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Prime Esperienze

Schiava di uno sconosciuto pt. 1


di Ginger_freckles
10.01.2025    |    152    |    0 8.0
"” Le sue parole sembrarono svanire nel silenzio per un attimo..."
Mi sono sempre sentita come un pesce fuor d'acqua, intrappolata in una vita troppo stretta per me. Casa, scuola, casa. Il tragitto sempre uguale: l'autobus affollato, i visi stanchi dei pendolari, l'odore di gomma consumata. Ogni giornata sembrava identica alla precedente. Sempre le stesse persone, gli stessi sguardi, le stesse aspettative. A casa, i soliti rituali: il pranzo con mia madre che chiedeva della scuola senza mai ascoltare davvero la risposta, i compiti fatti di fretta per liberarmi il pomeriggio e immergermi nel mio mondo. Avevo appena compiuto diciotto anni, eppure non mi sentivo diversa. Solo più consapevole della mia noia.
Quel sito era il mio rifugio. Un luogo dove potevo essere chi volevo, o non essere nessuno. Dopo cena, mi chiudevo in camera con una scusa qualsiasi, il portatile acceso sulle gambe e la porta ben chiusa. Potevo accendere la webcam e sentire per un momento che c'era qualcuno, dall'altra parte del mondo, che mi guardava. Mi piaceva l’idea di catturare l’attenzione, di sentirmi desiderata anche solo per pochi minuti. A volte bastava mostrare un sorriso, altre volte... di più.
All'inizio era solo un gioco. Aprivo la cam, lasciavo che gli sconosciuti mi scrutassero, e scoprivo quanto potere avessi su di loro. Bastava un gesto, un movimento lento delle mani sul corpo. Ogni tanto andavo oltre, lasciandomi trasportare dalla tensione del momento. Era un modo per evadere da quella routine soffocante. C'era qualcosa di liberatorio in quell'esibizione anonima. Era come liberarmi da una parte di me stessa che nella vita reale non potevo mostrare.
Quel pomeriggio ero sul letto, il portatile acceso davanti a me. La finestra socchiusa lasciava entrare un raggio di sole che disegnava ombre sul muro, mentre cliccavo svogliatamente, saltando da un volto all’altro. Alcuni ridevano, altri cercavano di flirtare goffamente. Non ero dell’umore per nessuno di loro. La pila di libri sul comodino mi fissava, ma sapevo che non avrei aperto nemmeno una pagina.
Poi apparve lui.
Indossava un cappuccio scuro, tirato su fino a metà del viso. La luce della sua stanza era tenue, lasciando solo il sorriso illuminato. Un sorriso perfetto, affascinante. Le labbra si incurvavano in un modo che sembrava studiato per catturare. Non era un ragazzo, questo era chiaro. I pochi tratti del volto visibili e la sicurezza nei movimenti tradivano un'età più matura. Forse sulla quarantina.
Per un momento rimasi immobile. Il dito, pronto a cliccare “avanti” senza pensarci, si bloccò sopra il touchpad. Mi sentivo... osservata. Ma in un modo diverso. Non come quando lasciavo che altri mi guardassero, ma come se lui stesse davvero cercando di leggermi.
“Ciao,” scrissi nella chat, le mani un po’ tremanti.
Lui non rispose subito. Inclinò leggermente la testa, lasciando che il cappuccio scivolasse appena, senza scoprire nulla di più. Poi, digitò:
“Hai un bel viso.”
Mi scappò un sorriso nervoso. Non ero nuova ai complimenti, soprattutto su quel sito, ma il suo aveva un peso diverso. Non c’era volgarità, né fretta. Solo una calma disarmante.
“Grazie,” risposi, e aggiunsi quasi senza pensarci: “Non mostri molto di te.”
“Mostro quello che conta.”
Le sue parole mi colpirono più di quanto avrei voluto. “E cosa conta?” chiesi, incuriosita.
Questa volta il sorriso sullo schermo si fece più ampio. Scrisse lentamente, una lettera dopo l’altra, come se volesse che io leggessi con attenzione.
“Che tu resti.”
E lo feci. Non cliccai “avanti”. Non pensai nemmeno di farlo. Mi sistemai meglio sul letto, il portatile sulle ginocchia. Non riuscivo a staccare gli occhi da quel sorriso. Sembrava sapere qualcosa che io non sapevo.
