, allungando le braccia e sollevando lo sguardo verso di lui con occhi assonnati. I suoi occhi erano pieni di un misto di desiderio e imbarazzo, ma cercò di nascondere tutto dietro un sorriso lieve.
"Stavi proprio dormendo, eh?" mi disse con un tono scherzoso e un accenno di nervosismo nella voce.
«Sì, scusa,» risposi con un tono innocente, cercando di sembrare disinvolta. «Mi sono addormentata senza accorgermene.»
Lui annuì, cercando di mantenere la calma. «Non preoccuparti, capita. Vuoi continuare a guardare il film o preferisci andare a letto?»
«Continuiamo a guardare il film,» risposi, sorridendo per smorzare la tensione.
Lui fece ripartire il film, ma la mia mente era lontana. Dopo che i titoli di coda scesero sullo schermo, mi alzai e mi diressi verso la mia stanza. Mi sdraiai sul letto e chiusi gli occhi, ma le immagini della serata continuavano a riaffiorare: il suo respiro, il calore del suo corpo, e quel desiderio che sembrava restare impresso nella mia pelle. Cercai di calmarmi, abbracciando il cuscino come se potesse placare il turbinio che mi agitava.
Tornai in stanza e mi misi a letto, ma il sonno sembrava un miraggio lontano. Le lenzuola erano fresche sulla pelle, eppure il mio corpo si scaldava ad ogni movimento, come se i pensieri stessi generassero un calore incessante. Mi giravo e rigiravo, il cuscino sembrava troppo duro o troppo morbido a seconda dell'attimo, e la mia mente non smetteva di rievocare ogni istante della serata.
Ogni immagine era nitida: il tono della sua voce, lo sguardo che mi aveva rivolto, il calore della sua presenza accanto a me. E con ogni ricordo, una nuova ondata di emozioni si affacciava. Mi sentivo scossa, colpita da un mix di desiderio e senso di colpa che non riuscivo a districare. "Perché provo tutto questo?" mi chiesi mordendomi il labbro e fissando il soffitto immerso nella penombra.
Ogni respiro sembrava troppo rumoroso, troppo carico di domande. Cercai di calmarmi, abbracciando il cuscino come se fosse un’ancora, ma il turbinio dei pensieri non si fermava. Mi passai una mano tra i capelli, tirando piano, quasi per scaricare la tensione.
Alla fine, sfinita da quella battaglia silenziosa, presi il laptop dal comodino. La luce dello schermo mi accolse con una familiarità confortante. Digitai lentamente le parole chiave, quasi temendo di scrivere ciò che davvero cercavo. Trovai un forum dedicato a racconti di esperienze intime e riflessioni personali. Non era forse il posto più adatto, ma leggendo alcune storie simili alla mia, mi sentii meno sola, come se qualcun altro avesse vissuto emozioni altrettanto complicate.
Quelle parole anonime e sincere mi spinsero a scrivere anch'io della mia situazione. Ogni frase che scrivevo era un respiro liberatorio, un modo per dare un nome a ciò che provavo. Avevo bisogno di un confidente anonimo, di un angolo dove poter esprimere senza paura il nodo che mi stringeva il cuore.
Digitai lentamente le parole chiave, scorrendo i risultati con uno sguardo attento e ansioso. Molti siti sembravano superficiali, pieni di articoli generici che non facevano altro che alimentare la confusione. C'erano blog pieni di frasi fatte, consigli poco convincenti e titoli sensazionalistici. Alcuni portali apparivano più professionali, con sezioni di auto-aiuto e spiegazioni psicologiche, ma erano freddi, privi di quella vicinanza emotiva di cui avevo bisogno.
Dopo aver cliccato su alcuni link e abbandonato subito le pagine, trovai finalmente un forum che sembrava diverso. Era un luogo semplice, senza fronzoli, con racconti di esperienze intime e riflessioni personali scritte da persone comuni. Le storie non erano perfette, ma erano autentiche e intrise di emozioni vere.
Non era forse il posto più adatto, eppure sentii una strana connessione leggendo quei racconti. Parole anonime e sincere che parlavano di sentimenti complessi, di dubbi e desideri nascosti, e mi sembrò di vedere riflessa la mia stessa confusione. Mi sentii meno sola, come se qualcun altro avesse vissuto emozioni altrettanto complicate.
Quelle storie mi spinsero a scrivere anch'io della mia situazione. Con le dita che sfioravano la tastiera, iniziai a scrivere con il cuore in gola, raccontando quello che sentivo con tutta la cautela possibile. Ogni parola sembrava un piccolo passo verso la liberazione, come se stessi srotolando un filo di pensieri annodati da tempo. Descrissi le emozioni contrastanti, il senso di colpa e l’euforia, e quella strana attrazione che non riuscivo a spiegare nemmeno a me stessa. Le parole scorrevano veloci, quasi fossero state imprigionate troppo a lungo e avessero trovato finalmente un varco. Mi fermai un istante, rileggendo le righe appena scritte, sentendo un lieve tremore nelle mani. Mi chiesi se stessi esagerando o se fosse giusto concedermi quel momento di sfogo.
Continuai a digitare, parlando di quella notte, dei miei pensieri ingarbugliati e della solitudine che spesso accompagnava le emozioni più segrete. Ogni lettera digitata era un respiro liberatorio, un tentativo di dare un nome alle ombre che mi abitavano. Il silenzio della stanza sembrava amplificare ogni tasto premuto, trasformando quel momento in un dialogo sincero con me stessa.
Con le dita che sfioravano la tastiera, scrissi una lunga riflessione, raccontando quello che sentivo con tutta la cautela possibile. Avevo bisogno di un modo per liberarmi di quel peso senza paura di essere giudicata. Le parole scorrevano veloci, come se aspettassero da tempo di essere liberate, trasformando quel momento di solitudine in un'occasione per dare un nome ai miei sentimenti.
Dopo qualche giorno di apparente ordinarietà, le giornate con Marco proseguivano come in un dolce ripetersi di piccoli gesti e abitudini. Le colazioni insieme al bar la domenica mattina, i messaggi durante le pause pranzo e le serate passate sul divano a guardare serie TV mi regalavano un senso di normalità rassicurante, eppure non bastavano a zittire i pensieri che mi tormentavano. Marco rideva, mi accarezzava i capelli e mi baciava la fronte, e in quei momenti cercavo di vivere l'istante senza farmi trascinare via dalle ombre del passato.
Una sera, però, riprendo a messaggiare con lui. Ma questa volta qualcosa era cambiato. Le sue parole erano fredde, distaccate, come se stesse costruendo un muro invisibile tra noi. Inizia a parlare di sua figlia, raccontandomi che ultimamente si comportava in modo ambiguo, con atteggiamenti che non riusciva a decifrare del tutto. Poi arriva la domanda che non mi aspettavo: cosa ne pensassi io, visto che ero più o meno della sua età.
Quelle parole mi fecero trasalire. La sua voce sembrava più fragile, quasi incrinata da una consapevolezza che non voleva ammettere. Disse che, in qualche modo, gli ricordavo proprio lei. «Forse è sbagliato tutto questo,» aggiunse con un tono che oscillava tra la ragione e la resa. La mia mente si fermò, bloccata in un istante senza via d'uscita.
Sentii un primo colpo al cuore, doloroso e improvviso, come un crollo di certezze accumulate. Era come se l'aria si fosse fatta più densa, difficile da respirare, e un brivido mi percorse lungo la schiena. Ma non era finita: ogni parola pronunciata sembrava scavare più a fondo, come se volesse scoprire una verità che avevamo entrambi paura di vedere.
Il secondo colpo arrivò subito dopo: mi confessò che si era imbattuto per caso in un forum dove qualcuno raccontava di una ragazza che provava attrazione per il padre. Mi spiegò che era rimasto sorpreso e scosso leggendo quelle parole, quasi come se stesse leggendo una storia scritta da me. «Non sapevo nemmeno che esistessero posti del genere,» mi scrisse, e aggiunse: «Sono finito lì solo perché cercavo consigli su come affrontare le discussioni con mia moglie.» La conversazione si interruppe per qualche secondo, poi apparve un nuovo messaggio: «Forse è stato un segno.»
Mi fermai a rileggere quelle parole, ogni lettera sembrava bruciare sulla pelle. «Un segno di cosa?» digitai, sentendo le mani tremare. Lui rimase in silenzio per un po', poi rispose: «Di quanto sia facile confondere ciò che è giusto con ciò che sembra inevitabile.» Quel messaggio mi colpì come una lama, lasciandomi in un limbo di emozioni contrastanti, incapace di capire se stesse cercando una via d'uscita o una scusa per rimanere intrappolato insieme a me.
Cercai di cambiare discorso, cercando di mascherare il terrore che mi stringeva lo stomaco. Sentivo la paura crescere, come un'ombra che si dilatava dentro di me. Alla fine, trovai una scusa banale, salutai frettolosamente e chiusi la conversazione con un nodo in gola. Rimasi immobile per qualche istante, fissando lo schermo scuro del telefono prima di spegnerlo.
Mi infilai sotto le coperte, ma la calma che cercavo di impormi si sgretolava a ogni respiro. La mia mente rievocava ogni parola scambiata, ogni pausa di silenzio, ingigantendo quei momenti fino a renderli insopportabili. Il buio della stanza sembrava amplificare i miei pensieri: "Ha capito tutto? Sta leggendo tra le righe? Cosa succederà ora?".
Le lenzuola sembravano pesanti, eppure non riuscivo a trovare pace. Mi girai su un fianco, poi sull'altro, abbracciando il cuscino con forza come se potesse arginare il turbinio dentro di me. Il cuore martellava forte, e ogni volta che chiudevo gli occhi, le immagini di quella conversazione tornavano nitide, mescolandosi alle mie paure più intime.
Alla fine, un respiro profondo e lento mi fece chiudere gli occhi per un istante più lungo. I pensieri rallentarono, non per scelta, ma per sfinimento. Il sonno arrivò come una tregua forzata, portando con sé sogni spezzati e frammenti di emozioni che non volevano abbandonarmi del tutto.
Nei giorni successivi notavo che mio padre mi guardava con occhi strani, mi fissava tanto, in un modo strano. Ogni volta che eravamo nella stessa stanza, sentivo il peso del suo sguardo su di me, come se cercasse di decifrare un enigma che solo io potevo risolvere. Avrei voluto chiedergli "Cosa c'è?", ma avevo paura, una fottuta paura di affrontare il discorso.
Una sera, durante la cena, mentre eravamo tutti seduti a tavola, il mio telefono vibrò sul tavolo. Sobbalzai istintivamente, il cuore che mi esplodeva nel petto. Era un messaggio sul mio secondo profilo Instagram. Lo schermo illuminato mostrava chiaramente il nome: era lui. "Come stai?" recitava il testo semplice, ma carico di implicazioni. Per un attimo, il mondo sembrò fermarsi. Sentii il fiato spezzarsi mentre speravo, pregavo che nessuno avesse notato.
Sollevai lo sguardo rapidamente verso mio padre. I suoi occhi erano già su di me, ma non c'era nulla che tradisse un segnale di comprensione. O almeno, così speravo. Sentivo la tensione che mi stringeva il collo e le mani sudate che cercavano di afferrare il telefono con calma, mentre dentro di me montava il panico.
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