“Mi chiamo Vanessa,” scrissi. Non so perché gli dissi il mio vero nome. Forse perché la sua calma mi metteva a mio agio, o forse perché, per una volta, volevo essere sincera.
“Un bel nome. Elegante.”
Un complimento banale, forse, ma il modo in cui lo scriveva sembrava diverso. Come se ogni parola fosse scelta con attenzione.
“Grazie. E tu? Come ti chiami?” digitai, sperando in una risposta.
Ci fu una pausa. Un attimo lungo, quasi calibrato. Poi arrivò il messaggio: “Puoi chiamarmi come vuoi. Non è il nome che conta, no?”
Quel tono criptico mi fece sorridere. “Quindi vuoi restare uno sconosciuto?” lo stuzzicai.
“Per ora, sì. Uno sconosciuto che ha attirato la tua attenzione. Ho ragione?”
Era sfacciato, ma non nel modo volgare e diretto a cui ero abituata. La sua sicurezza mi affascinava e mi disarmava allo stesso tempo.
“Va bene, sconosciuto. Quanti anni hai?” chiesi, cercando di mantenere un tono leggero.
“Più di te,” rispose, accompagnando il messaggio con quel sorriso che sembrava quasi divertirsi. “Ma spero non abbastanza da farti cliccare ‘avanti’.”
Risi. Non mi aspettavo una risposta del genere. “E perché mai dovrei restare?” digitai, lasciando scorrere le dita sulla tastiera con una leggerezza che non provavo da tempo.
Lui non rispose subito. Si prese qualche secondo, come a voler creare un piccolo spazio di attesa. Poi scrisse:
“Perché ti incuriosisco. Perché vuoi scoprire se quello che vedi è tutto ciò che c’è, o solo l’inizio.”
Mi morsi il labbro. Non era solo il contenuto delle sue parole, ma il modo in cui le costruiva, come se conoscesse esattamente cosa dire per catturare la mia attenzione.
“E se non fosse così?” chiesi, sfidandolo.
Questa volta sorrise apertamente. Quel sorriso… sembrava quasi una promessa.
“Allora potrai andartene. Ma scommetto che non lo farai.”
Era sicuro di sé, ma non arrogante. Era questo a colpirmi. Gli altri uomini che incontravo su quel sito erano impazienti, volgari, frettolosi di mostrarsi per ciò che erano. Lui no. Lui si prendeva il suo tempo, e questo mi affascinava. “Va bene, sconosciuto. Mi hai convinta a restare. Per ora.”
Ci fu un attimo di silenzio, o almeno così sembrava. Nella realtà, era solo il vuoto tra un messaggio e l’altro, ma con lui lo percepivo come qualcosa di più. Era bravo a creare attesa, a costruire il momento.
“Posso proporti un gioco, Vanessa?” scrisse alla fine.
Mi inclinai leggermente in avanti, curiosa. “Che tipo di gioco?” risposi, cercando di mascherare l’interesse con una parvenza di indifferenza.
“Un gioco di fiducia. Io chiedo, tu fai. Ma solo se vuoi. Se non ti piace, puoi fermarti quando vuoi.”
Mi morsi il labbro, il cuore che batteva un po’ più veloce. Fiducia. Era una parola grande, ma detta così sembrava quasi innocua. Un gioco, dopotutto, era solo un gioco.
“E tu? Giochi anche tu?” digitai, cercando di mantenere un po’ di controllo.
Io osservo. E se giochi bene, forse, ti dirò qualcosa in più su di me.”
Lui sapeva come pungolarmi, come solleticare la mia curiosità. Lo odiavo e mi piaceva allo stesso tempo per questo.
“Va bene,” scrissi alla fine. “Inizia tu.”
“Brava, Vanessa,” arrivò subito la risposta, accompagnata da quel sorriso che ormai iniziavo a riconoscere come una firma. “Molto semplice. Appoggia una mano sul collo. Lentamente. Voglio vederti farlo.”
Deglutii. Non mi aspettavo qualcosa di così diretto. Ma era davvero una richiesta così assurda? No, era… semplice. In fondo, era solo un gesto. Mi guardai per un attimo nella webcam, poi alzai la mano e la poggiai sulla base del collo, le dita che scivolavano leggere sulla pelle.
“Perfetto,” scrisse lui, il sorriso che sembrava più intenso di prima. “Ora chiudi gli occhi. Voglio vedere il tuo viso quando ti lasci andare completamente.”
Mi fermai, esitando. Chiudere gli occhi significava fidarmi. Significava lasciare che lui mi osservasse senza filtri, senza il controllo del mio sguardo su di lui. Ma l’idea mi eccitava in un modo che non riuscivo a spiegare. Lentamente, lasciai che le palpebre si abbassassero.
Riaprii gli occhi e lessi:
“Va benissimo, Vanessa. Sei perfetta.”
L’idea di lasciarmi osservare senza poter vedere lui era stranamente eccitante. Avevo sempre il controllo di chi guardava, ma questa volta sembrava diverso.
“Bene, Vanessa,” scrisse. “Adesso lascia scorrere la mano dal collo alla spalla, molto lentamente. Voglio che tu lo faccia come se accarezzassi qualcosa di prezioso.”
Non risposi subito. Mi chiedevo dove volesse arrivare, ma non potevo negare che il modo in cui scriveva aveva qualcosa di ipnotico. Sollevai la mano e seguii le sue istruzioni, lasciandola scivolare lentamente lungo la curva della spalla.
“Perfetto,” digitò poco dopo. “Ogni gesto è come un quadro, e tu sei l’artista. Lo capisci, vero?”
Un brivido mi attraversò. Non era solo ciò che diceva, ma come lo diceva. Era come se stesse dipingendo un’immagine di me che io stessa non avevo mai visto.
“E adesso?” scrissi, con il respiro appena più veloce.
“Adesso voglio che ti sieda dritta e lasci che i capelli cadano da un lato. Mostrami il tuo collo. Voglio vederlo scoperto, vulnerabile.”
Senza nemmeno pensarci, feci come mi aveva chiesto. Sollevai i capelli, lasciandoli scivolare su una spalla. Guardai per un attimo la mia immagine riflessa nello schermo. Mi sentivo esposta, ma in un modo che mi piaceva.
“Bellissima,” arrivò il suo messaggio, accompagnato da un’emoji di un sorriso che sembrava quasi reale. “Ora, Vanessa, togliti qualcosa. Non importa cosa. Fai un gesto solo per me.”
Mi bloccai per un istante, il calore che si faceva strada sul mio viso. Quella richiesta aveva superato una soglia, ma non mi sentivo di fermarmi. Mi tolsi lentamente il cardigan che indossavo, rimanendo in reggiseno.
“Ecco,” scrissi, il cuore che batteva forte.
“Stupenda. Hai fatto un ottimo lavoro.”
C’era qualcosa di soddisfacente nel suo modo di lodarmi, un piacere che non avevo mai provato prima. Come se quei piccoli gesti avessero un significato più grande sotto il suo sguardo.
“Ora voglio che mi prometta qualcosa, Vanessa.”
“Cosa?” scrissi, mordendomi il labbro.
“Che non farai mai nulla se non te lo chiedo io.”
Lessi quelle parole più volte, un brivido che mi percorse la schiena. Era un confine che non avevo mai attraversato prima, ma qualcosa dentro di me mi spingeva a rispondere.
“Lo prometto,” scrissi infine, quasi senza accorgermene.
Mi sentivo strana. Esposta, sì, ma anche... viva. C'era qualcosa nel modo in cui lui scriveva, in quelle pause studiate e nelle sue parole, che mi faceva sentire al centro di tutto. Come se, in quel momento, il mondo fosse ridotto solo a me e a lui.
“Hai mantenuto la tua promessa, Vanessa,” scrisse. “E adesso posso fidarmi di te. Posso portarti un passo più avanti, ma solo se vuoi.”
Non risposi subito. Quel gioco aveva qualcosa di ipnotico, eppure sapevo che stavo oltrepassando un limite che non mi ero mai posta prima.
“Cosa vuoi che faccia?” chiesi alla fine, le dita tremanti sulla tastiera.
“Prima di tutto, rilassati,” scrisse. “Respira profondamente e lasciati andare. Ma aspetta... Voglio che tu senta le mie parole in un altro modo.”
Il messaggio successivo arrivò subito: “Accendi il microfono.”
Esitai per un istante. L’idea di sentirlo parlare, di ascoltare la sua voce invece di leggere le sue parole, mi fece stringere lo stomaco in un misto di paura e curiosità. Ma alla fine cliccai sull’icona del microfono e attivai l’audio.
La sua voce arrivò immediatamente, profonda, calma, con una tonalità che sembrava studiata per calmarmi e affascinarmi allo stesso tempo. “Brava,” disse, e il solo suono di quella parola mi fece rabbrividire. “Ora chiudi gli occhi. Voglio che ti concentri solo su quello che ti sto dicendo. Immagina che le mie parole siano mani che ti sfiorano. Puoi farlo, Vanessa?”
Non era una richiesta impossibile, ma il modo in cui la formulava la rendeva carica di significati. Chiusi gli occhi, lasciandomi trasportare.
“Appoggia entrambe le mani sui tuoi fianchi,” disse con quella voce che sembrava quasi una carezza. “Senti il calore della tua pelle sotto le dita. Voglio che ti soffermi sul tuo respiro, sul modo in cui cambia mentre mi ascolti.”
Obbedii senza neanche pensarci. C'era qualcosa di ipnotico in lui, qualcosa che mi faceva dimenticare ogni esitazione.
“Bene,” continuò. “Adesso lascia che le mani scivolino verso l’alto, molto lentamente, fino al bordo del reggiseno. Fermati lì. Non andare oltre, voglio solo che tu ti fermi e senta la tensione.”
Le sue parole erano come una melodia, un ritmo che guidava i miei movimenti. Feci come mi aveva chiesto, trattenendo il respiro mentre le dita sfioravano la stoffa.
“Adesso apri gli occhi,” disse, e quando lo feci, trovai ancora quel sorriso sullo schermo ad accogliermi. “Brava, Vanessa. Sei perfetta. Ma ricorda: io guido, tu segui. Sempre.”
La sua voce era come un filo che mi legava, un nodo che diventava sempre più stretto ad ogni parola. Mi sentivo in balia di qualcosa di più grande di me, un vortice di emozioni che non riuscivo a controllare.
“Bene, Vanessa. Sei stata bravissima finora,” disse, con un tono che sembrava una carezza. “Ma purtroppo... il gioco finisce qui.”
Riaprii gli occhi di scatto, il cuore che batteva forte. “Come sarebbe a dire? Perché?”
Il suo sorriso si allargò appena, enigmatico come sempre. “Perché le cose belle non durano per sempre. E questo è stato solo un assaggio. Ritrovarmi qui, su questa piattaforma, sarebbe quasi impossibile. Sai come funziona questo posto: casuale, anonimo, fugace.”
Le sue parole mi colpirono come un pugno allo stomaco. Non volevo che finisse così. Avevo appena iniziato a scoprire qualcosa di nuovo, qualcosa che mi faceva sentire viva.
“Ma non possiamo semplicemente continuare altrove” chiesi, cercando di nascondere il tono supplichevole che si era insinuato nella mia voce.
Scosse leggermente la testa. “No, Vanessa. Questa non è una strada che mi piace prendere. Ma... potrei darti una possibilità. Se lo vuoi davvero. E se lo meriti.”
Quelle parole fecero aumentare la tensione. Meritarmelo? Era come se stesse giocando con me, tirando i fili di una marionetta invisibile, e io non riuscivo a staccarmene.
“E cosa dovrei fare per meritarlo?” chiesi, quasi senza rendermene conto, la voce che tremava appena.
Lui si prese un momento prima di rispondere, creando quell'attesa che ormai avevo imparato a riconoscere come una sua firma. “Prima di tutto, devi dimostrarmi che vuoi davvero continuare. Che sei disposta a fare ciò che ti chiedo, senza esitazioni. Se decidi di accettare, ci sposteremo su un'altra piattaforma. Anche lì resteremo anonimi, ma sarà più nostro. Più intimo. Nessun altro potrà interferire.”
La curiosità era più forte. “E cosa dovrei fare per dimostrartelo?”
Il sorriso sullo schermo si fece più intenso, quasi malizioso. “Voglio che mi mostri quanto desideri che il gioco continui. Non ti dirò come. Voglio che tu lo capisca da sola. Sorprendimi, Vanessa.”
Sentii il calore risalirmi lungo il collo, un misto di nervosismo ed eccitazione. Dovevo prendere una decisione, e dovevo farlo in fretta.
Voglio continuare. Ti dimostrerò che sono capace. Ordinami qualcosa, e lo farò senza esitare.”
Le sue parole sembrarono svanire nel silenzio per un attimo. Poi la sua risposta arrivò, lenta, misurata, ma carica di una forza che mi colpì come una scarica elettrica.
“Molto bene, Vanessa,” disse, “Mi piaci quando sei sicura. Però, voglio vedere quanto davvero sei pronta a fare tutto per me. Voglio che ti spogli completamente. Subito. Nessuna esitazione. E mentre lo fai, voglio che mi parli, che mi descriva come ti senti, cosa stai provando. Voglio sentirti.”
Il cuore mi balzò in gola. Un brivido percorse la mia schiena. Ma le sue parole, la sua calma implacabile, mi rendevano incapace di fermarmi. Era come se, ad ogni parola che usciva dalla sua bocca, un’altra parte di me si sbloccasse, costringendomi a obbedire.
“Se non lo fai, non ci rivedremo mai più.” La frase mi colpì come una scossa.
Non c’era più tempo per ripensamenti. Il suo tono era diventato un ordine, netto, decisivo.
Mi morsi il labbro, ma senza perdere tempo, mi alzai dal letto e cominciai a spogliarmi. La prima cosa che abbandonai furono le scarpe, poi il jeans, lentamente, come se non volessi sembrare troppo ansiosa, ma in realtà il mio corpo tremava di un’emozione difficile da spiegare.
“Parla,” mi comandò.
"Mi sento... nervosa, ma anche... eccitata," risposi, la mia voce tremante. "È strano, ma non riesco a smettere. Ogni parola che dici mi fa sentire come se non avessi più controllo."
Le mani mi tremavano, ma continuai. Il reggiseno, le mutandine, tutto veniva via uno strato dopo l'altro. Non c’era più pudore, solo il desiderio di essere completamente sua, di rispondere al suo comando.
“Molto bene, Vanessa. Continua. Ti sto osservando.”
Respiravo a fatica, il cuore ancora martellante nel petto. Non riuscivo a credere a quanto mi fossi spinta oltre, ma ogni comando che mi aveva dato sembrava scavare più a fondo dentro di me, come se stesse toccando qualcosa che non sapevo nemmeno esistesse.
La sua voce arrivò ancora, calma e autoritaria, spezzando il silenzio: “Vanessa, hai superato il test. Ora sei pronta per un livello successivo. Dimmi, hai Skype?”
Deglutii, cercando di calmarmi, ma le mie mani tremavano mentre scrivevo la risposta. “No, non ce l’ho.”
“Allora crealo. Adesso. Senza domande.”
Ci vollero solo pochi minuti per creare l’account. Digitai il mio nome e qualche dettaglio a caso. Ogni clic sembrava più pesante del precedente. Quando tutto fu pronto, tornai alla chat per dargli il mio nome utente.
“Fatto,” scrissi, il cuore che batteva forte. “Ecco il mio contatto”
“Brava,” rispose lui, e anche attraverso le parole scritte sembrava che il suo tono avesse una punta di soddisfazione. “A mezzanotte ti contatterò io. E ricordati: quando ti chiamo, tu devi essere pronta. Non voglio scuse.”
Esitai per un istante prima di rispondere. “Ma domani ho scuola,” scrissi, sperando che capisse, anche se dentro di me sapevo che non sarebbe successo.
La sua risposta arrivò subito, tagliente e decisa: “Non voglio sentire storie, Vanessa. La scuola può aspettare. Io no. Se davvero vuoi continuare, devi obbedire. Sempre.”
Sentii un nodo alla gola. Non c’era spazio per il compromesso. “Scusa,” digitai rapidamente. “Farò come dici. Sarò pronta.”
“Perfetto,” disse, e il tono della sua voce mi fece rabbrividire. “A mezzanotte. Non deludermi.”
Chiusi il laptop e mi lasciai cadere sul letto, il cuore ancora agitato. Non riuscivo a credere a ciò che avevo accettato di fare. Mi stavo spingendo sempre più oltre, eppure non riuscivo a fermarmi. Ogni parola che diceva, ogni comando, sembrava avere un potere che mi trascinava più in profondità in qualcosa che non capivo del tutto, ma che desideravo sempre di più. A mezzanotte, mi sarei collegata. E non avrei fallito.
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